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Articoli e note

n. 11/2005 - © copyright

 

ANTONIO SCARASCIA*

 

Lo spazio dispositivo della regolamentazione
locale in materia di incarichi esterni
 

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1. Premessa.

 

La disposizione autorizzatoria degli incarichi esterni nel settore pubblico viene comunemente individuata nell’articolo 7, comma 6, del dlgs n. 165/2001, che identifica la loro causa legale nel soddisfacimento delle esigenze istituzionali, quando siano assenti professionalità corrispondenti nei ruoli organici.

La genericità della formula (“per esigenze cui non possono far fronte con il personale interno”) - apparentemente priva di vincoli causali - ha ingenerato il convincimento che tali affidamenti siano attivabili liberamente per qualsivoglia esigenza astrattamente correlata all’interesse pubblico, con l’esito di un utilizzo incontrollato [1] oltrechè improprio riguardo alle cause legali.

 Per correggere gli effetti distorsivi di questa prassi, gli organi d’indirizzo hanno apprestato in questi anni numerosi interventi correttivi. La Funzione Pubblica [2] si è interessata in particolare delle collaborazioni coordinate e continuative, qualificate come forme giuridiche eccezionali attivabili solo in presenza di esigenze peculiari e qualificate, e la Corte dei Conti [3] si è occupata dei presupposti di legittimazione degli incarichi per concludere che in assenza dei presupposti (rispondenza agli obiettivi dell’amministrazione, mancanza di analoghe figure interne, temporaneità dell’incarico, proporzionalità tra compensi erogati e utilità conseguite) si versa in ipotesi di ingiusto depauperamento delle finanze pubbliche. Anche il legislatore statale [4], allo scopo di contenere la spesa delle amministrazioni pubbliche, è intervenuto ripetutamente nella materia attraverso una disciplina vincolistica che ha assoggettato gli affidamenti esterni a riduzioni annuali di spesa e/o a procedure aggravate che prevedono il coinvolgimento dell’organo di revisione contabile e della Corte dei Conti.

Ma né gli interventi degli organi d’indirizzo, né il regime vincolistico della legislazione di finanza pubblica (peraltro dichiarato incostituzionale dalla Corte [5]) sono valsi a contenere il fenomeno, che anzi cresce per l’all’attivazione di nuovi servizi, come rimedio alla rigidità del vigente blocco delle assunzioni.

Lo stato di confusione è alimentato vieppiù dalla incertezza di un corpus normativo particolarmente esiguo che presidia il sistema degli incarichi, rappresentato unicamente da tre enunciazioni di principio, prive di contenuto dispositivo: a) l’articolo 36, comma 1, del dlgs n. 165/2001 che afferma genericamente l’estensione delle forme contrattuali flessibili del codice civile al settore pubblico; b) l’articolo 7, comma 6, del medesimo decreto che riconosce, in via generale, alle pubbliche amministrazioni la facoltà di avvalersi di contratti esterni quando non dispongano di profili di elevata professionalità; c) l’articolo 110, comma 6, del dlgs n. 267/2000 che rinvia alla competenza regolamentare la disciplina dei rapporti esterni ad alto contenuto di professionalità.

È di tutta evidenza la astrattezza di queste enunciazioni e la loro inidoneità a regolare - fuori dalla mediazione della disciplina attuativa - un fenomeno sensibilmente diffuso e complesso qual è quello che stiamo esaminando.

 

Scopo del presente studio è di indicare spunti di riflessione per una teoria sui tipi contrattuali degli incarichi esterni, a partire da quelli presi in considerazione dalla finanziaria 2005 [6] (contratti a termine, collaborazioni coordinate e continuative, convenzioni di lavoro autonomo, incarichi di studio, ricerca e consulenza), e di verificare se i loro profili di disciplina siano nella disponibilità della regolamentazione locale, ovvero competano integralmente ai livelli normativi di rango superiore.

