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Articoli e note

n. 7-8/2006 - © copyright

ANTONIO SCARASCIA*

La nuova nozione di soggettività pubblica
di derivazione comunitaria

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1. Premessa.

Il nostro ordinamento definisce le amministrazioni pubbliche per elencazione, alla stregua dello schema adottato dal dlgs n. 165/2001, che dei soggetti pubblici dà la ricognizione nominativa [1], ma non gli indici di riconoscibilità, elaborati per deduzione dalla dottrina [2].

Questa prospettiva è rovesciata nel diritto comunitario, il quale, con l’obiettivo di “snidare la pubblicità reale” [3] dei soggetti di diritto e garantire l’effettiva applicazione dei principi comunitari, prescinde dalla veste giuridica (indifferenza delle forme giuridiche) e definisce la pubblicità mediante individuazione dei suoi elementi indizianti, identificati da un punto di vista sostanziale.

La conseguenza è che, in ambito europeo, gli indizi della pubblicità precedono la ricognizione nominativa degli enti pubblici, che dunque, non è – alla stregua del diritto interno – chiusa e tipizzata, ma aperta e suscettibile di integrazioni ogniqualvolta gli indizi sono individuati in analoghe fattispecie [4].

La nozione sostanziale di pubblicità di matrice comunitaria ha aperto le porte dello statuto pubblicistico agli enti privati, mettendo in crisi la classificazione tradizionale degli enti sotto il profilo della loro qualificazione e ponendo le premesse per una riflessione a tutto campo sulla soggettività pubblica. Com’è già avvenuto in altri settori (lavoro pubblico privatizzato), l’osmosi tra sfera pubblicistica e privatistica sulla qualificazione può contribuire al ripensamento sistematico di molti istituti e categorie pubblicistiche che in alcuni casi sembrano sopravvivere più per inerzia che per effettive ragioni giuridiche.

 

2. La soggettività pubblica nella concezione comunitaria.

 

La nozione comunitaria di soggettività pubblica si caratterizza per l’approccio relativistico, non essendo improntata a criteri unitari validi in tutti i casi. Il punto di osservazione europeo sulla pubblicità cambia in funzione del principio da garantire, con l’effetto di veder di volta in volta ampliata o ridotta la sfera degli enti pubblici.

 

Ad esempio, per definire l’ambito di applicazione della libera circolazione dei lavoratori nella Comunità [5] - dal quale sono esclusi i lavoratori pubblici - la soggettività pubblica è considerata riduttivamente (al fine di limitare l’ambito derogatorio del principio) e rileva solo se implica la gestione di interessi squisitamente pubblicistici, ma non quando è marginale rispetto al carattere imprenditoriale dell’ente (come negli enti preposti ai servizi di trasporto o di distribuzione di gas o energia

 

Viceversa, per garantire la concorrenza negli appalti [6] pubblici, l’area della pubblicità è dilatata oltre i suoi tradizionali confini, per comprendere di volta in volta gli organismi fruitori di finanziamenti pubblici che perseguono un interesse generale (organismi di diritto pubblico) [7]; le imprese operanti nei settori speciali su cui le amministrazioni pubbliche esercitano, direttamente o indirettamente, un'influenza dominante (imprese pubbliche) [8]; le società per azioni a totale proprietà pubblica (soggetti in house) [9], sottoposte al controllo dell'amministrazione proprietaria (controllo analogo).

 

Il carattere relativistico della nozione comunitaria viene in evidenza anche dalla circostanza che gli indizi della pubblicità non agiscono univocamente sulla qualificazione delle singole figure. In questo senso il finanziamento pubblico incide differentemente nella qualificazione di ciascuna delle tre categorie (soggetti in house, organismi di diritto pubblico, imprese pubbliche).

 

Per la qualificazione dei soggetti in house è necessaria la sua misura totalitaria, perché solo la piena proprietà pubblica realizza la condizione di legittimazione dell’affidamento diretto negli appalti, data dalla dipendenza strumentale della società partecipata; per gli organismi di diritto pubblico rileva la sua misura maggioritaria perché già questa assicura il controllo pubblico e l’assoggettamento alle regole sulla concorrenza; per la qualificazione delle imprese pubbliche dei settori speciali (erogazione dell’acqua e dell’energia, trasporti, servizi postali) è sufficiente la mera partecipazione azionaria per assoggettare le imprese all’influenza delle autorità pubbliche, nella cui orbita già gravitano per i diritti pubblici di cui necessitano per l'approvvigionamento, la messa a disposizione o la gestione delle reti pubbliche.

 

3. Gli indici di riconoscibilità degli organismi di diritto pubblico.

 

Un’indagine più ravvicinata sui soggetti pubblico-privati di cui ci stiamo occupando non può che prendere le mosse dagli organismi di diritto pubblico, la cui introduzione risale al 1992. Fu infatti nella direttiva sugli appalti di servizi n. 50 del 18 giugno 1992 che per la prima volta organismi a statuto privatistico [10] (implicanti esigenze di interesse generale a carattere non industriale o commerciale) trovarono collocazione tra le amministrazioni aggiudicatrici.

 

La definitiva sistemazione della figura è avvenuta nella direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 sul coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, che ha individuato quali suoi elementi indizianti: a) il soddisfacimento di esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; b) la personalità giuridica; c) il finanziamento maggioritario pubblico oppure il controllo pubblico della gestione oppure la presenza qualificata di rappresentanti pubblici nell’organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza.

