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n. 10/2005 - ©
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ANTONIO SCARASCIA*
I limiti degli affidamenti in house
dei servizi
pubblici locali
1. Premessa.
Il prodromo normativo degli affidamenti in house [1] (intorno ai quali si è avuto negli anni un imprevedibile sviluppo giurisprudenziale) è dato dall’articolo 6 della direttiva comunitaria 92/50 del 18 giugno 1992, concernente le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi. Si tratta di una disposizione derogatoria che esenta le amministrazioni aggiudicatrici [2] dall’applicazione della direttiva sugli appalti pubblici di servizi - e quindi dalla gara - “quando i servizi sono affidati ad un ente che è esso stesso un’amministrazione, e l’affidamento avviene in base a un diritto esclusivo fondato su disposizioni legislative, regolamentari od amministrative compatibili con il trattato”.
Il primo problema esegetico che quel criterio derogatorio presentava riguardava l'ambito di applicazione della disposizione in parola, al fine di stabilire se essa potesse applicarsi, oltre che agli appalti pubblici di servizi, anche agli appalti pubblici di forniture.
La Corte di giustizia, in una notissima sentenza del novembre del 1999 (sentenza Teckal) [3] pose le basi della sua applicazione estensiva, affermando che se da un lato la direttiva sulle forniture [4] non conteneva deroghe e che postulava per la sua applicazione la sola condizione che il contratto fosse stipulato tra un ente locale ed un soggetto giuridicamente distinto, dall’altro non poteva disconoscersi un diverso regime giuridico “… nel caso in cui, nel contempo, l'ente locale esercitasse sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la controllano”.
Prima del pronunciamento Teckal, la Corte di Giustizia aveva sfiorato il tema del possibile affidamento diretto nelle ipotesi di rapporto interorganico, senza però approdare ad una soluzione (causa RI.SAN) [5] “…né l'ordinanza di rinvio né le osservazioni scritte forniscono alla Corte gli elementi di fatto e di diritto che le consentirebbero di interpretare le altre norme del Trattato, in particolare le norme in materia di concorrenza, relativamente alla situazione creata dalla scelta, senza previa gara d'appalto, della GEPI in qualità di socio in una società a prevalente capitale pubblico locale avente ad oggetto la gestione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani. Di conseguenza la Corte non è in grado di fornire una soluzione utile alla seconda questione.”
Nella causa Teckal la Corte ritorna sul tema individuando il criterio risolutivo per la possibile applicazione della deroga (anche con applicazione della direttiva 93/36 sulle forniture), in tutti i casi in cui amministrazione e soggetto affidatario non si presentassero tra loro distinti sul piano formale e autonomi sul piano decisionale.
Questo criterio, la cui matrice è tutta di costruzione giurisprudenziale [6], è divenuto diritto positivo interno nel 2003, quando è stato declinato nell’articolo 113 del TUEL, comma 5 (nel testo sostituito dal comma 1 dell'articolo 14, decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, come modificato dalla relativa legge di conversione) con questa formula: “ …i servizi pubblici locali possono essere affidati direttamente a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”.
A seguito della traduzione normativa il criterio Teckal è divenuto un solido principio generale, ma ha lasciato irrisolto il nodo sulla natura del controllo posto a fondamento della sua applicazione. Perché venga soddisfatto il controllo analogo è sufficiente una generica attività d’indirizzo dell’ente pubblico sulla società partecipata oppure è necessario un più stringente potere di direzione che incida sull’autonomia decisionale in relazione agli atti di gestione?
Questo problema costituisce il tema del presente studio, che si propone di affrontare attraverso l’esame dei tre requisiti di legittimazione degli affidamenti in house, e dando conto di tre questioni interpretative tuttora aperte.
2. La totale pubblicizzazione del capitale societario.
La prima condizione che deve darsi per l’affidamento di servizi (e di forniture) in house è che il capitale della società affidataria sia interamente pubblico.
Dopo una iniziale legittimazione dell’interprete nazionale a favore degli affidamenti diretti alle società miste pubblico-private [7], si è imposto quale unico criterio di legittimazione la totale pubblicizzazione del capitale societario, sul presupposto che non può essere considerata appartenente all’organizzazione della pubblica amministrazione una società al cui capitale partecipino soci privati, salva l’applicazione delle regole della concorrenza previste dal diritto comunitario e derivato.
La Corte di giustizia con la sentenza 11 gennaio 2005, in C-26/03 (Stadt Halle) ha definitivamente chiuso la questione decidendo sull’inammissibilità dell’attribuzione di un appalto ad una società mista pubblico-privata senza procedura di evidenza pubblica, perché questo pregiudicherebbe il principio della parità di trattamento contemplato dalla direttive 92/50. Inoltre perché (come vedremo meglio più avanti) la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale sociale, escluderebbe la possibilità di esercitare sulla società quell’influenza necessaria per la realizzazione dell’interesse pubblico generale.
3. Il controllo analogo.
La seconda condizione degli affidamenti in house è la possibilità di esercitare sulla società affidataria un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
Il primo contributo interpretativo sulla natura di questo requisito venne offerto dalla Commissione europea nella nota 26 giugno 2002 indirizzata al Governo italiano [8], nella quale si osservava che per la sussistenza del requisito non è “sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario”.
