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n. 6/2008 - ©
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DANIELE RICCIARDI*
Le comunicazioni elettroniche
della pubblica amministrazione
1. Il diritto alla comunicazione elettronica.
L’evoluzione della pubblica amministrazione, in termini di efficacia, efficienza ed economicità della propria azione, è sempre più affidata allo sviluppo dell’utilizzo di nuove tecnologie combinato ad una diversa organizzazione di strutture e uffici al fine di erogare servizi di crescente qualità ai cittadini.
Sebbene siano trascorsi oltre tre anni dall’entrata in vigore, molte amministrazioni ancora trascurano l’importanza del Codice dell’Amministrazione Digitale (decreto legislativo n. 82 del 2005) che rappresenta, unitamente alla disciplina generale sul procedimento amministrativo (contenuta nella legge n. 241 del 1990, novellata nel 2005), il quadro normativo di riferimento della attività amministrativa.
Il Codice – subito emendato con il decreto legislativo n. 159 del 2006 – è ispirato da un principio generale espresso nell’art. 3 secondo cui “i cittadini e le imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni e con i gestori di pubblici servizi statali nei limiti di quanto previsto nel presente codice”.
La norma prevede espressamente la tutela giurisdizionale, attribuita al giudice amministrativo, nel caso in cui le amministrazioni non realizzino il diritto (e non già una mera aspettativa) del cittadino o dell’impresa di comunicare in forma elettronica.
A tale principio si accompagna la previsione di una deroga generale (prevista per l’attuazione dei diversi strumenti individuati dal Codice) in favore delle amministrazioni regionali e locali le quali sono tenute al rispetto del predetto diritto “nei limiti delle risorse tecnologiche ed organizzative disponibili e nel rispetto della loro autonomia normativa”. Si tratta di una deroga dettata dalla necessità, da un lato, di rispettare le prerogative e competenze delle autonomie territoriali e, dall’altro, di alleggerire l’onere a carico di tali enti le cui risorse economiche possono essere, in taluni casi, tanto limitate da non consentire la gestione informatizzata dei rapporti con i cittadini.
Occorre tuttavia registrare che il rapido sviluppo degli strumenti ICT (Information & Communication Technology) e il progressivo abbattimento dei relativi costi, non consente a molte amministrazioni territoriali (specie di grandi dimensioni) di avvalersi della deroga, imponendo loro di favorire l’esercizio del diritto alla comunicazione elettronica.
Peraltro, è necessario ricordare che le disposizioni del Codice si applicano al vasto insieme di pubbliche amministrazioni di cui al testo unico sul pubblico impiego (decreto legislativo n. 165 del 2001), salvo che sia diversamente stabilito, nel rispetto della loro autonomia organizzativa e comunque nel rispetto del riparto di competenza di cui all'articolo 117 della Costituzione, nonché, limitatamente alla disciplina in materia di accesso ai documenti informatici, ai gestori di servizi pubblici ed agli organismi di diritto pubblico.
2. Gli strumenti di documentazione e comunicazione elettronica.
Sin dal 1997 il nostro ordinamento giuridico ha stabilito il principio di equivalenza tra la forma scritta (tradizionalmente intesa su supporto cartaceo) e la forma elettronica.
L’art. 15, comma 2 della legge n. 59 del 1997, riformando la pubblica amministrazione secondo l’indirizzo dell’allora ministro Franco Bassanini, ha infatti previsto che “gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge”.
Come detto, la disposizione ha individuato un principio generale la cui attuazione normativa ha avuto un percorso lungo e travagliato [1] che ha condotto, soltanto nel 2005, al Codice in commento.
Non occorre approfondire l’elaborazione della dottrina giuridica sulla forma elettronica, per affermare che per documento informatico s’intende, seguendo la definizione indicata da Francesco Carnelutti, “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”.
Gli atti (ossia i provvedimenti) della pubblica amministrazione possono quindi essere rappresentati mediante strumenti informatici o telematici.
