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Articoli e note

n. 7-8/2004 - © copyright

FABIO SAITTA
(Straordinario di Diritto amministrativo
nella Facoltà di Giurisprudenza di Catanzaro)

Tanto tuonò che piovve: riflessioni (d’agosto) sulla giurisdizione esclusiva ridimensionata dalla sentenza costituzionale n. 204 del 2004

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Sommario: 1. Premessa. – 2. Il significato complessivo della pronuncia tra le aspettative della dottrina ed i precedenti orientamenti della Corte. – 3. Le concrete conseguenze della sentenza costituzionale sull’art. 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998. – 4. I probabili scenari e la crescente incertezza del diritto, specie in punto di giurisdizione. – 5. La necessità che il giudice amministrativo del risarcimento del danno si «civilizzi» davvero.  

 

1. Un mese e mezzo, ricadente peraltro nel pieno della pausa estiva, costituisce un lasso di tempo del tutto insufficiente per una disamina davvero approfondita e meditata di una pronuncia così importante come la sentenza costituzionale n. 204 del 6 luglio scorso: è soltanto il cortese invito ad un seminario bolognese del prossimo settembre che stimola, quindi, queste brevi riflessioni, che traggono spunto anche dai primi commenti dottrinali e dalle prime applicazioni giurisprudenziali dei principi enunciati dal Giudice delle leggi.

In particolare, ci pare utile soffermarsi sui seguenti aspetti: a) il significato complessivo della sentenza, alla luce sia del pregresso dibattito dottrinale che dei più recenti orientamenti della stessa Corte costituzionale; b) le conseguenze concrete che la pronuncia costituzionale dovrebbe avere sull’applicazione delle disposizioni dichiarate parzialmente incostituzionali e conseguentemente rimodulate (la nostra disamina sarà peraltro limitata all’art. 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998); c) gli scenari che si aprono e le possibili soluzioni per arginare la crescente incertezza del diritto, specie in punto di giurisdizione; d) la necessità che il giudice amministrativo del risarcimento del danno (lo sguardo è qui puntato sull’art. 35) si «civilizzi» davvero.

2. In un saggio pubblicato alcuni mesi prima dell’intervento della Corte costituzionale [1] avevamo evidenziato l’esigenza che la «specialità» della giurisdizione esclusiva ritrovasse la propria identità, smarrita a seguito delle recenti riforme del 1998/2000, che hanno profondamente inciso sul sistema di riparto della giurisdizione a Costituzione invariata. Convinti del fatto che tale giurisdizione debba avere una ratio giustificativa della deroga all’ordine costituzionale delle competenze, avevamo tentato di individuare quel valore di specificità che deve connotare l’assoggettamento di determinati rapporti al sindacato esclusivo del giudice amministrativo ponendo almeno due “paletti”: secondo l’attuale dettato costituzionale (che non è detto sia il migliore possibile), la cognizione sui diritti soggettivi è, di regola, riservata al giudice ordinario; per non vanificare la conseguente specialità della giurisdizione esclusiva occorre intenderla in modo pregnante, individuando con il massimo rigore gli elementi che ne giustificano l’istituzione.

Muovendo da queste premesse, avevamo manifestato il nostro dissenso dalla recente impostazione dottrinale secondo cui la discrezionalità del legislatore ordinario non incontrerebbe limiti né qualitativi né quantitativi, notando che l’idea, pur da più parti sostenuta, del giudice amministrativo come giudice esclusivo dell’interesse generale finisce per portare all’assurda conseguenza che, essendo tutta l’attività amministrativa, ancorché svolta secondo moduli privatistici, funzionalizzata, la giurisdizione esclusiva potrebbe estendersi a dismisura, prescindendo del tutto dalle norme – di diritto pubblico ovvero di diritto privato – preposte alla tutela dell’interesse pubblico da realizzare [2].

Avevamo, quindi, proposto di utilizzare come criterio di riparto l’elemento della natura delle norme da applicare, precisando peraltro che, affinché si giustifichi l’assoggettamento di una determinata materia alla giurisdizione esclusiva, non si può reputare sufficiente una qualsivoglia presenza di elementi pubblicistici all’interno del rapporto controverso, ma occorre che l’applicazione di regole sostanziali esorbitanti dal diritto privato sia ampia, di gran lunga prevalente rispetto a quella del diritto privato.

A conclusione di quell’analisi, tuttavia, non avevamo potuto far a meno di notare che, nei casi – come, ad es., nell’ambito dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione – in cui la prevalenza della disciplina sostanziale pubblicistica rispetto al diritto comune risulta meno netta ed evidente, sarebbe stato inevitabile affidarsi alla discrezionalità del legislatore ordinario, al quale si sarebbe potuto porre l’unico limite consistente nel divieto di devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo rapporti interamente disciplinati dal diritto comune; e poiché la concreta consistenza di quest’ultimo limite è talvolta difficile da individuare perchè in determinati rapporti – si pensi ancora all’attività contrattuale – vi sono fasi interamente a regime pubblicistico e fasi interamente a regime privatistico, avendo riguardo al rapporto nel suo complesso ben potrebbe giustificarsi, per ragioni di concentrazione della tutela, l’affidamento di un’intera materia ad un giudice esclusivo: nel qual caso – osservavamo – sarebbe lecito affermare che nulla è cambiato rispetto all’antica (e contestata) idea secondo cui sarebbe l’intima compenetrazione tra pubblico e privato a rendere opportuna l’attribuzione della giurisdizione ad un solo giudice ratione materiae [3].