 

2. La competenza del regolamento dei contratti.

La sede per la normazione dei tipi contrattuali che stiamo esaminando è il Regolamento dei contratti [7] che, ai sensi dell’articolo 7 del TUEL, disciplina l’esercizio dell'attività contrattuale del Comune, derivante sia dall’espletamento di procedure di tipo pubblicistico (appalti di lavori, forniture e servizi, concessioni di beni demaniali), che dall’applicazione delle forme contrattuali codicistiche (locazioni, comodati, convenzioni…).

Giova ricordare che, ai sensi dell’articolo 117, comma 6, della Costituzione la potestà regolamentare degli enti locali si presenta come potere costituzionalizzato: “I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”. Si tratta di una formula ampia che individua il contenuto della potestà regolamentare locale ed esclude l’interposizione di fonti esterne. Applicando questo principio costituzionale al regolamento dei contratti (come ad ogni altra fonte di produzione giuridica locale) viene in rilievo la sua connotazione di fonte qualificata in quanto: a) fonda su un esplicito riconoscimento costituzionale (articolo 117, comma 6); b) non necessita di mediazione legislativa; c) gode di riserva di competenza assoluta [8].

In particolare, nel potere dispositivo del Regolamento dei contratti sono inclusi i profili pubblicistici dei contratti regolanti i rapporti di lavoro degli enti locali, i quali:

 

a) non sono più nella disponibilità dello Stato, cui compete solo la regolazione del lavoro privato quale parte dell’ordinamento civilistico e del lavoro pubblico amministrativo dello Stato e degli enti pubblici statali (ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera m);

 

b) non sono nella disponibilità della Regione, cui compete la disciplina pubblicistica regionale e degli altri comparti, ma non quella dell’autonomia locale, atteso che la competenza residuale regionale stabilita nell’articolo 117, comma 6, lascia salva la competenza regolamentare locale, esplicitamente richiamata nel medesimo comma;

 

c) costituiscono materia esclusiva dei regolamenti locali, come interpreta la legge 131/2001 all’articolo 4, comma 6 quando stabilisce che le vigenti norme statali e regionali in materia di organizzazione locale si applicano “fino all'adozione dei regolamenti degli enti locali”, con la conseguenza che cessano definitivamente il loro potere dispositivo dal momento in cui viene esercitata la nuova competenza regolamentare locale.

 

In questo contesto, il Regolamento dei contratti può colmare l’incertezza normativa che affligge la contrattazione degli incarichi esterni impegnandosi a definire le connotazioni proprie delle singole figure giuridiche (contratti a termine, collaborazioni coordinate, convenzioni, incarichi di studio e di consulenza), ma anche a individuare i presupposti che ne legittimano l’attivazione e a disciplinarne la durata, i casi di ammissibilità delle proroghe e dei rinnovi, le procedure di scelta degli incaricati, l’individuazione dell’organo competente ad attivarli, le cause di decadenza.

 

3. Gli incarichi a tempo determinato.

 

Un tipo contrattuale esaustivamente regolato dalla legge è il lavoro a tempo determinato, che pure riserva, come vedremo, uno spazio significativo alla regolamentazione locale. Il contratto a termine aveva trovato normazione legale già negli anni sessanta [9] dove veniva considerato come tipo contrattuale straordinario utilizzabile in casi determinati. La normativa successiva, mantenendosi nella logica delle causali tipizzate, ne ha via via ampliato il campo di applicazione [10] fino al vigente dlgs n. 368/2001 che – in attuazione della direttiva comunitaria 1999/70/CEE - ha introdotto il principio del ricorso generalizzato ai contratti a termine, in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo.

 

Accanto alla normativa generale, gli enti locali dispongono di due disposizioni speciali sui contratti a termine. La prima riguarda la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione (articolo 110 del dlgs n. 267/2000), che può avvenire, con la mediazione della disciplina statutaria, con contratti a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire; la seconda si riferisce all’attivazione dei rapporti a termine per gli uffici di supporto agli organi di direzione politica (articolo 90 del TUEL)

 

Alla definizione regolamentare deve ritenersi riservata sia la individuazione delle ragioni tecniche, produttive, organizzative e sostitutive che possono legittimare l’attivazione dei contratti a termine, sia le ipotesi di proroga/rinnovo e sia la definizione delle procedure di evidenza pubblica per la scelta dei contraenti applicabili alle fattispecie generali disciplinate dal dlgs n. 368/2001 e a quelle speciali previste dal TUEL.

