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Articoli e note

n. 7-8/2006 - © copyright

EMILIANO RAGANELLA*

La natura giuridica della d.i.a. e la “via” della sanatoria

(commento a T.A.R. Abruzzo - Pescara, sent. 30 maggio 2006*)

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Premessa.

La pronuncia in commento (in questa Rivista, n. 5/2006, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/tarabrpe_2006-05-30.htm) fornisce lo spunto per una breve riflessione sulla vexata quaestio della natura giuridica della DIA e sui poteri di verifica di cui la p.a. è titolare. Il dibattito, sempre vivo attesa la novità che la DIA rappresenta nel panorama amministrativo, ha trovato nuova linfa di recente con il D.L. 14/03/05 n. 35, convertito dalla legge n. 80 del 14/05/05 [1].

A differenza dell’analogo istituto del silenzio-assenso [2] che, rientrando nella teorica dei comportamenti silenti della pubblica amministrazione, era già da alcuni anni oggetto di studio, la denuncia di inizio attività si è presentata fin dalla sua prima apparizione come un istituto dai risvolti ibridi generando diversi problemi interpretativi, in parte, tutt’ora, irrisolti. Si segnalano al riguardo le seguenti questioni problematiche:l’ambito applicativo della DIA, la natura del termine entro cui esercitare il potere di controllo e il conseguente problema dell’ammissibilità dell’esercizio del potere di autotutela sull’attività intrapresa successivamente al decorso del termine e infine la natura giuridica dell’istituto su cui si incentrerà prevalentemente la presente nota.

Fatto.

Un privato presenta una D.I.A. per la manutenzione delle strutture di recinzione della sua proprietà, consistente nella sostituzione della rete metallica esistente con la realizzazione di un muro in mattoni.

Il Comune, successivamente all’inizio dei lavori, dispone con provvedimento la sospensione degli effetti della D.I.A. perché, a suo dire, la recinzione sovrastante il muro poteva essere realizzata solo in rete metallica simile a quelle esistente in quanto la recinzione progettata in mattone,dovendo essere considerata una modifica strutturale,avrebbe dovuto rispettare,in ossequio al disposto dell’art. 57.20 del REC, la distanza di mt. due dal confine della strada.

Il privato impugna la determinazione dirigenziale di sospensione della DIA asserendo in via preliminare l’omesso avviso di non accoglimento previsto dall’art. 10 bis L.241/1990, che gli avrebbe impedito di effettuare osservazioni che avrebbero potuto incidere sul provvedimento finale, con grave vulnus del diritto di proprietà e, nel merito, censurando l’inquadramento effettuato dal Comune dell’intervento sul muro di recinzione nell’ambito della nozione di ristrutturazione edilizia, anziché, in quello di manutenzione straordinaria.

Due pertanto sono le questioni poste alla cognizione del Tar Pescara: l’applicabilità all’istituto della DIA dell’istituto di nuovo conio introdotto dall’art. 6 della L. 11 febbraio 2005 n.15 all’art. 10 bis L. 241/90 e la qualificazione dell’intervento di sostituzione della rete metallica esistente con la realizzazione di un muro a mattoni. 

Quanto alla prima questione,la sua soluzione non può che dipendere strettamente dalla natura giuridica che si attribuisce alla DIA.

E’ necessario pertanto dare conto delle tesi che si contrappongono sul punto.

La fonte della legittimazione dell’attività privata.

La natura giuridica della DIA è al centro di un vivace dibattito in dottrina e in giurisprudenza, rinvigorito dalla riscrittura dell’art.19 ad opera della L.n.80/2005.

Secondo una prima corrente di pensiero, minoritaria, la denuncia sarebbe una fattispecie a formazione successiva, configurabile come un atto amministrativo tacito che si forma in presenza di alcuni presupposti formali e sostanziali e per effetto del decorso del termine assegnato all’amministrazione per esercitare il potere inibitorio.

Tale tesi si fondava su un approccio letterale al testo dell’art. 19 (prima della sua riscrittura ad opera della L. n. 80/2005) che, nell’affermare che l’atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio attività, sembrava connettere il modo di operare dell’autodenuncia a quello dell’atto amministrativo di consenso e, quindi, far discendere da quest’ultimo la legittimazione del soggetto a svolgere l’attività [3].