Ebbene, la sentenza costituzionale n. 204 del 2004 sembra, da un lato, confermare talune di queste considerazioni, dall’altro, accrescere, al contrario, alcune nostre perplessità di fondo: da qui sia un’adesione di massima che delle notazioni critiche.

Sotto il primo aspetto, ci sembra in linea con quanto da noi sostenuto – e merita, quindi, la nostra piena condivisione – l’affermazione della Corte che «deve escludersi che dalla Costituzione non si desumano i confini entro i quali il legislatore ordinario, esercitando il potere discrezionale suo proprio […], deve contenere i suoi interventi volti a ridistribuire le funzioni giurisdizionali tra i due ordini di giudici»; e ciò anche in ossequio al principio dell’unicità della giurisdizione, espresso dall’art. 102 della Carta (punto 3. della sentenza).

Se è vero, infatti, che il criterio dei «blocchi di materie» non è di per sé incompatibile con il dettato costituzionale [4], è altrettanto vero che estendere oltremodo la giurisdizione di un giudice speciale equivale ad istituirne uno nuovo, ciò che è appunto vietato dall’art. 102 [5]. E’, d’altronde, evidente che l’obiettiva genericità della locuzione «particolari materie», invero onestamente ammessa dalla Corte, non implica necessariamente illimitato arbitrio del legislatore ordinario, dovendo in simili casi applicarsi i concetti giuridici indeterminati [6].

Ciò che, semmai, potrebbe apparire sorprendente è il fatto che la Corte abbia optato per un’interpretazione dell’art. 103 più rigorosa di quella che sembrava aver accolto nelle sue ultime pronunce, dalle quali, invero, non traspariva l’individuazione di precisi ed insuperabili vincoli destinati a ridurre i margini di discrezionalità riconoscibili al legislatore ordinario [7]; pronunce che – com’è stato notato – sono state, invece, del tutto ignorate dalla sentenza costituzionale in commento [8].

Parimenti, non si può non essere d’accordo sul fatto che «l’adozione, da parte del legislatore ordinario del 1998-2000, di un’idea di giurisdizione esclusiva ancorata alla pura e semplice presenza, in un certo settore dell’ordinamento, di un rilevante pubblico interesse» stravolge il senso del vigente art. 103, azzerando la «particolarità» delle materie che soltanto possono essere devolute al sindacato esclusivo del giudice amministrativo (punto 3.2. della sentenza) [9].

All’univoca adesione alla pars destruens – tale potendosi definire quella di critica alle scelte del legislatore ordinario delle ultime riforme – della sentenza non ci pare, però, possa seguire un altrettanto entusiastico assenso alla pars construens – quella, cioè, intesa ad individuare l’elemento caratterizzante dell’attuale giurisdizione esclusiva – della sentenza stessa.

A riflessioni critiche ha già indotto l’affermazione, invero opinabile, secondo cui il potere del legislatore ordinario di individuare le cc.dd. «particolari materie» dovrebbe «considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie» (punto 3.2. della sentenza): è apparso spontaneo, infatti, chiedersi se una simile affermazione non si ponga in contraddizione con la stessa essenza della giurisdizione esclusiva, che «è rappresentata dalla tutela della situazione del tipo “diritto soggettivo”» [10], o quantomeno – diremmo noi – dalla sostanziale indifferenza della situazione soggettiva del privato ai fini dell’individuazione del giudice competente, che è tale ratione materiae.

A nostro avviso, tuttavia, il riferimento al «necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive» non dev’essere sopravvalutato perché rappresenta un semplice preludio alla successiva affermazione – questa sì, meritevole di attenta disamina – secondo cui le cc.dd. «particolari materie» devono partecipare della stessa natura di quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, «che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo».

Quest’ultima frase è apparsa addirittura sconcertante ad alcuni dei primi commentatori, i quali hanno affermato che, se essa «viene interpretata alla lettera, la giurisdizione esclusiva sparisce, perché a fronte dell’azione della P.A. come “autorità”, cioè nell’esercizio di un potere autoritativo, non si possono scorgere diritti soggettivi, se non per quanto riguarda i limiti esterni del potere, ma solo interessi legittimi» [11]. In termini sostanzialmente analoghi, si è detto, non senza un velo d’ironia, che, «[s]tando alla motivazione della sentenza, […] quando la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è costituzionalmente legittima essa non è affatto utile o non è più necessaria» [12].

Tali critiche sarebbero invero ineccepibili se l’affermazione dovesse interpretarsi alla lettera, essendo di palmare evidenza che, se c’è potere da un lato ed interesse legittimo dall’altro, il giudice competente è quello amministrativo non già ratione materiae, bensì in applicazione del tradizionale criterio di riparto [13].

