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Articoli e note

n. 3/2004

GIROLAMO SCIULLO
(Ordinario di diritto amministrativo nell'Università di Bologna)

Gli interventi edilizi: classificazione e funzione (*)

SOMMARIO: 1.- Generalità: situazione preesistente e linee del TU. 2.- Gli interventi edilizi: classificazione. 3.- Valore della classificazione. 4.- Funzione della classificazione. 5.- L’applicazione amministrativa e giurisprudenziale.

1. Ancorché si segnali per costituire la conclusione di un processo volto a dare una precisa collocazione all’edilizia rispetto all’urbanistica – precisa collocazione sotto il profilo di corpus normativo, non sotto quello della materia (cfr. Corte cost. 303/2003 [1]) - il T.U. (d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380) costituisce una razionalizzazione piuttosto che una vera e propria innovazione della disciplina vigente [2].

Nondimeno esso, nell’obiettivo di una liberalizzazione/semplificazione dell’attività edilizia, presenta talune novità, di ordine sia sostanziale sia procedurale. In particolare meritano di essere segnalate: una nuova classificazione degli interventi edilizi, la modifica dei titoli abilitativi e il collegamento tendenziale del sistema sanzionatorio alla tipologia degli interventi edilizi piuttosto che a quella dei titoli abilitativi [3].

I dati di novità si colgono meglio ove si consideri la situazione preesistente.

I titoli abilitativi, disciplinati fondamentalmente dalla l. 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica), dalla l. 28 gennaio 1977, n. 10 (legge Bucalossi) e dalla l. 5 agosto 1978, n. 457 (sull’edilizia residenziale), erano rappresentati dalla concessione edilizia (avente carattere generale), dall’autorizzazione ad eseguire i lavori e dalla d.i.a.(per ipotesi specifiche).

Gli interventi edilizi, a loro volta, erano distinti in due grandi aree: interventi di nuova costruzione, ampliamenti e sopralzi (art. 1 l. 10/1977), soggetti a concessione; opere di recupero del patrimonio esistente (art. 31, lett. a)-c), l. 475/1978), soggetti ad autorizzazione e a d.i.a. Alla tipologia dei titoli risultava collegato il sistema sanzionatorio amministrativo e penale.

Il TU interviene, come accennato, sul versante dei titoli abilitativi -liberalizzando talune forme dell’attività edilizia (art. 6) e fissando la bipartizione fra il permesso di costruzione (artt. 10 ss.) e la d.i.a., ampliata sulla scorta della l. 21 dicembre 2001, n. 443 (legge obiettivo) a super d.i.a. (art. 22 ss.)- e sul versante del sistema sanzionatorio sganciandolo tendenzialmente dal regime dei titoli. Preliminare rispetto ad entrambi è la riclassificazione degli interventi edilizi.

2. Della definizione degli interventi edilizi si occupa l’art. 3 del T.U., prevedendo sei tipi di opere (comma 1, lett. a)-f)):

a) di manutenzione ordinaria,

b) di manutenzione straordinaria,

c) di restauro e risanamento conservativo,

d) di ristrutturazione edilizia,

e) di nuova costruzione,

f) di ristrutturazione urbanistica.

In generale si può dire che per quelli di cui alle lett.a)-c) e f) (di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione urbanistica) la disposizione riprende le definizioni contenute nell’art. 31 della l. 457/1978, mentre si discosta da queste per gli interventi di ristrutturazione edilizia (lett. d)) e introduce una nozione del tutto nuova per gli interventi di nuova costruzione (lett. e)).

Consideriamo ora tali definizioni, premettendo che, nonostante l’intento del legislatore di fornire un quadro preciso degli interventi edilizi, esse offrono margini di incertezza intepretativa e perciò applicativa.

a) e b) Interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria

Si tratta di opere consistenti nella sostituzione e adeguamento di parti di un edificio già in essere, distinte in due categorie di manutenzione (ordinaria e straordinaria) a seconda della natura dell’intervento.

