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Articoli e note

n. 1/2007 - © copyright

ANTONIO SCARASCIA*

 

Il deficit di controlli sulla conformità legale negli enti locali

 

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1. Premessa

Il controllo sulla legittimità  esercitato dai CoReCo regionali ha avuto il suo epilogo nell’abrogazione dell’articolo 130 [1] della Costituzione, che quel controllo imponeva sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali.

L’antefatto di quest’esito lungamente atteso è nel mutamento di più ampia portata che a partire dagli anni novanta ha interessato la pubblica amministrazione [2], divenuta consapevole di doversi trasformare [3] da gestore del potere amministrativo in organizzazione attenta alle necessità sociali dei cittadini-utenti [4], sotto l’impulso di vari fattori, tra i quali: a) il rafforzamento della sovranità popolare avvenuto con la legge n. 81/1993; b) l’applicazione del principio di sussidiarietà, che ha favorito il trasferimento delle funzioni agli enti periferici; c) la rimodulazione del concetto di legittimità, che ha dato irrilevanza alle difformità legali degli atti non incidenti sugli interessi generali [5]; d) l’introduzione per legge dei controlli interni che ha indicato nei parametri di efficienza, efficacia ed economicità i nuovi criteri della buona amministrazione.

A distanza di un quinquennio dalla riforma costituzionale e dall’introduzione dei controlli interni, la domanda è se negli enti locali si siano effettivamente registrate, per effetto di procedure interne, efficienza dell’azione amministrativa e regolarità dell’attività provvedimentale.

2. Le ragioni della perplessità

 L’impressione è che il processo avviato non abbia dato finora esiti positivi, essendo diffuso tra gli addetti ai lavori [6] il sentimento di inefficacia dei controlli interni, implementati più per forza di legge che come strumento di lavoro, e dovendosi registrare tuttora l’assenza di procedure sostitutive del vecchio controllo di legittimità volte alla garanzia del principio di legalità.

A questo riguardo, già a ridosso della riforma costituzionale si è avuto  un acceso dibattito [7] sulla persistenza dei controlli di legittimità dopo l’abrogazione dell’articolo 130 Cost., con due opposti fronti: per uno [8] l’abrogazione del controllo di legittimità si doveva considerare acquisito quale effetto implicito della riforma costituzionale, per l’altro [9] l’attuazione piena dei principi costituzionali richiedeva un intervento esplicito della Corte Costituzionale, in sede di giudizio incidentale, o comunque l’intermediazione del legislatore regionale. 

La presa di posizione del Consiglio dei Ministri [10] a favore della prima tesi e le leggi di abrogazione dei CoReCo emanate nel frattempo da molte regioni sopirono la disputa, ma non valsero a dirimere le questioni aperte con la cessazione dell’attività dei CoReCo, rimanendo incerto se il controllo esterno di legittimità dovesse essere sostituito da una forma omologa di tutela interna oppure se quel controllo si dovesse ritenere assorbito dai controlli della gestione [11] (in particolare dal controllo di regolarità amministrativa), ovvero se si dovesse considerare definitivamente escluso dal novero delle verifiche praticabili nell’ente locale, come in molti casi è avvenuto.

Non è servito a sciogliere i nodi l’intervento del legislatore regionale, che pure ha dedicato al tema dei controlli norme statutarie e leggi specifiche [12], risultate nella gran parte frammentarie e inorganiche.

Allo stato delle cose, il sistema dei controlli locali è rappresentato da un insieme di misure complesse e disomogenee, fuori proporzione rispetto alla organizzazione minima degli enti piccoli e piccolissimi, e di difficile impatto anche per enti medio-grandi meglio attrezzati. Una congerie di misure, confusamente interne e/o esterne, di audit e di verifica dei saldi, prescrittive e collaborative, sulla gestione e sull’attività, sui parametri di finanza e sul personale, la cui stessa ricognizione appare ardua, come dimostra questa (non esaustiva) ricostruzione:

a) controllo strategico sull’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei programmi di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti (dlgs 286, articolo 6 e 267, articolo 147);

b) controllo di gestione sull’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa ed ottimizzare il rapporto tra costi e risultati (dlgs 286, articolo 4 e dlgs 267, articolo 147);

c) controllo di regolarità amministrativa sulla legittimità e correttezza dell’azione amministrativa (dlgs  286, articolo 3 e dlgs 267, articolo 147);

d) controllo sulla regolarità contabile della gestione e concomitante controllo degli equilibri generali di bilancio (dlgs 286, articolo 5 e dlgs 267, articolo 147);

e) controllo esterno sulla gestione (da parte della Corte dei conti) ai sensi delle disposizioni della legge n. 20/1994 (dlgs 267, articolo 148);

f) valutazione della dirigenza, sulle prestazioni del personale con qualifica dirigenziale e sulle loro competenze organizzative e gestionali (dlgs 286, articolo 6 e dlgs 267, articolo 147);

g) controllo sulla contrattazione integrativa (di competenza del collegio dei revisori) sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio, (dlgs 165, articolo 48.6);

h) controllo sugli andamenti della spesa per il personale esercitato dalla Corte dei conti, che a sua volta può avvalersi dei nuclei di valutazione e di esperti designati dall’ente (dlgs 165,  articolo 48.7);

i) controllo sull’esercizio delle funzioni dirigenziali (di competenza del direttore generale) per la verifica delle modalità di svolgimento delle funzioni assegnate ai dirigenti e dell’adeguatezza delle scelte attuative dei piani e programmi (dlgs 267/2000, articolo 108.1);