Il punto è che – a nostro avviso – non è corretto optare per una siffatta lettura, dovendosi, viceversa, ritenere che il Giudice delle leggi abbia inteso affermare che la giurisdizione esclusiva è caratterizzata dalla compresenza – si badi bene, non presenza – di un interesse legittimo, il che equivale a dire che essa non può esistere nelle materie nelle quali di interessi legittimi non v’è traccia perché le amministrazioni pubbliche non fanno uso alcuno di poteri autoritativi, ma si avvalgono esclusivamente della loro capacità di diritto comune [14].

A tale convincimento induce anche il fatto che la surriportata frase della Corte secondo cui, nell’individuare le materie da attribuire alla giurisdizione esclusiva, il legislatore ordinario «deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte» è preceduta dall’affermazione che, nelle «particolari materie» cui allude l’art. 103, «“la tutela nei confronti della pubblica amministrazione” investe “anche” diritti soggettivi»: il che sembra confermare che la Corte abbia inteso semplicemente sottolineare la particolare connotazione delle materie assoggettabili al sindacato esclusivo del giudice amministrativo come materie al cui interno convivono, in perfetta simbiosi e sovente confondendosi reciprocamente, diritti soggettivi ed interessi legittimi.

Se questa chiave di lettura è esatta, ha ragione chi afferma che la sentenza costituzionale n. 204 del 2004 «riporta invero la giurisdizione esclusiva a quella che tradizionalmente veniva configurata», ossia come una giurisdizione avente ad oggetto controversie nelle quali «l’incidenza dell’azione amministrativa anche su diritti soggettivi renda difficilmente districabile la distinzione tra situazioni soggettive lese e perciò il riparto delle giurisdizioni» [15]. Nonostante alcune più benevole diagnosi, che parlano di «ritorno al potere» [16], v’è quindi, in fondo, un vero e proprio «ritorno al passato», ossia alla vecchia – e contestata [17] – idea che il fondamento costituzionale della giurisdizione esclusiva stia nella (sola) esigenza di sciogliere l’inestricabile nodo gordiano tra diritti ed interessi riscontrabile in taluni settori [18]. Ritorno al passato che, del resto, ci era apparso in taluni casi inevitabile allorquando – come dianzi riferito – avevamo osservato che, nei rapporti disciplinati, in alcune fasi, interamente dal diritto comune e, in altre, interamente dal diritto pubblico, nei quali quindi non è ravvisabile una netta ed evidente prevalenza della disciplina sostanziale pubblicistica rispetto al diritto comune, soltanto la difficoltà di separare l’interesse legittimo dal diritto soggettivo può giustificare l’assoggettamento delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva.

Anche se la sentenza risulta forse sin troppo rigida sul punto, l’ispirazione di fondo ci sembra sostanzialmente corretta: se dell’esercizio di potere, di autorità, non v’è traccia in nessun tratto dell’azione amministrativa, nella quale campeggiano diritti soggettivi puri, non v’è ragione per sottrarre una determinata materia, nel cui ambito sorgono pressoché esclusivamente controversie paritetiche, al giudice naturale dei diritti, che resta sempre quello ordinario.  

3. Va da sé che l’individuazione delle concrete conseguenze che la sentenza costituzionale in commento avrà sull’applicazione delle ridisegnate disposizioni del decreto legislativo n. 80 del 1998 dovrà essere operata dalla giurisprudenza amministrativa, che ha, infatti, intrapreso subito questo compito [19]. Compito che non sarà del tutto agevole se è vero, com’è vero, che gli emendamenti apportati dai Giudici delle leggi agli artt. 33 e 34 del suddetto decreto non sono tali da rendere del tutto inequivocabile l’individuazione dei blocchi di materie operata dal legislatore del 1998/2000, in ordine alla quale permarranno, pertanto, le incertezze interpretative registrate negli ultimi sei anni, magari addirittura aggravate dagli ulteriori dubbi esegetici concernenti più specificamente la pronuncia costituzionale, dalla quale occorrerà estrapolare con esattezza i principi di fondo che dovranno ispirare la futura giurisprudenza amministrativa.

Ci esimiamo dal prendere in esame il rivisitato art. 33 [20] per indirizzare alcuni brevi spunti di riflessione sull’art. 34, la cui formulazione è stata ritenuta costituzionalmente illegittima «nella parte in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva […] anche “i comportamenti”, la estende a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita – nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere» (punto 3.4.3. della sentenza).

A nostro avviso, i tentativi di individuazione dell’effettiva portata di tale affermazione operati dai primi commentatori e dalle prime sentenze non possono essere del tutto condivisi in quanto, anche aderendo all’impostazione – come si è detto, sin troppo rigorosa – dei Giudici delle leggi, che fa leva sulla necessaria esistenza dell’esercizio di poteri pubblicistici, non è affatto scontato che alcune vicende che comunemente sono state sinora fatte rientrare nell’ampia categoria dei «comportamenti» esuleranno d’ora in avanti dall’ambito applicativo dell’art. 34.