In realtà si deve distinguere tra informatica e telematica che, sebbene entrambe basate sulla scienza elettronica, intervengono in fasi distinte dell’attività amministrativa. Più precisamente, tra esse vi è la medesima diversità esistente tra i concetti di documentazione e documento, ossia tra l’attività “creativa” del documentare ed il risultato di tale attività rappresentato dal documento.
In parole più semplici, l’informatica partecipa alla documentazione elettronica mettendo a disposizione le proprie componenti (l’elaboratore elettronico, il programma di elaborazione, la firma elettronica e la memoria di archiviazione), mentre la telematica interviene per consentire al documento la sua funzione specifica di rappresentare ai terzi (quindi, comunicare o diffondere, con l’ausilio della posta elettronica o della rete Internet) il proprio contenuto.
2.1 Strumenti di documentazione: la firma digitale.
Preliminarmente, occorre soffermarsi sugli strumenti di formazione del documento che poggiano essenzialmente sulla tecnica della firma digitale.
Infatti, se è vero che il legislatore ha riconosciuto validità a qualsiasi documento elettronico, indipendentemente dallo sottoscrizione, precisando tuttavia che “l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità” (comma 1 bis dell’art. 20 del Codice, aggiunto con la novella del 2006), è altrettanto vero che piena rilevanza giuridica è stata attribuita soltanto al documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale.
Da un punto di vista pratico la firma digitale (appartenente alla categoria firma elettronica qualificata prevista in sede comunitaria con la direttiva 1999/93/CE), si presenta come una tessera con microchip (smart card) o, nella recente evoluzione, come un supporto removibile (smart drive), rilasciate da soggetti autorizzati, che attraverso l’applicazione con specifici softwares genera un documento informatico sottoscritto elettronicamente.
All’esito della procedura informatica sarà creato un nuovo documento informatico (diverso da quello originario non firmato) che per essere intellegibile dovrà essere sottoposto ad una procedura inversa con cui verrà verificata l’apposizione della firma digitale da parte del titolare del dispositivo di firma.
La rilevanza giuridica della firma digitale è notevole se solo si considera che determina una presunzione di paternità del documento, in grado di soddisfare “il requisito della forma scritta, anche nei casi previsti, sotto pena di nullità, dall'articolo 1350, primo comma, numeri da 1 a 12 del codice civile” (art. 20, comma 2 del Codice). Più semplicemente, con firma digitale potranno essere stipulati quei contratti per il quali è prevista necessariamente la forma della scrittura privata o dell’atto pubblico.
Per quanto riguarda il profilo probatorio, mentre il documento informatico, cui è apposta una mera firma elettronica [2] è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità, il documento informatico, sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica qualificata, ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del codice civile (art. 21 del Codice).
Con tale richiamo il legislatore ha voluto attribuire al documento firmato digitalmente il valore di piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, ferma la possibilità del titolare di fornire la prova dell’utilizzo del dispositivo di firma da parte di terzi.
La presunzione sulla provenienza della dichiarazione è certamente più resistente nel sistema della firma digitale rispetto alla modalità di sottoscrizione autografa, in quanto è espressamente previsto a carico del titolare del dispositivo di firma l’obbligo di assicurarne la custodia e di adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno ad altri, essendo altresì tenuto ad utilizzare personalmente il dispositivo stesso (art. 32). Pertanto, per i documenti informatici con firma digitale, la possibilità del disconoscimento della sottoscrizione è assai ridotta se non da escludere, visto che si limita al procedimento informatico necessario per rendere intellegibile il documento stesso.
Nel sistema elettronico il legislatore ha così limitato la tutela per il sottoscrittore alla sola querela di falso proponibile tutte le volte che l'utilizzo del dispositivo di firma non sia riconducibile al titolare.
Il Codice non tralascia di considerare alcune questioni pratiche quali gli obblighi fiscali relativi ai documenti informatici ed alla loro riproduzione su diversi tipi di supporto nonché la loro conservazione, riproduzione e copia demandando la regolamentazione tecnica a provvedimenti rispettivamente del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero per i beni e le attività culturali (artt. 21 e 22).
