![]() ![]() |
|
Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog |
|
n. 7-8/2006 - ©
copyright
PIETRO G. SCARABINO*
La revoca assessorile
Premessa.
Da quando la riforma degli enti locali ha reso la carica di assessore comunale non più per elezione ma per nomina (sindacale o presidenziale), la sua revoca è diventata un argomento dapprima ignorato, poi, piano piano, timidamente accennato, infine tema fortemente dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza con posizioni tutt’altro che univoche e convergenti.
Una corrente di pensiero tende a ricondurre la revoca assessorile nell’area dei “provvedimenti amministrativi”, pertanto soggetta alle regole procedimentali della trasparenza, motivazione, partecipazione, accessibilità e censurabilità.
Altra corrente di pensiero colloca la revoca nel novero dei cosiddetti “atti politici” e, come tali, insindacabili.
Entrambe sono frutto di quello che è chiamato “diritto vivente”: il “diritto” fondato sulla logica, sulla prassi e sul ragionamento giurisprudenziale. Ma ne dimenticano la fonte dottrinaria dalla quale è più giusto partire.
La revoca si risolve nella eliminazione del precedente atto e, quindi, nella conseguente inidoneità a produrre ulteriori effetti. Ancora: costituisce una attività di riesame per una rinnovata e diversa valutazione del pubblico interesse. Come tale è un “provvedimento di amministrazione attiva” che si inserisce nei procedimenti amministrativi di secondo grado, ovvero quelli che hanno per oggetto un precedente provvedimento.
Tali provvedimenti costituiscono dei rimedi a disposizione dell’Amministrazione per verificare la rilevanza delle deficienze, sul piano della legittimità o del merito, di precedenti provvedimenti. Costituisce, pertanto, uno dei tipici mezzi di autotutela spontanea (o ius poenitendi) attribuito dall’ordinamento, in linea di principio, ad ogni organo della pubblica amministrazione che, in piena autonomia e con procedimenti interni, adegua la sua azione alla cura ed al soddisfacimento delle ragioni di pubblico interesse al quale è preordinata la sua attività. Ne deriva che non è necessario che tale potestà sia espressamente prevista dalle disposizioni che disciplinano l’atto da revocare e che l’esercizio della stessa non necessita di alcun intervento esterno.
Il riesame dell’atto emanato non ha l’obiettivo vincolato di eliminare una difformità dall’interesse pubblico e dai principi generali che debbono informare l’attività amministrativa in genere, né configura alcun obbligo a rimuovere una inopportunità; ma tende ad adeguare la situazione giuridica alle nuove esigenze dell’interesse pubblico: implica, pertanto, una valutazione di attualità che colloca l’attività di riconsiderazione nella sfera della discrezionalità. Diventa, quindi, un provvedimento amministrativo vero e proprio in quanto espressione, manifestazione della volontà dell’autorità volta al soddisfacimento di un interesse pubblico contestualizzatosi ed attualizzatosi concretamente in un certo momento della vita sociale ovvero nel rapporto diretto tra autorità ed amministrati.
Questo rapporto realizza sempre la costituzione di un determinato ordine di interessi in capo ai privati, per cui l’atto che ne modifica (cioè: revoca) l’assetto deve contenere una trasparente, adeguata e diffusa motivazione che spieghi i motivi che consigliano l’eliminazione o ritiro del precedente atto: motivi seri, obiettivi e concludenti che pongano in particolare evidenza le ragioni di pubblico interesse che lo portano ad operare nella sfera giuridica di soggetti di cui modifica posizioni giuridicamente rilevanti.
Invero, alla revoca l’Amministrazione perviene quando, dopo l’emanazione dell’atto, sopraggiungono fatti, valutazioni o ragioni nuove che danno luogo ad un contrasto e ne consigliano una prevalente riconsiderazione diversa dell’originario interesse pubblico.
Ciò posto, va stabilito quale sia la natura della revoca dell’assessore: cioé, se rientra nel novero dei “provvedimenti amministrativi” come tali censurabili, o se sia un cosiddetto “atto politico” come tale presuntamene insindacabile. Invero non c’è differenza perché gli uni e gli altri sono variamente aggredibili.
Comunque, hanno natura politica solo gli atti che sono riferibili ad organi costituzionali dello Stato, collegati immediatamente e direttamente alla Costituzione ed alle leggi costituzionali, nei quali si estrinsecano l’attività di direzione suprema della cosa pubblica e l’attività di coordinamento e controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si esprime nel rispetto degli interessi del regime politico canonizzati dalla Costituzione.