In particolare, se è assai probabile, per non dire certo, che sia venuta meno la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – peraltro già prima non del tutto pacifica – in materia di azioni possessorie [21], denuncie di nuova opera e/o di danno temuto nei confronti della pubblica amministrazione, è quantomeno dubbio che seguiranno la stessa sorte le controversie in materia di occupazione acquisitiva ed addirittura (tutte) quelle in materia di occupazione usurpativa [22].

Qualche tempo addietro, allorquando la giurisprudenza era ancora assai altalenante in proposito, ci eravamo espressi nel senso che la giurisdizione esclusiva dovesse ricomprendere anche queste ultime controversie, che, a differenza di quelle meramente indennitarie, «implicano un controllo sullo svolgimento dell’azione amministrativa, ossia un sindacato sulle modalità di esercizio del potere espropriativo» [23].

Ancorché tale opzione interpretativa trovasse allora un evidente supporto nella circostanza che l’art. 34 ricomprendeva «i comportamenti» e proprio in considerazione di ciò fosse stata estesa alle controversie in materia di occupazione usurpativa, notoriamente caratterizzate dall’assenza di una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, ci sembra che il riferimento al potere, che connota la sentenza costituzionale in commento, consenta una lettura moderatamente restrittiva della portata dell’intervento della Corte sul punto.

A ben guardare, infatti, alcuni casi di occupazione, sia acquisitiva che addirittura usurpativa (o tali almeno qualificati da certa giurisprudenza), fanno seguito ad esercizio di potere autoritativo e non possono, quindi, ritenersi del tutto scollegati dall’esercizio di una pubblica funzione.

Si pensi all’ipotesi, assai frequente, dell’occupazione disposta in presenza di dichiarazione di pubblica utilità valida ed efficace, non seguita però dalla tempestiva adozione del decreto espropriativo: siamo del tutto certi che sia equiparabile all’ipotesi dell’occupazione disposta per erroneo sconfinamento? La differenza appare invero evidente, non foss’altro perché, nel primo caso, l’immobile ha formato oggetto, quantomeno all’inizio, dell’esercizio del potere espropriativo, che nel secondo caso ha riguardato, invece, un immobile diverso, non essendo quello oggetto di causa nemmeno ricompreso nel piano d’esproprio, ergo nella dichiarazione di pubblica utilità. Soltanto in quest’ultimo caso, dunque, ma non anche nel primo, può con sicurezza escludersi l’esercizio di un pubblico potere e, quindi l’assoggettamento alla giurisdizione esclusiva[24].

Ma neanche tutte le ipotesi di occupazione usurpativa possono essere accomunate: se è indubbio, infatti, che è del tutto priva di collegamento con l’esercizio del potere espropriativo l’occupazione disposta in assenza, ab origine, di una dichiarazione di pubblica utilità, è quantomeno dubbio che lo stesso possa dirsi per l’occupazione disposta in presenza di dichiarazione di pubblica utilità valida ed efficace, (soltanto) successivamente annullata dal giudice amministrativo, essendo ravvisabile, in quest’ultima ipotesi, l’esercizio, ancorché illegittimo, di una pubblica funzione.

Estromettere dalla giurisdizione esclusiva ex art. 34 – come hanno fatto sia la dottrina [25] che la giurisprudenza[26] più recenti – le «controversie meramente risarcitorie collegate al fenomeno dell’occupazione acquisitiva cui è estraneo ogni sindacato sul potere discrezionale della P.A.» è, pertanto, conclusione forse troppo frettolosa e/o generica perché non è sempre così scontato che nelle controversie in materia di occupazione acquisitiva, come in (alcune di) quelle in materia di occupazione usurpativa, difetti del tutto il sindacato sull’esercizio del potere [27].

I dubbi aumentano, poi, se si considera, da un lato, che la conferma dell’art. 35 dello stesso decreto legislativo n. 80 del 1998 ribadisce la ratio di concentrazione delle tutele dell’intero impianto della giurisdizione esclusiva, secondo cui il giudice deputato a disporre il risarcimento del danno, sia per equivalente che in forma specifica (nel caso in esame, quindi, mediante restituzione, ove possibile, del terreno illegittimamente occupato), è lo stesso giudice amministrativo che ha precedentemente annullato gli atti ablatori, ragion per cui sarebbe illogico ritornare al sistema del doppio binario semplicisticamente etichettando come mero comportamento l’esercizio della funzione pubblica divenuto illecito a seguito dell’annullamento, con effetto ex tunc, dei relativi provvedimenti; dall’altro, che, permanendo i contrasti tra la Corte di cassazione ed il Consiglio di Stato sul concetto di carenza di potere (da individuare «in concreto» secondo l’una, «in astratto» secondo l’altro [28]), continuerà a discutersi a lungo sul fatto che la dichiarazione di pubblica utilità priva dei termini di inizio e di fine dei lavori sia nulla, con conseguente configurabilità del fenomeno dell’occupazione usurpativa, ovvero semplicemente annullabile, nel qual caso non soltanto si avrebbe occupazione acquisitiva, ma si dovrebbero prima impugnare tempestivamente gli atti ablatori innanzi al giudice amministrativo [29], innanzi al quale la causa dovrebbe, quindi, essere auspicabilmente trattenuta anche per la pronuncia sui cc.dd. diritti patrimoniali consequenziali [30].