l) controllo sull’osservanza dell’indirizzo politico-amministrativo (di competenza del sindaco/presidente, Giunta, assessori) sull’osservanza delle direttive impartite e del raggiungimento al termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi di PEG (dlgs 267, articolo 109.1);

m) controllo sulle responsabilità disciplinari (di competenza del responsabile dei procedimenti disciplinari) finalizzato all’accertamento delle responsabilità particolarmente gravi o reiterate dei dirigenti (dlgs n. 267/2000, articolo 109.1);

n) consulto del comitato dei garanti, per il riesame dei provvedimenti negativi a carico dei dirigenti. (CCNL/1999, articolo 15 e dlgs n. 165/2001, articolo 22);

o) vigilanza del collegio di revisione sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione (acquisizione delle entrate, effettuazione delle spese, attività contrattuale, amministrazione dei beni, completezza della documentazione, adempimenti fiscali, tenuta della contabilità (dlgs 267, articolo 240.1);

p) visto sulla regolarità contabile degli atti  di competenza del dirigente dei servizi finanziari (dlgs 267, articoli 49 e 151);

q) controllo sulla coerenza delle determinazioni organizzative, di competenza degli organismi di controllo interno, per verificare la rispondenza delle determinazioni organizzative ai princìpi della legge quadro (dlgs n. 165/2001, articolo 5.3);

r) controllo sul rispetto del patto di stabilità, di competenza delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti (legge n. 166/2005, articolo 1.166-168);

t) controllo sugli atti di spesa per consulenze, manifestazioni e rappresentanza, di competenza della Corte dei conti, sull verifica  di queste spese di importo superiore a 5.000 euro. (legge n. 166/2005, articolo 1.173);

t) verifica del rispetto degli equilibri di bilancio attribuita alla sezione delle autonomie della Corte dei conti, in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (legge n. 131/2003, 7.7);

u) verifica del perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, attribuita alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, sulla sana gestione finanziaria degli enti locali e sul funzionamento dei controlli interni (legge n. 131/2003, 7.7);

Una prima considerazione da fare è che questo sistema di verifiche si presenta per un verso eccessivamente artificioso, con incerta ricaduta in termini di efficacia, e per altro verso monco, perchè non contempla nemmeno una tutela sulla conformità legale [13], della cui esistenza sembra essersi persa ogni traccia.

3. Dal controllo esterno regionale al controllo esterno statale.

La ulteriore considerazione è che le tutele esterne (la cui rimozione era avvertita come la principale conquista del riconoscimento autonomistico) aumentano piuttosto che diminuire, soprattutto per effetto degli obblighi di stabilità di finanza pubblica derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’UE.

Il patto di stabilità interno introdotto dall’articolo 28 della legge n. 448 del 1998 (finanziaria 1999) e annualmente ridefinito dalle leggi di finanza pubblica [14], che coinvolge regioni ed enti locali nel perseguimento degli obiettivi comunitari di stabilità [15], ha comportato l’intestazione in capo alla Corte dei conti del ruolo di controllore esterno sugli enti locali (rafforzato dalla previsione di sanzioni) con competenza non solo sui saldi di bilancio, ma anche su profili squisitamente di gestione, tra i quali è sufficiente segnalare le verifiche sull’andamento dei contratti per gli acquisti di beni e servizi [16], finalizzato a limitare il ricorso alla trattativa privata e diretta tra contraenti (legge 289/2002, articolo 24, comma 5).

L’intestazione di un controllo esterno in capo all’organo contabile (statale) - in controtendenza rispetto alle statuizioni di molti altri Stati europei, nei quali analoga funzione è attribuita a istituzioni regionali [17] -  è stato fondato sulla competenza esclusiva dello Stato affermata in Costituzione (articolo 117) in materia di perequazione delle risorse finanziarie. Questa competenza statale ha legittimato, a cascata, la conferma della funzione ausiliaria della Corte verso il Parlamento e l’attribuzione alla stessa di un ruolo tutorio sulla gestione degli enti regionali e locali [18], che, per le regioni, è limitato ad analisi dirette a verificare il perseguimento degli obiettivi, ma per gli enti locali è esteso alla verifica della sana gestione finanziaria, cioè nella sostanza, all’accertamento dell’efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa dell’ente, come interpreta il Presidente della Corte dei conti [19].

L’attribuzione di un compito così ampio ad un organo magistratuale  dotato di particolare vis espansiva e pervasiva [20] - che si aggiunge al corteo di tutele statali preesistenti [21] - ridimensiona sensibilmente l’autonomia locale e conferma il sentimento di sfiducia nella capacità delle autonomie di apprestare  in proprio un sistema di regole sulla buona amministrazione e sulla legalità.

4. Il deficit di legittimità dell’attività provvedimentale.

La precedente conclusione ci riporta al tema della conformità legale e alla constatazione che, anche dopo il rafforzamento del controllo della Corte, il nodo del controllo sulla legalità dell’attività provvedimentale resta irrisolto, perché non risultano individuate - né per via interna né per impulso esterno - forme di garanzia della conformità, che non siano  il monitoraggio sullo scostamento degli atti da parametri teorici predeterminati, la cui utilità è quasi esclusivamente statistica [22].