Di conseguenza, i provvedimenti di revoca (come quelli di nomina) di un vertice amministrativo (quale indubbiamente è quello di assessore, co-management generale della cosa pubblica territoriale, ancorché, non necessariamente, preposto ad uno o più settori della stessa) rientrano non già nell’ambito degli atti squisitamente politici, ma nella distinta categoria degli atti di “alta amministrazione” che costituiscono il primo grado di attuazione dell’indirizzo politico in campo amministrativo.
Tali incarichi, che pure assolvono ad una funzione di raccordo tra la funzione di governo e la funzione amministrativa, ineriscono all’attività amministrativa dell’esecutivo (nel caso specifico: territoriale) e sono quindi censurabili, non diversamente da tutti gli atti amministrativi che coinvolgono posizioni di interesse legittimo (art. 113 Costituzione) e - diversamente dagli atti politici - non sono liberi nella scelta dei fini, ma sono legati, pure nell’ampia discrezionalità che caratterizza l’alta amministrazione, ai fini segnati dall’ordinamento giuridico. La Costituzione italiana, invero, “indica con chiarezza che il principale collegamento tra la sovranità popolare e l’esercizio delle funzioni giurisdizionale e amministrativa sta nel principio della legalità:[…]la riserva di legge, considerata relativa, in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione costituiscono invero […] il titolo di legittimazione per l’esercizio delle funzioni loro attribuite […] Il principio di legalità, coniugato con quello della sovranità popolare, non solo impone […] agli amministratori il rispetto delle norme legislative, ma richiede allo stesso legislatore di circoscrivere i poteri discrezionali, sì che il loro esercizio possa ricondursi direttamente alla legge” [1].
Ne discende che per integrare la nozione dell’atto politico, legislativamente previsto dall’art. 31 del Regio Decreto 26.06.1924 nr. 1054 (Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato), debbono concorrere due requisiti: l’uno soggettivo e l’altro oggettivo, ovvero che da un lato che si tratti di atto o provvedimento emanato dal Governo, dall’altro che si tratti di atto o provvedimento emanato nell’esercizio di potere politico, e non di attività meramente amministrativa [2].
Orbene, la revoca assessorile non contiene né l’uno né l’altro di tali requisiti: appartiene, infatti, all’attività propria del Sindaco e del Presidente della Provincia e non del Governo; e, per quanto permeata da valutazioni di opportunità politico-amministrativa, è in realtà un provvedimento squisitamente amministrativo [3], come sorregge, peraltro, il TUEL che assegna al Sindaco ed al Presidente della Provincia funzioni squisitamente amministrative, riservando quelle “politiche” di indirizzo ai rispettivi consigli [4].
E’ ancora la giurisprudenza, nel rammentare che l’attuale sistema dei governi locali incardina in capo al Sindaco ed al Presidente della Provincia il potere di nominare gli assessori [5], a precisare che la norma, tuttavia, non individua criteri predeterminati, né particolari modalità per esercitare tale potere di scelta e revoca degli assessori. L’assoluta (quasi [6]) specularità del potere di revoca rispetto a quello di nomina induce ad affermare che entrambi poggiano sullo stesso presupposto di natura squisitamente fiduciaria, ma non astratta. Per questo, così come è stato affermato che l’atto di nomina deve essere inquadrato nella categoria degli atti a contenuto altamente discrezionale - insindacabile sotto il profilo della legittimità, se non per le limitazioni legali di al Capo II del T.U.E.L. sulla incandidabilità, ineleggibilità ed incompatibilità - altrettanto è razionalmente riconoscibile per l’atto di revoca al quale non è attribuibile, per inciso, alcuna natura sanzionatoria [7].
Nel ripercorrere la giurisprudenza formatasi, nel tempo, sull’argomento, v’è da annotare che nell’ordinamento degli enti locali, come indeffettibile principio generale, la revoca dalle cariche deve essere motivata con esclusivo riferimento al parametro del cattivo esercizio della funzione propria dell’ufficio e ad una congrua motivazione che, pur nel giudizio di opportunità o necessità rimesso ad una valutazione ampiamente discrezionale, dimostri, tuttavia, la caduta plateale del rapporto fiduciario e la sussistenza di un interesse generale che ne giustifica l’adozione di fronte al quale il sindacato di legittimità - per quanto confinato in ambiti assai ristretti rivolti a verificare essenzialmente i profili formali e procedimentali e la congruenza tra l’atto ed i presupposti assunti a sua giustificazione [8] - può esplicarsi sotto l’aspetto dell’evidente arbitrarietà e non può spingersi oltre la manifesta illogicità ed ingiustizia e l’evidente travisamento dei fatti nella loro oggettività posti a base dell’atto [9].