4. E’ difficile, in simili casi (e nella specie sarebbe comunque affrettato), trarre un bilancio sulla complessiva bontà o meno di una pronuncia: è la solita valutazione del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, rimessa all’opinione del singolo interprete.

Una cosa, tuttavia, ci sembra innegabile: per l’ennesima volta, l’andirivieni tra legislatore e giudici, costituzionali e non, cui nella specie verosimilmente non è rimasta estranea la lotta tra i poteri [31], rischia di evolversi – lo diciamo a costo di apparire eccessivi – in una corsa al massacro ad esclusivo danno degli utenti del servizio giustizia.

Com’è stato subito notato dai primi commentatori, la sentenza costituzionale in argomento è intervenuta, ben sei anni dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 80 del 1998, «quando sembrava ormai destinata a stabilizzarsi la tormentata vicenda dell’interpretazione da dare agli artt. 33 e 34», conseguentemente rimettendo in discussione tutto l’assetto, «che lentamente e faticosamente stava trovando una collocazione definitiva» [32].

Come confermato dalle prime pronunce [33], gli effetti della sentenza costituzionale in commento si riverberano anche sui giudizi in corso ancora non conclusi, non trovando applicazione, stante la retroattività delle pronunce costituzionali, il disposto dell’art. 5 del codice di procedura civile. La sentenza avrà, quindi, effetti dirompenti, anche perché, in molti casi, la riapertura della via giurisdizionale civile risulterà preclusa dalla prescrizione eventualmente maturata [34].

Il quadro risulta peraltro aggravato dalla successiva sentenza costituzionale n. 281 del 2004, che ha dichiarato incostituzionale, per eccesso di delega, l’originario art. 34, 1° e 2° comma, del decreto legislativo n. 80 del 1998, precisando che tale declaratoria «comporta la necessità di interpretare l’art. 35 dello stesso decreto nel senso che il potere di riconoscere i diritti patrimoniali consequenziali, ivi incluso il risarcimento del danno, è limitato alle sole ipotesi in cui il giudice amministrativo era già munito di giurisdizione, tanto di legittimità quanto esclusiva» [35]: tutte le condanne risarcitorie disposte dal giudice amministrativo, nelle controversie contemplate dal predetto art. 34, prima che intervenisse l’art. 7 della legge n. 205 del 2000, risulteranno, quindi, viziate da difetto di giurisdizione ed in quanto tali impugnabili.

E’ addirittura superfluo evidenziare come un simile andazzo, tanto normativo quanto giurisprudenziale, renda drammatica la condizione del comune cittadino, il quale, privato del benché minimo barlume di certezza del diritto [36], anche ai soli fini dell’individuazione del giudice a cui rivolgersi per ottenere giustizia, ergo della garanzia di effettività della tutela giurisdizionale [37], si sente sempre più sottoposto all’arbitrio [38].

In presenza di un così tragico scenario, constatata l’inaffidabilità di qualsivoglia sistema di distribuzione «per materia» che – come quello qui in discussione – non sia accompagnato da una netta individuazione dei limiti delle materie [39], risulterebbe forse addirittura insufficiente pensare a divisioni per interi blocchi di materie [40] e sarebbe meglio modificare una volta per tutte l’art. 103 della Costituzione con una norma intesa ad attribuire al giudice amministrativo «giurisdizione per tutte le controversie nei confronti della pubblica amministrazione riguardanti materie stabilite dalla legge ordinaria» [41].

In attesa che ciò avvenga, sarebbe comunque doveroso, da parte del legislatore nei confronti del cittadino, attuare una volta per tutte quella «operazione di savia mini-politica del diritto», suggerita da autorevole processualcivilista, consistente nel consentire a colui che, avendo sbagliato giurisdizione, si senta dire che la sua domanda non è decidibile nel merito di avere un meccanismo di riassunzione della causa presso l’altra giurisdizione che faccia salvi gli effetti sostanziali e processuali dell’azione esercitata [42].

5. In ultimo, un cenno all’art. 35 ed alla riconfermata giurisdizione «piena» del giudice amministrativo.

Siamo perfettamente d’accordo con Marcello Clarich quando afferma che «la perdita di qualche pezzo marginale di giurisdizione sembra più che compensata dal mantenimento […] in capo al giudice amministrativo della cognizione delle controversie risarcitorie collegate all’esercizio illegittimo della funzione amministrativa» [43]. Già da tempo, d’altronde, autorevole dottrina aveva notato che la circostanza che l’art. 113 della Costituzione sia concepito in funzione di una tutela di tipo impugnatorio non deve far pensare che non possa agirsi in giudizio anche per pretendere un diverso tipo di pronuncia e che pienezza di tutela non può non significare qualcosa di ulteriore rispetto alla mera eliminazione dell’atto illegittimo [44]. Conseguentemente, si è affermato che gli artt. 33-35 del decreto legislativo n. 80 del 1998 e l’art. 7 della legge n. 205 del 2000, abilitando il giudice amministrativo ad un ristoro pieno della lesione subita dal cittadino, hanno finalmente consentito l’attuazione integrale della suddetta disposizione costituzionale [45].