Il controllo contemplato dalla sentenza Teckal “fa infatti riferimento ad un rapporto che determina, da parte dell’amministrazione controllante, un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, e che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo. In virtù di tale rapporto il soggetto partecipato, non possedendo alcuna autonomia decisionale in relazione ai più importanti atti di gestione, si configura come un’entità distinta solo formalmente dall’amministrazione, ma che in concreto continua a costituire parte della stessa”. Pertanto,“solo a tali condizioni si può ritenere che fra amministrazione e aggiudicatario non sussista, agli effetti pratici, un rapporto di terzietà rilevante ai fini dell’applicazione delle regole comunitarie in materia di appalti pubblici”.
La giurisprudenza italiana se ne occupò nella decisione della sezione V del Consiglio di Stato 18 settembre 2003, n. 5316 (antecedente, quindi, alle modificazioni apportate all’articolo 113 del TUEL con l’articolo 14 del d.l. 269/03) nella quale si accreditava un’interpretazione del controllo analogo lata e molto articolata. Secondo il giudice italiano la condizione era soddisfatta:
a) allorchè la parte pubblica possedesse almeno il 51% del capitale della società affidataria e tale prevalenza permanesse - per obbligo statutario - per tutta la durata della società;
b) allorchè le disposizioni dello statuto conferissero espressamente alla parte pubblica una posizione dominante riservandogli, ad esempio, l’assenso “in caso di trasferimento di azioni da parte di altri soci” e perciò “il controllo sull’assemblea”, o la maggioranza “in sede di nomina e reintegrazione degli amministratori, con intuibili riflessi anche in ordine alla nomina degli altri amministratori e del collegio sindacale”.
Questo orientamento interno è stato travolto dalla nuova formulazione dell’articolo 113, comma 5, del TUEL e poi dalla sentenza Stadt Halle [9] 11 gennaio 2005 della Corte di giustizia, nella quale tassativamente è escluso che una società mista a prevalente capitale pubblico possa essere considerata organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice. In questo caso il controllo analogo non può mai aversi in quanto “qualunque investimento di capitale privato in un’impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati e persegue obiettivi di natura differente”, indipendentemente dal fatto che la parte pubblica svolga un’influenza dominante, ovvero che le sia riconosciuto un ampio potere direttivo in ordine alle decisioni relative alla conclusione del contratto e alla fornitura dei servizi.
Un contributo importante (ampiamente riportato in nota) per dipanare la matassa del controllo analogo è rinvenibile nelle conclusioni dell'avvocato generale juliane kokott nella causa C-458/03, Parking Brixen GmbH presentate il 1° marzo 2005 [10].
Partendo da una considerazione di natura semantica, l’avvocato osserva che la sentenza Teckal con la formula controllo analogo non postula la riproduzione sulla società partecipata della identica l’influenza giuridica esercitabile sui propri servizi, e infatti non richiede su questi un controllo identico, bensì un controllo analogo, a quello esercitato sui propri servizi. Per l’avvocato generale, determinante ai fini dell’equiparazione di un’impresa ad un servizio amministrativo non è tanto il fatto che la pubblica amministrazione, sotto l’aspetto formale, abbia le stesse possibilità giuridiche di influenza che essa ha nei confronti dei propri servizi, (come, ad esempio, un potere di direzione), quanto che all’interno di tale società l’amministrazione aggiudicatrice sia in qualunque momento concretamente in grado di realizzare pienamente gli obiettivi fissati nell’interesse pubblico.
Questa tesi che tiene conto del perseguimento dell’interesse pubblico riprende la linea della sentenza Stadt Halle, nella quale si fa concreto riferimento al perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico. Quando la parte pubblica risulta l’azionista unico della società controllata, l’interesse dell’una e dell’altra coincidono.
Nella proprietà pubblica totalitaria, l’affermazione dell’interesse pubblico all’interno della società è garantita, anche senza un potere direttivo in senso tecnico, già con gli strumenti del diritto societario e, in particolare, con la presenza all’interno degli organi societari del rappresentante nominato esclusivamente dalla pubblica amministrazione. Difatti risulterebbe alquanto insolito che tali organi, che, di regola, si caratterizzano anche per lo stretto legame personale con la pubblica amministrazione, si discostassero nella gestione degli affari di ordinaria amministrazione dalle direttive impartite dall’ente locale che li ha nominati in misura tale da pregiudicare la realizzazione degli obiettivi stabiliti nell’interesse generale.
La regola del controllo analogo vale anche nell’ipotesi della partecipazione di più enti pubblici, in virtù dell’articolo 113, c. 5, lett. c) del TUEL. In questi casi la funzione di controllo, non potendo essere esercitata individualmente da ogni singolo ente, spetta all’insieme della compagine pubblica. Il significato della partecipazione di un ente pubblico ad una società partecipata da altri enti pubblici sta, infatti, nell’apprestare una formula organizzativa che consenta l’esercizio in comune di servizi da parte di enti pubblici aventi interessi omogenei. Ciò spiega perché la norma, nel prevedere la partecipazione di più enti pubblici, riferisca la “totalità” del capitale, attraverso la quale si esplica il controllo sulla società, all’insieme degli enti e non a ciascuno di essi singolarmente considerato..