Più specificamente, in materia di revoca di assessori comunali e provinciali, pur sussistendo una lata discrezionalità, che – ad ogni buon conto – contiene pur sempre dei limiti [10], sussiste, sempre e comunque, il dovere di una puntuale specificazione delle cause che hanno fatto venire meno il rapporto di carattere fiduciario [11] e di giustificare l’esercizio del relativo potere che non può certamente essere arbitrario in quanto deve essere rivolto a curare gli interessi della comunità-ente locale secondo il programma politico-amministrativo sulla cui base è intervenuto il voto popolare [12]. Insomma, la revoca di ogni singolo componente la Giunta comunale o provinciale, al fine di assicurare la funzionalità dell’ufficio assessorile, richiede concretezza e specificità di addebiti (da contestare formalmente) in ordine al compimento di atti contrari e leggi o regolamenti, idonei a pregiudicare il pubblico interesse, o nella scorretta e non utile gestione dell’ufficio (secondo criteri di merito e di opportunità) [13].
E, per quanto l’atto di revoca possa basarsi su ampie valutazioni di opportunità politico-amministrative rimesse in via esclusiva al Sindaco ed al Presidente della Provincia tenendo conto sia di esigenze di carattere generale, sia di particolari esigenze di maggiore operosità ed efficienza di specifici settori dell’amministrazione locale o per l’affievolirsi del rapporto fiduciario [14] tra il capo dell’amministrazione e singolo assessore, resta indubbio che – per effetto della trasparenza e pubblicità di cui gode ogni angolo dell’attività della pubblica amministrazione – il provvedimento debba contenere specificamente tali riferimenti così esaurendo l’obbligo della puntuale motivazione propria di ogni atto-provvedimento amministrativo[15].
Anche se non manca qualche pronunzia che esclude del tutto l’obbligo di motivazione [16] - che cede di fronte alla precisa e puntuale previsione della norma - e l’insincabilità della revoca in quanto atto di natura squisitamente politica che si fonda su un rapporto fiduciario diretto e riposa su presupposti connessi a valutazioni di opportunità politico-amministrativa rimesse in via esclusiva al Sindaco ed al Presidente della Provincia [17], l’intero impianto normativo che regola l’ordinamento degli enti locali prevede che tutti gli atti del Sindaco e del Presidente della Provincia precisino le specifiche cause che lo giustificano [18]: ne consegue il corollario logico della loro collocazione nell’ambito dell’intero impianto dei criteri generali che regolano ogni procedimento amministrativo secondo la legge 241/90 per quanto attiene all’obbligo di rispondere a criteri di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza, nel cui ambito trova ulteriore ammissione ogni provvedimento di revoca [19].
Sicché, per quanto la norma preveda che la revoca si limiti ad esigere solo una motivata comunicazione al Consiglio, alla stessa revoca va annessa l’intera procedura prevista per “ogni provvedimento amministrativo” [20]: quindi non solo con il reiterato obbligo della motivazione [21], ma anche con l’obbligo della notificazione all’interessato - con l’indicazione del termine e dell’autorità cui è possibile ricorrere [22] - e della sua partecipazione alla definizione del provvedimento (di revoca) finalizzata all’alta legittimità e giuridicità del provvedimento stesso [23].
In base ai principi garantistici introdotti dalla legge 241/90, infatti, anche nei casi delle revoche assessorili, gli interessati devono essere posti in grado di far conoscere il proprio punto di vista al fine di permettere di meglio effettuare una ponderata comparazione degli interessi coinvolti e, quindi, di consentire, in definitiva, una più efficace valutazione della migliore soddisfazione dell’interesse pubblico principale a fronte degli interessi – pubblici e privati – eventualmente coesistenti[24].
Una delle accuse che maggiormente si rivolge al sistema giudiziario italiano è quello di essersi sostituito, nel tempo, al “potere legislativo” nel dettare regole e norme in forza di una carenza, per l’appunto, legislativa, ricorrendo ad interpretazioni ed a logicismi più o meno tortuosi e realmente razionali che confermano, peraltro, come il “diritto”, al contrario di quanto sostiene qualche asceta autoreferenziale, non è una “scienza” ma una “disciplina” fondata sulla logica filosofica [25] .