Il dato differenziale fra le due categorie riposa sulla circostanza che, nell’una, le opere di rinnovamento/sostituzione concernono le finiture o integrano gli impianti tecnologici esistenti, nell’altra, il rinnovamento/sostituzione riguarda parti <<anche strutturali>> dell’edificio e l’integrazione consiste nell’aggiunta di servizi igienico-sanitari e tecnologici nuovi.

Va sottolineato che il limite logico degli interventi di manutenzione è rappresentato dalla non alterazione sia dei parametri urbanistici (volumetria e superfici) delle singole unità immobiliari sia delle destinazioni d’uso (comma 1, lett. b)).

Attingendo dalla casistica, si può rilevare che l’apertura di porte nelle pareti perimetrali esterne dovrebbe costituire opera di manutenzione straordinaria, se mira a fornire l’immobile di un nuovo ingresso, ma eccede da tale categoria se costituisce il mezzo per giungere alla divisione di un’unica unità immobiliare in unità immobiliari minori autonome (con alterazione dunque dei volumi e delle superfici della unità esistente).

La distinzione fra interventi di manutenzione ordinaria e interventi di manutenzione straordinaria comporta che, di regola, gli uni possono essere eseguiti senza titolo abilitativo (ossia compongono l’attività edilizia libera ex art. 6, comma 1, lett. a)), gli altri sono soggetti a d.i.a. (art. 22, comma 1, in comb. disp. con l’art. 10, comma 1).

c) Interventi di restauro conservativo

Il dato saliente è costituito, per un verso, da <<un insieme sistematico di opere>> incidente in particolare sugli elementi costitutivi dell’edificio –il che rappresenta l’elemento differenziale rispetto agli interventi di manutenzione- e, per altro verso, nella finalità di conservare l’edificio assicurandone la funzionalità nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo edilizio.

Il comma 2, seconda alinea mantiene <<ferma>> la definizione di restauro prevista dall’art. 34 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490. La disposizione non fa che specificare quanto affermato in linea generale dall’art. 1, comma 2, (<<restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali e ambientali contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490>>).

Al riguardo si pongono due questioni. Anzitutto se la disciplina tenuta ferma sia da intendere in chiave statica o dinamica, se cioè (come nel caso del rinvio <<formale>>) si possa tener conto delle modifiche che la disciplina subisce. Il quesito si pone perché, come è noto, il prossimo 1° maggio entrerà in vigore il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 41 (codice dei beni culturali e del paesaggio). Peraltro almeno per la definizione di restauro il problema è in larga misura teorico, giacché fra la definizione contenuta nell’art. 34 del d.lgs. 490/1999 e quella fissata dall’art. 29, comma 4, del codice sussiste un’ampia coincidenza. La risposta comunque pare dover essere nel secondo senso, giacché la ratio della disposizione sembra essere quella di tener indenne la disciplina specificamente dettata per i beni culturali.

In secondo luogo si tratta di capire cosa implichi il mantenimento della definizione di restauro prevista in tema di beni culturali. A me sembra che la disposizione dell’art. 3, comma 2, come del resto quella dell’art. 1, comma 2, non intenda dirimere un possibile concorso fra la disciplina del TU e quella del codice, ma solo stabilire che, nel caso in cui ricorrano le ipotesi disciplinate dalla normativa di tutela dei beni culturali, si applichino oltre alle disposizioni del TU quelle del codice. In dettaglio, qualora si verta in un intervento su un bene culturale qualificabile come restauro ai sensi del codice, è da osservarsi anche la specifica normativa da questo prevista: l’intervento pertanto va anche autorizzato dall’autorità preposta alla tutela (cfr. art. 31, comma 1, e art. 21 del codice).

Sul piano della disciplina edilizia il restauro ex art. 3 è sottoposto al regime della d.i.a. (art. 22, comma 1, e art. 10, comma 1).

d) Interventi di ristrutturazione edilizia

Il dato caratterizzante è costituito da un <<insieme sistematico di opere>>, come nel caso del restauro e risanamento conservativo, ma, diversamente che in questo, rivolto alla <<trasformazione>> di un organismo edilizio esistente. A seconda che la trasformazione porti o meno ad un organismo <<in tutto o in parte diverso dal precedente>> (a seguito di aumento di unità immobiliari, o di modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o della superficie oppure, per gli immobili compresi nelle zone omogenee A, di mutamenti della destinazione d’uso) si distingue una ristrutturazione c.d. pesante da una c.d. leggera (cfr. art. 10, comma 1, lett. c), in rapporto all’art. 3, comma 1, lett. d)).

