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Articoli e note

n. 3/2004 - © copyright

ANTONIO PURCARO

La disciplina dei servizi pubblici locali: analogie e differenze tra la legge regionale Lombardia n. 26/2003 e l’art. 14 del decreto legge n. 269/2003.

 

Con la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001, ha preso forma un nuovo modello di regionalismo, completandosi il disegno di riforma tracciato dalla legge costituzionale n.1 del 1999.

Pur senza assumere i caratteri di uno Stato federale, la Repubblica, attraverso il nuovo ordinamento, esalta l’autonomia regionale.

La legge di riforma del Titolo V della Costituzione, ribalta la precedente formulazione dell’art. 117. Il Legislatore, invero, elenca le materie con riferimento alle quali lo Stato [1] conserva la competenza legislativa esclusiva e riconosce alle Regioni, competenza legislativa generale in ogni altra materia, ferma restando la necessità in un novero limitato di settori di una legislazione di “principio” di derivazione statale. Nelle materie di legislazione concorrente [2] spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservati alla legislazione dello Stato [3].

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Il Legislatore pone in una posizione di parità Stato e Regioni nei giudizi innanzi alla Corte Costituzionale. Il Governo, infatti, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un'altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell'atto avente valore di legge.

Nella elencazione di materie di legislazione esclusiva dello Stato, le “materie” non sempre indicano un settore ben delimitato; più spesso indicano una esigenza da soddisfare, una finalità da perseguire o un aspetto particolare di una specifica materia. La distinzione tra le materie segue così criteri non uniformi, assumendo a volte un carattere trasversale e operando altre volte mediante l’individuazione di parti di materie (o sub materie) [4], così come affermato dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza n. 303/2003.

Hanno ad esempio carattere trasversale la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, ovvero “la tutela della concorrenza”, che possono evidentemente interferire con qualsiasi materia anche di competenza regionale.

Le materie assegnate alle Regioni resta comunque delimitata all’area dei rapporti amministrativi. Null’altro, infatti, significa aver riservato alla potestà statale la giurisdizione e le norme processuali, l’ordinamento civile e penale e la giustizia amministrativa. Domani, come oggi, dunque le Regioni continueranno a legiferare soltanto nel campo dell’amministrazione, e dunque nel pur multiforme rapporto tra autorità e cittadini, mentre sarà loro precluso disciplinare i rapporti tra privati o tra imprese, anche nell’ambito delle materie loro assegnate: così ad esempio, pur se l’industria è argomento di competenza regionale, i rapporti nel settore o le regole contrattuali da seguire nella compravendita dei prodotti industriali, resteranno regolati dalla legge statale.

Il Legislatore, poi, ha voluto “tutelare” gli enti locali, Comuni e Provincie, da possibili tendenze neo-centralistiche regionali, riservando espressamente alla legislazione esclusiva dello Stato la disciplina in ordine alla legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.

Quindi il legislatore statale ben può intervenire nell’ambito del settore dei servizi pubblici locali, rientrando nella sua competenza esclusiva sia la disciplina della “tutela della concorrenza”, quanto la disciplina delle “funzioni fondamentali” degli enti locali, quanto la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

E’ comunque vero che l’inserimento fra le materie di legislazione concorrente (o ripartita) delle “grandi reti di trasporto e di navigazione” piuttosto che il “trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, lasciano, al legislatore regionale, qualche margine di intervento nella materia di che trattasi, ambito che necessariamente deve coordinarsi con l’attività legislativa dello Stato.

Quanto detto deve essere armonizzato e contemperato con l’art. 41 della Costituzione, che garantisce la libera iniziativa economica, e in tal senso sorge la questione dell’ammissibilità dell’intervento pubblico in settori dove operano i privati.

Bisogna al riguardo ricordare che l’assunzione della gestione di servizi, che non siano intrinsecamente pubblici, da parte di una pubblica amministrazione, deve anche essere analizzata alla luce dei principi dell’ordinamento dell’Unione europea [5].