 

4. Le collaborazioni coordinate e continuative.

 

Le collaborazioni coordinate e continuative scontano, rispetto ai contratti a termine, una carenza di disposizioni applicative, potendo contare solo su poche tracce di disciplina, per di più di derivazione non pubblicistica, ma privatistica. Il riferimento più noto è l’articolo 49, comma 1, lettera c-bis) del dPR n. 917/1986 che si limita a definire le collaborazioni come “…rapporti aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita”.

 

Un rapporto di questa natura è stato chiamato parasubordinato ovvero parautonomo, per il fatto che presenta caratteri comuni al lavoro subordinato e al lavoro autonomo, benché se ne discosti da entrambi. Dal primo mutua la presenza di un vincolo tra committente e prestatore - non la subordinazione, ma il coordinamento - che connota il rapporto e identifica il collegamento funzionale dell'attività del prestatore con la struttura organizzativa del committente. Dal lavoro autonomo mutua la libertà di relazioni organiche con il committente - non configurabile nell’autonomia, ma nella collaborazione - che mantiene il prestatore svincolato dall'inserimento nell'organizzazione strutturale dell'impresa e gli lascia libertà circa le modalità, il tempo ed il luogo dell'adempimento pur agendo in funzione delle finalità e delle necessità organizzative dell'imprenditore.

 

In definitiva, le collaborazione coordinate e continuative [11] identificano rapporti di lavoro i quali: a) pur avendo natura formale di rapporti di lavoro autonomo, non sono del tutto svincolati dall’organizzazione pubblicistica, soggiacendo al potere di coordinamento del datore pubblico, che ne definisce in dettaglio il contenuto e ne controlla lo svolgimento; b) presentano i caratteri della continuità, in contrapposizione alla occasionalità, protraendosi nel tempo definito in sede negoziale; della coordinazione, costituita dal vincolo funzionale tra l’opera del collaboratore e l’attività del committente tra loro strettamente connesse; della prestazione personale, in virtù della quale il ricorso a propri collaboratori risulta limitato; c) fondano sul presupposto di esigenze temporanee della pubblica amministrazione oltrechè sull’assenza di corrispondenti professionalità interne; d) soggiacciono a disciplina fiscale e previdenziale assimilata a quella del lavoro dipendente, alla stregua delle disposizioni dell’articolo 34 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (collegato fiscale alla legge finanziaria per l’anno 2000) e dell’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (legge di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare).

 

Lo spazio dispositivo regolamentare per la disciplina di questo tipo contrattuale è amplissimo e riguarda la forma del rapporto (contratto di prestazione d'opera ovvero convenzione) e i suoi contenuti essenziali, ma anche la definizione di profili quali la correlazione tra le attività/prestazioni e il progetto o programma da realizzare, le responsabilità del collaboratore in relazione alla realizzazione dell'attività, la proprietà dei risultati, i profili economici, la durata temporale massima del rapporto, le modalità dell’accesso agli uffici e dell’utilizzo della strumentazione pubblica.

 

Un altro punto che necessita di definizione regolamentare sono i presupposti di legittimazione, che alcuni individuano nelle prestazioni altamente qualificate ed altri in tutte le mansioni, anche quelle ordinarie. Gli stessi organi di indirizzo hanno sul punto posizioni discordi. Per il dipartimento della Funzione Pubblica [12] “dalla lettura delle disposizioni di cui all’art. 7, comma 6, del dlgs165/2001 e all’art. 110, comma 6, del dlgs 267/2000, si evidenzierebbe la possibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro svolgimento, tale da caratterizzarle quali prestazioni di lavoro autonomo.” Di contro, per la Corte dei Conti [13] i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa sarebbero utilizzabili per le esigenze ordinarie proprie del funzionamento delle strutture amministrative e non riguarderebbero perciò il ricorso agli incarichi esterni.”

