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Articoli e note

n. 1/2007

FEDERICO FONTANA* e MARCO ROSSI**

Una stabilità in bilico o un equilibrio instabile?

Le possibili antinomie tra patto di stabilità e pareggio di bilancio.

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Gli enti locali, attualmente alle prese con il bilancio di previsione per l’esercizio 2007, devono confrontarsi con una disciplina del patto di stabilità profondamente rinnovata rispetto all’esercizio precedente.

Cambiano, tra l’altro, gli obiettivi, l’aggregato finanziario da considerare, le regole di monitoraggio, le sanzioni, ma soprattutto si modifica la correlazione tra lo stesso patto di stabilità e le previsioni di bilancio.

Secondo il comma 684 dell’articolo unico della L. 296/2006, infatti, gli enti locali devono iscrivere “le previsioni di entrata e di uscita in termini di competenza in misura tale da consentire il raggiungimento dell’obiettivo programmatico del patto di stabilità interno determinato per ciascun anno” (con obbligo di adeguamento per gli enti che hanno già approvato il bilancio).

Si tratta, come si può facilmente notare, di un elemento di forte discontinuità rispetto agli esercizi precedenti, con riferimento ai quali il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva sempre distinto gli obiettivi di patto dalle previsioni di bilancio stabilendo l’inesistenza di un vincolo immediato e diretto dei primi sulle seconde.

L’ultima circolare emanata (la n. 8 del 17 febbraio 2006) prevedeva, ad esempio, che “le regole del patto 2006 non fanno riferimento alle previsioni di bilancio” sebbene “nella predisposizione del bilancio di previsione dell’esercizio 2006 (redatto in termini di competenza), le regole del patto di stabilità interno non possono che incidere, anche se solo indirettamente, quale principio ispiratore nella programmazione della politica di bilancio dell’ente: non appare, infatti, realistica un’azione strutturale di riduzione delle spese che non abbia conseguenze sul processo di formazione dei bilanci e, quindi, sulle previsioni di competenza”.

Tale interpretazione, però, già con riferimento all’esercizio 2006 non era condivisa dalla Corte dei Conti che infatti aveva seguito un orientamento opposto (si veda, ad esempio, la Deliberazione della Sezione Regionale di Controllo della Lombardia n. 10/2006 del 13 ottobre 2006).

Il rispetto della disposizione contenuta nella Legge Finanziaria per il 2007, tuttavia, può determinare talune criticità in sede di formazione del bilancio di previsione, in relazione ai principi – che pure occorre rispettare – definiti dal Testo Unico all’art. 165.

Un primo aspetto problematico è rappresentato dall’individuazione delle voci da considerare, ossia quelle il cui saldo algebrico degli stanziamenti dovrebbe essere pari o migliore rispetto all’obiettivo di competenza da conseguire.

Nel definire la configurazione del saldo che deve migliorare nel triennio 2007, 2008 e 2009, infatti, il comma 683 fa riferimento alle “entrate finali” ed alle “spese finali” al netto di alcune voci specifiche (dismissioni patrimoniali per rimborso prestiti, movimenti su crediti e spese per nuove sedi di uffici giudiziari).

Il riferimento di partenza è quindi costituito dalle entrate e spese finali, per la cui definizione è possibile utilizzare il “Quadro generale riassuntivo dei risultati differenziali”, da cui emerge che le entrate finali comprendono i primi quattro titoli mentre le spese finali i primi due titoli.

A tale aggregato dovrebbero essere sottratti gli stanziamenti relativi ai movimenti su crediti (cat. 6 del Titolo IV dell’entrata ed int. 10 del Titolo II) che non concorrono al patto di stabilità.

Per le altre due esclusioni non sembra, invece, possibile operare uno scorporo: per le dismissioni in quanto rilevano in termini di cassa e non di competenza, mentre per le spese per nuovi uffici giudiziari in quanto rilevano ad un livello inferiore rispetto all’unità elementare del bilancio.

Tuttavia, va segnalato che vi sono determinate voci che operano a livello di unità elementare di bilancio e che non possono determinare movimenti influenti ai fini del patto di stabilità, in quanto configurano stanziamenti in relazione ai quali non è possibile l’assunzione di impegni di spesa.