2.2 Strumenti di comunicazione: la posta elettronica certificata.
La legge finanziaria per l’anno 2008 (n. 244 del 2007), con una norma destinata a dare forte impulso all’innovazione informatica nella pubblica amministrazione, ha stabilito che “il mancato adeguamento alle disposizioni in materia di posta elettronica in misura superiore al 50 per cento del totale della corrispondenza inviata comporta, per le pubbliche amministrazioni dello Stato, comprese le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, e per gli enti pubblici non economici nazionali, la riduzione, nell’esercizio finanziario successivo, del 30 per cento delle risorse stanziate nell’anno in corso per spese di invio della corrispondenza cartacea”. Al Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (CNIPA) è affidato il compito di monitorare e certificare la violazione dell’obbligo di ricorrere alla comunicazione elettronica.
Il Codice prevede che “ogni atto e documento può essere trasmesso alle pubbliche amministrazioni con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione se formato ed inviato nel rispetto della vigente normativa” (art. 5), precisando che “le pubbliche amministrazioni centrali utilizzano la posta elettronica certificata per ogni scambio di documenti e informazioni con i soggetti interessati che ne fanno richiesta e che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo di posta elettronica certificata” (art. 6).
Prima di esaminare le caratteristiche della posta elettronica certificata che la differenziano dalla posta elettronica ordinaria, è opportuno soffermarsi sul valore giuridico attribuito alle trasmissioni elettroniche dall’art. 45 del Codice, secondo cui “i documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico, ivi compreso il fax, idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale”. È stata così superata la previsione di alcune leggi di settore (come ad esempio negli appalti pubblici) che imponevano la trasmissione del documento cartaceo originale nonostante l’avvenuto invio a mezzo fax.
Per quanto riguarda la posta elettronica, lo stesso articolo aggiunge che “il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all'indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore”. Il legislatore distingue il momento dell’invio del documento informatico (che si perfeziona con la trasmissione al server del gestore della propria casella di posta elettronica) dal tempo della consegna (che si verifica con la disponibilità della comunicazione nella casella di posta elettronica dichiarata dal destinatario). Vi sono infatti casi in cui è rilevante il tempo dell’invio di una comunicazione (come ad esempio nel caso di termini perentori per istanze e domande) ed ipotesi in cui è necessario l’accertamento della ricezione del documento.
La predetta disciplina è integrata dalla presunzione di conoscenza sancita dal codice civile secondo cui “ogni dichiarazione diretta a una determinata persona si reputa conosciuta nel momento in cui giunge all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia” (art. 1335).
Il Codice si preoccupa di garantire anche la certezza della provenienza della comunicazione.
Più precisamente, l’art. 47 (dedicato alla trasmissione dei documenti attraverso la posta elettronica tra le pubbliche amministrazioni) prevede che, ai fini della verifica della provenienza, le comunicazioni sono valide se:
a) sono sottoscritte con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata;
b) ovvero sono dotate di protocollo informatizzato;
c) ovvero è comunque possibile accertarne altrimenti la provenienza, secondo quanto previsto dalla normativa vigente o dalle regole tecniche;
d) ovvero trasmesse attraverso sistemi di posta elettronica certificata.
Il legislatore con l’ipotesi di cui alla precedente lettera a) ha stabilito una coincidenza tra provenienza della trasmissione e paternità del documento, tuttavia può accadere che l’autore della comunicazione sia diverso dal titolare del dispositivo di firma utilizzato per la sottoscrizione.
Tralasciando le ipotesi sub b) e c), la modalità più agevole per verificare la provenienza della trasmissione è, ad oggi, la posta elettronica certificata disciplinata dal D.P.R. n. 68 del 2005.
Come per la firma digitale, anche il sistema di posta elettronica certificata richiede la partecipazione di soggetti terzi (gestori di posta elettronica certificata) il cui ruolo è assicurare il funzionamento tecnico del servizio e garantire la rilevanza giuridica delle ricevute di accettazione dei messaggi trasmessi dal mittente e di consegna degli stessi al destinatario. In ciò è la differenza essenziale con la posta elettronica ordinaria.