La diversità di pensiero che si registra in materia di revoca dell’assessore risente di una indubbia carenza legislativa alla quale tenta di supplire il giudice. Nel contrasto fra le due teorie, appare condivisibile l’indirizzo, indubbiamente più razionale, favorevole a considerare la revoca come un atto provvedimentale di (alta) amministrazione che, ancorché connotato anche di considerazioni politiche rimesse all’ampia (ma non illimitata) discrezionalità dell’autorità emanante, resta comunque soggetto alla disciplina della motivazione e partecipazione.
Per quanto il legislatore non abbia normato l’istituto della revoca, questa deve essere, comunque, conforme ai principi generali inderogabili dell’ordinamento che segnano i confini dell’autonomia di tutte le amministrazioni pubbliche (enti locali compresi).
Per poter valutare correttamente la conformità della revoca ai principi sopra esposti, è necessario rifarsi alla natura giuridica della stessa che è, e resta, un atto avente natura amministrativa e non politica. Tale natura è desumibile dal ruolo chiaramente istituzionale-amministrativo e non politico dell’assessore la cui funzione operativa ne disegna un ruolo senza ombra di dubbio di amministrazione (peraltro attiva) e non politico. Amministrativa è, quindi, l’atto di nomina come quello di revoca. Ciò è confermato dal fatto che la legge ne consente la sostituzione.
L’atto, ancorché dotato di ampia discrezionalità, è, pertanto, soggetto alle censure tipiche e proprie di ogni provvedimento amministrativo non solo sulla regolarità formale, ma anche sui motivi che stanno alla base della decisione, ovvero per vizi di merito e di legittimità per incompetenza, eccesso di potere, sviamento di potere, illogicità manifesta, contraddittorietà, difetto di motivazione, errore, travisamento, dolo, violenza e violazione di legge.
(*) Viceprefetto aggiunto - Capo di Gabinetto Prefettura di Gorizia.
[1] TAR Lazio, Sez. II Ter, sent. 08.04.2003 nr. 3276
[2] Ex plurimis: Cons. St., Sez. IV, sent. 29.12.96 nr. 217 e TAR Roma, Sez. III Ter, 01.08.205 nr. 6068
[3] Farina V.: “La natura del provvedimento di revoca dell’assessore comunale e provinciale e la sua sindacabilità in giudizio” in Altalex.it, 18.04.2006
[4] V. artt. 3 e 50 del TUEL
[5] Art. 46 del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali: “…il Sindaco ed il Presidente della Provincia nominano i componenti della Giunta…e ne danno comunicazione al Consiglio (comma secondo)…Il Sindaco ed il Presidente possono revocare uno o più assessori, dandone motivata comunicazione al Consiglio” (comma quarto). In dottrina: Toscano A.L.M., “Sulla natura giuridica degli atti di nomina e revoca degli assessori comunali e provinciali” in Rivista Amministrativa, 9/2001; e, con riferimento alle nomine: Endici G., “Il potere di scelta. Le nomine tra politica ed amministrazione”, Bologna, 2000
[6] La nomina è soggetta alla sola comunicazione, mentre la revoca richiede una motivata comunicazione.