Il ragionamento vale soprattutto per il fondo di riserva, ma anche (allorché appostati) per gli ammortamenti finanziari e per gli accantonamenti al fondo svalutazione crediti.

Essi, pertanto, non dovrebbero concorrere alla quantificazione degli stanziamenti che devono rispettare i limiti imposti dal patto di stabilità interno.

Un secondo aspetto rilevante riguarda il rispetto del principio del “pareggio” del bilancio di previsione, puntualmente previsto dall’art. 165 del Testo Unico, che pure deve sussistere.

Il problema si pone diversamente a seconda che l’obiettivo di patto da conseguire sia rappresentato da un disavanzo (entrate finali < spese finali) ovvero da un avanzo (entrate finali > spese finali).

Nella prima ipotesi la situazione di partenza (relativa alle voci rilevanti ai fini del patto) determina, ai fini del pareggio, una carenza dal punto di vista dell’entrata, che contabilmente potrebbe essere sanata con l’utilizzo del restante raggruppamento (prescindendo dai servizi per conto terzi), rappresentato dalle accensioni di prestiti.

Ciò è possibile qualora ci siano degli investimenti finanziabili in tal modo, posto che non si tratta di una forma utilizzabile per le spese correnti. In caso contrario occorre ampliare la dimensione delle entrate oltre i valori che consentono il rispetto del patto di stabilità.

Quest’ultima esigenza, tra l’altro, si pone altresì allo scopo di dare copertura finanziaria alle voci di spesa che non rientrano negli obiettivi programmatici: fondo di riserva, fondi ammortamenti e fondo svalutazione crediti.

Peraltro, al fine di agevolare il conseguimento di tale condizione di pareggio il fondo di riserva potrebbe essere stanziato nell’importo minimo, mentre gli altri fondi citati potrebbero non essere alimentati.

La soluzione così accolta condurrebbe, per le esigenze del pareggio di bilancio (ed in presenza di una realizzazione corrispondente a quella attesa), ad un valore del saldo finanziario superiore a quello necessario per effetto di un maggior ammontare di entrate.

Nella seconda ipotesi (entrate finali > spese finali), invece, la situazione di partenza (relativa alle voci rilevanti ai fini del patto) determina, ai fini del pareggio, una carenza dal lato della spesa.

Tale carenza dovrebbe essere “sanata” mediante l’iscrizione di stanziamenti nell’ambito dei rimborsi di prestiti (ammesso che vi siano rimborsi di prestiti ovvero si possa effettuare un’estinzione anticipata) ovvero nelle altre voci che non concorrono al patto di stabilità: concessioni di crediti, fondo di riserva (c’è però il limite), ammortamenti finanziari e fondo svalutazione crediti.

Ulteriore problema di quadratura, infine, si genera per gli enti che hanno già approvato il bilancio di previsione a dicembre 2006 ai fini del rispetto del secondo periodo del comma 684 della Legge Finanziaria, che impone di “apportare le necessarie variazioni al bilancio”.

Ed il problema si pone, soprattutto, nell’ipotesi di conseguimento di un obiettivo di disavanzo, in quanto occorrerebbe tendere all’ampliamento delle entrate (oltre che al contenimento delle spese, ammesso che siano manovrabili) per giungere al pareggio di bilancio (secondo le logiche prima evidenziate).

La criticità nasce in relazione al fatto che, avendo già approvato il bilancio di previsione, non risulta possibile agire mediante la leva fiscale o tariffaria, il cui termine è appunto corrispondente all’approvazione del bilancio di previsione.

A tali enti, quindi, non risulta possibile l’utilizzo dell’addizionale piuttosto che dell’imposta di scopo, con la conseguente particolare difficoltà di ottenere il pareggio di bilancio, che eventualmente dovrà essere ricercato attraverso l’intervento sulle spese (sicuramente più d’investimento che correnti, dal momento che queste ultime tendono a caratterizzarsi sempre più per l’assenza di effettivi margini di riduzione).

 

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* Professore Associato di Economia Aziendale, Docente di ragioneria generale presso la Facoltà di Economia dell’Università di Genova; componente di nuclei di valutazione di enti locali.

** Dottore commercialista in Genova, giornalista pubblicista e revisore contabile; componente di nuclei di valutazione, revisore e consulente di enti locali.


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