Esattamente questo profilo è stato esaminato nella sentenza del TAR Friuli – Venezia Giulia, n. 634 del 15 luglio 2005 [11]. A prescindere dalla quota di capitale posseduta da ciascun socio, per garantire che la fattispecie sia rispettosa del diritto comunitario è indispensabile che gli enti locali si siano assicurati «un controllo in comune» sulla società, analogo a quello esercitato sui propri servizi. Quello che conta è che la società sia davvero espressione della collaborazione intercomunale, vale a dire essa sia il soggetto strumentale organizzato dagli enti locali soci per lo svolgimento in maniera unitaria e coordinata di determinati servizi pubblici. Come ha osservato la Corte di giustizia [12], l’organizzazione in house è ravvisabile solo se il destinatario dell’affidamento diretto non è autonomo sul piano decisionale rispetto all’Amministrazione di riferimento. A questo risultato gli enti locali possono pervenire mediante la stipula di una convenzione di diritto pubblico ai sensi dell’articolo 30 del dlgs. n. 267/2000.
4. La prevalenza pubblica dell’attività.
La terza condizione è che la società realizzi la quota più importante della propria attività con la parte pubblica che la controlla. L’affidamento diretto di un pubblico servizio ad un’impresa sul mercato determinerebbe, come abbiamo visto, una violazione delle regole della concorrenza e una alterazione della par condicio tra imprese concorrenti. Non è così quando l’affidamento è a favore di organismi che non stanno sul mercato o che vi stanno in posizione del tutto trascurabile, quali sono le società che operano esclusivamente (o quasi esclusivamente) a favore degli enti pubblici che li controllano. Secondo la giurisprudenza, il requisito della prevalenza dell’attività va valutato sotto il profilo quantitativo e non qualitativo ossia in termini economici e non di “importanza” del servizio affidato in gestione alla società. E’, insomma, al fatturato della società che occorre fare riferimento, per cui se quello che riguarda l’attività svolta a favore degli enti locali è più ampio rispetto a quello concernente la restante attività della società stessa, il requisito della prevalenza dell’attività può considerarsi soddisfatto.
La legge non indica la misura della prevalenza dell’attività,. Può essere utile il criterio - declinato per i settori c.d. esclusi o speciali nell’articolo 13, direttiva 93/38/CEE, nell’articolo 23, direttiva 2004/17/CE ed anche nell’articolo 8, dlgs 17 marzo 1995, n. 158. Secondo questo criterio le amministrazioni possono affidare direttamente appalti ad un’impresa collegata, purchè almeno l’80% del fatturato medio realizzato da tale impresa negli ultimi tre anni provenga dallo svolgimento di servizi, lavori o forniture all’amministrazione cui è collegata. Il parametro dell’80% del fatturato realizzato dalla società in house con l’amministrazione che la controlla è considerato dalla prassi un criterio di soddisfazione del requisito della prevalenza dell’attività.
5. La società partecipata può svolgere attività imprenditoriale a beneficio di terzi sul territorio di competenza dell’ente pubblico che la possiede?
La questione è stata esaminata dal Consiglio di Stato nelle sentenze n. 5843 del 2004, n. 2756 del 30 maggio 2005, n. 3264 del 21 giugno 2005 e dal TAR Veneto, sez. I, nella sentenza 16 maggio 2005 n. 2025.
L’insegnamento che si ricava da questa giurisprudenza è il seguente:
b) nelle società di capitali [15] costituite dagli enti locali allo scopo di gestire direttamente servizi pubblici il vincolo funzionale connesso alla dimensione territoriale di riferimento opera in termini assai meno stringenti di quanto non avvenisse nel caso delle aziende speciali, potendosi ammettere – stante la proiezione lucrativa della forma societaria - un impegno extraterritoriale anche qualora esso comporti, pressoché esclusivamente, meri ritorni di carattere economico o finanziario, fermo restando il limite del mantenimento di congrue risorse e mezzi adeguati da destinare alla soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento;
c) partendo dal principio [16] secondo cui la società partecipata è strumentale al perseguimento degli interessi della collettività locale, non si può a priori escludere la possibilità di svolgimento di attività c.d. extraterritoriali, ma occorre, caso per caso, verificare che l’espletamento di tali attività, da un lato contribuisca al migliore perseguimento dell’interesse della collettività locale, e, dall’altro lato, non si traduca in un aumento di costi per tale collettività, in termini di aumento di tasse o tariffe, o peggioramento del servizio. Solo a tali condizioni, infatti, si soddisfa la duplice esigenza che, da un lato, le attività extraterritoriali della società mista non si traducano in pregiudizio e aumento di costi della collettività territoriale, in contrasto con i principi di efficienza e di equa misura di tasse e tariffe, e che, dall’altro lato, la società, una volta immessa sul mercato, vi operi in condizioni di effettiva concorrenza e parità con gli imprenditori privati.
d) la normativa vigente non preclude [17] a una s.p.a. a capitale interamente pubblico la partecipazione a una licitazione privata indetta da un ente pubblico operante nel medesimo ambito territoriale, avente a oggetto la prestazione di un servizio rientrante nell’oggetto sociale della società medesima, quando l’attività da svolgere si configura non come la gestione di un servizio pubblico, bensì come la prestazione a favore di un soggetto determinato. La partecipazione suddetta, in generale e ferme le condizioni sopra specificate, non risulta ostacolata dalla applicazione diretta di principi di concorrenza e di par condicio propri delle procedure di evidenza pubblica.
6. Sono affidabili in house i servizi rivolti ad esclusivo interesse dell’amministrazione aggiudicatrice (e non della collettività)?
7. La delimitazione della figura dell’appalto di servizi, in rapporto alla contigua nozione di concessione di servizi ai fini dell’applicazione della deroga.