 

Le esigenze non aventi carattere commerciale o industriale cui la direttiva si riferisce sono quelle che lo Stato soddisfa o direttamente, o attraverso soggetti nei confronti dei quali mantiene un’influenza dominante [11]. Non è necessario che l’ente abbia in via esclusiva o prevalente lo scopo di soddisfare esigenze di interesse generale non aventi carattere commerciale o industriale, ben potendo perseguire, oltre a tale scopo, anche quello di soddisfare interessi con carattere commerciale o industriale; secondo la Corte, infatti, “lo status di organismo di diritto pubblico non dipende dall’importanza relativa, nell’attività dell’organismo medesimo, del soddisfacimento di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale [12].

 

Per definire la personalità giuridica, è stata ritenuta [13] influente non la forma societaria ma la produzione di utilità strumentali per l'interesse generale perseguite sulla base di criteri non strettamente imprenditoriali [14].

 

Quest’indirizzo è seguito dal Consiglio di Stato già dal 1998 (sez. VI, n. 1478/1998) che ritenne decisiva la gestione del servizio pubblico da parte della società in regime non concorrenziale. Inoltre, la qualificazione non è pregiudicata dall’esercizio di altre attività imprenditoriali diverse rispetto a quelle reputate di interesse pubblico, dal momento che la qualità di organismo di diritto pubblico può anche riguardare un singolo settore di attività [15].

 

Infine, è esclusa la qualificazione per via legislativa. In questo senso la Corte di Giustizia, 15 maggio 2003, pronunciandosi per l’illegittimità della legislazione (spagnola) che aveva escluso dalla disciplina comunitaria gli enti a statuto privatistico, ha sostenuto che “non si può interpretare la nozione di organismo di diritto pubblico, nel senso che per gli Stati sia lecito escludere direttamente le società commerciali sotto controllo pubblico dall’ambito di applicazione delle direttive …”.

 

L’influenza pubblica si desume da una serie di criteri sintomatici (finanziamento, presenza negli organi, controllo sulla gestione) utilizzabili anche disgiuntamente, essendo sufficiente uno solo di essi per la qualificazione pubblica dell’organismo[16].

 

Il finanziamento che viene in considerazione è quello erogato fuori dal vincolo di controprestazioni del soggetto ricevente; la misura influente è quella maggioritaria (più della metà) determinata rispetto alla globalità delle entrate, comprese quelle (eventuali) derivanti da attività commerciali; l'arco temporale per valutare la prevalenza è l'esercizio finanziario, e non quello puntuale dell'indizione della gara d'appalto [17].

 

La presenza influente negli organi (consiglio d'amministrazione, di direzione o di vigilanza) è soddisfatta – a termini dell'articolo 1, lett. b), comma 2, terzo trattino, delle direttive 92/50/CEE, 93/36/CEE e 93/37/CEE - quando i componenti di designazione pubblica sono più della metà. Per il controllo, la dominanza è determinata dalla maggioranza pubblica delle quote azionarie e non già dai controlli amministrativi sull’organizzazione e sull’attività della società, atteso che “…la quota maggioritaria nella partecipazione societaria da parte di soggetti pubblici influenza in modo decisivo sia il finanziamento delle attività che la costituzione degli organi di vigilanza e direzione della Società stessa [18].

 

Una volta qualificato di diritto pubblico l’organismo è definitivamente assoggettato alla disciplina pubblicistica o è ipotizzabile una sua qualificazione in parte qua?

 

Ad avviso della Corte di Giustizia (caso Mannesmann [19]), “lo status di organismo di diritto pubblico non dipende dall’importanza relativa, nell’attività dell’organismo medesimo, del soddisfacimento di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale”. In particolare, la condizione posta dalla direttiva, “secondo cui l’organismo dev’essere stato istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale non implica che esso sia incaricato unicamente di soddisfare bisogni del genere”, e dunque l’ente è da qualificare organismo di diritto pubblico anche se “la soddisfazione dei bisogni di interesse generale costituisce solo una parte relativamente poco rilevante delle attività effettivamente svolte” dall’Ente.

 

Ne consegue, nel ragionamento della Corte, che un Ente va qualificato organismo di diritto pubblico, con conseguente soggezione al diritto comunitario degli appalti, anche se svolge attività promiscue e molteplici, vale a dire sia attività volte a soddisfare un bisogno di interesse generale di carattere non commerciale o industriale, sia attività con tale carattere. Questa posizione però non ha trovato conferme nella successiva giurisprudenza, la quale aveva ribadito che la circostanza che un soggetto svolga anche o addirittura in prevalenza attività commerciale non esclude che esso possa essere considerato organismo di diritto pubblico, dato che l’ente continua a provvedere a bisogni di interesse generale non industriale o commerciale, ma non afferma anche che tale qualifica valga ad attrarre anche le attività private nel regime pubblicistico [20].