 

Quest’ultima posizione è più convincente. Il presupposto dell’alta qualificazione non sembra appartenere ai caratteri identitari delle collaborazioni coordinate, non essendo una connotazione di questo tipo rinvenibile - né direttamente né indirettamente - in alcuna delle disposizioni che regolano l’istituto: a) né nell’articolo 49 del dPR n. 916/1987, che si limita a definire gli indicatori delle collaborazioni; b) né nell’articolo 409 del c.p.c. che ribadisce il carattere prevalentemente personale e non subordinato della prestazione; c) né nell’articolo 61 del dlgs n. 276/2003 che correla il rapporto di collaborazione a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente.

 

I riferimenti a prestazioni ad alto contenuto di professionalità e all’utilizzazione di esperti di provata esperienza sono presenti unicamente nell’articolo 7, comma 6, del dlgs n. 165/2001 e nell’articolo 110, comma 6, del dlgs 267/2000, che però non disciplinano propriamente le collaborazioni coordinate e continuative, come si evince chiaramente dalla lettura delle due formule [14], ma solo fondano il principio del ricorso all’esterno, in deroga al principio dell’esclusività delle competenze degli organici.

 

In entrambi i casi, l’espressione collaborazioni esterne equivale a rapporti esterni. La coincidenza con il nomen juris del tipo contrattuale in esame è solo occasionale e non vale a identificare la forma giuridica del rapporto. Inoltre, le prestazioni ad alto contenuto professionale si caratterizzano, per natura, per la loro decisa autonomia e quindi si atteggiano più a rapporti di lavoro autonomo, che a collaborazioni coordinate.

 

Conclusivamente, non è normativamente fondata la posizione che riserva le collaborazioni coordinate ai rapporti ad alto contenuto professionale e, conseguentemente possono essere utilizzate per mansioni proprie dei livelli, sempre che i relativi profili siano assenti dall’organico e che tale carenza non sia risolvibile con gli strumenti flessibili di gestione delle risorse umane

 

5. Le convenzioni per prestazioni autonome.

La disciplina del lavoro autonomo trova la regolamentazione generale negli articoli 2222 e seguenti del Codice civile, dove il lavoratore autonomo viene individuato nel soggetto che «si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente».

L’elemento distintivo del rapporto di lavoro autonomo rispetto a quello di lavoro subordinato è dato dallo svolgimento delle prestazioni dei lavoratori autonomi svincolato dal potere direttivo del committente. Quando tale elemento non è agevolmente apprezzabile, occorre fare riferimento ai criteri succedanei indicati dalla giurisprudenza, quali la libertà del lavoratore circa il tempo e il modo della prestazione; la mancanza di coordinamento con l’attività del committente [15]; l’incidenza del rischio in capo al soggetto; la mancanza dell’inserimento funzionale del lavoratore nell’organizzazione aziendale; la non assoggettablità del lavoratore al potere disciplinare, di controllo e di vigilanza del datore di lavoro [16].

Accanto alle disposizioni codicistiche prima richiamate, occorre considerare altri riferimenti normativi [17], in particolare, l’articolo 61, comma 2 del dlgs. 276/03, che ha introdotto le prestazioni occasionali, cioè quelle di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente (salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno non sia superiore a € 5.000). Le prestazioni rientranti in questi limiti, possono dare luogo a due diverse tipologie di rapporti di lavoro [18]:

a) collaborazione coordinata e continuativa minima: se la prestazione occasionale soddisfa i requisiti tipici dei rapporti di collaborazione (continuità e coordinamento con l’attività del committente);

 

b) attività di lavoro autonomo occasionale ex art. 2222 c.c. e seguenti (contratto d’opera): se la prestazione ha carattere singolare, episodico, ad esecuzione istantanea, realizzata in assenza di continuità e coordinamento con la struttura del committente.

I rapporti di lavoro autonomo e del lavoro autonomo occasionale possono essere considerati dalla regolamentazione locale solo per i profili organizzativi e non per quelli sulla natura giuridica, che restano integralmente nella competenza statale, in virtù del riparto costituzionale.