All’interno di questo quadro assai complesso si inserisce il decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003 “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici”, pubblicato in G.U. n. 229 del 2 ottobre 2003 S.O. n. 157, con il quale il Governo ha inteso porre mano alla riforma dei servizi pubblici locali introdotta dall’art.35 della legge 28 dicembre 2001 n. 448. L’intervento si è reso necessario anche al fine di rispondere alla procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea.

L’art. 14 del decreto legge, modifica gli artt. 113 e 113 bis del testo unico, introduce la nuova distinzione tra servizi “a rilevanza economica” e servizi privi di tale rilevanza [6], in luogo della precedente distinzione tra servizi “a rilevanza industriale” e servizi “privi di rilevanza industriale”.

Parallelamente alla conversione del decreto legge, operata con la legge 24 novembre 2003 n. 326, la Regione Lombardia è intervenuta sulla materia dei servizi pubblici locali, dettando una propria disciplina con la legge regionale n. 26 del 1° dicembre 2003.

Il Consiglio Regionale ha ricercato la fonte della legittimità costituzionale del proprio intervento nell’ambito dell’art. 117 della Costituzione, tanto nel quarto comma che attribuisce alla Regione la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato, quanto, per espressa affermazione del legislatore regionale, nel terzo comma, per le materie ricadenti nell’ambito della legislazione concorrente, come ad esempio “la disciplina del trasporto dell’energia”.

Invero il dettato costituzionale riserva in via esclusiva allo Stato la “tutela della concorrenza” e non già la “disciplina della concorrenza”, come peraltro prevedeva il testo della Bicamerale.

Tutelare la concorrenza significa per esempio, imporre che ciascun gestore debba essere scelto tramite evidenza pubblica, e che nessun concorrente goda di ingiustificate posizioni di privilegio. Esula dall’ambito della tutela della concorrenza il fatto che, in concreto, i gestori scelti siano tre piuttosto che uno, che il gestore sia scelto dal comune singolo anziché in forma associata, che il servizio sia svolto in ambito comunale o sovracomunale; “nel campo dei singoli servizi pubblici, al legislatore statale viene di conseguenza riservata la fissazione dei requisiti di concorrenzialità minimi ed indispensabili, rimanendo per converso in capo alle Regioni, l’indicazione delle varie modalità organizzative, attraverso cui la competizione può in concreto avvenire, nel rispetto dei citati requisiti minimi ed intangibili [7].

Tuttavia l’interprete e l’operatore non sempre troverà agevole il coordinamento e la lettura sistematica delle due normative.

Pur in presenza di diverse analogie, non pochi sono i profili che evidenziano una qualche difficoltà di raccordo.

Innanzitutto mentre la disciplina statale si fonda sulla distinzione tra servizi a rilevanza economica e servizi privi di rilevanza economica, il legislatore regionale si interessa solo dei “servizi locali di interesse economico generale”.

Mutuando un definizione di derivazione comunitaria, il legislatore lombardo definisce i servizi locali di interesse economico generale, come quei servizi pubblici caratterizzati dalla universalità della prestazione e dalla accessibilità dei prezzi; richiedendo che i prezzi, e quindi le tariffe, siano commisurati per qualità e quantità alle erogazioni e calcolati in assoluta trasparenza

Il Legislatore regionale pone la sua attenzione solo sui seguenti servizi:

a)     la gestione dei rifiuti urbani;

b)     la distribuzione dell’energia elettrica e termica e del gas naturale;

c)      la gestione dei sistemi integrati di alloggiamento delle reti nel sottosuolo;

d)     la gestione del servizio idrico integrato.

La legge regionale non si occupa quindi di trasporto pubblico locale e più in generale dei servizi privi di rilievo economico.

Agli enti locali viene concessa la possibilità di mantenere la proprietà delle reti e degli impianti ed anche la loro gestione, a patto che mettano a gara l’erogazione del servizio.