Nello scambio di comunicazioni con i privati le pubbliche amministrazioni devono tener conto che per i cittadini che intendono utilizzare il servizio di posta elettronica certificata, il solo indirizzo valido, ad ogni effetto giuridico, è quello espressamente dichiarato ai fini di ciascun procedimento con le pubbliche amministrazioni o di ogni singolo rapporto intrattenuto tra privati o tra questi e le pubbliche amministrazioni. Tale dichiarazione obbliga solo il dichiarante e può essere revocata nella stessa forma. Per quanto riguarda invece le imprese, l’indirizzo legalmente riconosciuto è quello indicato nell'atto di iscrizione al registro delle imprese.
In ordine agli effetti dell’utilizzo della posta certificata, il Codice stabilisce che “la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata mediante la posta elettronica certificata, equivale, nei casi consentiti dalla legge, alla notificazione per mezzo della posta” (art. 48).
È pacifica l’equiparazione tra la posta elettronica certificata e la posta tradizionale raccomandata con avviso di ricevimento in quanto la ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente la prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all'indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione.
Non è invece ancora chiara l’ipotesi in cui la ricevuta di consegna ha valore di relazione di notifica da parte dell’ufficiale giudiziario, ai sensi del codice di procedura civile. È evidente che sul punto dovrà intervenire una espressa previsione normativa, in considerazione dell’inciso “nei casi consentiti dalla legge”.
Entro otto mesi dalla data di entrata in vigore del Codice (termine oramai da tempo scaduto) le pubbliche amministrazioni centrali dovevano provvedere a:
a) istituire almeno una casella di posta elettronica istituzionale ed una casella di posta elettronica certificata per ciascun registro di protocollo;
b) utilizzare la posta elettronica per le comunicazioni tra l'amministrazione ed i propri dipendenti, nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali e previa informativa agli interessati in merito al grado di riservatezza degli strumenti utilizzati.
In realtà, tale previsione è stata in larga parte disattesa e l’uso che molte amministrazioni hanno fatto della posta elettronica non è stato in linea con le aspettative del legislatore. Infatti, nelle comunicazioni esterne sono spesso utilizzate caselle di posta elettronica nella cui estensione è indicato il nome del funzionario, anziché l’ufficio o, meglio ancora, l’area organizzativa omogenea di riferimento di cui all'articolo 50, comma 4, del D.P.R. n. 445 del 2000 [3].
La personalizzazione dello strumento di comunicazione può avere conseguenze molto serie in ordine alle responsabilità degli utenti per la mancata conservazione di messaggi che, una volta acquisiti al patrimonio informativo dell’ente, devono essere considerati documenti amministrativi.
Sotto altro profilo, la tutela delle informazioni personali contenute nelle caselle istituite dall'amministrazione è stata oggetto di un parere dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali che ha emanato le linee guida per posta elettronica e internet nel rapporto di lavoro (in G.U. n. 58 del 10 marzo 2007), con cui sono state individuate una serie di misure che anche il datore di lavoro pubblico deve adottare al fine di contemperare l’interesse pubblico (al proprio buon andamento) all’interesse privato del lavoratore.
3. Conclusioni.
Da quanto sopra ricordato risulta che l'ordinamento giuridico si è già adeguato alla nuova società dell'informazione, ammettendo l'uso di nuove forme di comunicazione, il cui sviluppo deve essere accompagnato da una strategia di lungo periodo.
Alla pubblica amministrazione è infatti attribuito il ruolo di traino dell'intera collettività in quanto se il cittadino o l'impresa è chiamato ad avvalersi di strumenti ICT nel rapporto con la sfera pubblica sarà stimolato a volerne profittare anche nei rapporti fra privata. Non per caso la disciplina della firma digitale (su cui si fonda anche l'e-commerce) è contenuta in norme di diritto amministrativo.
Né può essere sottovalutato l'impatto che una corretta formazione all'uso di tali strumenti nel pubblico impiego avrà sul livello di alfabetizzazione informatica al fine di ridurre il cd. digital divide.