Tale tesi rinviene, oggi, un ulteriore argomento dalla nuova versione dell’art. 19 che,nell’ammettere nei confronti della DIA le determinazioni in via di autotutela, sembra considerare la denuncia di inizio attività come un atto abilitativo tacito formatosi a seguito della denuncia del privato e della successiva inerzia dell’amministrazione [4].

Tale approccio interpretativo non si sottrae a diversi rilievi critici.

In primo luogo si osserva che l’art. 19 nel prevedere che l’amministrazione, oltre a vietare la prosecuzione dell’attività intrapresa, può ordinare la rimozione degli effetti prodotti, sembra voler considerare tale attività come illegittimamente svolta, il che renderebbe inaccettabile l’ascrizione alla denuncia stessa dell’effetto legittimante [5].

 In secondo luogo si rimprovera alla tesi esposta di sottovalutare il ruolo della p.a. che, invece, è chiamata ad una verifica obbligatoria dell’esistenza dei requisiti e presupposti dalla legge per lo svolgimento dell’attività in questione ed il richiamo alla disposizione sull’annullamento d’ufficio ( art.21 octies) serve ad imporre  che tale verifica venga effettuata secondo i canoni che valgono ai fini dell’esercizio dei poteri di annullamento di ufficio, una volta scaduto il termine ordinario per il riscontro della DIA [6].

Si è andata,pertanto, affermando la tesi che considera la DIA un atto formalmente e soggettivamente non amministrativo [7], in quanto non proviene da una amministrazione che, anzi, ne è la destinataria, non costituisce esercizio di una potestà pubblicistica, né dà origine ad un provvedimento amministrativo in forma tacita ( silenzio-assenso).La legittimazione all’esercizio dell’attività non si fonderebbe pertanto su un atto di consenso della p.a.,bensì direttamente nella legge.

Al fine di una corretta ricostruzione di questa tesi, è opportuno distinguere all’interno della DIA la dimensione strutturale, attinente al contenuto del potere pubblico e del potere privato, dalla dimensione funzionale, attinente alla dinamica della relazione che si incardina tra i due poteri[8].

Sotto il profilo strutturale, va evidenziata l’assenza di un potere dell’amministrazione di identificare il regime concreto e puntuale della posizione soggettiva del privato, che viene definita interamente dalla legge.

Diversamente dal modello autorizzatorio, nell’art. 19 il precetto legislativo produce effetti direttamente sul piano della qualificazione delle posizioni soggettive, attribuendo al privato una posizione caratterizzata da originarietà e autonomia( a cui va pertanto riconosciuta consistenza di diritto soggettivo), a fronte della quale difetta un potere amministrativo in grado di incidere in senso costitutivo-accrescitivo.La legge, pertanto, per un verso conferisce al privato la titolarità di un diritto soggettivo che lo legittima ad intraprendere l’attività senza l’intermediazione di titoli ulteriori, per un altro verso attribuisce all’amministrazione un potere di verifica circa la sussistenza dei prescritti requisiti e presupposti, che la autorizza, peraltro, ad intervenire, eventualmente, in chiave repressiva o inibitoria. In tal modo il diritto del privato non si risolve unicamente in facoltà attive, ma viene conformato dalla legge in modo relazionale, nel senso che il suo esercizio è subordinato ad un “contatto necessario” con la p.a.,da attivare attraverso la presentazione della denuncia di inizio attività( dimensione funzionale della DIA) [9].

Quindi può ben sostenersi che il fondamento giuridico dell’attività privata si radica direttamente nella sfera normativa e non nell’intervento dell’amministrazione, fermo restando la sottoposizione dell’attività stessa al regime amministrativo e al conseguente necessario contatto con la p.a., cui compete il potere di verifica circa la sussistenza dei requisiti e dei presupposti di legge.

La tesi della natura privatistica è accolta dal TAR Abruzzo che considera la DIA una dichiarazione privata soggetta a posteriori ad un controllo e non, invece, una domanda di parte che da un impulso ad un procedimento.

Si tratta secondo il TAR abruzzese di un istituto sui generis in quanto il privato con la dichiarazione non chiede l’emanazione di un provvedimento amministrativo. ma comunica l’inizio di una determinata attività con la tacita intesa “ ope legis” che, se nel termine stabilito ( trenta giorni) tra la comunicazione e l’inizio dell’attività stessa, l’amministrazione nulla comunicherà, l’attività potrà essere iniziata, salvo un eventuale intervento successivo in autotutela.