La distinzione rileva nel senso che la ristrutturazione leggera è soggetta a d.i.a., mentre quella pesante a permesso di costruzione o a super d.i.a. (cfr. art. 22, commi 1 e 3, lett. a), e art. 10, comma 1, lett. c)).

Va segnalato che con la novella del TU ad opera del d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, sono stati ricompresi fra gli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli consistenti nella <<demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente>>, fatte salve le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica -in sintonia con quanto previsto dalla legge obiettivo (art. 1, comma 6, lett. b), l. 443/2001)- sicché si è superato il precedente vincolo della <<fedele>> ricostruzione[4].

Se si assume che la demolizione consista nell’abbattimento delle murature perimetrali dell’edificio, si possono dare varie ipotesi:

-    demolizione e ricostruzione, con variazione della volumetria o della sagoma: è intervento di nuova costruzione (ex art. 3, comma 1, lett. e));

-   demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma (esclusi gli adeguamenti alla normativa antisismica): è intervento di ristrutturazione edilizia, pesante o leggera a seconda che si accompagni o meno ad aumento di unità immobiliari, modifiche di prospetti o delle superfici, ovvero, per gli immobili compresi nelle zone omogenee A, a mutamenti della destinazione d’uso;

-   trasformazione senza abbattimento delle murature perimetrali: va considerata ristrutturazione edilizia anche se comporta modifiche del volume o della sagoma (in tali evenienze è ristrutturazione pesante).

E’ da rilevarsi pertanto che la portata della novella del d.lgs. 301/2002 risulta duplice: a) la demolizione e ricostruzione, anche se non fedele, ma con la stessa volumetria e sagoma viene reputata dal legislatore ristrutturazione edilizia e non nuova costruzione; b) la demolizione e ricostruzione con tali caratteri è senz’altro soggetta a d.i.a oppure a permesso di costruzione o a super d.i.a., a seconda che possa qualificarsi leggera o pesante.

e) Interventi di nuova costruzione

Sono interventi individuati in via residuale, ossia che non rientrano nelle <<categorie definite alle lettere precedenti>> (lett. e)), ossia che non sono qualificabili né di manutenzione (ordinaria o straordinaria) né di restauro o risanamento conservativo né di ristrutturazione edilizia. Peraltro, poiché sono qualificati interventi <<di trasformazione edilizia e urbanistica>>, essi dovrebbero considerarsi residuali anche rispetto agli interventi di <<ristrutturazione urbanistica>> menzionati alla lett. f).

Viene comunque fornita alle lett. e.1)-e.7) un’elencazione di interventi di nuova costruzione (<<sono comunque da considerarsi tali>>), avente carattere esemplificativo. Fra questi merita di essere segnalato, per quello che si dirà in seguito, l’intervento menzionato alla lett. e.1): ampliamento di manufatti edilizi in essere, <<all’esterno della sagoma esistente>>.

g) Interventi di ristrutturazione urbanistica.

Sono definiti come quelli rivolti <<a sostituire l’esistente tessuto urbanistico edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale>>. La formula, che riprende integralmente quella dell’art. 31, comma 1, lett. e), della l. 457/1978, si incentra sul carattere sistematico degli interventi, anche con un’incidenza sull’assetto dei lotti, degli isolati e della rete stradale. Di qui il loro rilievo non solo edilizio, ma anche urbanistico.

Tanto gli interventi di nuova costruzione che quelli di ristrutturazione urbanistica sono subordinati a permesso di costruzione (art. 10, comma 1, lett. a) e b)). In presenza di determinate condizioni (esistenza negli strumenti urbanistici di precise disposizioni plano-volumetriche) possono essere oggetto di super d.i.a. (art. 22, comma 3, lett. b) e c)).