La questione non riguarda più l’attività deliberativa degli organi collegiali, ormai ristretta in un numero chiuso di atti tipizzati (a ridotta discrezionalità) e in atti di indirizzo insuscettibili di violare l’iter procedimentale, ma l’attività determinativa di competenza dirigenziale, che a seguito del riparto tra indirizzo politico e funzioni gestionali, è divenuta l’area di produzione di decisioni amministrative di maggiore ampiezza, soggettiva ed oggettiva,  che oggi l’ordinamento conosca.

Legittimati ad adottare le determinazioni sono una tipologia vasta di soggetti. Non solo i dirigenti (articolo 4, commi 2 e 5, del dlgs n. 165/2001 ed articolo 107 del dlgs n. 267/2000), ma anche i responsabili dei servizi negli enti privi di dirigenti, (articolo 109, comma 2, 267/2000), i responsabili del procedimento di spesa relativamente alle determinazioni a contrattare (articolo 192 del dlgs 267/2000), i dipendenti delegati temporaneamente dal dirigente per comprovate ragioni di servizio e per lo svolgimento di specifiche competenze (articolo 17, comma 1-bis del dlgs 165/2001), i dipendenti cui il dirigente abbia assegnata la responsabilità della istruttoria del procedimento, ed eventualmente, la adozione del provvedimento finale (articolo 5, comma 1, della legge n. 241/1990), e, perfino, gli assessori nei comuni sotto i 5.000 abitanti che abbiano regolamentato questa possibilità (articolo 53, comma 23, della legge n. 388/2000).

Anche l’ambito oggettivo è ampio, perché l’attività determinativa comprende non solo le determinazioni a valenza contabile adottata in relazione agli obiettivi del peg; ma anche le determinazioni a contrattare, che esplicitano il potere contrattuale definito dall’articolo 192 del TUEL; le determinazioni concessorie/autorizzatorie che realizzano i poteri gestionali tipizzati nell’articolo 107 del dlgs n. 267/2000 e che danno luogo ad atti amministrativi (come le concessioni edilizie e le autorizzazioni); le determinazioni di organizzazione, funzionali al razionale utilizzo delle risorse; gli atti di gestione del personale (assunzioni, congedi…), che esplicitano i poteri propri del privato datore di lavoro, e che soggiacciono alla giurisdizione del giudice del lavoro.

Le determinazioni costituiscono una tipologia provvedimentale bivalente, potendosi configurare sia come atti privatistici di gestione, fondati sull’articolo 4 del dlgs n. 165/2001 e sia come atti amministrativi riflettenti l’iter definito negli articoli 89, 107 e 183 del dlgs n. 267/2000, la cui specificità più rilevante (ed anche la più preoccupante) è nella natura di atti monocratici sottratti al controllo, e dunque privi di qualsivoglia filtro sulla conformità giuridica, che non sia quello contabile. Questi caratteri, se assicurano  ai provvedimenti immediata efficacia, comportano il sacrificio delle garanzie riservate dall’ordinamento alle decisioni amministrative - pubblicità legale e riconoscimento dell’accesso generalizzato – in funzione del controllo sociale sull’operato delle autorità amministrative e della tutela dei diritti sui quali incide.

Il deficit di controlli cautelativi sulla conformità legale non può dirsi compensato dai controlli successivi, che sono - come abbiamo rilevato - numerosi, ma che attengono alla gestione nel suo complesso e non alla produzione provvedimentale e quindi riguardano il risultato gestionale e non la garanzia  della legalità del singolo provvedimento e la possibilità di ripristinarla in via autoctona quando sia stata turbata. 

Nemmeno il Consiglio dell’ente nella sua collegialità, organo di controllo politico-amministrativo per definizione (articolo 42, comma 1, del TUEL), o i singoli consiglieri, possono fermare - né nella forma oppositiva interna né in quella giurisdizionale - l’esecutività delle determinazioni che abbiano vulnerata la legittimità.

Sul punto della legittimazione dei consiglieri ad impugnare gli atti dell’ente presso il quale espletano il mandato, la giurisprudenza ha assunto una posizione di sostanziale chiusura, avendo escluso dalle prerogative del consigliere la legittimazione a ricorrere contro gli atti dell’ente - sia che si tratti di motivi di legittimità che di motivi di merito - in quanto entrambi questi profili sono riservati alla agibilità (esclusiva) dei soggetti incisi direttamente dagli atti.

L’esclusione della legittimazione vale sia per gli atti adottati dall’organo cui i consiglieri partecipano,  sia per quelli ricadenti nella competenza di altri soggetti (Giunta e dirigenti), la cui impugnativa si risolverebbe nella proposizione di conflitti interorganici per via giurisdizionale, che non trova spazio nel nostro ordinamento amministrativo [23]. La ratio dell’esclusione è individuata nella incongruità del ricorso giurisdizionale rispetto agli strumenti di cui il consigliere dispone per opporsi alle illegittimità che a suo giudizio inficiano l'atto, cioè la discussione, il dibattito e il voto nel collegio (i fisiologici strumenti di formazione della volontà dell'organo), ma anche la dialettica politica democratica e gli strumenti di garanzia riservati alle minoranze quando si tratti di sindacare l’attività provvedimentale dirigenziale. Secondo la giurisprudenza l'opposta tesi porterebbe a trasferire nelle aule di giustizia il dibattito deliberativo-politico che deve svolgersi  nell’ente.

L’unica area riservata alla agibilità giurisdizionale dei consiglieri è quella relativa alla denunzia di vizi del procedimento, individuati [24], a titolo esemplificativo, nelle irritualità della convocazione dell'organo, nella violazione dell'ordine del giorno, nel difetto di costituzione del collegio, vizi che, interferendo direttamente sull’esercizio del mandato, sono idonei a determinare una lesione delle prerogative del consigliere.