A livello comunitario la distinzione tra appalto di servizi e concessione di servizi è definita per elencazione nella Direttiva 2004/18/CE [20] unitamente alle altre figure di appalti pubblici considerati nella direttiva (appalto di lavori, appalto di forniture, concessione di lavori).
La dottrina e la prassi [21] hanno individuato la distinzione fra l’appalto di servizi e la concessione di servizi pubblici, facendo riferimento a molteplici criteri:
a) la natura unilaterale del titolo concessorio di affidamento del servizio pubblico, contrapposta al carattere negoziale dell’appalto;
b) il carattere surrogatorio dell’attività svolta dal concessionario di pubblico servizio, chiamato a realizzare i compiti istituzionali dell'ente pubblico concedente, mentre l’appaltatore compie attività di mera rilevanza economica nell’interesse del committente pubblico;
c) l’effetto accrescitivo della concessione, che attribuisce al privato concessionario una capacità estranea alla sua originaria sfera giuridica;
d) il trasferimento di potestà pubbliche (autoritative o certificative) in capo al concessionario, che opererebbe quale organo indiretto dell’amministrazione, mentre l’appaltatore eserciterebbe solo prerogative proprie di qualsiasi soggetto economico.
La delimitazione tra la figura dell’appalto di servizi e quella della concessione è interessante per il tema che stiamo trattando, perché se un negozio è qualificato come pubblico appalto di servizi rientra nell’ambito della disciplina comunitaria sugli appalti, mentre non vi rientra se è qualificato come concessione di servizi.
La giurisprudenza della Corte [22] - formatasi sulla cosiddetta direttiva di coordinamento 93/38/CEE e successivamente estesa anche alla direttiva 92/50 sui servizi – considera le concessioni, anche nel caso in cui riguardino i settori d’attività elencati negli allegati delle suddette direttive, quali contratti non onerosi, nel significato accolto da entrambe le direttive. A differenza del pubblico appalto di servizi, la concessione di servizi è caratterizzata dal fatto che la controprestazione che il gestore del servizio in questione ottiene dall’amministrazione aggiudicatrice consiste nel diritto di sfruttare, ai fini della sua remunerazione, la propria prestazione. Nel caso di una concessione di servizi la società sopporta i rischi collegati alla prestazione del servizio ed ottiene la sua controprestazione – almeno in parte – dagli utenti del servizio, attraverso la riscossione di un prezzo. Esiste quindi un rapporto giuridico trilaterale tra affidante, affidatario ed utente del servizio. Al contrario, un pubblico appalto di servizi dà luogo esclusivamente ad un rapporto giuridico bilaterale, all’interno del quale il compenso per la prestazione eseguita viene pagato dall’amministrazione aggiudicatrice medesima, che, tra l’altro, sopporta il rischio collegato alla fornitura del servizio.
In situazioni di questo genere, secondo la giurisprudenza comunitaria ,non si è in presenza di un pubblico appalto di servizi ai sensi della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, bensì di una concessione di servizi (non contemplata dalla direttiva). Un’amministrazione aggiudicatrice pubblica, dunque, affidando in concessione la gestione di servizi pubblici a pagamento ad una società per azioni a totale partecipazione pubblica, senza previo espletamento di una procedura ad evidenza pubblica, non viola le direttive comunitarie purché eserciti su tale società per azioni un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e la suddetta società svolga la maggior parte della sua attività per il Comune.
8. Conclusioni.
Quest’ultimo insegnamento comunitario (come già la disamina effettuata sull’intero settore) conferma che l’elemento di legittimazione degli affidamenti in house – indipendentemente che si riferiscano ai servizi pubblici, alle forniture pubbliche o alle concessioni di servizi – è dato dalla possibilità reale dell’amministrazione aggiudicatrice di esercitare un controllo sulla partecipata, inteso come influenza esercitabile sulle sue decisioni.
L’interpretazione sulla natura e sul grado di questa influenza si è mossa in questi anni da una concezione significativamente rigida ad una più rispettosa dell’autonomia dell’organismo affidatario.
Nel primo senso, parte della giurisprudenza [23] ha ritenuto che per giustificare il controllo analogo non sia sufficiente il mero rapporto di delegazione interorganica, ma che quel rapporto dovesse essere accompagnato da ulteriori elementi, dovendo sussistere non solo la dipendenza formale (proprietà della partecipazione), non solo la dipendenza economica (sistema di finanziamento o capitalizzazione), non solo la dipendenza operativa (prevalenza o esclusività delle attività a favore dell'amministrazione aggiudicatrice), ma anche la dipendenza amministrativa, rappresentato da rigido sistema di controlli.
La seconda posizione, rappresentata autorevolmente dalle conclusioni dell’avvocato generale nella causa C-458/03 [24], sostiene che determinante ai fini dell’equiparazione di un’impresa ad un servizio amministrativo oppure ad altri operatori economici non è tanto il fatto che la pubblica amministrazione, sotto l’aspetto formale, abbia le stesse possibilità giuridiche di influenza che essa ha nei confronti dei propri servizi, come, ad esempio, un potere di direzione nel caso concreto, quanto il fatto che all’interno di tale società l’amministrazione aggiudicatrice sia in qualunque momento concretamente in grado di realizzare pienamente gli obiettivi fissati nell’interesse pubblico. Solo quando un’impresa concretamente si emancipa (si rende autonoma) al punto da mettere l’amministrazione aggiudicatrice nell’impossibilità di far valere appieno i propri interessi all’interno dell’impresa suddetta non si potrà più parlare di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
Questa è, a nostro parere, la linea interpretativa maggiormente condivisibile, perché appare rispettosa delle regole di diritto privato che presiedono alla vita della società pubblicizzata ed assicura, nel contempo, l’assolvimento degli obiettivi correlati all’interesse pubblico generale. Se viceversa si pretendesse che l’azionista pubblico avesse nei confronti dell’altro contraente le medesime possibilità giuridiche di influenza che ha sui propri servizi, le società di capitali di diritto privato si troverebbero nell’impossibilità di soddisfare la missione imprenditoriale cui è rivolta la loro costituzione.