Purtuttavia, non può sottacersi che, pur essendo passati più di sei anni dall’attribuzione al giudice amministrativo del potere di condannare la pubblica amministrazione al risarcimento del danno ingiusto, il processo amministrativo stenta ancora a «civilizzarsi», ossia a porsi in un’ottica civilistica, continuandosi ad operare «nella prospettiva della totale o parziale subordinazione della tutela risarcitoria accordata dal giudice amministrativo alle logiche ed alle tecniche processuali proprie della tutela di annullamento» [46].

Ciò è evidente, ad es., in tema di onere della prova, con riguardo al quale il tradizionale principio dispositivo applicato con metodo acquisitivo è ritenuto dai più inadeguato al nuovo giudizio risarcitorio [47], ma, mentre sarebbe stato lecito immaginarsi al riguardo una rivisitazione dell’impostazione generale dei temi dell’istruttoria, «[a]lla forte attenzione della dottrina, pronta a cogliere il carattere dirompente delle novità legislative, si contrappone al momento un atteggiamento nel complesso molto cauto (e conservatore) della giurisprudenza» [48].

Ora, non è detto che di vera e propria «civilizzazione» debba trattarsi, nel senso che è probabilmente nel giusto chi ritiene che il processo amministrativo non debba perdere, nemmeno nelle controversie risarcitorie, quella specificità che lo distingue comunque dal processo civile [49].

Netta, tuttavia, è la sensazione che il giudice amministrativo avverta tuttora un malcelato disagio nel cimentarsi con questo nuovo tipo di controversie, tanto da palesarlo talvolta in modo pressoché esplicito, proponendo soluzioni quantomeno inusuali, che denotano la sua ritrosìa ad effettuare complesse istruttorie finalizzate ad un’esatta quantificazione del danno [50].

Dopo che la Corte costituzionale ha dato un autorevole avallo ai suoi nuovi poteri di condanna, è doveroso che il giudice amministrativo abbandoni certi schemi mentali, aggiornando finalmente il proprio strumentario per esercitare i poteri stessi in modo idoneo a garantire al cittadino una tutela altrettanto piena ed effettiva di quella che, sino a qualche anno fa, poteva ottenere dal giudice ordinario [51].

 

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[1] Esecuzione dei contratti ad evidenza pubblica e giudice amministrativo: la (persistente?) «specialità» della giurisdizione esclusiva alla ricerca di un’identità smarrita, in Dir. proc. amm. 2004, 29 ss.

[2] F. Saitta, op. cit., 69 ss., a cui si rinvia anche per i relativi riferimenti dottrinali.

[3] F. Saitta, op. cit., 79-80.

[4] Osserva G. Stancanelli, La giurisdizione esclusiva nella sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004 (Riflessioni “a caldo”), in www.giustamm.it, n. 7/2004, che «anche un “blocco di materie” può essere rappresentato da “particolari materie”, se la deroga non assume per questo il carattere della generalità».

[5] O. Forlenza, Con le restrizioni sui diritti soggettivi addio al criterio dei «blocchi di materie», in Guida al diritto 2004, n. 29, 104-105.

[6] Una riflessione al riguardo già in F. Saitta, op. cit., 71.

[7] L’osservazione è di R. Garofoli, La nuova giurisdizione in tema di servizi pubblici dopo Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, in www.lexitalia.it, n. 7-8/2004, il quale richiama in proposito la sentenza costituzionale n. 275/2001, avente ad oggetto la devoluzione al giudice ordinario delle controversie concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali. Vanno rammentate anche le ordinanze n. 161/2002 e n. 439/2002 (in G.U., 1ª s.s., 15 maggio 2002, n. 19 e 13 novembre 2002, n. 45), che sembravano non porre limiti all’ampliamento della giurisdizione esclusiva, che, secondo la Corte costituzionale, pur rimanendo una «speciale eccezione» alla giurisdizione ordinaria, poteva ritenersi sempre giustificata dalla «specialità di rapporti, di esigenze e di disciplina» del particolare settore affidato al giudice amministrativo.

[8] M. Clarich, La “tribunalizzazione” del giudice amministrativo evitata: commento alla sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo cui «ciò è probabilmente giustificato dal fatto che le pronunce precedenti non avevano trattato la questione ex professo e comunque riguardavano fattispecie di rilevanza limitata».

[9] Da ultimo, anche M. Clarich, op. cit., sembra condividere la nostra opinione allorquando conclusivamente afferma che «la giurisdizione amministrativa, intesa come giurisdizione speciale, deve rispecchiare, sul versante processuale, la specialità dei rapporti sostanziali che intercorrono tra il cittadino e la pubblica amministrazione».

[10] Così G. Stancanelli, op. cit., secondo cui «ontologicamente la giurisdizione esclusiva è tutela di diritti soggettivi».

[11] G. Stancanelli, op. cit.

[12] A. Police, La giurisdizione del giudice amministrativo è piena, ma non è più esclusiva, ined., messoci gentilmente a disposizione dall’A..

[13] Come ben ricorda A. Police, op. cit..