Una competenza sulla tutela dell’integrità dell’ordinamento giuridico non è neppure incardinata in capo all’organo di vertice, come avviene per il Ministro nelle amministrazioni dello Stato, alla stregua della disposizione dell’articolo 14, comma 3 [25], del dlgs n. 165/2001, che fa salvo il potere di annullamento ministeriale dei provvedimenti dirigenziali per motivi di legittimità.

La conclusione è che negli enti locali, allo stato della normativa e degli arresti giurisprudenziali, al possibile scostamento dalle regole di legalità dell’attività provvedimentale non corrispondono adeguate tutele amministrative.

5.  La rimodulazione del principio di legalità

Si ha l’impressione che l’abrogazione costituzionale del controllo esterno sulla legittimità abbia radicato il convincimento che la conformità legale non sia più un compito istituzionale di amministratori e dirigenti locali, ma una competenza delle Procure, ordinarie e contabili.

L’idea di un sistema di controlli interni (sulla gestione) sostitutivo del controllo di legittimità (sui singoli atti) ha trovato sponda nella copiosa riflessione  dottrinale [26] sull’amministrazione per risultato. La accresciuta sensibilità verso il risultato gestionale ha distolto attenzione dal parametro del rispetto della legge. Alla vecchia concezione (riduttiva) che riteneva sufficiente la conformità legale perché la decisione amministrativa fosse giusta, è stata sostituita quella opposta (al pari riduttiva) che ritiene la soddisfazione dei parametri aziendalistici sufficiente a legittimare il buon andamento.

Non si è avuta, com’era auspicabile, l’integrazione del criterio di legalità con quello di efficacia, bensì la sostituzione del primo con il secondo. L’equivoco è stato inconsapevolmente alimentato dalla riflessione dottrinale quando ha insistito [27] sulla necessità di privilegiare il profilo finalistico dell’azione amministrativa, ritenendo “irrilevanti ai fini del sindacato di legittimità, le difformità del lineamento normativo che non incidano sulla idoneità del provvedimento a rappresentare una corretta sintesi degli interessi in gioco”; pur se, accorta dottrina [28] aveva avvertito che il controllo di legittimità, certamente inidoneo a risolvere verifiche funzionali, dovesse essere affiancato e non sostituito da valutazioni atte a misurare l’adeguatezza tra risultati dell’azione e finalità normative.

Il prevalere della concezione aziendalistica non solo non ha dato benefici in termini di efficienza gestionale [29], ma ha lasciato sguarnito il versante della legalità, con risultati in molti casi devastanti [30], che il (non rimpianto) controllo esterno sulla legittimità riusciva a contenere.

È evidente che non si tratta di far prevalere, come pure taluno ha auspicato [31], i controlli esterni su quelli interni e tanto meno di riproporre in chiave interna, il vecchio controllo preventivo sugli atti, essendo improponibile - in una situazione socio-culturale nella quale la legge non è l’unica sede di regolazione dei rapporti sociali - la verifica sterile dell’allineamento normativo.

La crisi della centralità della legge non può tuttavia trascinare con sé il principio di legalità, che deve restare il faro della tutela dei diritti individuali e dell’efficacia dell’azione amministrativa e che, semmai, va declinato in forme aggiornate.

L’individuazione delle forme concrete di legalità (in applicazione del principio del buon andamento) è compito del singolo ente. Esemplificando, se per un ente la partecipazione dei soggetti al procedimento è il criterio informativo della propria attività, questo criterio potrà essere assunto dall’ente a garanzia di legalità.  Secondo questa prospettazione, la legalità dell’ente avrebbe la propria misura nell’applicazione della partecipazione procedimentale ovvero nel livello qualitativo e quantitativo delle iniziative di amministrazione consensuale messe in atto nell’ente, alla stregua delle disposizioni dettate dalla legge n. 241/1990.

6. I possibili correttivi

In attesa dell’intervento del legislatore, può risultare utile l’introduzione di correttivi su iniziativa del singolo ente attraverso lo spazio dispositivo della potestà normativa locale. A questo riguardo non è superfluo ricordare che la riforma del 2001 ha dato fondamento costituzionale alle fonti locali mediante la previsione  di un duplice livello di produzione giuridica, quello statutario (nel secondo comma dell'articolo 114) correlato al riconoscimento di una forte autonomia, e quello regolamentare (nel sesto comma dell'articolo 117) preordinato alla disciplina di dettaglio dell'organizzazione e delle funzioni attribuite. 

Due correttivi possono riguardare il sistema di valutazione dei dirigenti e l’iter procedimentale delle determinazioni.

Il sistema di valutazione potrà prevedere - in ragione dalla specificità del ruolo del dirigente pubblico - parametri sugli scostamenti dell’attività provvedimentale dalla legge, statuto e regolamenti. Le tre aree di osservazione delle prestazioni dirigenziali (comportamenti organizzativi, risultati gestionali, e competenze maturate), mutuate dal settore privato, non possono considerarsi esaustive dei profili di valutazione della dirigenza pubblica, perché non considerano il rispetto della conformità legale, cui l’attività dirigenziale è soggetta. Per il dirigente pubblico non è ininfluente il modus con il quale gli obiettivi gestionali sono raggiunti, dovendo egli perseguirli nel rispetto del procedimento posto dall’ordinamento a presidio dell’interesse pubblico e degli interessi coinvolti. In questa prospettiva, è molto opportuno che il sistema valutativo dell’ente pubblico consideri entrambi i momenti, attraverso due distinti giudizi, il giudizio di fatto, che abbia riguardo ai misuratori tradizionali sull’efficacia, e il giudizio di valore, sul grado di conseguimento dell’interesse pubblico e sul rispetto del principio di legalità.

