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Articoli e note

n. 7-8/2004 - © copyright

PIER LUIGI PORTALURI
(Professore associato di diritto amministrativo
nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Lecce)

Amministrazione per livelli essenziali e fonti di regolazione

(commento a Cons. Stato, Sez. IV – sentenza 15 giugno 2004 n. 3983)

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1.- Con sentenza 15 giugno 2004 n. 3983 (il cui testo è riportato in calce al presente documento), la IV Sezione del Consiglio di Stato ha precisato il proprio pensiero con riguardo alla necessità o meno che i livelli essenziali di assistenza (LEA) siano stabiliti con norma di rango primario.

La questione, a ben vedere, travalica l’ambito del settore sanitario, attingendo infatti il profilo generale della concreta dinamica di funzionamento del sistema dei cc.dd. livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, come introdotto dall’art. 117, 2° comma, lett. m), Cost.

In una precedente sentenza (n. 398 del 4 febbraio 2004) la quarta Sezione non aveva affrontato funditus la questione, limitandosi in sostanza a dichiarare improcedibile l’appello proposto da un sanitario accreditato in quanto il d.p.c.m. 29.11.2001 era stato poi legificato dall’art. 54 della legge finanziaria per il 2003.

Con la sentenza in esame, invece, il Consiglio di Stato – pur ribadendo l’improcedibilità dell’impugnazione per la ragione appena detta – ha ritenuto di affrontare anche il merito della questione, concludendo per l’infondatezza della tesi dell’appellante secondo cui la definizione dei LEA avrebbe dovuto avvenire a mezzo di fonte primaria, e dunque non mediante il d.p.c.m. citato.

Secondo il Giudice d’appello, invece, non opera in materia una riserva assoluta di legge, attesa la potestà regolamentare dello Stato nelle materie di sua legislazione esclusiva (art. 117, 6° comma, Cost.), qual è, appunto, quella dei livelli essenziali delle prestazioni.

Di particolare rilievo è anche l’ulteriore assunto – più concreto ed operativo – posto a base della decisione reiettiva.

Ad avviso di quel Giudice, la pretesa di disciplinare la materia dei LEA unicamente con atto legislativo porterebbe al risultato – manifestamente irrazionale e capace di paralizzare la funzionalità del modello – di una prevedibile ossificazione delle scelte regolative, incapaci di adattarsi in tempi necessariamente rapidi all’evoluzione delle conoscenze in campo medico ed alle esigenze diagnostiche e terapeutiche che la domanda di assistenza sanitaria inevitabilmente esprime, secondo criteri e necessità variabili non solo nel tempo, ma anche nello spazio.

Deve pertanto ritenersi sufficiente – sempre secondo il Consiglio di Stato (ed in conformità a C. Cost. n. 88/03, ivi puntualmente richiamata) – che la fonte primaria rechi la relativa disciplina di diritto procedimentale nonché, sul piano del diritto sostanziale, stabilisce le linee generali delle scelte da compiersi nel settore (individuate nella specie con l. n. 405/01), la cui specificazione può ben avvenire con atti di rango non primario (come il citato d.p.c.m.).

2.- Oltre ad assicurare snellezza e dunque efficienza allo specifico sistema dei LEA, la posizione del Consiglio di Stato parrebbe consolidare le basi (proseguendo dunque nella direzione di C. Cost. n. 88/03 cit.) di un modello generale di amministrazione per livelli essenziali, come tecnica di regolazione di materie nelle quali sia particolarmente stretto l’intreccio delle competenze statali e regionali.

In tali casi, peraltro, sarebbe assai preferibile il ricorso – già in sede di fissazione delle soglie essenziali, pur connesse interamente alla potestà statale – a forme di cooperazione fra i due poli, al fine precipuo di evitare che il successivo segmento, affidato invece alla normazione delle autonomie territoriali, sconti il rischio di un rigetto all’interno del tessuto del sistema locale.