La legge regionale consente quindi all’ente locale di gestire in prima persona gli impianti funzionali ai servizi oggetto di disciplina. Esercitando tale prerogativa l’ente proprietario non pone in essere alcun comportamento lesivo della libera concorrenza, esercitando una facoltà connessa al diritto reale. Solo un provvedimento ablatorio, di cui non c’è traccia nella legislazione statale, potrebbe privare l’ente locale, quale proprietario, di esercitare le facoltà insite nel diritto di proprietà, diritto costituzionalmente garantito. La normativa statale non prende in considerazione l’esercizio diretto del diritto di proprietà, che viene presupposto, occupandosi invece del caso in cui proprietà e gestione siano scisse.

Tuttavia è proprio nell’ambito della proprietà delle infrastrutture funzionali all’erogazione dei servizi pubblici che le due discipline appaiono divergere.

Il legislatore regionale, pur confermando che gli enti locali non possono cederne la proprietà delle reti, impianti e le altre dotazioni patrimoniali destinati all’esercizio dei servizi pubblici, consente, tuttavia, che gli enti locali possano conferire tale proprietà, anche in forma associata, a società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico, ovvero a società pubbliche necessariamente maggioritarie, i cui soci portatori del capitale di minoranza siano scelti con procedura aperta e ad evidenza pubblica.

La legge regionale ammette quindi che sia possibile il conferimento dei beni funzionali all’erogazione dei servizi di interesse economico generale a società miste, laddove il socio privato, seppure di minoranza, sia scelto con procedura aperta.

L’art. 113 del T.U.E.L. esclude invece tale possibilità, espressamente prevedendo con riferimento ai servizi “a rilevanza economica”, che gli enti locali, anche in forma associata, nei casi in cui non sia vietato dalle normative di settore, e quindi non a loro discrezione, possano conferire la proprietà delle reti, degli impianti, e delle altre dotazioni patrimoniali, solo a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile.

Nella misura in cui il legislatore regionale riporta nelle discrezionalità degli enti locali, laddove il legislatore statale ancora invece alla normativa di settore, la scelta circa il conferimento delle dotazioni strumentali all’erogazione dei servizi pubblici, quale capitale sociale di una società a capitale pubblico locale, allo stesso modo, prevede che siano gli enti locali, anche in forma associata, a stabilire i casi nei quali l’attività di gestione delle reti e degli impianti sia separata dall’erogazione dei servizi. Lo scorporo tra gestione ed erogazione del servizio continua invece nella legislazione statale ad essere sottratta ai comuni per essere rimessa alla legislazione di settore!

La legge regionale n. 26 reca anche la definizione di cosa debba intendersi per “gestione della rete” e cosa per “erogazione del servizio”; definizione assai utile per la costruzione degli atti di gara quanto la gestione del servizio venga per utilità dell’ente, e non già per obbligo di legge, scorporata in due distinte attività.

La gestione, comprende la realizzazione degli investimenti infrastrutturali destinati all’ampliamento e potenziamento di reti e impianti, nonché gli interventi di ristrutturazione e valorizzazione necessari per adeguarne nel tempo le caratteristiche funzionali.

L’erogazione invece riguarda tutte le attività legate alla fornitura agli utenti finali del servizio stesso, ivi incluse le attività di manutenzione di reti ed impianti.

Particolare attenzione dovrà essere posta dall’operatore, in caso di separazione, circa i contenuti dell’attività di manutenzione, laddove la manutenzione ordinaria rientra tra i compiti del soggetto che cura l’erogazione del servizio, mentre la manutenzione straordinaria è rimessa alla cura del gestore della rete.

Utile può essere il rinvio alla definizione mutuata dall’edilizia laddove per manutenzione ordinaria si intendono gli interventi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti esistenti e per manutenzione straordinarie le opere necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli impianti medesimi.

Come accennato, qualora sia separata dall’attività di erogazione dei servizi, la gestione di tali dotazioni spetta, di norma, ai proprietari degli stessi. E’ ammessa quindi la possibilità di gestione in economia delle reti.

I proprietari, siano essi enti locali o società a capitale pubblico, applicheranno la normativa comunitaria e nazionale in materia di appalti di lavori pubblici e di servizi allorché, per l’attività di gestione delle proprie reti e impianti, intendano avvalersi, in tutto o in parte, di soggetti terzi ai sensi di tale normativa [8].