Il secondo correttivo può venire dall’introduzione, per via regolamentare [32], di una procedura di sospensione cautelativa dell’efficacia delle determinazioni, secondo il modulo del controllo eventuale di cui è traccia nel disapplicato [33] articolo 127 del TUEL. Sulla falsariga di quella formula si può prevedere [34] che la efficacia delle determinazioni dei dirigenti, nelle materie caratterizzate da discrezionalità, si possa sospendere - relativamente agli effetti non ancora prodotti - qualora un assessore o un consigliere sollevino rilievi scritti e motivati. La competenza del controllo potrà essere intestata al difensore civico (autorità prevista dal TUEL per il controllo eventuale sulle deliberazioni), affiancato da una struttura interna di garanzia, come la segretaria generale. Se il difensore ritiene giusti i rilievi, invita il dirigente a conformarsi, e questi può o adeguarsi o controdedurre. Se dopo le controdeduzioni le perplessità persistono, il difensore rimette la pratica all’organo di vertice per le decisioni (definitive) di sua competenza, consistenti o nella conferma della determinazione o nell’annullamento per motivi di illegittimità.

 

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(*) Segretario generale della Provincia di Lecce.

[1] L’abrogato articolo 130 Cost. prevedeva  al comma 1: “Un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti da legge della Repubblica, esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali”.

[2] G. D’AURIA, I controlli, in S. CASSESE (a cura di) Trattato di diritto amministrativo, 1267 e M. CAMMELLI, Riforme amministrative e riforma dei controlli, in M. CAMMELLI (a cura di), Il sistema dei controlli dopo il dlgs. 286/1999, Rimini, 2001, 9 ss.

[3] P. Pezzati, I controlli amministrativi in www.diim.unipi.it/index.php?option=com_content&

[4] Cfr. V. CERULLI IRELLI – F. LUCIANI, I principi generali, in E. F. SCHLITZER (a cura di), Il sistema dei controlli nelle pubbliche amministrazioni, Milano, 2002, 3.

[5] Cfr. A. R. TASSONE, I controlli sugli atti degli enti locali nelle leggi n. 59 e n. 127 del 1997, in Dir. Amm., 1998, 62

[6] S. POZZOLI, Il sistema di controlli negli enti locali in www.anci-toscana.it/4-conv-formativi/ControlliANCI.pdf ,

[7] Dell’ampio dibattito dottrinale dà conto P.P. Pezzati, I controlli amministrativi cit.

[8] L. Olivieri, "L'abrogazione dei controlli sugli atti degli enti locali", in www. giust.it/articoli.

[9] G. Virga, "I nuovi principi costituzionali non possono abrogare per implicito le disposizioni delle leggi previgenti", in http://www.lexitalia.it/articoli/virgag_titolo5.htm.

[10] Il governo, nella riunione del Consiglio dei ministri del 21 novembre 2001, con l’assenso dei Presidenti delle regioni e dei rappresentanti dell’Anci, Upi e Uncem, ha preso atto della cessazione dei controlli sugli atti amministrativi degli enti locali ex articolo 130 Cost. e, conseguentemente, dell’obbligo di inviare agli organi regionali di controllo gli atti amministrativi.

[11] I controlli interni sono stati introdotti per le amministrazioni statali dal dlgs n. 268/1999 e dall’articolo 147 del TUEL per gli enti locali.

[12]  Per una disamina completa degli interventi regionali sul tema dei controlli interni ed esterni  vedi lo studio di P.P. Pezzati in I controlli amministrativi, cit.

[13] Simona D’Ambrosio (vedi I controlli interni sugli atti negli enti locali: riflessioni, esperienze e prospettive in Rassegna Giuridica n. 4/2004, Lecce) rileva opportunamente che il controllo di regolarità amministrativa non può essere confuso con il controllo di legalità, tant’è che, a tenore del dlgs n. 286/1999, ai soggetti cui è affidato il controllo di regolarità amministrativa (e contabile) è vietato di effettuare verifiche di tipo preventivo sugli atti. Secondo V. G.M. Potenza, La legittimità degli atti nel nuovo ordinamento degli enti locali, IV ed., Maggioli, 2002, pag. 243,  il controllo preventivo potrebbe continuare ad essere realizzato, e anche in misura ottimale, solo a patto che non lo si intenda come un “controllo” in senso proprio, ma come una serie di atti e richieste di atti – peraltro riferibili a più soggetti e a tempi diversi – di conoscenza o di giudizio preliminarmente utili per una buona istruttoria, soddisfacente anche sotto il profilo giuridico, cioè di previsione di corrispondenza dell’atto finale alla norma.