In altri termini, anticipare l’intervento del “mondo” delle autonomie, coinvolgendolo in un processo sostanzialmente partecipativo e dunque codecisorio, consente l’innesco di meccanismi virtuosi di circolarità nella conoscenza dei fenomeni sui quali di volta in volta si andrà ad agire, nella loro dimensione inevitabilmente plurale.

Di modo che le fasi di pertinenza esclusiva del governo locale – siano esse di complemento dell’intervento regolativo, ovvero di gestione concreta dei processi reali che esso interseca e disciplina – non scadano ad occasioni più o meno pretestuose di contrapposizione esiziale fra due blocchi fra loro non dialoganti; ma costituiscano invece la conclusione armoniosa ed organica di una esperienza di normazione intrinsecamente provvista di effettività e nella quale il soggetto territoriale – al tempo stesso regolatore ed attuatore – possa facilmente riconoscersi.

3.- Si pensi – esempio particolarmente attuale – all’urbanistica, la cui iscrizione nell’ambito della materia del governo del territorio (e dunque di competenza concorrente) costituisce, a partire dalla notissima sentenza n. 303/03 della Corte costituzionale un dato ordinamentale oramai acquisito.

Dall’”area” dell’art. 117, 2° comma, lett. m), Cost., dipartono almeno due traettorie di rilevante interesse per quel settore.

La prima interseca la “materia” urbanistica sul piano delle regole sostanziali, e garantisce il “controllo” centrale sull’attività delle Regioni e degli enti locali, affinché le loro concrete scelte di politica e gestione del territorio rispettino un koinè di regole fondamentali, non solo quantitative, ma anche qualitative: ovvero – volendo usare una strada più redditizia e affidante rispetto a quella (pur assai battuta) di concertare su di un catalogo di principi generali – sempre sospesi fra eteree irrilevanze e concrete incostituzionalità – le speranze di evitare perniciose fughe in avanti (o più probabili balzi all’indietro) di realtà territoriali poco o punto disponibili al rispetto delle nervature primarie di un sistema di rinnovate metodologie di gestione del territorio.

Ma sembra esservi anche – come si diceva – una seconda traiettoria che deriva dalla norma appena richiamata: quella che consente al livello centrale di “controllare” l’evoluzione dei sistemi di pianificazione locale da un punto di vista anche procedimentale, racchiudendo in uno “statuto” l’insieme delle regole – basilari, e dunque uniformi – che devono guidare non il merito, ma il metodo mediante il quale si perviene alla formazione delle scelte urbanisticamente rilevanti.

4.- In generale, la vis espansiva insita nello strumento generale dell’amministrazione per livelli essenziali può spingersi sino ad allocare nel livello statale un osservatorio efficiente ed una cabina di regia incisiva (nonché un … braccio secolare rapido nell’incursione di pronto intervento), che assicurino (almeno) il governo d’apice del settore di volta in volta oggetto di regolazione; i successivi segmenti procedimentali potrebbero in tal modo essere lasciati con più tranquillità alla disciplina esclusiva delle autonomie territoriali: non più monadi di un “federalismo dell’abbandono”, in quanto divenute coese grazie alla buona tenuta – ma anche alla rapidità dei tempi di reazione – dell’ancoraggio comune.

 

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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV – sentenza 15 giugno 2004 n. 3983 Pres. Trotta, Est. De Felice - D’Ammacco e altri (Avv.ti Bellini e Balzano) e Fisiomedica s.r.l (Avv. Nardelli) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avv. Gen. Stato), Regione Puglia (Avv. Portaluri), Azienda Sanitaria Locale-AUSL BA/4 di Bari (Avv. Lorenzoni), Regione Emilia-Romagna (Avv. Russo Valentini), Regione Veneto (avv.ti Morra, Vidotti e Manzi) - (dichiara improcedibili, per sopravvenuta carenza di interesse, gli appelli avverso la sent. del T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 19 novembre 2002, n. 10101).

F A T T O

In entrambi gli appelli, le odierne appellanti, associazioni di categoria e titolari di strutture accreditate con il servizio sanitario nazionale, operanti in varie regioni nella branca della medicina fisica riabilitativa, premettono di avere impugnato in primo grado il DPCM con il quale sono stati determinati i livelli essenziali di assistenza sanitaria, in base ai quali, diciassette prestazioni relative a detta branca, fino ad allora indicate dal nomenclatore tariffario tra quelle erogabili a carico del SSN, sono state escluse.