Come affermato dal legislatore statale, anche la legge regionale, dispone che i proprietari e i gestori pongono le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei soggetti incaricati dell’erogazione del servizio.

Altro motivo di contrasto tra le due fonti può essere rinvenuto nella disciplina delle modalità di erogazione del servizio, laddove la legge regionale prevede unicamente che l’erogazione dei servizi sia affidata a società di capitali scelte mediante procedura a evidenza pubblica o procedure compatibili con la disciplina nazionale e comunitaria in materia di concorrenza.

Sembrerebbero quindi apparentemente escluse le altre due modalità previste dall’art. 113 del t.u.e.l., che accanto all’affidamento dell’erogazione dei servizi a rilevanza economica a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica, indica anche, senza porle in posizione di subalternità rispetto alla prima, altre due soluzioni, quali l’affidamento a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedura ad evidenza pubblica; e l’affidamento a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.

Il coordinamento tra i due testi va ricercato nell’art.12 della legge regionale che disciplinando il periodo transitorio, dettando regole identiche a quelle contenute nel testo unico [9], fa espressamente salve, mentendole ferme, “le specifiche discipline contenute nelle leggi statali”.

Quindi anche in Lombardia, sarà possibile, anche decorso il periodo transitorio, gestire per esempio il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani a mezzo di una società partecipata a totale capitale pubblico locale.

Il legislatore regionale poi, prevede che nel caso in cui non sia vietato dalle normative di settore, e se ne dimostri la convenienza economica, gli enti locali possono affidare l’attività di erogazione del servizio congiuntamente a una parte ovvero all’intera attività di gestione delle reti e degli impianti di loro proprietà.

Particolarmente innovativa è la legislazione regionale in materia di organizzazione del servizio idrico integrato [10], definito come l’insieme delle attività di captazione, adduzione e distribuzione di acqua a usi civili, fognatura e depurazione delle acque reflue organizzato sulla base di ambiti territoriali ottimali (ATO). Le province e i comuni costituiscono in ciascun ATO un’Autorità d’ambito. Spetta all’Autorità, tra le altre funzioni, il compito di provvedere all’affidamento del servizio idrico integrato. Resta quindi precluso ai comuni lombardi di procedere autonomamente all’affidamento del servizio.

Tuttavia non necessariamente in Lombardia ad ogni ambito ottimale corrisponderà un unico soggetto gestore.

L’Autorità potrà procedere all’affidamento del servizio idrico integrato a una pluralità di soggetti per il miglior soddisfacimento dei criteri di efficacia, efficienza ed economicità qualora dimostri nel piano d’ambito che la predetta pluralità comporta per l’ATO vantaggi economici funzionali e ambientali.

In tal modo anziché realizzare una gestione del servizio idrico integrato assisteremo ad una gestione integrata del servizio idrico.

Particolare cautela viene indicata nella fase di prima applicazione della apertura della concorrenza per il mercato del settore. Per le gare bandite entro il 31 dicembre 2006, i relativi bandi e disciplinari potranno infatti contenere l’impegno per l'aggiudicatario di proporre l'associazione del gestore uscente nell’erogazione di specifiche componenti del servizio affidato, alle condizioni risultanti dall’offerta presentata in sede di gara. L'offerta dovrà illustrare le modalità di coinvolgimento nel servizio del gestore uscente ed indicare la soluzione individuata per l’eventualità di rigetto, da parte di questi, della proposta di associazione nella gestione. Tali modalità sono considerate quali fattori premianti per l'aggiudicazione della gara. Le condizioni dell’accordo raggiunto con il gestore uscente sono riportate nel contratto di servizio.