[14] Ritengo utile una disamina dei vincoli del patto di stabilità interno definiti annualmente dalle leggi finanziarie, a partire dalla legge n. 448/1999, che quel vincolo ha introdotto. Nella finanziaria 1999 gli obiettivi di stabilità hanno riguardato: 1) la riduzione progressiva del finanziamento in disavanzo delle spese finali (obiettivo primario); 2) il contenimento del rapporto tra l’ammontare di debito a carico di ciascun ente ed il prodotto interno lordo (obiettivo derivato). Il patto di stabilità interno del 1999 ha respiro pluriennale (triennio 1999-2001) ed è programmatico e non prescrittivo nel senso che indica gli obiettivi senza porre vincoli sulle modalità di raggiungimento dei risultati. Le disposizioni non costituiscono quindi requisiti di legittimità dei documenti di bilancio.  Nella finanziaria 2001 sono state ridefinite le modalità di calcolo del saldo programmatico per l’anno 2001 stabilendo che lo stesso non sia superiore a quello del 1999, al netto degli oneri per interessi e della spesa sanitaria, aumentato o diminuito del 3% a seconda che tale saldo fosse rispettivamente negativo o positivo. Non considera più le spese e le entrate correlate al trasferimento o attribuzione di nuove funzioni o di nuove entrate proprie. Esclude dall’obiettivo di riduzione del disavanzo i comuni con popolazione inferiore a  5.000 abitanti. Accresce la responsabilità dei Consigli degli enti prevedendo l’obbligo di approvazione dei prospetti dimostrativi del computo del disavanzo per gli anni 1999 e 2001 con le stesse procedure di approvazione del bilancio. – Nella finanziaria 2002 i vincoli non sono più calcolati sui saldi di bilancio, ma sul livello delle spese correnti. Le province ed i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti non possono prevedere per il 2002 un disavanzo in termini di cassa superiore a quello dell’anno 2000 aumentato del 2,5%. Inoltre gli impegni ed i pagamenti di parte corrente non possono avere un incremento superiore al 6% rispetto al 2000. A carico degli enti locali è posto l’obbligo di trasmettere al Ministero dell’Economia e delle Finanze le informazioni concernenti il rispetto del limite dei pagamenti e sugli impegni assunti. – La finanziaria 2003  introduce nuove forme di controllo statale (intestati ai Ministri dell’Economia e delle Finanze e alla Corte dei Conti). I nuovi criteri legati all’evoluzione del saldo finanziario sono: a) la ridefinizione del sistema di calcolo del saldo finanziario programmatico, quale differenza tra le entrate finali e le spese correnti; b) inclusione delle spese in conto capitale nella determinazione del saldo finanziario per l’anno 2003; c) rafforzamento del monitoraggio dei flussi finanziari con l’ulteriore obbligo di verifica delle entrate, delle spese e dei saldi trimestrali; d) coinvolgimento del Collegio dei Revisori nelle verifiche sul rispetto degli obiettivi. Con la finanziaria 2004  gli obiettivi restano quelli del 2003 con l’introduzione di un correttivo per escludere, ai fini del calcolo del saldo finanziario, i maggiori oneri di personale per il biennio contrattuale 2002-2003. La finanziaria 2005 fissa il limite di incremento delle spese complessive per il 2005 al 2,0% rispetto al 2004 ed introduce il criterio della evoluzione controllata delle spese applicato a livello di comparto (Regioni, Province, Comuni, Comunità Montane, Unioni di Comuni e Comunità Isolane) che determina l’obiettivo di saldo in termini di contabilità nazionale. Inoltre assoggetta al Patto anche la spesa in conto capitale, prevedendo la possibilità di eccedere il limite di spesa solo per le spese di investimento e nei limiti dei proventi derivanti da alienazione di beni e da erogazioni a titolo gratuito. Finanziaria 2006. – Il fattore di contenimento su cui gli enti possono intervenire  non sono le spese nel loro complesso, ma distintamente le due tipologie (correnti e in conto capitale): a) le spese di parte capitale possono crescere in misura non superiore all’8,1% rispetto al 2004; b) per le spese correnti è confermato il principio della “virtuosità” per il quale, l’ente che mantiene la propria spesa corrente nella media pro-capite del triennio 2002-2004 della classe demografica di appartenenza gode di una percentuale di riduzione delle spese correnti 2006, al 6,5%, della spesa 2004, in caso contrario la riduzione sale all’8,0%. Viene confermato il sistema di monitoraggio trimestrale dei dati affidato alla Ragioneria Generale dello Stato cui sono soggetti i comuni con più di 20.000 abitanti (e non 30.000 come nel 2005), la competenza dei revisori di procedere alla verifica del rispetto del patto; il sistema delle sanzioni a carico degli enti fuori patto;  l’obbligo di apposita certificazione per poter contrarre mutui o finanziamenti ed effettuare investimenti. Nella Finanziaria 2007 i commi dal 676 al 693 contengono le indicazioni di principio, i termini della riduzione del saldo tendenziale di comparto per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, i vincoli per il triennio 2007-2009, gli adempimenti per il monitoraggio e le conseguenze del mancato rispetto del patto. Il comma 724 istituisce una unita per il monitoraggio e per il controllo indipendente e continuativo della qualità dell’azione di governo per gli enti locali, la cui regolamentazione è rinviata a un successivo DPCM. (Per questa ricostruzione ho consultato lo studio di Antonio Caruso, L’evoluzione del patto di stabilità interno attraverso le leggi finanziarie dal 1999 al 2006 in  http://www.postlaureagiurisprudenza.unimi.it/caruso%20ter.doc).

[15] In particolare il coinvolgimento riguarda il rispetto dei vincoli introdotti a carico di tutti gli Stati membri con il Patto di stabilità e crescita di cui all’articolo 104 del Trattato di Maastricht e alla Risoluzione 17 giugno 1997 del Consiglio europeo di Amsterdam.