6. Gli incarichi di studio, ricerca e consulenza.

Gli incarichi di studio, ricerca e consulenza identificano tre distinte fattispecie di affidamenti esterni, che possono essere considerate unitariamente in ordine al risultato, in quanto tutte consistono nella redazione di una relazione scritta da rendere all’amministrazione committente entro un termine prestabilito e dietro pagamento di un prezzo concordato, ma autonomamente quanto al contenuto, atteso che gli incarichi di studio afferiscono ad indagini su un oggetto d’interesse dell’amministrazione, gli incarichi di ricerca riguardano la prospettazione di soluzioni sulla base della preventiva definizione di un programma dell’amministrazione, gli incarichi di consulenza consistono nella formulazione di un parere su una questione specifica indicata nella richiesta.

Il regime dei vincoli per questi incarichi è contenuto nel dl 168/2004, articolo 1, comma 9 (decreto taglia spese) [19] e nella legge n. 311/2004 (finanziaria 2005), commi 11 e 46, dove è prescritto: che devono essere adeguatamente motivati; che sono possibili solo nei casi previsti dalla legge e nell'ipotesi di eventi straordinari; che vanno preventivamente comunicati agli organi di controllo ed agli organi di revisione di ciascun ente; che in assenza di questi presupposti costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale; che per gli enti locali l'atto di affidamento deve essere corredato della valutazione dell'organo di revisione economico-finanziaria e deve essere trasmesso alla Corte dei conti, sezioni regionali di controllo.

Relativamente a questi incarichi la Corte dei Conti [20] ha individuato cinque parametri di legittimità: 1) rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’ente; 2) inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione; 3) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico; 4) indicazione della durata dell’incarico; 5) proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.

 

Dal regime vincolistico degli incarichi di consulenza sono esclusi gli incarichi conferiti per gli adempimenti obbligatori per legge, mancando, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione. Sono esclusi, in particolare, la rappresentanza in giudizio ed il patrocinio dell’amministrazione e gli incarichi conferiti ai sensi della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni.

Lo spazio dispositivo del Regolamento dei contratti può essere utilizzato per individuare i parametri di legittimità degli incarichi di consulenza, per definire il loro formale inquadramento nei contratti di prestazione d’opera intellettuale (ex articoli 2229–2238 codice civile), per tipizzare le singole fattispecie applicative, che potranno riguardare: lo studio e soluzione di questioni inerenti all’attività dell’amministrazione committente; le prestazioni professionali finalizzate alla resa di pareri, valutazioni, espressione di giudizi; le consulenze legali, al di fuori della rappresentanza processuale e del patrocinio dell’amministrazione; gli studi per l’elaborazione di schemi di atti amministrativi o normativi.

7. L’intuitus personae negli incarichi di studio e consulenza.

Un nodo da sciogliere in via regolamentare è quello dell’intuitus personae: le attività di studio e consulenza sono affidabili direttamente o soggiacciono anch’esse a procedure di evidenza pubblica?

Secondo la Corte dei Conti [21], gli incarichi di consulenza, studio, ricerca (e anche progettazione) di importo pari o superiori a 200.000 ECU (IVA esclusa) non possono che essere affidati mediante procedure concorsuali pubbliche (articoli 2 e 3 del dlgs n. 157/1995 concernente l’attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi). Secondo questa impostazione, la normativa si applica senza eccezione in tutti i casi di prestazione d’opera intellettuale, le cui tipologie rientrano nell’allegato 1° della direttiva 92/50/CEE e nei conseguenziali allegati 1 e 2 del decreto legislativo n. 157/1995.

In sostanza la Corte dei Conti ritiene che la direttiva 92/50/CEE (direttamente applicabile nell’ordinamento interno dal 1° luglio 1993 per decorso del termine di adeguamento ed in quanto si caratterizza quale direttiva self-executing) [22] e il decreto legislativo n. 157/1995 consacrino il principio della pubblica gara, anche al fine di impedire la formazione di una “nicchia di mercato” sottratta alla libera concorrenza e di cui usufruisca un gruppo ristretto di soggetti, in violazione dei principi del buon andamento e dell’economicità dell’azione amministrativa (oltre che del principio-cardine della legalità enunciato nell’articolo 97 Cost.), con pregiudizio per l’erario.