Infine occorre segnalare al lettore che il legislatore regionale consente agli enti locali nell’ambito del servizio idrico integrato, di mantenere, pur con l’assenso dell’Autorità d’ambito, anche se fino al 31.12.2006, la gestione in economia 

Particolare attenzione dedica il legislatore della Lombardia, alle modalità di erogazione dei servizi di interesse economico generale. La legge regionale richiede che essi siano erogati:

a) in maniera diffusa sul territorio;

b) con regolarità e continuità della prestazione;

c) secondo requisiti di sicurezza e di protezione dell’ambiente;

d) sulla base di indicatori, intesi quali parametri quantitativi, qualitativi e temporali, che permettano la misurazione dei fattori dai quali dipende la qualità del servizio;

e) in condizioni diversificate di accessibilità al servizio per obiettivi disagi di natura sociale, economica o territoriale;

f) in considerazione di valori standard generali, intesi quali obiettivi di qualità, tecnici e di sicurezza, tali da garantire nel complesso l'adeguatezza delle attività prestate in un dato periodo;

g) in considerazione di valori standard specifici, riferiti a singole prestazioni direttamente esigibili dall’utente, espressi in termini quantitativi, qualitativi e temporali, che consentano un immediato controllo sulla loro effettiva osservanza;

h) con la previsione di rimborsi automatici forfettari dovuti in caso di prestazione qualitativamente inferiore rispetto allo standard minimo garantito nella carta dei servizi, indipendentemente dalla presenza di un danno effettivo o pregiudizio occorso all’utente e imputabile a dolo o a colpa del soggetto erogatore.

I principi elencati devono informare anche la predisposizione del contratto di servizio che regola i rapporti tra l’ente locale ed il soggetto erogatore.

Mentre il legislatore statale omette di dettare una disciplina puntuale in materia di contenuto del contratto di servizio, ciò anche in considerazione del fatto che la disciplina di settore (D.Lgs. 164/2000 e D.lgs. 422/1997) è esaustiva sul punto, il legislatore regionale introduce una disciplina specifica.

Il contratto di servizio, quale suo contenuto minimo, deve prevedere in particolare:

a) l’individuazione puntuale delle attività oggetto dell’incarico e la durata del rapporto;

b) il divieto di clausole di rinnovo del contratto;

c) il livello e la qualità delle prestazioni;

d) le modalità di vigilanza e controllo sull’esecuzione del contratto;

e) le modalità di rilevazione del grado di soddisfazione dell’utenza;

f) l’applicazione di clausole che introducono misure correttive conseguenti e proporzionali allo scostamento rispetto agli standard minimi garantiti e al livello di soddisfazione degli utenti, le conseguenze per gli eventuali inadempimenti, ivi compresa la risoluzione del contratto da parte dell'ente locale, e i diritti degli utenti;

g) gli obblighi specifici nei confronti dei soggetti e delle fasce svantaggiati;

h) la definizione dei rapporti economici;

i) l’approvazione della carta dei servizi predisposta dal soggetto erogatore;

j) le condizioni di adattabilità delle prestazioni fornite dall’erogatore rispetto all’evoluzione dei bisogni collettivi e alle mutate esigenze connesse con l’interesse generale e con la necessità di perseguire, comunque, la soddisfazione dell’utente;

k) le garanzie fideiussorie a carico dell’erogatore;

l) l’obbligo di assicurare la continuità del servizio e di ripristinare l’erogazione nei casi di interruzione, nonché l’obbligo di motivare i casi di interruzione o irregolarità della prestazione;

m) la regolamentazione dell’erogazione del servizio, della disponibilità delle reti e degli impianti funzionali all’erogazione stessa.

A nostra avviso la norma regionale non contrasta e pertanto deve intendersi fatto salvo il disposto contenuto nella legge statale in virtù del quale, nel caso di gestione associata del servizio per ambiti territoriali ottimali, il soggetto che gestisce il servizio, oltre al contratto di servizio con il soggetto competente ad affidare la gestione del servizio a livello di ambito, stipula appositi contratti di servizio con i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti.

A tutela degli utenti, poi, vero anello debole del sistema [11], il legislatore lombardo, introduce due istituti particolarmente qualificanti:

a) il garante dei servizi pubblici locali;

b) la carta dei servizi.