[16] Nelle ipotesi in cui l’acquisizione di beni e servizi è effettuata con il sistema del cottimo fiduciario (procedure assimilabili alla trattativa privata), le Amministrazioni sono tenute ad effettuare la comunicazione ex art. 24, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, alla Corte dei conti, ogni volta che il relativo importo superi i 50.000 euro. Il limite di valore di 50.000 euro, introdotto dall’art. 24, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, va considerato come nuova soglia di carattere generale riguardante gli acquisti di beni e servizi indipendentemente dalla forma giuridica della loro acquisizione. Il riconosciuto carattere di generalità della soglia di 50.000 euro comporta, come ulteriore conseguenza, che l’obbligo di comunicazione ex art. 24, comma 5, della medesima legge riguarda anche le procedure in economia per l’acquisizione di beni e servizi, da ultimo disciplinate con D.P.R. 20 agosto 2001, n. 384, il quale ne consente l’utilizzazione fino al limite di importo di 130.000 euro (IVA esclusa).

[17] F. STADERINI, Il controllo sulle regioni e gli enti locali nel nuovo sistema costituzionale italiano, in http://eca.europa.eu/press/speeches/docs/2003/staderini_260903it.pdf (Relazione tenuta il 26 settembre 2003). Secondo Staderini (Presidente della Corte dei Conti) le ragioni per cui non si è seguito in Italia il modello degli altri Stati europei vanno ricondotte ad alcune peculiarità del nostro ordinamento: a) la posizione costituzionale di pari dignità riconosciuta a comuni e province rispetto alle regioni; b) la connotazione solidaristica del nostro sistema, che postula la gestione del fondo perequativo previsto dall’articolo 119 Cost. da parte di un soggetto estraneo alle stesse amministrazioni (regionali) dalle quali il fondo è alimentato; c) la constatazione di inconvenienti registrati nei Paesi in cui si è adottato il modello regionale (conflitti di competenza, disomogeneità dei referti…); d) la professionalità ed indubbia indipendenza dal potere politico della Corte dei conti ; e) la possibilità di comparazione tra l’operato delle diverse amministrazioni nello svolgimento della stessa funzione

[18] L’attribuzione è avvenuta con la legge n. 131/2003 che ha affidato alla Corte il compito di riferire al Parlamento sul rispetto complessivo degli equilibri di bilancio da parte degli enti di autonomia ed ha previsto l’istituzione in ogni capoluogo di regione di una sezione regionale di controllo della Corte per effettuare verifiche non solo finanziarie, ma sulla gestione amministrativa degli enti territoriali.

[19] Vedi F. staderini, Il controllo sulle regioni e gli enti locali nel nuovo sistema costituzionale italiano (op. cit.).

[20] Vedi, a proposito  della vis espansiva della Corte, la sentenza n. 356/2005 che riconduce nella della Corte anche l'attività gestionale degli amministratori privati che gestiscono risorse pubbliche. In particolare la Corte ritiene sindacabile l'attività gestionale di natura discrezionale degli amministratori delle spa quando, contravvenendo a criteri di efficacia ed economicità, si concreti in abusi, arbitri od omissioni produttive di danno patrimoniale alla società, ma anche quando contrasta o sia estranea ai fini pubblici che la società, per la sua caratura pubblicistica, deve perseguire.

[21] S. Pozzoli, Il sistema di controlli negli enti locali in www.anci-toscana.it/4-conv-formativi/ControlliANCI.pdf . L’autore osserva che sul mondo delle autonomie locali grava, nonostante la riforma del titolo V della Costituzione, un sistema di controlli esterni tanto pesante quanto inefficace, di cui sono prova le decine di richieste di informazioni, con finalità più o meno ispettive o anche solo meramente ricognitive e informative, che pervengono da autorità centrali (oltre alla Corte dei Conti, anche il Ministero dell’Interno, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero dell’Interno, il Dipartimento Funzione Pubblica, l’Alto Commissariato per la Prevenzione contro la Corruzione nelle PA, l’Istat e molti altri enti).

[22] Vedi a questo riguardo l’esperienza  delle province di Milano e di Brescia e, in particolare, l’esperienza della Provincia di Lecce, di cui dà conto Simona D’Ambrosio nel saggio I controlli interni sugli atti negli enti locali: riflessioni, esperienze e prospettive (citato).

[23]  Vedi TAR Lombardia, sede Milano, I, 22 febbraio 2002, n. 775.

[24]  Vedi T.A.R. Lombardia, sede Milano, III – sentenza 6 maggio 2004, n. 1622 e  TAR Abruzzo, Pescara, sentenza 4 novembre 2004, n. 877.

[25] Dlgs n. 165/2001, articolo 14, comma 3. “Il Ministro non può revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti. In caso di inerzia o ritardo il Ministro può fissare un termine perentorio entro il quale il dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti. Qualora l'inerzia permanga, o in caso di grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente competente, che determinano pregiudizio per l'interesse pubblico, il Ministro può nominare, salvi i casi di urgenza previa contestazione, un commissario ad acta, dando comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri del relativo provvedimento. Resta salvo quanto previsto dall'articolo 2, comma 3, lett. p) della legge 23 agosto 1988, n. 400. Resta altresì salvo quanto previsto dall'articolo 6 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni ed integrazioni, e dall'articolo 10 del relativo regolamento emanato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635. Resta salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimità. “

[26] M. CAMMELLI, Riforme amministrative e riforma dei controlli, in M. CAMMELLI (a cura di), Il sistema dei controlli dopo il dlgs. 286/1999, Rimini, 2001, 9 ss.