[7] TAR Valle d’Aosta, sent. 14.05.99 nr. 88; Cons. St., Sez. V, sentt. 03.03.2004 nr. 1042, 08.03.2005 nr. 944
[8] In dottrina: Olivieri L., La nomina e la revoca degli assessori comunali come provvedimenti amministrativi, in Giust. It., Luglio 2003. In giurisprudenza: TAR Puglia – Lecce, Sez. II, sent. 14.07.2003 nr. 4740; Cons. St., Sez. V, sent. 03.03.2004 nr. 1042; TAR Abruzzo – L’Aquila, sent. 01.07.2004 nr. 805
[9] In dottrina : Carparelli O., “Verso la piena sindacabilità del provvedimento di revoca degli assessori comunali”, in LexItalia.it nr. 10/2003. In giurisprudenza: TAR Umbria, sent. 25.10.2003 nr. 820; Cons. St., Sez. V: sentt. O6.06.2002 nr. 3187, 11.02.2003 nr. 3408, 03.03.2004 nr. 1042 e 08.03.2005 nr. 944
[10] Sulla definizione e sui limiti della discrezionalità in dottrina e giurisprudenza vedasi anche “La discrezionalità della Pubblica Amministrazione” di P.G. e S. Scarabino in L’Amministrazione Italiana, nr. 2 - Febbraio 2002
[11] Cons. St., Sez. V, ord. 539/2000; TAR Calabria – Catanzaro, sent. 15.01.2002 nr. 13
[12] Cons. St., Sez. V, sent. 08.03.2005 nr. 944 e TAR Friuli – Venezia Giulia, sent. 16.12.2005 nr. 1075
[13] TAR Toscana, Sez. I, sent. 12.07.91 nr. 3999
[14] TAR Friuli Venezia – Giulia, sent. 16.12.2005 nr. 1075
[15] TAR Veneto, Sez. I, sent. 21.01.2006 nr. 104 e Cons. St., Sez. V, sent. 06.03.2006 nr. 1052 confermativa della sentenza TAR Calabria – Catanzaro, Sez. II, nr. 2063/2003
[16] TAR Abruzzo – L’Aquila, sent. 01.07.2004 nr. 805
[17] TAR Puglia – Bari, Sez. I, sent. 10.06.2002 nr. 2772 e TAR Liguria, Sez. I, sent. 07.12.2004 nr. 1600. Ma così anche una isolata e discutibile dottrina: Coscia A., In tema di revoca degli assessori comunali in Lo Stato Civile Italiano, Novembre 2005: “…la carica di assessore ha fonte in un atto fiduciario del Sindaco e non trova fondamento negli istituti di elettorato passivo per cui vi è un vero e proprio diritto alla carica. …L’atto di revoca non è un atto amministrativo discrezionale o vincolato ed è assolutamente “arbitrario” nel senso di assoluta discrezionalità potestativa del Sindaco che non trova causa nell’interesse pubblico. …Il provvedimento di revoca non appartiene agli atti amministrativi discrezionali, vincolati o provvedimentali, trattandosi di un mero negozio di determinazione personale, addirittura non cadente nel diritto amministrativo o situazioni disciplinate dalle norme o principi del diritto amministrativo, di guisa che il Sindaco non è tenuto a valutare la convenienza della determinazione in base a criteri che soddisfino interesse pubblico o dell’Ente cui è preposto, ma solo l’interesse della politica programmatoria…l’atto di nomina e di revoca di un assessore è un negozio privato di assolta ed esclusiva potestà insindacabile del Sindaco nell’ambito dei poteri personalissimi ad esso accordati dal diritto pubblico nell’attuale assetto istituzionale, con la conseguenza che tale negozio genera un rapporto fiduciario fra Sindaco ed assessore che non ha una causa meritevole di rilevanza, di guisa che trattasi di un rapporto di mero fatto e di interessi semplici e non un rapporto giuridico protetto, mancando un ordine di obblighi reciproci.”
[18] In particolare: l’art. 50/8 del TUEL (nomina a revoca dei rappresentanti); art. 108 (nomina e revoca del direttore generale); art. 100 (revoca del segretario); art. 109 (revoca degli incarichi dirigenziali)
[19] Art. 21-quinquies della legge 07.08.1990 nr. 241 aggiornata con le modifiche introdotte dalle leggi 15/2005 e 80/2005): “Per sopraggiunti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge.” Ma così anche la giurisprudenza: TAR Abruzzo – L’Aquila, sent. 01.07.2004 nr. 805; Cons. St., Sez. V, sent. 08.03.2005 nr. 944.
[20] Art. 3, comma uno, legge 241/90
[21] In dottrina: Vendelli L., Tessaro T., Vassallo S. in “Organi e sistema elettorale”, Rimini, 2001. In giurisprudenza: TAR Puglia – Lecce, Sez. II, 14.07.2003 nr. 4740. “Sebbene l’atto di revoca da parte dei Sindaco di un assessore comunale risulta caratterizzato da una ampia discrezionalità, in quanto attiene al rapporto fiduciario tra Sindaco ed assessore, e nonostante il sindacato del Giudice Amministrativo sull’atto sindacale di revoca dell’assessore comunale vada confinato in ambiti assai ristretti, rivolti essenzialmente a verificare i profili formali e procedimentali della revoca, così come disciplinati dalla Legge e dallo Statuto, è necessario che tale atto sia fornito da una sufficiente motivazione, la quale richiami i presupposti assunti a sua giustificazione (secondo i principi generali e l’espressa previsione dell’art. 46/4 D.Lgs. 267/2000 e dell’art. 20/3 dello Statuto, che impongono al Sindaco di dare “motivata comunicazione” della revoca al Consiglio Comunale)”.