Il Garante dei servizi, nominato dal Consiglio regionale, avrà il compito di vigilare sull’applicazione della legge curando la stesura e la divulgazione di rapporti periodici sullo stato dei servizi, potendo anche assumere compiti di arbitro per le controversie tra gli erogatori ed i gestori delle reti e delle infrastrutture.

Accanto alla istituzione della figura del Garante, viene previsto l’obbligo in capo ai soggetti erogatori di adottare una carta dei servizi, con la quale essi assumono nei confronti dell’utente impegni diretti a garantire predeterminati e controllabili livelli di qualità delle prestazioni. La carta dei servizi deve prevedere, in particolare:

a)     l’eguaglianza e imparzialità di trattamento degli utenti;

b)     le condizioni specifiche riservate alle zone e ai soggetti svantaggiati;

c)      l’accessibilità, la continuità, la sicurezza, l’efficienza ed efficacia del servizio;

d)     gli standard di qualità relativi alla prestazione;

e)     le condizioni del rapporto contrattuale con l’utente;

f)      la garanzia del flusso di informazioni all’utente, per le quali quest’ultimo esercita il diritto di accesso;

g)     le modalità di rilevazione del grado di soddisfazione dell’utente;

h)     la tutela per la violazione dei principi e degli standard fissati, con conseguente rimborso forfettario per il mancato rispetto degli impegni assunti.

La carte dei servizi viene a cura della società erogatrice distribuita in modo capillare agli utenti e trasmessa al Garante.

Il sintetico esame fin qui condotto della analogie e differenze tra la disciplina regionale e quella statale in materia di servizi pubblici locali, mostra come sia particolarmente complessa la ricerca di un equilibrio stabile tra le legittime aspettative di apertura al mercato e l’avvertita esigenza di mantenere in mano pubblica strumenti di garanzia degli utenti e di tutela del patrimonio pubblico infrastrutturale. Come l’applicazione concreta del trasferimento di poteri dal centro alla periferia in omaggio al principio di sussisiarietà verticale è fonte di una continua contrattazione allo stesso modo il processo di devoluzione dalla autorità pubblica, sia essa centrale o locale, alla società civile, definito quale sussidiarietà orizzontale, richiede l’avvio di strumenti di concertazione.

L’intervento regionale della Lombardia è sicuramente inquadrabile nel lodevole tentativo di coinvolgere maggiormente gli enti locali nella gestione della fase di apertura al mercato, particolarmente tangibile nell’ambito del servizio idrico-integrato, riservando loro un ruolo di organizzazione e controllo, e rimettendo invece all’impresa il compito di gestire con criteri di efficacia, efficienza ed economicità, l’erogazione all’utenza dei servizi pubblici locali di interesse economico generale.


 

[1] Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;

b)immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

n) norme generali sull'istruzione;

o) previdenza sociale;

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali
di Comuni, Province e Città metropolitane;

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;

s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

[2] Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

[3] Secondo giurisprudenza costituzionale consolidata i principi cui, nell’ambito della potestà legislativa concorrente o ripartita, le Regioni devono conformarsi per legiferare possono, in mancanza di una legge statale espressamente recante i principi medesimi, essere ricavati deducendoli dalla legislazione statale vigente. Sul punto vedi anche la legge 5 giugno 2003 n.131 c.d.“La Loggia”.

[4] Paolo Stella Richter, I principi del diritto urbanistico, Milano 2002.

[5] Sul punto vengono in rilevo il principio di libera prestazioni di servizi, introdotto dagli artt.49 e seguenti del Trattato istitutivo della Comunità Europea, nell’ultima versione risultante dopo il Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, e, soprattutto, il principio di libera concorrenza in base al quale il regime comunitario mira a garantire che la concorrenza non sia falsata dal mercato interno (art.3, lett. g) del Trattato istitutivo). Ciò nondimeno lo stesso Trattato, all’art.86, contempla la fattispecie dell’impresa pubblica, che viene definita come “ogni impresa nei confronti della quale i poteri pubblici possono esercitare direttamente od indirettamente, un’influenza dominante per ragioni di proprietà, di partecipazione finanziaria o della normativa che la disciplina”. Anche tali imprese sono sottoposte alle norme del Trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento della missione loro affidata. La specifica missione caratterizza il servizio pubblico come connotato da un regime giuridico particolare e funzionale allo scopo perseguito dall’impresa pubblica. Peraltro il principio della concorrenza costituisce comunque un limite interno al settore dei servizi pubblici, data la inevitabile interferenza con il mercato delle imprese private che operano nei medesimi settori. In proposito va ricordato che la delibera di assunzione di servizio pubblico e di scelta del modulo di gestione è stata ritenuta di per sé idonea a configurare una immediata lesione dell’interesse legittimo delle imprese operanti nel settore.