In realtà,a ben vedere,il dies a quo dell’inizio dei lavori varia a seconda si tratti dell’istituto generale previsto dall’art. 19 l.241/1990 oppure della specifica ipotesi della d.i.a. edilizia disciplinata dall’art. 23 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380.

Quanto al primo,sia nella vecchia formulazione che nel testo vigente,il privato può iniziare l’attività denunciata appena effettuata la comunicazione prevista dall’art. 19 co.2, mentre nella D.I.A. edilizia il privato deve attendere almeno trenta giorni dalla presentazione prima di iniziare l’attività,onde consentire alla p.a. di riscontrare la sussistenza dei presupposti previsti ed eventualmente adottare provvedimenti inibitori.

Sulla nuova configurazione del procedimento di inizio attività novellato dal decreto n. 35/2005 è  utile aprire una piccola finestra. 

Nel suo impianto originario,la sequenza procedimentale che si innescava con la denuncia di inizio attività, pur presentando rilevanti differenze con lo schema procedimentale ordinario previsto dalla L. 241/90, seguiva una sua intrinseca coerenza.

La denuncia presentata dal privato, che si poneva anche come atto iniziale del procedimento di verifica,presentava un contenuto molto più complesso e ampio di un  comune atto che da impulso ad un procedimento. Infatti nella denuncia doveva essere attestata- in modo veritiero pena l’applicazione delle sanzioni di cui all’art.21 della l. 241/90- l’esistenza dei presupposti e requisiti di legge, accompagnati eventualmente dall’autocertificazione dell’esperimento delle prove previste dalla legge.

Tale appesantimento istruttorio, tuttavia, aveva il suo contrappeso nel consentire al denunciante di intraprendere immediatamente l’attività,senza attendere la conclusione di un procedimento autorizzatorio.

Il decreto n. 35 ha incomprensibilmente modificato tale assetto.

Il nuovo testo, infatti, prevede che  il privato possa  iniziare l’attività decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione e, contestualmente, ne deve dare comunicazione all’amministrazione competente [10].

Questa scelta del legislatore, oltre che richiedere un duplice,inutile, aggravio informativo al privato, sembra vieppiù irragionevole alla stregua della terzo comma che prevede che l’amministrazione, qualora accerti la carenza dei presupposti legittimanti, possa adottare i provvedimenti interdittivi nel termine di trenta giorni che decorrono da quando il privato comunica l’inizio all’attività.

In altri termini non si comprende a cosa possa giovare il lasso temporale di trenta giorni prima che il privato possa intraprendere l’attività se l’amministrazione in quell’arco temporale non può, per espressa previsione normativa, adottare atti inibitori posto che il dies a quo per l’esercizio del potere repressivo inizia a decorrere dalla comunicazione di inizio attività.

Se lo scopo di tale previsione nella mens legis voleva essere quello impedire al privato di intraprendere l’attività in assenza di un controllo sui presupposti legittimanti, allora il legislatore avrebbe dovuto adottare uno schema simile a quello della DIA in materia edilizia, dove l’art.23 D.P.R 6 giugno 2001 n.380, modificato dal D.lgs. n.301/2002, prevede una spazio temporale di trenta giorni dalla presentazione della denuncia all’inizio  dei lavori proprio per consentire all’amministrazione di esercitare i propri poteri di controllo inibitori prima che venga intrapresa l’attività.

Chiusa questa breve parentesi e tornando alla disamina della pronuncia in commento, una volta escluso che la D.I.A. possa considerarsi istanza iniziale di un procedimento volto a partorire un provvedimento amministrativo, il Tar Abruzzo ha avuto buon gioco ad escludere l’applicazione degli  istituti previsti dalla legge 241/90 sul procedimento amministrativo, tra i quali appunto la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza previsto dall’art.10 bis.

La strada della sanatoria.

Il merito della vicenda sottoposta al TAR richiedeva di stabilire se il mutamento del tipo di recinzione (da metallica a mattone) fosse un intervento di manutenzione straordinaria o di ristrutturazione edilizia per poi trarne le conclusioni in ordine alla legittimità del provvedimento di sospensione.

Il Collegio effettua preliminarmente una breve digressione sulle nozioni di manutenzione straordinaria e ristrutturazione previste dall’art. 3 lett. b) e d) DPR n. 380/2001.