Tuttavia non si può cadere nell'errore di considerare l'innovazione tecnologica una modalità nuova per condurre le medesime attività amministrative.
Come ricordato al principio di questo breve contributo il cui scopo è fornire spunti di riflessione, senza avere presunzione di completezza degli argomenti affrontati, la digitalizzazione del procedimento amministrativo deve portare ad una ridefinizione delle sue fasi e dei soggetti coinvolti nel rispetto dei canoni di efficacia, efficienza ed economicità.
Avendo riguardo a tale ultimo profilo, l'abbinamento di innovazione ICT e di riorganizzazione interna determina una maggiore efficienza dell'amministrazione con aumento della produttività di circa il 20% per lo svolgimento dei singoli procedimenti amministrativi [4].
La pubblica amministrazione sarà capace di rispondere alla sempre più intensa domanda di servizi on-line dei cittadini (partendo dall’accesso agli atti e documenti per arrivare al pagamento di tributi o tariffe) soltanto se, uscendo dalla quotidianità della prassi amministrativa, saprà sfruttare le opportunità della tecnologia, adeguando il proprio modus operandi alle dinamiche della società dell’informazione.
(*) Avvocato del Foro di Roma. Docente a contratto presso l’Università degli Studi di Tor Vergata (Master in Procurement Management).
[1] La disposizione è stata infatti inizialmente attuata con il regolamento contenuto nel d.P.R. n. 513 del 1997 recante “criteri e modalità per la formazione, l'archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici” che, successivamente è confluito nel decreto legislativo n. 445 del 2000 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa). Dopo l’emendamento delle disposizioni per effetto del decreto legislativo n. 10 del 2002, con cui è stata attuata la direttiva UE relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche, la disciplina sulla validità ed efficacia della documentazione elettronica è stata inserita nel Codice dell’Amministrazione Digitale che, con il decreto legislativo n. 159 del 2006, ha subito alcune correzioni e modifiche.
[2] La firma elettronica è definita come “l’associazione di un insieme di dati in forma elettronica con altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica”. Un esempio di firma elettronica è rappresentato dall’inserimento di una password per l’accesso o la modifica di un documento di videoscrittura.
[3] Entro il 1° gennaio 2004 le pubbliche amministrazioni avrebbero dovuto realizzare o revisionare sistemi informativi automatizzati finalizzati alla gestione del protocollo informatico e dei procedimenti amministrativi in conformità alle disposizioni del Testo Unico (in parte trasfuso nel Codice dell’Amministrazione Digitale) e alle disposizioni di legge sulla tutela della riservatezza dei dati personali. Inoltre ciascuna amministrazione avrebbe dovuto individuare, nell'ambito del proprio ordinamento, gli uffici da considerare ai fini della gestione unica o coordinata dei documenti per grandi aree organizzative omogenee, assicurando criteri uniformi di classificazione e archiviazione, nonché di comunicazione interna tra le aree stesse.
[4] Si legge nel Piano Triennale 2008-2010 per l’ICT della Pubbilica Amministrazione Centrale predisposto dal CNIPA che “investimenti in tecnologia informatica e trasformazione organizzativa non possono prescindere gli uni dall’altra. Come rileva uno studio congiunto McKinsey e London School of Economics, armonizzare e sincronizzare innovazione tecnologica e innovazione organizzativa può fare aumentare la produttività dei destinatari degli interventi fino al 20%, a fronte di un incremento del solo 2% se l’innovazione è fondata principalmente sulla tecnologia e dell’ 8% se l’innovazione è solo organizzativa, incremento, si noti, comunque più alto di quello fondato sulla sola innovazione tecnologica. Si sottolinea che gli investimenti in innovazione organizzativa comprendono anche le iniziative che riguardano le risorse umane, finalizzate al miglioramento di tutte le fasi di gestione delle stesse (reclutamento, formazione, valorizzazione, valutazione, riconoscimenti professionali e retributivi, ecc.)”: www.cnipa.it.