 

5. Gli elementi indizianti dell’“impresa pubblica”.

 

Una nozione ancor più innovativa di pubblicità viene in rilievo nella figura dell’impresa pubblica operante nei settori speciali dell’erogazione dell’ acqua e dell’energia e dei servizi di trasporto e servizi postali, nei quali la necessità di garantire l'effettiva liberalizzazione del mercato e l'applicazione delle norme sull'aggiudicazione degli appalti esige più che mai che gli enti interessati siano definiti prescindendo dalla loro qualificazione giuridica perché “non sia violata la parità di trattamento tra enti aggiudicatori del settore pubblico ed enti che operano nel settore privato [21].

 

In questa prospettiva la direttiva (articolo 2, comma 1, lett. a) annovera tra le autorità pubbliche, accanto allo Stato, agli enti territoriali, agli organismi di diritto pubblico e alle associazioni costituite da tali enti, anche «le imprese su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un'influenza dominante perché ne sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù di norme che disciplinano le imprese in questione».

 

In questo caso, a differenza di quanto avviene per l’organismo di diritto pubblico, si prescinde dal fine perseguito, riconoscendosi valenza decisiva al legame tra l’impresa e la pubblica amministrazione “dominante”. L’influenza dominante è presunta nei casi di capitale pubblico maggioritario e di presenza pubblica maggioritaria negli organi di amministrazione o di vigilanza. La categoria comprende non soltanto le aziende autonome e gli enti pubblici economici, ma anche le società di capitali a prevalente partecipazione pubblica.

 

4. Gli indici di riconoscibilità degli organismi in house.

 

Gli organismi in house sono le società di capitale a totale proprietà pubblica che soggiacciono ad uno speciale controllo pubblico e che svolgono la loro attività preponderante a favore dell’ente controllore. Anche per questi organismi il prodromo normativo è la direttiva n. 50 del 18 giugno 1992, che esentò le amministrazioni aggiudicatrici dall’applicazione della direttiva sugli appalti quando i servizi fossero affidati “ad un ente che avesse esso stesso i caratteri dell’amministrazione aggiudicatrice. La elaborazione giurisprudenziale seguita alla direttiva ha definito i criteri di individuazione di questi organismi [22], con questa formula: “ …i servizi pubblici locali possono essere affidati direttamente a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”.

 

Dopo una iniziale legittimazione dell’interprete nazionale a favore degli affidamenti diretti alle società miste pubblico-private [23], la totale proprietà pubblica si è imposta quale unico criterio di legittimazione, sul presupposto che non può essere considerato organismo appartenente all’organizzazione della pubblica amministrazione una società al cui capitale partecipino soci privati, pena l’obbligo di applicare le regole della concorrenza previste dal diritto comunitario e derivato. La Corte di giustizia con la sentenza 11 gennaio 2005, in C-26/03 (Stadt Halle) ha definitivamente chiusa la questione decidendo sull’inammissibilità dell’attribuzione di un appalto ad una società mista pubblico-privata senza procedura di evidenza pubblica perché questo pregiudicherebbe il principio della parità di trattamento contemplato dalla direttive 92/50.

Del controllo analogo la Commissione europea si occupò nella nota 26 giugno 2002 indirizzata al Governo italiano, quando osservò che per la sussistenza del requisito non è “sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario”.

Il Consiglio di Stato trattò il punto nella decisione della sezione V del 18 settembre 2003, n. 5316 accreditandone una nozione molto articolata, che riteneva soddisfatta la condizione:

a) allorchè la parte pubblica possedesse almeno il 51% del capitale della società affidataria e tale prevalenza permanesse - per obbligo statutario - per tutta la durata della società;

b) allorchè le disposizioni dello statuto conferissero espressamente alla parte pubblica una posizione dominante riservandogli, ad esempio, l’assenso “in caso di trasferimento di azioni da parte di altri soci” e perciò “il controllo sull’assemblea”, o la maggioranza “in sede di nomina e reintegrazione degli amministratori, con intuibili riflessi anche in ordine alla nomina degli altri amministratori e del collegio sindacale”.

Questo orientamento è stato travolto dalla nuova formulazione dell’articolo 113, comma 5, del TUEL e poi dalla sentenza Stadt Halle 11 gennaio 2005 della Corte di giustizia, nella quale tassativamente è escluso che una società mista a prevalente capitale pubblico possa essere considerata organismo in house [24].

La terza condizione è che la società realizzi la quota più importante della propria attività con la parte pubblica che la controlla. L’affidamento diretto di un pubblico servizio ad un’impresa sul mercato determinerebbe una violazione delle regole della concorrenza e una alterazione della par condicio tra imprese concorrenti. Non è così quando l’affidamento è a favore di organismi che non stanno sul mercato o che vi stanno in posizione del tutto trascurabile, quali sono le società che operano esclusivamente (o quasi esclusivamente) a favore degli enti pubblici che li controllano. Secondo la giurisprudenza, il requisito della prevalenza dell’attività va valutato sotto il profilo quantitativo e non qualitativo ossia in termini economici e non di “importanza” del servizio affidato in gestione alla società.

E’, insomma, al fatturato della società che occorre fare riferimento, per cui se quello che riguarda l’attività svolta a favore degli enti locali è più ampio rispetto a quello concernente la restante attività della società stessa, il requisito della prevalenza dell’attività può considerarsi soddisfatto. La legge non indica la misura della prevalenza dell’attività,. Può essere utile il criterio - declinato per i settori c.d. esclusi o speciali nell’articolo 13, direttiva 93/38/CEE, nell’articolo 23, direttiva 2004/17/CE ed anche nell’articolo 8, dlgs 17 marzo 1995, n. 158.