Secondo questa impostazione, la prestazione d’opera intellettuale è configurata come prestazione di servizio e quindi esclude il concetto dell’intuitus personae almeno in relazione agli incarichi d’importo pari o superiore a 200.000 ECU.
 

La Corte dei Conti ritiene che non può soccorrere - per motivare l’esclusione dello svolgimento delle procedure concorsuali - la deroga prevista dagli articoli 5, comma 2°, lettera h, della direttiva n. 92/50/CEE e 5, comma 2°, lettera h, del decreto legislativo n. 157/1995 atteso che non è riscontrabile in favore dei suddetti soggetti pubblici e privati quel “diritto di esclusiva” nelle materie oggetto degli incarichi in virtù di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative precedenti all’incarico stesso e compatibili con il Trattato U.E. (es. estrema specializzazione della ricerca, realizzabile da un solo soggetto pubblico predeterminato ex lege).

 

La disciplina regolamentare sul punto dell’intuitus personae deve riguardare gli incarichi sottosoglia. Il regolamento potrà optare per l’eventuale estensione della (rigorosa) interpretazione della Corte o per l’introduzione di una disciplina differenziata per valore e/o per materia.
 

Il regolamento dovrà anche individuare gli organi competenti all’attivazione degli incarichi di consulenza, tenendo presente il criterio comunemente indicato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, secondo il quale la competenza dell’organo di vertice si determina quando l’incarico riveste valenza strategico-politica e quando ha natura squisitamente fiduciaria (qual è il caso delle nomine indicate nell’articolo 4, comma 1, del dlgs n. 165/2001 e quelle dei componenti dell’ufficio di supporto agli organi di direzione politica previsti nell’articolo 90 del TUEL), mentre la competenza dirigenziale, fondata sugli articoli 110 e 192 del TUEL, si determina nei casi di incarichi di studio funzionali all’attuazione degli obiettivi gestionali attribuiti nel PEG.

 

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(*) Segretario generale della Provincia di Lecce.

[1] Dalla relazione annuale al Parlamento effettuata dal Dipartimento della Funzione Pubblica (vedi sito www.anagrafeprestazioni.it ) si evincono i dati quantitativi del fenomeno. Nel 2003 nella PA sono state attivate 38.958 collaborazioni coordinate e continuative e 104.708 convenzioni di lavoro autonomo. I contratti a termine nel medesimo periodo sono stati 28.278 unità (quest’ultimo dato è desunto dal Conto Annuale del Ministero dell’Economia in I rapporti di lavoro flessibili nella Pubblica amministrazione a cura di Giuseppe Della Rocca e Raggiera SARCINA, Rubettino Editore 2004).

 

[2] PCM - Dipartimento della Funzione Pubblica - Circolare 15 Luglio 2004  avente ad oggetto: “Collaborazioni coordinate e continuative. Presupposti e limiti alla stipula dei contratti. Regime fiscale e previdenziale. Autonomia contrattuale.” (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 93 del 21/4/2004)

 

[3] Corte Conti, Sez. I 18 gennaio 1994 n. 7 e 7 marzo 1994 n. 56; Sezioni Riunite 12 giugno 1998 n. 27; Sez. II 22 aprile 2002 n. 137; Sezione controllo enti, deliberazione n. 33 del 22 luglio 1994. Vedi anche la delibera n. 6/CONTR/05 adunanza 15 febbraio 2005 “Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42)” che, in particolare, individua le modalità di trasmissione degli incarichi di studio, ricerca e consulenza alla Corte.

 

[4] L’articolo 1, commi 9 e 11, del decreto legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito con legge 30 luglio 2004, n. 191, ha posto un limite alla spesa per gli incarichi "a tutela dell'unità economica della Repubblica". Oltre il limite della spesa, la norma ha individuato tre categorie d'incarichi: di studio, di ricerca o di consulenza, per le quali ha prescritto un'adeguata motivazione e la possibilità di ricorrervi "solo nei casi previsti dalla legge o nell'ipotesi di eventi straordinari". Gli atti di conferimento dell'incarico devono essere trasmessi agli organi di controllo interno degli enti. Tali disposizioni, poi, sono state abrogate ed assorbite dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311, (legge finanziaria 2005), che formalizza i criteri per l'affidamento di incarichi esterni da parte delle amministrazioni locali con popolazione superiore a 5.000 abitanti, recependo in questo modo l’orientamento del giudice amministrativo. In particolare, il comma 42 dell'art. 1, prevede che l'affidamento a soggetti esterni, da parte degli enti locali, di incarichi di studio o di ricerca deve essere adeguatamente motivato.