3. Il valore della classificazione degli interventi edilizi menzionati dall’art. 3 può essere verificato sotto due differenti profili.

Il primo concerne il carattere di principio fondamentale o di disciplina di dettaglio rivestito dalla disposizione dell’art. 3.

Al riguardo non sembrano profilarsi dubbi circa il carattere per primo menzionato. Le previsioni dell’art. 3 –a parte il fatto che non si saprebbe indicare il principio di cui potrebbero costituire svolgimento- rappresentano il <<linguaggio comune>> ai fini della qualificazione degli interventi edilizi (comma 2). Il che è alla base della loro prevalenza sulle disposizioni contenute negli strumenti urbanistici e nei regolamenti edilizi. Pertanto pare evidente la loro idoneità a costituire vincolo per il legislatore regionale.

Una conferma del valore di principio fondamentale è costituito dalla circostanza che, diversamente che per l’ambito di applicazione dei titoli abilitativi (art. 22, comma 4), non è dato alle Regioni di modificare la portata di tale classificazione. Ai soli Comuni si consente un qualche margine, ma limitatamente agli <<interventi pertinenziali>>, che possono essere qualificati di nuova costruzione (art. 3, comma 1, lett. e. 6)).

Il secondo profilo concerne la prevalenza delle definizioni contenute nel comma 1 sulle disposizioni dettate dagli strumenti urbanistici generali e dai regolamenti edilizi (comma 2).

Essa è da intendersi nel senso che il contenuto degli interventi edilizi previsti negli accennati atti degli enti locali non può che corrispondere alle definizioni indicate dall’art. 3, comma 1, le quali pertanto rendono prive di effetto le eventuali difformi definizioni racchiuse in tali atti.

Diverso è il quesito se gli strumenti urbanistici e i regolamenti edilizi degli enti locali, alla luce dell’autonomia normativa prevista dall’art. 117, comma 6, Cost. e dall’art. 2, comma 3, del TU, possano selezionare i significati delle definizioni degli interventi, ammettendone alcuni a differenza di altri (ad es., consentendo le sole ristrutturazioni senza demolizione e ricostruzione). Riterrei di no. E’ ben vero che non viene direttamente toccata la definizione dell’intervento (non si nega sul piano definitorio che la ristrutturazione possa consistere anche nella demolizione con ricostruzione, ma si esclude che la ristrutturazione possa avvenire in tale forma). Indirettamente però un previsione siffatta finisce per limitare la nozione di ristrutturazione, giacché viene compresso il risvolto applicativo per il quale è formulata, ossia l’area delle operazioni edilizie consentite al privato nel quadro degli interventi definiti dal legislatore.

E’ invece da ammettersi che i Comuni possano, nell’esercizio della loro autonomia normativa, precisare le definizioni legislative degli interventi edilizi o di alcuni elementi costitutivi delle stesse (per es., quelle di <<ristrutturazione edilizia>> e di <<demolizione e ricostruzione>>) [5].

4. La funzione della classificazione degli interventi edilizi presenta una duplice valenza.

Essa serve anzitutto all’applicazione del regime dei titoli abilitativi. Di ciò si è già fatta indicazione allorché sono stati illustrati i singoli interventi.

In via riassuntiva il quadro che risulta è il seguente: a parte gli interventi di manutenzione ordinaria, che sono eseguibili senza titolo abilitativo (art. 6, lett. a)), quelli di nuova costruzione, di ristrutturazione urbanistica e di ristrutturazione edilizia pesante sono subordinati a permesso di costruire (art. 10, comma 1), mentre gli altri interventi (ossia quelli non riconducibili agli elenchi degli artt. 6 e 10) sono subordinati a d.i.a. (art. 22, comma 1).

Peraltro possono essere realizzati mediante denuncia di inizio di attività in luogo del permesso di costruzione (c.d. super d.i.a.) gli interventi di ristrutturazione pesante (ossia quelli di cui all’art. 10, comma 1, lett. c)) e gli interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione urbanistica attuativi di piani contenenti precise disposizioni plano-volumetriche (art. 22, comma 3).