Secondo questo criterio le amministrazioni possono affidare direttamente appalti ad un’impresa collegata, purchè almeno l’80% del fatturato medio realizzato da tale impresa negli ultimi tre anni provenga dallo svolgimento di servizi, lavori o forniture all’amministrazione cui è collegata. Il parametro dell’80% del fatturato realizzato dalla società in house con l’amministrazione che la controlla è considerato dalla prassi un criterio di soddisfazione del requisito della prevalenza dell’attività.

5. La desoggettivizzazione pubblica nelle privatizzazioni.

Il fenomeno che stiamo studiando (l’allargamento della nozione di soggettività pubblica) esce rafforzato – paradossalmente - anche dal processo delle privatizzazioni [25], dalle quali ci sarebbe da attendersi l’arretramento della qualificazione pubblica a favore della soggettività privata.

In realtà, anche dopo la trasformazione, gli enti privatizzati permangono in ambito pubblico, in ragione della loro finalizzazione verso il soddisfacimento di specifiche esigenze di interesse generale. È il caso dell’ENEL, considerato dal Consiglio di Stato [26] soggetto all’influenza pubblica dominante, e quindi ente di diritto pubblico, nonostante la forma societaria conseguita dopo la privatizzazione. È il caso delle Poste Italiane che – secondo Consiglio di Stato, VI, n. 1206/2001- conservano la natura di soggetti pubblici a seguito della loro trasformazione in Spa, anche relativamente al diritto di accesso (Consiglio Stato, VI, 5 marzo 2002 n. 1303).

Anche la Corte Costituzionale (n. 466/1993) ha sottolineato la neutralità della veste societaria rispetto alla natura sostanzialmente pubblicistica dei soggetti in questione, seppur al diverso fine di giustificare la permanenza del controllo della Corte dei Conti sulle società per azioni, soggette a privatizzazione solo formale ed al controllo maggioritario da parte dello Stato.

In definitiva, le società derivate dalla trasformazione degli Enti pubblici conservano connotazioni proprie della loro originaria natura pubblicistica e continuano ad essere affidatarie della cura di rilevanti interessi pubblici la cui tutela non può risultare soppressa solo in conseguenza del mutamento della veste formale del soggetto giuridico che per il resto mantiene inalterate le proprie funzioni e quindi la propria connotazione pubblicistica.

6. La giurisdizione applicabile ai nuovi soggetti pubblico-privati.

La qualificazione pubblicistica delle nuove figure esaminate trova riscontro nei recenti insegnamenti giurisprudenziali in tema di giurisdizione.

Per la Corte dei Conti (sentenza n. 356/2005) l'attività gestionale degli amministratori privati che gestiscono risorse pubbliche ricade sotto la propria giurisdizione, proprio come per gli amministratori e dipendenti pubblici. In particolare, l'attività gestionale di natura discrezionale degli amministratori delle spa è sindacabile quando contravvenendo a criteri di efficacia ed economicità si concreti in abusi, arbitri od omissioni produttive di danno patrimoniale alla società, ma anche quando contrastino o siano comunque estranee ai fini pubblici che la società, per la sua caratura pubblicistica, deve perseguire.

Ne consegue che la domanda risarcitoria proposta da un socio privato di minoranza di una società pubblica non rientra nella giurisdizione della Corte dei conti in quanto faccia valere il proprio diretto interesse al risarcimento del danno da lui asseritamente subito, da azionare eventualmente ai sensi dell'articolo 2395 c.c. innanzi al giudice civile. Qualora invece il socio abbia inteso promuovere un giudizio risarcitorio a favore della società al di fuori nell'ambito degli articoli 2392, 2393, 2393 bis c.c. sussiste nei limiti innanzi precisati la giurisdizione della Corte dei conti.

E' ben noto che nel giudizio di responsabilità amministrativo contabile la titolarità dell'azione spetta in via esclusiva al Procuratore regionale della Corte dei conti, organo posto a tutela nell'interesse generale nell'ordinamento giuridico della finanza e dal patrimonio pubblico.

La stessa struttura del processo contabile rende ineliminabile l'attribuzione esclusiva dell'azione al Procuratore regionale, che nell'esercizio neutrale del munus tutela non solo in modo obiettivo gli interessi pubblici, ma anche il soggetto convenibile, che viene chiamato in giudizio esclusivamente per fini obiettivi e neutrali al di fuori di valutazioni di convenienza o d'altro tipo. I soci della società e la società stessa sono, pertanto, privi di legittimazione attiva nel giudizio di responsabilità amministrativo contabile promosso contro gli amministratori della società medesima.