I servizi pubblici sono considerati come fattore di coesione e di avvicinamento dei cittadini e come condizione economica essenziale perché le imprese possano stabilirsi in ogni porzione del territorio comunitario.

I principi comunitari sui servizi pubblici sono così riassumibili:

distinzione tra carattere pubblico del servizio e natura pubblica o privata del gestore (artt.86 e 295 Trattato CE; art.3 Direttiva 91/440/CE);

non coincidenza tra natura pubblica del servizio e gestione riservata: ciò comporta, tra l’altro, la separazione tra reti e servizio (art.9 Trattato CE; Direttiva 91/440/CE);

separazione tra regolazione e gestione (Direttive 95/18 e 95/19/CE);

equilibrio economico dei servizi pubblici (Direttiva 91/440/CE e Direttiva 19/95/CE);

scelta concorrenziale del gestore nei mercati sottratti alla concorrenza (Trattato CE);

continuità, uguaglianza di trattamento e adattamento ai bisogni (Regolamento 1191/69 modificato dal Regolamento 1893/91);

universalità della prestazione.

Il punto di equilibrio tra le prerogative nazionali e quelle comunitarie in materia di servizi pubblici non è pacifico e rende complessa la trattazione del tema.

Il presupposto per la creazione di un’area sottratta al mercato può essere solo la valutazione che solo il monopolista si pone come efficace alternativa al mercato. E’ in questa prospettiva che il Trattato acconsente, con riguardo alle attività economiche di interesse generale, restrizioni alla libertà di concorrenza solo se esse siano necessarie al raggiungimento della specifica missione affidata.

[6] L’interprete deve ricercare nell’ordinamento un significato univoco alla “rilevanza economica”. E’ indubbio, infatti, che tale nozione si richiama al concetto economico di imprenditore. Il riferimento, allora, non può che andare all’art.2082 del cod.civ., secondo il quale “è imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. Nell’art.2082 l’economicità è richiesta in aggiunta allo scopo produttivo dell’attività; quindi al concetto di “attività” economica può e deve essere recuperato un proprio ed autonomo significato. Invero, ciò che qualifica un’attività come economica non è solo il fine produttivo cui essa è indirizzata. E’ anche il modo, il metodo con cui essa è svolta. L’attività produttiva può dirsi condotta con metodo economico quando è tesa al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi impiegati; quando è svolta con modalità che consentono nel medio-lungo periodo la copertura dei costi con i ricavi, altrimenti si ha consumo e non produzione di ricchezza. Questo significato dell’espressione attività economica è chiaramente presente agli aziendalisti, che su di esso fondano la distinzione tra aziende di erogazione ed aziende di produzione. E’ altresì recepito sul piano legislativo per gli enti pubblici. La produzione di beni e servizi da parte degli stessi intanto è qualificabile quale attività imprenditoriale in quanto essi siano per legge tenuti ad operare secondo criteri di economicità (tale accezione del concetto di economicità va tenuto distinta dal principio di economicità del procedimento amministrativo introdotto dalla legge n.241/1990; in tale enunciazione l’economicità si traduce nell’esigenza di non aggravamento del procedimento se non per straordinarie e motivate esigenza imposte dallo svolgimento dell’istruttoria).Questo è il significato che si deve attribuire all’espressione “attività economica”. Nella nozione generale di imprenditore per aversi impresa è perciò essenziale che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico secondo modalità che consentono quanto meno la copertura dei costi con i ricavi ed assicurino l’autosufficienza economica. Dati questi da valutare oggettivamente, sulla base di indici esteriori percepibili dai terzi e con riferimento all’attività nel suo complesso e non ai singoli atti di impresa. Non è perciò imprenditore chi, soggetto pubblico o privato, produca beni o servizi che vengono erogati gratuitamente o a “prezzo politico”, tale cioè da far oggettivamente escludere la possibilità di coprire i costi con i ricavi. Così, non è imprenditore l’ente pubblico o l’associazione privata che gestiscono gratuitamente o a prezzo simbolico un ospedale, una scuola, una mensa ecc… E’ invece imprenditore chi gestisce i medesimi servizi con metodo economico (copertura dei costi con i ricavi) anche se ispirato da un fine pubblico o ideale ed anche se, ovviamente, le condizioni di mercato non consentono poi, in fatto, di remunerare i fattori produttivi.