(*) Segretario Generale della Provincia di Lecce.
[1] Affidamenti in house sono le procedure con cui le pubbliche amministrazioni affidano appalti a propri enti strumentali non dotati di personalità giuridica. In un senso più ampio, anche gli appalti a società controllate dotate di personalità giuridica sono affidamenti in house. Però, mentre i primi non sono affatto rilevanti in materia di aggiudicazione di appalti, dato che costituiscono vere e proprie procedure amministrative interne, i secondi (chiamati anche affidamenti quasi in house) pongono il problema dell’obbligo o meno di svolgere una previa procedura di evidenza pubblica. (Questa distinzione è delineata nelle conclusioni dell'avvocato generale juliane kokott nella causa C-458/03 Parking Brixen GmbH presentate il 1° marzo 2005).
[2] La definizione di amministrazioni aggiudicatrici è contenuta nell’articolo 1 della direttiva 92/50. In quella nozione rientrano lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico (gli organismi istituiti per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; quelli aventi personalità giuridica, e la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico).
[3] Sentenza della Corte di giustizia (Quinta Sezione) del 18 novembre 1999. - Teckal Srl contro Comune di Viano e Azienda Gas-Acqua Consorziale (AGAC) di Reggio Emilia. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: TAR per l'Emilia-Romagna - Italia. - Appalti pubblici di servizi e di forniture - Direttive 92/50/CEE e 93/36/CEE - Aggiudicazione, da parte di un ente locale ad un consorzio a cui esso partecipa, di un contratto di fornitura di prodotti e di prestazione di servizi determinati. - Causa C-107/98. La formula estensiva utilizzata nella sentenza fu la seguente: “qualora si trattasse di un contratto a titolo oneroso fra due soggetti (non importando se il fornitore fosse un’amministrazione giudicatrice, non essendovi in materia di appalto di forniture un’esclusione analoga a quella dell’art. 6 della Direttiva 92/50), e, a quest’ultimo riguardo, precisamente che si trattasse di soggetti distinti sul piano formale e non già di “ente locale che eserciti sul soggetto fornitore un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi” e che il fornitore non realizzasse “la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti che la controllano” e cioè che si trattasse di enti distinti sul piano formale e autonomi sul piano decisionale, non poteva escludersi l’applicabilità della Direttiva 93/36.”
[4] Direttiva 93/36/CEE del Consiglio delle Comunità Europee del 14 giugno 1993 (Coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (testo così modificato dalla direttiva 97/52/CE )
[5] Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 9 settembre 1999. - RI.SAN. Srl contro Comune di Ischia, Italia Lavoro SpA e Ischia Ambiente SpA. Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale amministrativo regionale della Campania - Italia. Libertà di stabilimento - Libera prestazione di servizi - Organizzazione del servizio di raccolta dei rifiuti. Causa C-108/98.
[6] Vedi: Silvia Nicodemo Affidamenti in house: il Consiglio di Stato si rivolge alla Corte di Giustizia, note sull’ordinanza del Consiglio di Stato sez. V 22.4.04, n. 2316 in Azienda & Professioni n.64. “Allo stato attuale, il punto di arrivo della giurisprudenza comunitaria in relazione ai limiti di ammissibilità per l’affidamento diretto, ammette l’esclusione delle regole di concorrenza nei confronti di quelle "attività che, per la loro natura, per il loro oggetto e per la disciplina alla quale sono assoggettate, si ricolleghino all’esercizio di tipiche prerogative dei pubblici poteri e non presentino un carattere economico". Per i servizi di interesse economico, e purché vi sia l’esigenza di garantire un servizio universale, l’affidamento diretto potrebbe essere ammesso soltanto se i servizi siano anche servizi “di interesse generale", se l’intervento dell’amministrazione è più efficiente rispetto a quello di privati; se si realizza un rapporto di delegazione interorganica tra ente locale e società. In tal caso e quale ulteriore requisito è ammesso l’affidamento diretto, soltanto e nella misura in cui vi sia un rapporto che determina da parte dell’amministrazione controllante un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato. Il soggetto partecipato non può possedere alcuna autonomia decisionale in relazione ai più importanti atti di gestione e si configura come un’entità distinta solo formalmente dall’amministrazione, ma che in concreto continua a costituire parte della stessa. La società affidataria diretta sarà "fuori mercato" per tutti i servizi di cui non è affidataria, non potendo partecipare alle gare per la loro gestione, né all’interno del territorio dell’ente locale fondatore né tantomeno al di fuori di questo. Dall’attuale impostazione, si deve altresì derivare che l’affidamento in house non potrebbe avere ad oggetto attività che non ineriscono strettamente la gestione dei servizi pubblici. Perchè altrimenti si potrebbe determinare una illecita concentrazione nell’offerta di quella prestazione e quindi provocare una distorsione del mercato. La società, che, diventa affidataria diretta del servizio pubblico, assume una posizione tendenzialmente monopolistica nella gestione del servizio. Quando si consideri che alla gestione del servizio si affianchi necessariamente – quale parte integrante dell’oggetto sociale – anche la realizzazione delle opere connesse e la manutenzione della rete, il fenomeno assume connotazioni rilevanti nel mercato concorrenziale. Infatti, la tendenza a detti lavori utilizzando le proprie strutture interne o comunque attraverso la costituzione di società a valle interamente controllate dalla società affidataria del servizio pubblico – applicando il modello dell’affidamento in house – potrebbe determinare il monopolio di attività di natura diversa, in capo ad un soggetto già in posizione dominante nel mercato del servizio pubblico.”