Inoltre è da tener conto che la legge regionale può per taluni interventi stabilire il titolo abilitativo (art. 10, commi 2 e 3).

In secondo luogo la classificazione degli interventi rileva ai fini del regime delle sanzioni amministrative e penali per gli illeciti edilizi.

Benché il sistema sanzionatorio degli abusi edilizi sia in apparenza calibrato sul titolo abilitativo e sulla conformità ad esso delle opere eseguite (le difformità sono invero classificate in rapporto al titolo) (cfr. artt. 31 ss. e 44), va rilevata la tendenza al suo collegamento alla tipologia degli interventi contestuale alla sua separazione dalla tipologia dei titoli abilitativi.

Ciò è dovuto a due fattori: anzitutto l’introduzione per effetto del d.lgs. 301/2002 nell’art. 31 del TU del comma 9-bis, il quale precisa che le sanzioni amministrative previste per le ipotesi di assenza di permesso di costruzione, totale difformità e variazione essenziale si applicano anche qualora vengano eseguite abusivamente le opere edilizie di cui all’art. 22, comma 3, realizzabili, come già notato, sia con il permesso di costruzione sia con la d.i.a.. Pertanto, ad esempio, qualora l’interessato abbia compiuto l’opera secondo il regime d.i.a. ed essa risulti in variazione essenziale rispetto alla denuncia effettuata, si applicherà la sanzione prevista dall’art. 32, commi 2 e 3 (rimozione o demolizione, e, in caso di inottemperanza, acquisizione al patrimonio comunale del bene e dell’area di sedime).

In secondo luogo l’art. 10, commi 2 e 3, consente alle Regioni di ampliare l’ambito degli interventi da sottoporre a d.i.a. o a permesso di costruzione senza che ciò si rifletta sul sistema delle sanzioni penali (comportando depenalizzazioni o al contrario assoggettamento a dette sanzioni).

Peraltro va osservato che la tendenza in discorso risulta più evidente nel campo delle sanzioni penali che in quello delle sanzioni amministrative, essendo legittimate le Regioni a stabilire sanzioni amministrative (cfr. art. 9 della l. 689/1981), quindi anche a corredo di previsioni in tema di titoli abilitativi [6].

5. Quanto all’applicazione della disciplina in tema di interventi edilizi può ricordarsi in primo luogo la circolare del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 7 agosto 2003, n. 4174 [7], relativamente all’<<inclusione dell’intervento di demolizione e ricostruzione nella categoria della ristrutturazione edilizia>>.

La circolare detta alcune linee interpretative su tale intervento. In particolare esprime l’avviso che non sia ammissibile <<la ricostruzione dell’edificio in altro sito [diverso dall’area di sedime originaria], ovvero posizionato all’interno dello stesso lotto in maniera del tutto discrezionale>>. La prima possibilità sarebbe esclusa dal fatto che si tratta di un <<intervento incluso nelle categorie del recupero, per cui la localizzazione in altro ambito risulterebbe palesemente in contrasto con tale obiettivo>>. Circa la seconda possibilità ritiene che debbano considerarsi ammissibili le <<modifiche di collocazione rispetto alla precedente area di sedime, sempreché rientrino nelle varianti non essenziali>>, quali definite dalle leggi regionali in attuazione dell’art. 32 del TU.

Le due affermazioni paiono condivisibili. In particolare il riferimento all’area di sedime originaria trova fondamento nell’art. 3, comma 1 lett. e.1), che considera come intervento di nuova costruzione l’ampliamento dei manufatti edilizi <<esistenti[,] all’esterno della sagoma esistente>>. Dal che si evince che nella <<demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma>> la <<sagoma>> ha una dimensione non solo verticale, ma anche orizzontale, individua cioè anche l’area di sedime.