[22] Art. 3, comma quattro, legge 241/90.
[23] Capo III della legge 241/90. In dottrina: Farina F., “La natura del provvedimento di revoca dell’assessore comunale e provinciale e la sua sindacabilità in giudizio” in Altalex.it, 18/04/2006. In giurisprudenza: TAR Puglia – Lecce, Sez. II, sent. 14.07.2003 nr. 4740: “…sempre dal punto di vista formale si osserva che la natura di rapporto fiduciario consente al Sindaco di revocare in qualsiasi momento l’atto di nomina ad Assessore, ma l’obbligo o meno di far precedere l’atto di revoca da una comunicazione di avvio del procedimento di revoca ai sensi della L. n. 241/1990 trova applicazione anche nella fattispecie in esame…”. Ma la mancata comunicazione-notificazione della revoca all’interessato - o della presenza di eventuali irregolarità intervenute in esse o, ancora, la mancata indicazione dei termini o dell’autorità a cui eventualmente ricorrere - sono irrilevanti ai fini della validità del provvedimento stesso, costituendo mere irregolarità che, al più, e nel corso di significative ulteriori circostanze, possono dar luogo alla concessione del beneficio della rimessione in termini (TAR Veneto, Sez. I, sent. 21.01.2006 nr. 104)
[24] TAR Friuli – Venezia Giulia: sentt. 21.02.2004 ne. 47 e 20.05.2005 nr. 478; nonché TAR Puglia – Bari, Sez. II, sent. 01.04.2004 nr. 1696: “E’ ammissibile l’utilità sostanziale della partecipazione con l’esposizione di contrapposti elementi tali che, acquisiti dal Sindaco, possono orientare diversamente la formazione del convincimento fondante la revoca. L’atto deve dare sufficiente evidenziazione – sia nel documento di revoca che in occasione della sua comunicazione al Consiglio comunale – delle ragioni sottese alla decisione enucleandole nei pressanti condizionamenti partitici gravanti sui componenti la Giunta ritenuti (ragionevolmente, sul piano della valutazione causa-effetto) di ostacolo per l’attuazione del programma politico….L’atto di revoca degli assessori comunali deve scontare un positivo giudizio di congruità in ordine al rapporto scopo-funzione da renderlo immune dai vizi di eccesso di potere”.
Com’è noto, l’impianto della legge 241/90 impone l’obbligo della comunicazione del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che possano subirne pregiudizio. Il dettato normativo ha superato il modulo di definizione unilaterale del pubblico interesse, con conseguente riserbo ad escludendum ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente difficile la tutela amministrativa e giurisdizionale degli interessati, introducendo il sistema della democraticità delle decisioni e della accessibilità dei documenti amministrativi (Cons. St., Ad. Plen., 15.09.99 nr. 14). L’obbligo di comunicazione si fonda sulla duplice esigenza di porre i destinatari dell’azione amministrativa in grado di far valere i propri diritti di accesso e di partecipazione e di consentire all’Amministrazione di meglio comparare gli interessi coinvolti e di meglio perseguire l’interesse pubblico principale, a fronte degli altri interessi pubblici e privati eventualmente coinvolti (Cons. St., Sez. IV, 25.09.98 nr. 569). A tal fine, la comunicazione incide sulla sufficienza della motivazione in quanto, mentre consente agli interessati di presentare memorie scritte e documenti, nel contempo impone all’Amministrazione l’obbligo di valutare i contributi presentati dai partecipanti. Ne consegue che l’adeguatezza dell’istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari siano stati messi in condizione di contraddire (Cons. St., Ad, Plen., 15.09.99 nr. 14). La violazione del dettato normative rivela anche sotto il profilo civilistico, essendo stata ritenuta una inosservanza grave “in quanto la norma concerne un presidio minimo di garanzia partecipativa e richiede uno sforzo minimo dell’Amministrazione” (Cons. St., Sez. IV, sente. 14.06.2001 nr. 3169). Infine, poiché l’onere dell’Amministrazione di assicurare l’effettiva partecipazione dei soggetti costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico, ogni disposizione che limiti o escluda tale partecipazione va interpretata in modo rigoroso al fine di evitare che si vanifichi o si escluda il principio stesso (Cons. St., Sez. IV, sent. 25.09.98 nr. 569).
[25] Attività suppletiva o sostitutiva che risente di quello spiritoso dettame che, sottovoce, si insegna nelle università secondo il quale “la legge s’interpreta per gli amici e si applica per i nemici”