Mentre la manutenzione straordinaria comporta la rinnovazione e sostituzione di parti strutturali senza modifiche di destinazione di uso, alterazione dei volumi e superfici, l’intervento di ristrutturazione implica la sostituzione di alcuni elementi costituivi che può portare ad un organismo edilizio in tutto o parte diverso dal precedente.

Trasponendo tali nozioni al caso concreto il TAR considera l’intervento sul muro di recinzione denunciato dal ricorrente una ristrutturazione edilizia anzichè una manutenzione straordinaria poiché la nuova muratura in mattoni, pur essendo conforme alla destinazione d’uso ( recinzione),va a sostituire un elemento costitutivo  della precedente ( la rete metallica) assumendo una consistenza e una dimensione diversa.

Trattandosi, dunque, di un intervento di ristrutturazione edilizia che comporta un nuovo organismo edilizio, in forza del combinato disposto degli artt. 22 co. 3 lett. a) e 10 co.1 lett. c), può essere realizzato alternativamente con il permesso di costruire o con la DIA.

Da tale assunto il Collegio trae quale conseguenza rilevante che l’ordine di sospensione con cui il Comune, invitando il privato ad adeguare il progetto a quanto previsto dall’art.57.20 del REC, ha intrapreso la “strada” della sanatoria era pienamente legittimo.

Ed infatti occorre osservare che il legislatore in relazione alla fase successiva l’acclaramento negativo di tutte le condizioni soggettive e oggettive previste dalle normative di settore per il libero svolgimento dell’attività denunciata e intrapresa, e dopo aver conferito alla p.a. la patente di adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti, prevede che  “ove ciò sia possibile” l’interessato possa conformare l’attività e i suoi effetti alla normativa vigente.

Secondo un’autorevole dottrina [11] l’amministrazione, ove riscontri l’assenza dei requisiti prescritti dalla legge, è innanzitutto tenuta a praticare la via della sanatoria, invitando il privato a conformare la sua attività alla normativa vigente, quando tale conformazione sia possibile, assegnandogli un termine entro il quale provvedere [12].

 L’espressione “ove ciò sia possibile”, secondo altre parte della dottrina [13], non attiene all’esplicazione di una discrezionalità amministrativa in questa fase, ma riguarda una mera possibilità oggettiva di conformare l’attività ai presupposti di legge.

In realtà, è difficile immaginare come l’amministrazione possa limitarsi ad una valutazione sulla possibilità oggettiva di conformare l’attività intrapresa alla legge senza scendere ad una comparazione dell’interesse pubblico sotteso alla normativa di settore con l’interesse del denunciante alla conservazione dell’attività.

Ad avviso di chi scrive è preferibile ritenere che, nell’ipotesi in cui la denuncia non presenti uno o più requisiti prescritti dalla legge,l’amministrazione debba tentare innanzitutto la strada della sanatoria qualora ritenga che  la carenza riscontrata non incida in modo sensibile sull’interesse pubblico generale e il privato possa ancora adeguarsi.

 La scelta di invitare il privato a conformare la sua attività, illegittimamente iniziata, pertanto, si fonda su un presupposto rimesso ad una valutazione discrezionale dell’amministrazione, tenuto conto che la norma non detta alcun criterio che l’amministrazione debba osservare in tale sua valutazione.

E’ chiaro a questo punto che quanto più l’attività denunciata si trova in uno stato ancora embrionale tanto più il privato sarà in condizione di conformarsi alle direttive del Comune senza dover necessariamente reprimere quanto realizzato.

Torna utile a tale riguardo la differenziazione prima illustrata sul dies a quo dell’inizio dell’attività nella DIA generale e nella DIA edilizia.

Infatti in quest’ultima ipotesi, proprio perché il privato dovrà attendere il decorso di trenta giorni dalla presentazione della DIA prima di iniziare l’attività, l’amministrazione si troverà ad intervenire in via preventiva su un progetto di attività da porre in essere e con poteri inibitori cosicché l’attività di sanatoria avrà più possibilità di impiego di quanto non avvenga nella fattispecie generale di cui all’art.19 l.241/1990 dove la p.a. interviene dopo che, solitamente, il dichiarante ha iniziato all’attività e quindi con poteri repressivi.

E’ chiaro che tale differenziazione non ha più ragion d’essere nel momento in cui il potere di autotutela espressamente introdotto dal d.l.n.35/2005 all’art. 19 co.3 che, secondo una corrente di pensiero [14], consentirebbe alla p.a. di intervenire anche dopo la scadenza del termine di trenta giorni, vietando la prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti,venga esportato anche  nella D.I.A edilizia dove, in assenza di una espressa previsione normativa, si registra un contrasto giurisprudenziale sull’ammissibilità dell’esercizio di un potere di autotutela successivamente allo spirare del termine previsto [15].