Anche per la Cassazione, SS.UU. - sentenza del 26/2/2004 n. 3899 - sussiste la giurisdizione contabile della Corte nei confronti degli amministratori di una società per azioni il cui capitale è detenuto in misura maggioritaria dalla pubblica amministrazione. Deve essere riconosciuto il rapporto di servizio, necessario per l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti, ogni qual volta si una relazione non organica ma funzionale caratterizzata dall'inserimento del soggetto esterno nell'iter procedimentale dell'ente pubblico come compartecipe dell'attività a fini pubblici di quest'ultimo, a nulla rilevando, in contrario, la natura privatistica dell'ente affidatario e/o dello strumento contrattuale con il quale si è costituito ed attuato il rapporto in questione [27]

7. Conclusioni.

Nei paragrafi precedenti abbiamo osservato una serie di processi evolutivi, tuttora in corso, che hanno modificato la concezione tradizionale di soggettività pubblica:

 

a) la riflessione comunitaria sulla pubblicità reale dell’imprenditoria privata quando è preordinata al perseguimento dell’interesse generale;

 

b) la elaborazione della figura degli organismi in house per la gestione dei servizi locali;

 

c) la elaborazione della figura della impresa pubblica, propria dei settori della distribuzione dell’acqua e dell’energia e nella fornitura dei servizi di trasporto e postali;

 

d) il mantenimento nella sfera pubblicistica degli enti privatizzati, cioè degli enti di gestione delle partecipazioni statali (ENI, IRI), degli altri enti pubblici economici (ad es. IMI, INA, ENEL), delle aziende autonome statali, degli enti pubblici economici italiani (IRI, ENI, INA, ENEL, Ferrovie dello Stato, Poste italiane).

 

e) gli insegnamenti giurisprudenziali sulla giurisdizione in cui ricade la responsabilità gli amministratori delle società che gestiscono finanziamenti pubblici.

 

Sotto l’influsso del diritto comunitario, per il quale la veste giuridica dei soggetti di diritto è ininfluente ai fini dell’applicazione delle direttive comunitarie, anche il giudice nazionale ha abbracciato questa posizione, come dimostrano le recenti pronunce in tema di giurisdizione e l’atteggiamento sulla connotazione pubblicistica degli enti pubblici privatizzati.

 

Più in ritardo appare il legislatore italiano attardato su una linea dogmatica e formalistica della qualificazione pubblica rappresentata dallo schema presente nell’articolo 1, comma 2, del dlgs n. 165/2001, laddove viene tracciato un confine invalicabile tra pubblico e privato sulla base della veste giuridica. Alla luce dell’insegnamento comunitario, questa posizione non solo appare anacronistica e priva di significato, ma rappresenta un ostacolo al superamento delle residue dicotomie tra ordinamento interno e ordinamento comunitario in tema di lavoro, come è per l’applicazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES”, dettata per tutti i lavoratori, ma applicata difformemente per i lavoratori pubblici rispetto a quelli privati [28].


 

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(*) Segretario generale della Provincia di Lecce.

[1] Le dodici categorie elencate nell’articolo 1, comma 2, del dlgs n. 165/2001 sono:

a) le amministrazioni dello Stato, cioè le strutture elementari dell'organizzazione statale (ministeri, amministrazioni, aziende autonome);

b) gli istituti e scuole di ogni ordine e grado cioè i singoli plessi deputati all'istruzione pubblica nelle sue forme tipiche (scuola primaria, secondaria e istruzione superiore) e atipiche (scuole europee, scuole italiane all'estero e scuole straniere in Italia);

c) le istituzioni educative, cioè quelle di cui all’articolo 123 del CCNL comparto scuola, le quali rilasciano titoli equiparabili a quello degli istituti secondari, come l’istruzione artistica, l'Istituto d'Arte, il Liceo Artistico, del Conservatorio di Musica, dell'Accademia di Belle Arti, dell'Accademia Nazionale di Arte Drammatica, dell'Accademia Nazionale di Danza;

d) le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, cioè il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, i Monopoli di Stato, l'Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo (A.I.M.A.) prima della sua soppressione, dell'Ente Nazionale per le Strade (A.N.A.S.) prima della sua trasformazione in ANAS S.p.A., e così via;

e) le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni;

f) le istituzioni universitarie, cioè le strutture deputate all'istruzione superiore declinata in forma universitaria, e i loro organi: corpo accademico, rettore, senato accademico, consiglio di amministrazione, commissione di ateneo, facoltà, dipartimenti;

g) gli istituti autonomi case popolari cioè gli enti nati con la legge n. 251/1903 per facilitare la costruzione di case popolari, poi trasformati con la legge 865/1971 da enti pubblici economici ad enti pubblici non economici (ciò che rende la loro inclusione superflua, essendo già ricompresi tra gli enti pubblici non economici)

h) le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, cioè gli enti locali a carattere non territoriale;

i) gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali cioè l’Automobile Club d'Italia (ACI), Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Croce Rossa Italiana (CRI),  Ente per le Nuove Tecnologie, l'Energia e l'Ambiente (ENEA), Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE), Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro (INAIL), Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Istituto Superiore di Sanità,  Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell'Amministrazione Pubblica (INPDAP), Istituto di Previdenza per il Settore Marittimo (IPSEMA), Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale (A.A.A.V.T.A.G,) trasformata in ente di diritto pubblico economico, l'Ente Nazionale di Assistenza al Volo (ENAV)…;

l) le amministrazioni, aziende ed  enti del Servizio sanitario nazionale, istituito con legge n. 833/1978 del quale parte il Ministero della Salute, il Consiglio Superiore di Sanità (CSS), l'Istituto Superiore di Sanità (ISS), l'Istituto Superiore per la Prevenzione e Sicurezza del Lavoro (ISPESL), l'Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (ASSR), gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (II.ZZ.SS.) 

m) l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), istituita con dlgs n. 29/1993, l'ARAN quale organismo tecnico, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia organizzativa, gestionale e contabile, deputato alla rappresentanza legale di tutte le pubbliche amministrazioni in sede di contrattazione collettiva nazionale

n) le agenzie di cui all'articolo 8 del dlgs n. 300/1999, cioè le undici agenzie ministeriali: agenzia per le normative e i controlli tecnici, agenzia per la proprietà industriale, agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici, agenzia dei trasporti terrestri e delle infrastrutture, agenzia per la formazione e l'istruzione professionale, agenzia Industrie Difesa, agenzia di protezione civile e le quattro agenzie fiscali: per le entrate, per le dogane, per il demanio e per il territorio.