Neanche lo scopo di lucro è essenziale per qualificare l’attività di impresa; il nostro ordinamento conosce infatti l’impresa cooperativa e l’impresa consortile, laddove l’esercizio dell’attività, pur perseguito con metodo economico, è orientato verso altri fini quali la mutualità.

Quindi l’operatore potrà qualificare quali servizi a rilevanza economica, tutti quei servizi pubblici locali assunti dall’ente, che siano gestiti con metodo economico, laddove la tariffa richiesta all’utente assolve allo scopo di coprire integralmente i costi di gestione. Laddove invece i costi del servizio siano coperti facendo ricorso alla fiscalità generale ovvero applicando tariffe con lo scopo di esigere una mera compartecipazione dell’utenza, al servizio in questione andrà applicata la disciplina dettata dall’art.113 – bis. Tale conclusione è rafforzata dalla abrogazione del comma 4, dell’articolo 113-bis, laddove tra le forma di gestione dei servizi privi di rilevanza industriale veniva prevista la possibilità “quando sussistano ragioni ….. economiche …..” dell’affidamento a terzi. Dal momento in cui il servizio non viene gestito con metodo economico tale modalità di gestione perde di significato.

[7] E. Corali, “Lo stato tutela ma non disciplina la concorrenza” in Servizi e società, dicembre 2003.

[8] Sono quindi implicitamente ammessi gli affidamenti “in house”. Secondo l’orientamento espresso dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (cfr. sentenza Teckal 18 novembre 1999, causa C-107/98), la normativa europea in tema di appalti pubblici, in particolare di servizi, non trova applicazione quando manchi un vero e proprio rapporto contrattuale tra due soggetti, come nel caso, secondo la terminologia della Corte, di delegazione interorganica o di servizio affidato, in via eccezionale “in house”. In altri termini quando un contratto sia stipulato tra un ente locale ed una persona giuridica distinta, l’applicazione delle direttive comunitarie può essere esclusa nel caso in cui l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa persona giuridica realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente locale o gli enti locali che la controllano. Segnatamente, ad avviso delle istituzioni comunitarie, per controllo si intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica in particolare quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. In detta evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie e dalle disposizioni interne di recepimento delle medesime.

[9] Il decreto legge incide anche sulla disciplina del periodo transitorio indicando nella data del 31 dicembre 2006 il termine finale, senza necessità di alcuna deliberazione da parte dell’ente locale affidante, delle concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica, nonché degli affidamenti a società miste, laddove il socio privato non sia stato scelto con gara, e degli affidamenti a società interamente pubbliche, laddove tali soggetti non realizzino la parte più importante della propria attività a favore degli enti locali partecipanti.

[10] La legge regionale ha abrogato la precedete legge regionale n.21/1998 di attuazione della legge Galli n.36/1994.

[11] Il rapporto tra utente ed erogatore del servizio ha natura contrattuale. Tuttavia assai differente è l’autonomia contrattuale di cui godono le parti. Nel contratto per adesione, infatti, il contenuto del contratto è, in tutto, predeterminato da una delle parti.


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