 

[5] I tagli sono stati bocciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 417 del 14 novembre 2005 in base al principio costantemente affermato dalla giurisprudenza della stessa Corte, per cui le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Costituzione, e ledono pertanto l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'articolo 119 Cost.

[6] Vedi recentemente l’articolo 1, commi 42 e 116, della legge n. 311/2004, (legge finanziaria 2005) che, nel fissare il tetto di spesa degli incarichi esterni, individuano le tipologie contrattuali che sottendono a tali incarichi, costituite appunto  da: a) i rapporti a tempo determinato, b) le convenzione di lavoro autonomo; c) i contratti di collaborazione coordinata e continuativa; d) gli incarichi di studio, ricerca e consulenza.

[7] Il regolamento per la disciplina dei contratti trovava nella primissima stesura della legge n. 142/1990 esplicito riconoscimento formale come fonte di produzione giuridica qualificata nell’articolo 59, comma 1: “I consigli comunali e provinciali deliberano lo statuto, il regolamento di contabilità ed il regolamento per la disciplina dei contratti dell'ente entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.”

[8] I requisiti minimi di uniformità, di cui all’articolo 4, comma 4 della legge n. 131 non riguardano l’ordinamento degli uffici, ma solo quei regolamenti relativi allo svolgimento di funzioni “conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze” (ai sensi dell’articolo 118), come interpreta la stessa legge La Loggia quando collega i requisiti minimi di uniformità  “alle rispettive competenze” statali/regionali, ripetendo la formula dell’articolo 118 e richiamando esplicitamente il medesimo articolo.

[9]  La legge 18 aprile 1962 n. 230, recante disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato. (GU 17 maggio 1962, n. 125) consentiva il ricorso ai contratti a tempo determinato solo: a) per assunzioni stagionali;  b) per la sostituzione di lavoratori assenti, sempreché nel contratto di lavoro a termine fosse indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione;  c) per la esecuzione di un'opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od occasionale;  d) per le lavorazioni a fasi successive che richiedono maestranze diverse, per specializzazioni, da quelle normalmente impiegate;  e) per assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi; f) per lo svolgimento dei servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci.

[10] (vedi il dl n. 17/1983, che ha attribuito priorità ai contratti stagionali nelle assunzioni a termine; l’articolo 23 della legge n. 56/1987, che ha affidato al contratto collettivo il compito di integrare le causali; la legge n. 223/1991, che ha previsto l’assunzione a termine per i lavoratori in mobilità; infine, la legge n. 196/1997, che ha introdotto la categoria del lavoro temporaneo, con ciò accogliendo la flessibilità del lavoro nella sua più ampia accezione.

 