[2] Dottrina e giurisprudenza individuano gli indici nell’autarchia, nell’autotutela, nel carattere autoritativo nelle scelte, nella indisponibilità dei beni finalizzati al conseguimento dei propri scopi, nell’attribuzione della personalità giuridica pubblica per legge o altra disposizione normativa, nella cura di interessi pubblici.

[3] G. Torregrossa, I principi fondamentali dell'appalto comunitario, in Appaltare in Europa, Rionero in Vulture, 1992 e in Gli appalti nel settore energetico, Quaderni della Rass. giur. energ. elettr., 1994, 3 ss.

[4] In questo senso, l’articolo 1, comma 9, della direttiva 2004/18/CE prevede appunto che “…gli elenchi, non limitativi, degli organismi e delle categorie di organismi di diritto pubblico che soddisfano i criteri di cui al secondo comma, lettere a), b), e c), figurano nell'allegato III. Gli Stati membri notificano periodicamente alla Commissione le modificazioni intervenute nei loro elenchi”.

[5] TRATTATO CEE – “Articolo 39 - 1. La libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata. 2. Essa implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. 3. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto: a) di rispondere a offerte di lavoro effettive; b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri; c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali; d) di rimanere, a condizioni che costituiranno l’oggetto di regolamenti di applicazione stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego. 4. Le disposizioni del presente articolo non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione.”

[6] La normativa comunitaria in materia di appalti pubblici è oggi recepita nel dlgs n. 163 del 12 aprile 2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE). In precedenza, la disciplina fondamentale degli appalti pubblici di lavori era costituita dalla direttiva 89/440/CE del 18 luglio 1989, recepita nel nostro ordinamento con Dlgs. 19 dicembre 1991, n. 406 e successivamente abrogata a seguito dell'adozione della direttiva 93/37/CE del 14 giugno 1993, implicitamente recepita con la legge 11 febbraio 1994 n. 109, come modificata dalla legge n. 166/2002, recante la legge quadro in materia di lavori pubblici; quella relativa agli appalti di forniture è costituita dalla direttiva 93/36/CE del 14 giugno 1993 e dal D.Lgs. 24 luglio 1992 n. 358; quella, infine, concernente gli appalti di servizi era data dalla direttiva 92/50/CE del 18 giugno 1992 e dal D.Lgs. di attuazione 17 marzo 1995 n. 157. Per quel che concerne, invece, i lavori, le forniture e i servizi appaltati nei c.d. settori esclusi, il corpus normativo era costituito dalla direttiva 93/38/CE del 14 giugno 1993 e dal D.Lgs. di attuazione del 17 marzo 1995 n. 158. È poi intervenuta, peraltro, la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 97/52/CE con cui sono state modificate, per quel che attiene alla fissazione delle soglie di applicazione della normativa comunitaria in tema di appalti, nonché sotto diversi profili procedurali, le precedenti direttive 92/50/CE, 93/36/CE e 93/37/CE.

[7] direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (Gazzetta ufficiale n. L 134 del 30/04/2004 )Articolo 1, comma 9. - … Per "organismo di diritto pubblico" s'intende qualsiasi organismo: a) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, b) dotato di personalità giuridica, e c) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. …

[8] Direttiva 31-3-2004 n. 2004/17/CE - Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali. (Gazzetta ufficiale n. L 134 del 30/04/2004 ) Articolo 2  - Enti aggiudicatori. 1. Ai fini della presente direttiva, s'intende per: … b) «imprese pubbliche»: le imprese su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un'influenza dominante perché ne sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù di norme che disciplinano le imprese in questione.

[9] Sentenza della Corte di giustizia (Quinta Sezione) del 18 novembre 1999. - Teckal Srl contro Comune di Viano e Azienda Gas-Acqua Consorziale (AGAC) di Reggio Emilia. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: TAR per l'Emilia-Romagna - Italia. - Appalti pubblici di servizi e di forniture - Direttive 92/50/CEE e 93/36/CEE - Aggiudicazione, da parte di un ente locale ad un consorzio a cui esso partecipa, di un contratto di fornitura di prodotti e di prestazione di servizi determinati. - Causa C-107/98. La formula estensiva utilizzata nella sentenza fu la seguente: “qualora si trattasse di un contratto a titolo oneroso fra due soggetti (non importando se il fornitore fosse un’amministrazione giudicatrice, non essendovi in materia di appalto di forniture un’esclusione analoga a quella dell’art. 6 della Direttiva 92/50), e, a quest’ultimo riguardo, precisamente che si trattasse di soggetti distinti sul piano formale e non già di “ente locale che eserciti sul soggetto fornitore un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi” e che il fornitore non realizzasse “la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti che la controllano” e cioè che si trattasse di enti distinti sul piano formale e autonomi sul piano decisionale, non poteva escludersi l’applicabilità della Direttiva 93/36.” Questo criterio è stato declinato nell’articolo 113 del TUEL, comma 5 (nel testo sostituito dal comma 1 dell'articolo 14, decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, come modificato dalla relativa legge di conversione) con questa formula: “ …i servizi pubblici locali possono essere affidati direttamente a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”.