In secondo luogo, la circolare manifesta l’avviso secondo il quale, negli interventi di ristrutturazione tramite demolizione e ricostruzione, <<non può trovare applicazione quella parte della normativa vigente [rectius sopravvenuta dopo la costruzione originaria] che detta prescrizioni per quanto riguarda gli indici di inedificabilità ed ogni ulteriore parametro di carattere quantitativo (altezze, distanze, distacchi, inclinate, ecc.) riferibile alle nuove costruzioni>>. Ciò perché il relativo rispetto potrebbe risultare <<inconciliabile con la demolizione e ricostruzione intesa come operazione da effettuarsi con la sola osservanza della sagoma e della volumetria preesistente>> [8]. Fra tali parametri peraltro non viene menzionato quello della superficie utile, che risulterebbe pertanto cogente. Tuttavia si invitano i Comuni a valutare, in sede di revisione delle norme tecniche attuative dei piani urbanistici, la <<possibilità di estendere (…) anche per la demolizione e ricostruzione i limiti di aumento della superficie utile fissati invia generale per l’intervento di ristrutturazione edilizia, proprio per non vanificare la finalità di incentivare il ricorso alla demolizione e ricostruzione>>.

La seconda affermazione contenuta nella circolare trova conforto nella pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. V, 8 settembre 2003, n. 5032, secondo la quale, ove la normativa tecnica di attuazione dello strumento urbanistico (sottoposta all’attenzione del giudice amministrativo) <<fosse da intendersi nel senso del necessario rispetto delle norme generali sulle distanze in caso di semplice ristrutturazione, essa si porrebbe in contrasto (…) con il concetto di ristrutturazione fatto proprio dal legislatore con la legge 443/01>> [9].

Come ulteriore dato giurisprudenziale può ricordarsi la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. V, 18 settembre 2003, n. 5310, secondo la quale la clausola contenuta in una concessione edilizia, vietante la realizzazione della ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione del manufatto, confligge con la nozione di ristrutturazione definita dalla giurisprudenza e codificata dall’art. 3, lett. d), del d.lgs. 378/2001, e come tale risulta illegittima [10]. Come dire che l’ente locale non può <<selezionare>> fra le varie forme di ristrutturazione previste dalla legge, ammettendo in particolare solo quella senza demolizione e ricostruzione, e ciò presumibilmente alla luce del principio di prevalenza fissato dall’art. 3, comma 2 [11].


 

(*) Relazione tenuta al Corso “T.U. sull’edilizia”organizzato dalla Scuola di specializzazione in studi sull’amministrazione pubblica (Bologna, 20 marzo, 2004).

[1] Corte cost., 25 settembre-1° ottobre 2003, n. 303, in LexItalia.it n. 10/2003 (punto 11.1. del Considerato in diritto: <<La materia dei titoli abilitativi ad edificare appartiene storicamente all’urbanistica>>).

[2] Cfr. D. De Pretis, Il regime amministrativo degli interventi edilizi, in La disciplina amministrativa e penale degli interventi edilizi, a cura di D. De Pretis e A. Melchionda, Trento, 2003, 49, parla di <<soluzione di basso profilo>>.

[3] Cfr., ad es. A. Travi, Nuove modifiche al Testo unico in materia edilizia, in Urbanistica e appalti, 2003, 146.

[4] Cfr. Cons. St., Sez. V, 9 ottobre 2002, n. 5410, e 24 dicembre 2001, n. 6387.

[5] Cfr. V. Italia, Art. 4, in Testo unico sull’edilizia, coordinamento di V. Italia, Milano, 2003, 67.

[6] Cfr. E. Stefani, Le sanzioni amministrative per gli interventi edilizi abusivi, in La disciplina, cit., 171.

[7] In LexItalia.it pag. http://www.lexitalia.it/leggi/circmininfr_2003-4174.htm ed in Urbanistica e appalti, 2004, 135 ss. con Il commento di A. Travi.

[8] Su ambedue i punti richiamati della circolare cfr., loc.cit., 136 s.

[9] In Lexitalia.it, n. 9/2003.

[10] In Lexitalia.it, n. 9/2003.

[11] Cfr. per questa interpretazione, seppur criticamente, A. Travi, Il commento, cit., 139


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