[7] Secondo il Consiglio di Stato (sez. V, 30 giugno 2003, n. 3864), il fondamento dell’affidamento senza gara del servizio alle società miste pubblico-private risiedeva “negli atti costitutivi della società ed in quelli di selezione del socio privato, da valersi quali provVedimenti genetici del soggetto giuridico per mezzo del quale (seppur in regime convenzionale) l’ente locale svolge il servizio”.
[8] Silvia Nicodemo (opera citata in nota n. 5): “In Italia, la normativa sui servizi pubblici manifestava in quegli anni una reticenza ad aprirsi alle regole della concorrenza. Già, la Commissione dell’Unione europea aveva avviato una procedura di infrazione (cfr. Procedura d’infrazione della Commissione 1999/2184 ex art 226 del Trattato) contro l’Italia, lamentando l’inadempimento nell’adeguamento alla disciplina europea in materia di gestione dei servizi pubblici locali, contenuto nell’articolo 22 della l. n. 142 del 1990 e poi, ripreso nell’articolo 113 del dlgs. n. 267 del 200. L’iter è stata avviato in ragione del fatto che nel nostro ordinamento, le modalità di affidamento di servizi pubblici, sono state ritenute in contrasto sia con le Direttive CE che coordinano la procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, sia con i principi di trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione già più volte richiamati dalla stessa giurisprudenza comunitaria. Partendo da ciò, il Dipartimento delle politiche Comunitarie, con una circolare informativa, n. 12727 del 19 ottobre 2001, nell’individuare quella che è la normativa applicabile da parte delle amministrazioni aggiudicatrici per ciò che concerne l’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, prevede espressamente la possibilità di esclusione della normativa europea sui pubblici appalti, qualora tra i due soggetti si è in presenza di un rapporto di delegazione interorganica o di un servizio affidato eccezionalmente “in house”, concetti ribaditi successivamente anche nella circolare 3944/2002 sulle procedure di affidamento in materia di concessioni di servizi e di lavori. La Commissione, tuttavia, non aveva ritenuto tali spiegazioni soddisfacenti e successivamente ha inviato all’Italia una lettera di costituzione in “mora” ritenendo sussistere la incompatibilità tra alcune disposizioni dell’articolo 35 L. 448/2001 con le Direttive 92/50 e 93/38. Anche a seguito delle modifiche introdotte con l’articolo 35 della l. n. 448 del 2001, la Commissione ha contestato la violazione della direttiva servizi (direttiva 92/50/CEE), della direttiva sugli appalti nei settori esclusi (direttiva 93/38/CEE) oltrechè della normativa contenuta nel Trattato a tutela dal diritto di stabilimento (articoli 43 ss.) e della libera prestazione di servizi (articoli 49 segg.). Con la nota 26 giugno 2002, diretta al Governo Italiano ha sollecitato ulteriori modificazioni all’articolo 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, come sostituito dall’articolo 35 comma 1, della legge n. 448 del 2001. In particolare, rilevava espressamente “per quanto riguarda in particolare la nozione di “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi” di cui alla giurisprudenza in discorso, la Commissione sottolinea che affinché tale tipo di controllo sussista non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario”. Precisava altresì che il controllo contemplato nella sentenza Teckal faceva riferimento ad un rapporto che determina, da parte dell’amministrazione controllante, un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, e che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo. Dopo l’approvazione del dl n. 269 del 2003, la Commissione ha sospeso la procedura di infrazione”.
[9] In particolare la Corte di Giustizia nella sentenza ha ribadito che “l’obiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici è la libera circolazione dei servizi e l’apertura ad una concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri. Ciò implica l’obbligo di qualsiasi amministrazione aggiudicatrice di applicare le norme comunitarie pertinenti qualora sussistano i presupposti da queste contemplati. L’obbligo di applicare in tal caso le norme comunitarie risulta confermato dal fatto che, all’art. 1, lett. c), della direttiva 92/50, la nozione di prestatore di servizi, ossia di offerente ai fini dell’applicazione di tale direttiva, include anche «gli enti pubblici che forniscono servizi» (vd. sent. 7.12.2000, causa C -94/99, ARGE, racc. pag. I , 11037,punto 38). Qualsiasi deroga all’applicazione di tale obbligo va dunque interpretata restrittivamente. Pronunciandosi sulla scelta di una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di appalto, la Corte ha così statuito che l’art. 11, n. 3, della direttiva 92/50, che contempla questo tipo di procedura, deve – in quanto disposizione derogatoria alle norme intese a garantire l’effettività dei diritti conferiti dal Trattato CE nel settore degli appalti pubblici di servizi – essere interpretato restrittivamente, e che l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza delle circostanze eccezionali che giustificano la deroga grava su colui che intenda avvalersene (sentenza 10 aprile 2003, cause riunite C-20/01 e C-28/01, Commissione/Germania, Racc. pag. I-3609, punto 58). Nell’ottica di un’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile, quale voluta dalle norme comunitarie, la Corte ha statuito, in riferimento alla direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1), che tale direttiva è applicabile qualora un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere, con un entità giuridicamente distinta, un contratto a titolo oneroso, indipendentemente dal fatto che tale entità sia a sua volta un’amministrazione aggiudicatrice o meno (sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal, Racc. pag. I-8121, punti 50 e 51). È opportuno constatare che la controparte contrattuale in quel caso era un consorzio costituito da più amministrazioni aggiudicatrici, al quale partecipava anche l’amministrazione aggiudicatrice in questione”.