[10] La definizione di amministrazioni aggiudicatrici è data dall’articolo 1 della direttiva 92/50. In quella nozione rientrano lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico (gli organismi istituiti per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale;  quelli aventi personalità giuridica, e la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico).

[11] Corte di Giustizia, 10 novembre 1998, C. 360/1996, BFI Holding, punti 50 e 51; Corte di giustizia, V, 10 maggio 2001, C. 223/1999 e C. 260/1999, Ente Fiera di Milano, rispettivamente punto 37 e punto 50.

[12] Corte di Giustizia, V, 22 maggio 2003, C.18/2001, Taitotalo Oy, punto 58; Corte di Giustizia, 27 febbraio 2003, C. 373/2000, punto 56; Corte di Giustizia, 15 gennaio 1998, C. 44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria, punti 25, 26, 31 - 34; Corte di Giustizia, 10 novembre 1998, C. 360/1996, BFI Holding, punti 55-56; Corte di giustizia, V, 10 maggio 2001, C. 260/1999, punto 56.

[13] Roberto GAROFOLI, Organismo di diritto pubblico: il recente allineamento tra Giudice comunitario e nazionale e i profili ancora problematici, 2005 in http://www.altalex.com/index.php?idstr=24&idnot=8006

 

[14] L. Righi, op. cit., 361. A tale orientamento aderisce D. Sorace, Pubblico e privato nella gestione dei servizi pubblici locali mediante società per azioni, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1997, 51 ss..

[15] Consiglio di Stato, sez. V, 1o aprile 2000, n. 2078.

[16] Il legislatore nazionale, peraltro, oltre agli organismi di diritto pubblico, ha indicato con particolare analiticità i destinatari della disciplina in tema di appalti pubblici di lavori, di fatto ampliando l'ambito soggettivo imposto dalla direttiva comunitaria.

[17] Si veda Corte Giustizia CE, 15 gennaio 1998 (in causa C-44/96), Mannesmann Anlagenbau Austria e a., di cui al par. 122.1., dove si sottolinea che il principio della certezza del diritto esige che una norma comunitaria sia chiara e che la sua applicazione sia prevedibile per tutti gli interessati.

[18] Consiglio di Stato, sezione V, 22 agosto 2003, n. 4748.

[19] Corte di Giustizia, 15 gennaio 1998, C. 44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria, punto 26.

[20] Corte di giustizia, Sentenza Arnhem, cit., punti 54 e 55.

[21] Punto 10 della premessa della Direttiva 31-3-2004 n. 2004/17/CE - Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali. (Gazzetta ufficiale n. L 134 del 30/04/2004 ).

[22] Come declinati nell’articolo 113 del TUEL, comma 5 (nel testo sostituito dal comma 1 dell'articolo 14, decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, come modificato dalla relativa legge di conversione).

[23] Secondo il Consiglio di Stato (sez. V, 30 giugno 2003, n. 3864), il fondamento dell’affidamento senza gara del servizio alle società miste pubblico-private risiedeva “negli atti costitutivi della società ed in quelli di selezione del socio privato, da valersi quali provvedimenti genetici del soggetto giuridico per mezzo del quale (seppur in regime convenzionale) l’ente locale svolge il servizio”.

[24] Un contributo importante sul controllo analogo è venuto dalle conclusioni dell'avvocato generale juliane kokott nella causa C-458/03, Parking Brixen GmbH presentate il 1° marzo 2005.  Per l’avvocato generale, determinante ai fini dell’equiparazione di un’impresa ad un servizio amministrativo non è che la pubblica amministrazione, sotto l’aspetto formale, abbia le stesse possibilità giuridiche di influenza che essa ha nei confronti dei propri servizi, (come, ad esempio, un potere di direzione), quanto che all’interno di tale società l’amministrazione aggiudicatrice sia in grado di realizzare gli obiettivi fissati nell’interesse pubblico. Tesi che riprende quella della sentenza Stadt Halle, nella quale si fa concreto riferimento al perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico.   La regola del controllo analogo vale anche nell’ipotesi della partecipazione di più enti pubblici, in virtù dell’articolo 113, c. 5, lett. c) del TUEL. In questi casi la funzione di controllo, non potendo essere esercitata individualmente da ogni singolo ente, spetta all’insieme della compagine pubblica. Esattamente questo profilo è stato esaminato nella sentenza del TAR Friuli – Venezia Giulia, n. 634 del 15 luglio 2005.