[27] Cfr. A. R. TASSONE, I controlli sugli atti degli enti locali nelle leggi n. 59 e n. 127 del 1997, in Dir. Amm., 1998, 62

[28] V. CERULLI IRELLI E F. LUCIANI, I principi generali, in E. F. SCHLITZER (a cura di), Il sistema dei controlli nelle pubbliche amministrazioni, Milano, 2002, 1 ss.

[29] S. Pozzoli, Il sistema di controlli negli enti locali in www.anci-toscana.it/4-conv-formativi/ControlliANCI.pdf  osserva opportunamente che una ragione della esiguità di risultati  in termini di efficacia del controllo di gestione è che esso è entrato nella pubblica amministrazione per forza di legge e non per esigenza interna. Se per il legislatore il controllo è stato un vettore di innovazione, è stato percepito come l’ennesima imposizione normativa e non come un necessario strumento di lavoro.

[30] La cronaca recente  ha dato conto di situazioni di gravi irregolarità di gestione e di vere e proprie illiceità amministrative, tra cui spicca quella del Comune di Taranto, dove la situazione gravemente deficitaria dell’ente è stata attribuita dal sostituto procuratore del Tribunale di quella città  ad amministratori e funzionari accusati a vario titolo di falso ideologico in atto pubblico in relazione alla stesura e all'approvazione dei bilanci dell’ente e dell’attività determinativa dei dirigenti.

[31] S. Pozzoli, Il sistema di controlli negli enti locali (opera citata) “…se è vero che i controlli esterni si sono dimostrati spesso inefficaci,  altrettanto si deve riconoscere per quanto riguarda quelli interni.  È del tutto condivisibile la tesi di chi sostiene che attraverso i controlli interni «si esplica l’autonomia dell’ente». Il punto, però, è come renderne effettivo il loro dispiegarsi. A parere di chi scrive, è perfino da mettere in discussione, almeno per certi aspetti, la dicotomia tra controlli interni ed esterni. Essi, infatti, non sono altro che due facce della stessa medaglia, almeno nel senso che dall’efficacia dei primi dipende la profondità dei secondi. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che in un ambiente dove non esiste il «faro» del risultato economico e che si muove in un contesto monopolista è pressoché inevitabile che gli stimoli all’efficienza debbano essere esogeni. La sollecitazione verso il buon andamento, pertanto, - a meno che non si voglia fare un generico appello ai «buoni sentimenti» degli amministratori pubblici - deve venire dall’esterno, e di questo si deve fare quindi carico anche e soprattutto il controllo «esterno» e quindi la Corte dei Conti, prima che vi provveda l’elettorato, ove ne acquisti consapevolezza. Il rischio, in caso contrario, è quello di avere un mondo delle autonomie locali assolutamente al di fuori delle logiche della economicità e perfino della regolarità, e questo non può essere l’obiettivo perseguibile, dal momento che non corrisponde né al rispetto dell’interesse generale, né a quello degli amministratori degli enti locali”.

[32] Simona D’Ambrosio, I controlli interni sugli atti negli enti locali: riflessioni, esperienze e prospettive (opera citata) correla la competenza delle fonti locali in materia di controlli alla previsione della legge n. 131/03, articolo 4, secondo comma, che attribuisce alla potestà locale di stabilire “le forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare”. 

[33] La disapplicazione dell’articolo 127 del TUEL non è dovuta all’abrogazione dell’articolo 130 cost. e  alla soppressione dei CoReCo, perché lo schema procedimentale ivi previsto non è del tutto esterno e dunque, per la competenza residuale del difensore civico, potrebbe astrattamente sopravvivere all’abrogazione. La sua disapplicazione è piuttosto conseguenza del depauperamento dei contenuti deliberativi ivi previsti in capo agli organi collegiali (appalti e affidamento di servizi o forniture di importo superiore alla soglia comunitaria e assunzioni del personale) oggi riferibili alla esclusiva competenza dirigenziale.

[34] Un’ipotesi di scrittura regolamentare della procedura indicata può essere la seguente:

“1. L’esecutività delle determinazioni dei dirigenti è sospesa, limitatamente ai rilievi sollevati, quando un assessore o un consigliere dell’ente ne faccia richiesta scritta e motivata al difensore civico, entro due giorni dalla firma del provvedimento.

2. Sono soggette alla procedura di cui al comma precedente le determinazioni riguardanti: a) appalti e affidamento di servizi o forniture;  b) compensi al personale interno;  c) incarichi esterni; d) contributi finanziari.

3. La richiesta dell’amministratore interrompe la esecutività della determinazione, relativamente agli effetti non ancora prodotti.

4. La verifica del difensore civico è effettuata, su istruttoria della segretaria generale, nei cinque giorni successivi alla richiesta. Il difensore civico, nel caso dìa riscontro positivo ai rilievi, ne dà comunicazione all’organo di vertice e al dirigente interessato, invitando quest’ultimo a conformasi. Se il dirigente non ritiene i rilievi accoglibili, è tenuto ad informarne entro tre giorni il difensore civico, il quale ne prende atto ovvero, ovvero ritenga persistere le ragioni di perplessità trasmette la pratica al Sindaco/presidente per le determinazioni di sua competenza.

5. Il Sindaco/Presidente nei due giorni successivi si pronuncia definitivamente sulla conferma della determinazione o la annulla per motivi di illegittimità. “


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