[14] In tal senso, tra le più autorevoli, va rammentata l’opinione di A. Romano, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa dopo la legge n. 205 del 2000 (Epitaffio per un sistema), in Dir. proc. amm. 2001, 622 e 628.

[15] V. Cerulli Irelli, Giurisdizione esclusiva e azione risarcitoria nella sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004 (osservazioni a primissima lettura), in www.giustamm.it, n. 7/2004, secondo cui «nella configurazione della giurisdizione esclusiva la sentenza appare piuttosto orientata verso il passato che verso futuri e più avanzati assetti del sistema».

[16] F. Cintioli, La giurisdizione piena del giudice amministrativo dopo la sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, in www.giustamm.it, n. 7/2004.

[17] Sul punto, si rimanda ai citati scritti di A. Police e R. Garofoli e, più ampiamente, ad A. Romano, La giurisdizione amministrativa esclusiva dal 1865 al 1948, in Dir. amm. 2004, 417 ss.

[18] Di questo avviso sembra essere anche A. Police, op. cit., che da tale premessa muove poi le sue considerazioni critiche.

[19] Cfr., ad es., T.A.R. Sicilia-Palermo, Sez. I, 16 luglio 2004 n. 1543 e T.A.R. Campania-Napoli, Sez. V, 16 luglio 2004 n. 10462, in www.lexitalia.it, n. 7-8/2004, che hanno dichiarato inammissibili, per difetto di giurisdizione, dei ricorsi proposti per il pagamento di prestazioni sanitarie erogate nell’ambito del S.S.N.; T.A.R. Lazio-Latina, 20 luglio 2004 n. 645, ibidem, secondo cui rientra nella giurisdizione del G.O. la controversia proposta da un comune per ottenere da un altro comune il rimborso delle spese riguardanti il servizio, disciplinato da apposita convenzione, di trasporto, refezione e fornitura di libri di testo in favore degli alunni della scuola dell’obbligo; T.A.R. Campania-Napoli, Sez. I, 30 luglio 2004 n. 10909, ibidem, secondo cui esulano ormai dalla giurisdizione del G.A. le controversie relative ad indennità, canoni ed altri corrispettivi dovuti in materia di servizi pubblici, irrilevante essendo che la fonte della pretesa non sia un contratto, ma un provvedimento; T.A.R. Lazio-Roma, Sez. III ter, 2 agosto 2004 n. 7571, ibidem, secondo cui, invece, anche a seguito della sentenza costituzionale n. 204/2004, rientrano nella giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie relative alle procedure di affidamento in concessione della gestione di un’area di servizio autostradale, trattandosi di affidamento in (sub)concessione di un bene pubblico, nel cui ambito gli affidatari prestano a ben definite categorie di utenti un servizio pubblico consistente in attività specificamente individuate dalla legge.

[20] Per il quale si rinvia alla dettagliata analisi di R. Garofoli, op. cit., passim.

[21] Per un’ampia disamina in argomento, da ultimo, L. Marzano, Tutela del possesso e Pubblica Amministrazione, in www.giustizia-amministrativa.it, la quale concludeva il lavoro delineando i possibili scenari che si sarebbero potuti prospettare a seguito dell’intervento della Consulta. 

[22] Come, invece, sembrano ritenere pacifico O. Forlenza, op. cit., 105 e V. Cerulli Irelli, op. cit..

[23] F. Saitta, Giurisdizione esclusiva ed occupazione acquisitiva, in Giust. civ. 2002, II, 45 ss., spec. 55.

[24] Di quest’avviso sembra essere anche G. Stancanelli, op. cit.

[25] F. Cintioli, op. cit., che pure dubita del fatto che debbano essere bandite dalla giustizia amministrativa «le controversie che, pur pertinenti a comportamenti e non a provvedimenti dell’amministrazione, siano comunque strettamente collegate alla funzione amministrativa ed ai poteri autoritativi».

[26] T.A.R. Calabria-Reggio Calabria, 9 agosto 2004 n. 607, in www.lexitalia.it, n. 7-8/2004.

[27] Non è casuale, del resto, che nelle sue più recenti pronunce, la Corte di cassazione avesse ravvisato un collegamento con l’esercizio della pubblica funzione pur in assenza di un nesso diretto ed immediato ad un’attività provvedimentale: cfr. Sez. un., ord. 22 ottobre 2003 n. 15843 e 27 giugno 2003 n. 10289, in Urb. e app. 2004, con commento di R. Conti, e in Corr. giur. 2003, 1593, con commento di G. De Marzo. Per maggiori approfondimenti al riguardo si veda anche R. Conti, Occupazione usurpativa tra problemi di ortodossia giuridica e questioni di giurisdizione, in Urb. e app. 2003, 1296 ss.  

[28] Per una sintesi critica del relativo dibattito sia consentito rinviare a F. Saitta, Art. 13 l. 25 giugno 1865 n. 2359 e riparto di giurisdizione, in Giur. amm. sic. 1990, 223.

[29] Così Cons. St., Ad. plen., 26 marzo 2003 n. 4, in Cons. Stato 2003, I, 533.