[25] Il processo di privatizzazione degli enti pubblici ha il suo prodromo nel decreto legge n. 386/91, convertito in legge n. 35/92, che prevedeva la “auto-trasformazione” in spa degli enti di gestione delle partecipazioni statali (ENI, IRI), degli altri enti pubblici economici (ad es. IMI, INA, ENEL), nonché delle aziende autonome statali, attraverso un procedimento d’iniziativa degli stessi enti. Il processo di autotrasformazione non ebbe successo ed il legislatore  ha pensato di ricorrere alla privatizzazione ex lege dei più importanti enti pubblici economici italiani (IRI, ENI, INA, ENEL), e alla attribuzione al CIPE della competenza a trasformare “enti pubblici economici, qualunque sia il loro settore di attività” (articolo 18) (da cui è derivata la trasformazione in SPA di enti come le Ferrovie dello Stato, le Poste Italiane,ecc…). Con il dlgs. 59/97 è stata data un’ulteriore accelerazione per “riordinare gli enti pubblici nazionali operanti in settori diversi dall’assistenza e dalla previdenza le istituzioni di diritto privato e le società per azioni controllate direttamente o indirettamente dallo Stato che operano … nella promozione e nel sostegno pubblico al sistema produttivo nazionale” (articolo 11 comma 1 lettera b), trasformando “in associazioni o in persone giuridiche di diritto privato, enti che non svolgono funzioni o servizi di rilevante interesse pubblico, nonché altri enti per il cui funzionamento non è necessaria la personalità di diritto pubblico; in ente pubblico economico o in società di diritto privato … enti ad elevato indice di autonomia finanziaria” (articolo 14 comma 12 lettera b). In ambito locale, la legge 142/90 all’articolo 22 comma 3 lettera e) aveva previsto che “i comuni e le province possono gestire i servizi pubblici … a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda opportuna in relazione alla natura del servizio da erogare la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati”. Successivamente l’articolo 12 della legge n. 498/92 ha modificato il suddetto articolo introducendo accanto agli altri strumenti di gestione di attività di pubblico interesse le società “miste”, non controllate direttamente dall’ente locale. Tuttavia, la procedura di conferimento del capitale dell’ente alla neo-costituita società dettata dalla legge n. 142/90 risultava complessa e, pertanto, venne ben presto a rappresentare un serio ostacolo alla privatizzazione formale delle aziende municipalizzate locali. Anche in questo caso l’intervento della c.d. Bassanini bis (legge 127/97, ora dlgs n. 267/00) ha proposto una procedura semplificata di privatizzazione (valida però solo per le aziende speciali) affidata ad un atto unilaterale dell’ente locale. Il Dlgs n. 267/2000 ha riprodotto il contenuto della legge n.127/97, puntualizzando alcuni aspetti fondamentali del procedimento di privatizzazione. Pertanto, in conformità al disposto dell’articolo 51 legge n. 127/97, l’articolo 115 del dlgs n. 267/2000 ha previsto che la privatizzazione delle aziende speciali dei Comuni possa avvenire attraverso una delibera dell’organo consiliare dell’ente locale che sostituisce “tutti gli adempimenti in materia di costituzione delle società previsti dalla normativa vigente” (articolo 115 comma 2), in cui il capitale iniziale della società viene determinato “in misura non inferiore al fondo di dotazione delle aziende speciali risultante dall’ultimo bilancio di esercizio approvato” (articolo 115 comma 1), successivamente stabilito in via definitiva dagli amministratori sulla base di “una relazione giurata … [di] un esperto nominato dal presidente del Tribunale … ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2343 comma 1 c.c. (articolo 115 comma 3).

[26] Cons. Stato, sentenza n. 4711/2002La Enel s.p.a., oltre a possedere i requisiti per essere qualificata come organismo di diritto pubblico, è comunque un soggetto che mantiene natura pubblicistica anche a seguito della trasformazione in s.p.a. e dell’avviato processo di liberalizzazione del settore dell’energia elettrica; come tale, l’Enel s.p.a. e le sue società operative (nella specie si trattava della società Enel.it) sono soggette alla disciplina in materia di accesso prevista dalla L. n. 241/90. 4. Ai fini dell’identificazione della natura pubblica di un soggetto, la forma societaria è neutra ed il perseguimento di uno scopo pubblico non è in contraddizione con il fine societario lucrativo, descritto dall’art. 2247 c.c.. 5. La Enel s.p.a. è qualificabile come organismo di diritto pubblico, perché possiede i tre requisiti cui la normativa nazionale, ricalcando quella comunitaria, subordina l’attribuzione della qualifica di organismo di diritto pubblico, atteso che: a) il requisito della personalità giuridica è soddisfatto dalla veste di società per azioni; b) è sottoposta ad una influenza pubblica, trattandosi di s.p.a. a prevalente partecipazione pubblica; c) deve ritenersi sussistente anche il fine del soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale.

[27] V. ex plurimis, Cass. Ord. 22 gennaio 2002, n. 715.

[28] Vedi sul punto i miei due saggi: A. SCARASCIA,  Il divieto di conversione dei contratti a termine nel pubblico impiego dopo il Dlgs. n. 368/2001, in Giust.it, marzo 2003 ed in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/private/articoli/scarascia_contratti.htm; e A. SCARASCIA,  Ancora sull’applicabilità della conversione dei contratti a termine al pubblico impiego dopo il dlgs n. 368/2001, in Rassegna giuridica della Provincia di Lecce, n. 1/2004.


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