[10] Conclusioni dell'avvocato generale juliane kokott nella causa C-458/03, Parking Brixen GmbH presentate il 1° marzo 2005. “…. L’esistenza in capo agli organi di un’impresa pubblica di ampi poteri gestionali nelle relazioni esterne non impedisce affatto a che il Comune eserciti su di essa un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Siffatti poteri sono anzi, di regola, necessari nelle relazioni esterne per garantire la sua capacità d’agire, per non ostacolare la gestione degli affari di ordinaria amministrazione nonché per tutelare gli interessi dei terzi (52) . Inoltre, nell’ambito della pubblica amministrazione medesima non è affatto raro che a singoli pubblici ufficiali, quali il Sindaco di un Comune, il Presidente di una Provincia o i dirigenti di enti pubblici statali, vengano attribuiti poteri relativamente ampi di rappresentanza esterna del proprio ente…Sotto l’aspetto giuridico, il controllo della pubblica amministrazione sui propri servizi è caratterizzato in prevalenza da poteri di direzione e di vigilanza. All’interno dell’ente medesimo spetta di regola al dirigente il potere di impartire ordini ed istruzioni agli uffici subordinati. Allo stesso modo esiste, in genere, nei confronti degli enti subordinati, un potere direttivo o, quantomeno, la possibilità di controllare e correggere le decisioni attraverso i poteri di vigilanza. Riguardo agli organi direttivi di imprese pubbliche, almeno nei casi in cui queste siano organizzate in forma di società per azioni o a responsabilità limitata, simili poteri di direzione e di vigilanza dovrebbero costituire l’eccezione.. …, grazie all’applicabilità delle relative disposizioni in materia di bilancio, la scelta della forma giuridica della società per azioni oppure di quella della società a responsabilità limitata può portare ad un aumento della trasparenza sempre accolto con favore . Se si applicasse la disciplina in materia di aggiudicazione di pubblici appalti anche a negozi giuridici tra amministrazioni aggiudicatrici e loro società controllate al 100%, le forme giuridiche di diritto privato della società per azioni o della società a responsabilità limitata non potrebbero essere più utilizzate ai fini di una mera riorganizzazione interna. Al relativo ente resterebbe soltanto l’alternativa tra la privatizzazione dei suoi servizi (54) e l’esecuzione diretta di essi per mezzo dei propri servizi amministrativi oppure di aziende autonome, integrate nella gerarchia amministrativa e prive di significativa autonomia. In taluni casi le società controllate esistenti potrebbero addirittura essere ritrasformate in aziende autonome. Tuttavia, un intervento così incisivo sulla supremazia organizzativa degli Stati membri e segnatamente sull’autogoverno di tanti Comuni (55) non sarebbe affatto necessario neppure alla luce della funzione di apertura dei mercati svolta dalla disciplina sugli appalti. Difatti, lo scopo della normativa sugli appalti è di garantire una scelta trasparente ed imparziale dei contraenti ogniqualvolta la pubblica amministrazione decida di svolgere i propri compiti con la collaborazione di terzi. Non rientra invece nella ratio della disciplina sugli appalti la realizzazione di una privatizzazione «di straforo» anche di quei servizi pubblici che la pubblica amministrazione voglia continuare a fornire con mezzi propri; a questo scopo sarebbe necessario che il legislatore compisse passi più concreti verso la liberalizzazione. Con l’espressione «un controllo analogo a (…)» , la sentenza Teckal vuole sottolineare che le possibilità di influenza esercitate su imprese pubbliche non debbono necessariamente essere identiche a quelle esercitate sui propri servizi. …. Secondo la sentenza Stadt Halle, la necessità di realizzare il suddetto interesse pubblico determina quali sono le possibilità di influenza di fatto necessarie alle istituzioni pubbliche nei confronti dei loro servizi (61) .Per quel che riguarda tali concrete possibilità di influenza, trova applicazione quanto detto al riguardo nel paragrafo 53 di queste conclusioni: qualora un terzo privato sia socio di un’impresa, anche se in forma di mera partecipazione di minoranza, il fatto che la pubblica amministrazione debba tenere conto degli interessi economici di questi può costituire un impedimento alla piena realizzazione degli obiettivi propri dell’interesse pubblico, malgrado quest’ultimo possa apparire realizzabile sotto l’aspetto giuridico. Se invece l’amministrazione aggiudicatrice è azionista unico della sua società controllata, allora i suoi interessi e quelli della società controllata possono in linea di principio essere considerati sostanzialmente coincidenti, anche qualora la società controllata sia organizzata in forma di società per azioni o a responsabilità limitata, dato che l’azionista unico partecipa al 100% degli utili realizzati e può autonomamente decidere sul loro impiego. Laddove invece non sia necessario tenere conto degli interessi economici di terzi privati, dato che la pubblica amministrazione detiene il 100% delle quote societarie, l’affermazione dell’interesse pubblico all’interno della società è garantita anche senza un potere direttivo in senso tecnico già con gli strumenti del diritto societario e, in particolare, per mezzo della presenza all’interno degli organi societari del rappresentante nominato esclusivamente dalla pubblica amministrazione. Difatti risulterebbe alquanto insolito che tali organi, che, di regola, si caratterizzano anche per lo stretto legame personale con la pubblica amministrazione, si discostassero nella gestione degli affari di ordinaria amministrazione dalle direttive impartite dall’ente locale che li ha nominati in misura tale da poter pregiudicare la realizzazione degli obiettivi stabiliti nell’interesse generale. Inoltre i rappresentanti dovrebbero temere per l’avvenire la revoca o, in ogni caso, la non riconferma del loro mandato. Dalla semplice circostanza che una società quale la ASM Bressanone SpA sia una società per azioni i cui organi sono dotati di ampi poteri gestionali negli affari di ordinaria amministrazione non si può dedurre che tale società sia autonoma rispetto all’azionista pubblico e che questo non eserciti più su di essa un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi….”