[11] La Regione Toscana nella deliberazione G.R. 9 Febbraio 2004, n. 68 Disciplinare per la determinazione dei criteri di Indirizzo per l'instaurazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (Pubblicata nel B.U. Toscana 3 marzo 2004, n. 9, parte seconda) analizza i quattro indicatori in questi termini. La collaborazione identifica la mancanza del vincolo di subordinazione essendo il prestatore svincolato dall'inserimento strutturale nell'organizzazione dell'impresa e godendo di autonomia circa le modalità, il tempo ed il luogo dell'adempimento pur agendo in funzione delle finalità e delle necessità organizzative dell'imprenditore. Il coordinamento sostituisce il vincolo della subordinazione ed identifica il collegamento funzionale dell'attività del prestatore con la struttura del committente, in quanto concorre alla realizzazione dell'attività economica di quest'ultimo. È l’elemento che assume rilevanza determinante ai fini della connotazione del rapporto. Pertanto, la differenza tra prestazione di lavoro parasubordinato e quella di lavoro subordinato sta anche nella modalità dell'esecuzione: la prima deve conformarsi soltanto alle direttive dell'imprenditore, mentre la seconda anche alle modalità di esecuzione preventivamente stabilite. La continuità significa che la prestazione dedotta in rapporto non deve essere occasionale, ma resa in misura apprezzabile nel tempo, comportando lo svolgimento di una serie di adempimenti a contenuto professionale per un arco di tempo determinato, in funzione dell'esigenza a carattere non transitorio del richiedente. Esulano, pertanto, da tali rapporti quelli che, estrinsecandosi in una relazione occasionale con il committente, sono destinati ad esaurirsi con il compimento dell'unica prestazione[11] oggetto dell'accordo delle parti. La personalità della prestazione evidenzia la prevalenza dell'apporto lavorativo del prestatore rispetto all'impiego di mezzi e/o altri soggetti, dei quali pure il collaboratore può avvalersi, sempreché non si perda la preminenza della sua personale partecipazione né l'unicità della responsabilità gravante sullo stesso.

[12] PCM - Dipartimento della Funzione Pubblica - circolare 15 luglio 2004, già citata.

[13] Corte dei Conti, Delibera n. 6/CONTR/05 adunanza 15 febbraio 2005 “Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”

[14] a) Dlgs n. 165/2001, articolo 7, comma 6: “per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità”.

b) Dlgs n. 267/2000, articolo 110, comma 6: “per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.”

[15] Al fine di dare una definizione di “coordinamento”, la circolare del Ministero del Lavoro n. 1/2004 precisa, riguardo al collaboratore a progetto, che il soggetto possa operare all’interno del ciclo produttivo del committente e di conseguenza debba necessariamente coordinare la propria prestazione con le esigenze organizzative del committente; il coordinamento può quindi riguardare sia i tempi di lavoro che le modalità di esecuzione del lavoro. A questo riguardo, la giurisprudenza definisce il coordinamento come «connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell’organizzazione o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall’ingerenza di quest’ultimo nell’attività del prestatore», Cass., sez. lav., 19 aprile 2002 n. 5698);

[16] Cassazione civile, sezione lavoro, n. 16805/2002.

[17] In ordine cronologico, ricordiamo la Legge 14/02/2003 n. 30 (cd. Legge Biagi), il dlgs 10/09/2003 n. 276 attuativo della Legge Biagi, la circolare del Ministero del Lavoro n. 1 dell’8/01/2004 e le circolari Inps n. 9 del 22/01/2004 e n. 103 del 6/07/2004.

[18] Vedi la circolare 1/04 del Ministero del Lavoro.

[19] Con sentenza n. 417 del 14 novembre 2005 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, commi 9, 10, 11, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, nella parte in cui si riferisce alle Regioni e agli enti locali;

[20] Corte dei Conti, Delibera n. 6/CONTR/05 adunanza 15 febbraio 2005, cit.

[21] Corte dei conti Sardegna - Sezione del controllo - Ufficio II – RELAZIONE allegata alla deliberazione n. 7/2003. In materia è intervenuta autorevolmente anche la Sezione di controllo della Corte dei conti, Collegio III, la quale con la propria deliberazione18 gennaio 1997, n. 4 ha affermato che in nessun caso possono essere ravvisate esenzioni in ordine all’applicazione della direttiva 92/50/CEE ed al decreto legislativo di attuazione n. 157/1995, trattandosi di normativa rivolta a regolare i rapporti di tutte le pubbliche amministrazioni, sia con soggetti privati che con soggetti pubblici istituzionali (università, enti, istituti di ricerca, ecc.).

[22] vedi Corte di giustizia U.E., 22 febbraio 1990, causa 221/1988; Corte di giustizia U.E., 9 agosto 1984, causa 369/1992; Corte di giustizia U.E., 11 agosto 1995, causa 431/1992; Corte di giustizia U.E., 24 ottobre 1996, causa 72/1995; Corte costituzionale, 11 luglio 1989, n. 389; Corte costituzionale, 2 febbraio 1990, n. 64.


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