[31] Sul punto, B. Sassani, Costituzione e giurisdizione esclusiva: impressioni a caldo su una sentenza storica, in www.giustamm.it, n. 7/2004.

[32] Così G. Virga, op. cit.

[33] T.A.R. Sicilia-Palermo, Sez. I, n. 1543/2004, cit.; T.A.R. Campania-Napoli, Sez. V, n. 10462/2004, cit.; Sez. I, n. 10909/2004, cit.

[34] B. Sassani, op. cit.

[35] Corte cost., 28 luglio 2004 n. 281, in www.lexitalia.it,  n. 7-8/2004.

[36] Sul rinnovato bisogno di certezza del diritto, F. Merusi, La certezza dell’azione amministrativa fra tempo e spazio, in Dir amm. 2002, 527 ss.; M.A. Sandulli, Brevi riflessioni su alcune recenti tendenze all’incertezza del diritto, in Rass. parl. 2003, 125 ss.

[37] F. Cintioli, Giurisdizione amministrativa e disapplicazione dell’atto amministrativo, in Dir. amm. 2003, 71.

[38] Sui problemi concreti di certezza del diritto si rinvia a A. Pizzorusso, Certezza del diritto – II) Profili applicativi, in Enc. giur., VI, Roma 1988, 1-6.

[39] Nota G. Virga, op. cit., che analogo problema si sta verificando con riguardo alla riforma del Titolo V della Costituzione.

[40] Ad es., l’intera attività contrattuale della pubblica amministrazione, che si è suggerito di devolvere in toto al giudice amministrativo (F.G. Scoca, Giurisdizione e riti processuali in materia di appalti di lavori pubblici, in L’appalto fra pubblico e privato, Milano 2001, 16-17), assecondando così la sua vocazione (E. Follieri, La tutela nei contratti della pubblica amministrazione nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in Dir. proc. amm. 1999, 310). 

[41] Così suggeriva di fare V. Caianiello, Il giudice amministrativo ed i nuovi criteri di riparto delle giurisdizioni, in Scritti in onore di E. Casetta, Napoli 2001, 244.

[42] C. Consolo, Problemi del nuovo riparto di giurisdizione dopo la legge 205 del 2000, in La tutela dell’interesse al provvedimento, Trento 2001, 326-327.

[43] Op. cit.; anche secondo G. Virga, op. cit., non suscita soverchi rimpianti l’abbandono di materie (quale quella del recupero crediti nei confronti della P.A.) che avevano finito per fare assumere un ruolo anomalo e spurio al g.a.».

[44] G. Verde, Ma che cos’è questa giustizia amministrativa?, in Dir. proc. amm. 1993, 611; più recentemente, F.G. Scoca, L’evoluzione del sistema, in Id. (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino 2003, 20, ha ribadito che l’affermazione costituzionale del principio della pienezza della tutela giurisdizionale «comporta che, nelle controversie con l’amministrazione, devono poter essere esperibili tutte le azioni che, in via generale, sono esperibili nelle controversie tra privati».

[45] G. Abbamonte – R. Laschena, Giustizia amministrativa, 2ª ed., Padova 2001, 90-91.

[46] A. Romano Tassone, Risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, in Enc. dir., Agg., VI, Milano 2002, 988-989.

[47] In tal senso, da ultimo, C. Volpe, Profili di effettività nella disciplina processuale del risarcimento del danno da lezione di interessi legittimi, in www.giustamm.it, n. 7/2004.

[48] M. Lipari, I principi generali dell’istruttoria nel processo amministrativo dopo la l. n. 205 del 1000. Le trasformazioni del giudizio e gli indirizzi della giurisprudenza, in Dir. proc. amm. 2003, 74-75.

[49] Così A. Chizzini, Il potere istruttorio del giudice amministrativo nel quadro delle recenti riforme delineate dal d.lgs. 80/1998 e dalla l. 205/2000, in Dir. proc. amm. 2003, 872 ss., spec. 902-906.

[50] Va segnalata, in tal senso, Cons. St., Sez. VI, 12 marzo 2004 n. 1261, in Cons. Stato 2004, I, 561, secondo cui, nei giudizi aventi ad oggetto la condanna della p.a. al risarcimento del danno, il relativo onere probatorio può ritenersi assolto «allorché il ricorrente, a fronte di un danno certo nella sua verificazione, indichi taluni criteri di quantificazione dello stesso, salvo il potere del giudice di vagliarne la condivisibilità attraverso l’apporto tecnico del consulente, non essendo condivisibili né l’indirizzo secondo il quale la domanda risarcitoria può essere accolta solo se sorretta da una congrua dimostrazione del danno conseguente agli effetti propri dell’atto annullato e da una sua puntuale quantificazione né l’opposto orientamento secondo il quale l’onere della prova sarebbe circoscritto alla sola sussistenza del pregiudizio subìto».

[51] Nel senso che la pluralità delle giurisdizioni e le logiche interne ai diversi modelli non possono giammai comportare un indebolimento della tutela complessiva nei confronti della pubblica amministrazione, A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, 5ª ed., Torino 2002, 100; B. Sassani, Dal controllo del potere all’attuazione del rapporto, Milano 1997, 30.


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