 

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* Magistrato ordinario.

[1] Sull’analisi del d.l. n. 35/05 in tema di DIA sia consentito un rinvio a E. Raganella Il decreto legge n. 35/05 sulla denuncia di inizio attività: più ombre che luci, in Urb. e App.nr. 6/06.

[2] A. Travi, Silenzio-assenso ed esercizio della funzione amministrativa, Padova, 1985, 127

[3] Tesi seguita in dottrina da D.Pulitanò,” Procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti”, in AA.VV., a cura di V.Italia e M.Bassani, Milano 1995, 401; I.Franco, Il nuovo procedimento amministrativo, Bologna, 1991, 144; in giurisprudenza   T.A.R Veneto, sez.II, 20 giugno 2003, n.3405 che ha affermato che” la d.i.a. non costituisce un mero atto privato bensì un titolo edilizio vero e proprio, in cui, non essendo prevista l’emanazione di alcun provvedimento, la domanda tien luogo dell’autorizzazione”;T.A.R.Veneto,10 settembre 2003,n.4722;T.A.R. Lombardia, Brescia, 1 giugno 2001 n.397;Cons. Stato, sez.VI, 10 giugno 2003 n.356

[4] In questo senso T.A.R. Abruzzo, Pescara 1 settembre 2005, n.494 in Urb. e App. n.11/2005,1328, con nota di Aldo Travi, La DIA e la tutela del terzo:fra pronunce del g.a. e riforme legislative del 2005

[5] C.f.r. F. Caringella “Corso di diritto amministrativo” 2004, pg1337

[6] V. sul punto A.Travi, op.ult.cit., 1337

[7] Cons.Stato, sez.IV, 22 luglio 2005, n.3916 in Urb.e app. n.11/2005,1325 con nota di A. Travi,op.cit.;T.A.R. Marche, 3 febbraio 2004, n.58;Cons.Stato, sez.IV, 4 settembre 2002,n.4453, in Urb.e App. n.10/2003,837 con nota di A. Mandarano, Denuncia di inizio attività e sindacato del giudice amministrativo; in dottrina c.f.r. G.D.Falcon, L’autoamministrazione dei privati, in Procedimenti e accordi nell’amministrazione locale,( Atti del XLII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione), Milano, 1997,140

[8] Così ricostruisce la fattispecie il TAR Abruzzo, sez Pescara, 23 gennaio 2003, n.197, in Rivista giuridica dell’edilizia, fasc.2, 2003, pg.544

[9] Sulla natura e il tipo di controllo che la p.a. esercita sulla d.i.a. si rinvia ancora a E.Raganella, op.ult.cit, 645 e ss.

[10] Questo doppio onere informativo a carico del denunziante spiega perché il legislatore abbia cambiato il nome dell’istituto in dichiarazione di inizio attività, atteso che il privato prima dichiara di essere in possesso delle certificazioni e delle attestazioni normative poi, dopo 30 giorni, denuncia l’inizio dell’attività.

[11] Caringella, op.cit.,1338.

[12]  Tale invito,peraltro, a parere del  Consiglio di Stato ( parere n.27/92), costituisce un presupposto di legittimità della successiva attività repressiva, essendo chiaro l’intento del legislatore di privilegiare la conservazione dell’attività intrapresa dal privato, nel prevedere una conversione dell’attività posta in essere illegittimamente in un’attività conforme alla normativa vigente, previa eliminazione della carenza riscontrata, con effetto sanante rispetto alla situazione precedente.

[13] M.E.Schinaia, Notazioni sulla nuova legge….cit, 187

[14] A. Travi, op.cit., 1337

[15] Consiglio di Stato, Sez. V, 29 gennaio 2004, n.308; T.A.R. Liguria, Sez. I, 22 Gennaio 2003, n.113 ritiene il controllo della p.a. estinguibile al decorso del termine dei 30 giorni, termine ritenuto perentorio; secondo il T.A.R. Abruzzo , Sez.Pescara, 23 Gennaio 2003 n. 197 una volta spirato il termine perentorio prescritto per il controllo della DIA, permane integro il potere di autotutela


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