[11] Vedi TAR Friuli – Venezia Giulia, sentenza n. 634 del 15 luglio 2005
[12] Corte di giustizia, decisione 18 novembre 1999, in Causa C-107/98, cit., p.to 50.
[13] Vedi CdS, sez. V, n. 2756 del 30 maggio 2005.
[14] Vedi CdS, sez. V, n. 4586 del 3 settembre 2001.
[15] Vedi CdS, Sez. V, n. 3264 del 21 giugno 2005.
[16] Vedi CdS n. 4843, Sez. VI, n. 5843/2004.
[17] Vedi TAR Veneto, sez. I, sentenza n. 2025 del 16 maggio 2005.
[18] Vedi CdS, Sezione Quinta, n. 1289 del 10 marzo 2003.
[19] Dlgs n. 267/2000, articolo 112, comma 1: “1. Gli enti locali, nell'àmbito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.”
[20] L’ordinamento comunitario conosce cinque distinte figure di appalti pubblici, (Vedi DIRETTIVA 2004/18/CE del 31 marzo 2004 recante coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi. (G.U.C.E. n. 134 del 30 aprile 2004): a) l’appalto pubblico di lavori ha per oggetto l'esecuzione o, congiuntamente, la progettazione e l'esecuzione di lavori relativi a una delle attività di cui all'allegato I (della direttiva 2004/18/CE) o di un'opera, oppure l'esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un'opera rispondente alle esigenze specificate dall'amministrazione aggiudicatrice; b) l’appalto pubblico di forniture ha per oggetto l'acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l'acquisto a riscatto, con o senza opzione per l'acquisto, di prodotti. Un appalto pubblico avente per oggetto la fornitura di prodotti e, a titolo accessorio, lavori di posa in opera e di installazione è considerato un "appalto pubblico di forniture"; c) l’appalto pubblico di servizi ha per oggetto la prestazione dei servizi di cui all'allegato II. Un appalto pubblico avente per oggetto tanto dei prodotti quanto dei servizi di cui all’allegato II (della direttiva 2004/18/CE) è considerato un appalto di servizi quando il valore dei servizi in questione supera quello dei prodotti oggetto dell'appalto. Un appalto pubblico avente per oggetto dei servizi di cui all'allegato II e che preveda attività ai sensi dell'allegato I solo a titolo accessorio rispetto all'oggetto principale dell'appalto è considerato un appalto pubblico di servizi; d) la concessione di lavori presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, con la differenza che il corrispettivo consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera, accompagnato o meno da un prezzo; e) la concessione di servizi a sua volta presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, con la differenza che il corrispettivo consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera, accompagnato o meno da un prezzo.
[22] Vedi le argomentazioni dell’avvocato generale juliane kokott nelle già citate conclusioni della causa C-458/03, Parking Brixen GmbH (nota n. 9).
[23] Vedi l’ordinanza CdS, sez. v, 22/4/2004 n. 2316 che rimette dinanzi alla Corte di giustizia europea la questione della compatibilità col diritto comunitario delle norme che prevedono l'affidamento di servizi pubblici in house.
[24] Vedi le già citate conclusioni della causa C-458/03, Parking Brixen GmbH. (nota n. 9).
Documenti correlati:
A. ANNIBALI, Gli affidamenti in house: dal diritto comunitario ai servizi pubblici locali, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/annibali_inhouse.htm
M. LUCCA, Il paradosso degli affidamenti in house nei servizi pubblici locali, tra meccanismi di incompiuta liberalizzazione e incompatibilità comunitaria, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/lucca_inhouse.htm
E. VARANI, "L’in house providing": il concetto di "controllo analogo" tra disciplina comunitaria e normativa interna, pag. http://www.lexitalia.it/p/51/varani_inhouse.htm
M. BARBERO, Salvi i vecchi affidamenti “in house” di servizi pubblici locali (nota a Cons. Stato, Sez. V, 18 febbraio 2004, n. 679*), pag. http://www.lexitalia.it/articoli/barbero_inhouse.htm
T. TESSARO, Miti e no: l’Idra di Lerna e i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica (commento a Corte Cost., sent. 27 luglio 2004 n. 272). pag. http://www.lexitalia.it/articoli/tessaro_servizi.htm