In particolare, le ricorrenti avevano chiesto l’annullamento: A) del DPCM del 29.11.2001 (in GU s.ord. n.26 dell’8 febbraio 2002) recante la determinazione dei livelli essenziali di assistenza, nella parte in cui esclude da questi ultimi le prestazioni di medicina fisica riabilitativa ambulatoriale; B) del medesimo DPCM per la facoltà concessa alle Regioni di includere la laserterapia antalgica, l’elettroterapia antalgica, l’ultrasuonoterapia e la mesoterapia tra le terapie rimborsabili a carico del SSN; C) dell’allegato 2B lett.c) al DPCM, contenente le prestazioni di medicina fisica riabilitativa ambulatoriale, inserite nell’ambito delle prestazioni parzialmente escluse dai LEA, perché erogabili solo secondo specifiche indicazioni cliniche; D) degli atti presupposti, connessi e consequenziali, compresa la nota della ASL BA/4 prot.n.1974 del 28.2.2002, quanto al ricorso di r.g.2986/2002 in primo grado.

Venivano proposte le censure di violazione di legge (D.L.vo 502/1992, art. 1, commi 1,2,3 e 7; art. 6 comma 1 D.L.347/2001, conv. con modifiche dalla L.405/2001; artt. 1 e ss. L.833/1978; dell’art. 32 Cost.), e di eccesso di potere sotto vari profili (carenza di motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta, sviamento).

Il giudice di primo grado rigettava il ricorso, ritenendo in sostanza la legittimità del D.P.C.M. 29 novembre 2001, recante la determinazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea), emanato nel rispetto della intesa Stato-Regioni del 22 novembre 2001, e nel rispetto dei principi essenziali in materia di assistenza sanitaria.

Il giudice di prime cure riteneva altresì inapplicabile al DPCM impugnato l’art. 3 L.241/1990, essendo tale atto a contenuto generale e di indirizzo, e più precisamente un atto-fonte immediatamente esecutivo sia della previsione dell’art. 6 D.L.347/2001 che della intesa Stato-Regioni su indicata.

D I R I T T O

In via preliminare deve essere disposta la riunione degli appelli, indicati in epigrafe, rivolti alla impugnazione della medesima sentenza n.10101/2002 della sezione terza-ter del TAR Lazio, ai sensi dell’art. 335 c.p.c.

Avverso la impugnata sentenza, gli appellanti ripropongono in sostanza le medesime censure di cui al ricorso in primo grado, ritenute infondate dal giudice di prime cure.

Tali censure possono essere sintetizzate nei vizi di violazione di legge (art. 32 Cost., D.L.vo 1992/502 art. 1 commi 1,2,3 e 7; art. 6 comma 1 convertito in L. 405/2001; art. 1 e seguenti L. 1978/833); di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.; di illegittimità costituzionale anche dell’art. 6 comma 1 L. 405/2001, in relazione all’art. 117 Cost.; di illegittimità costituzionale dell’art. 54 commi 1,2 e 3 Legge Finanziaria 2003, n. 289 del 27.12.2002, in relazione agli artt. 2, 32, 97 e 117 Costituzione.

Il DPCM impugnato, oltre ad effettuare una ricognizione puntuale di ciò che viene garantito a tutti i cittadini, riporta un elenco di prestazioni ed attività che il Servizio Sanitario Nazionale non fornisce, o perché queste prestazioni non hanno come fine diretto la tutela della salute, o perché la loro efficacia non è sufficientemente provata in ambito scientifico o, ancora, perché il bilancio complessivo dei loro benefici in rapporto al costo risulta sfavorevole.

In primo luogo, va affrontata la censura con la quale le appellanti lamentano che la esclusione e la inclusione di determinate prestazioni si porrebbero in contrasto con i principi di tutela della salute (art. 32 Cost.), con i principi essenziali fissati dalla normativa in materia (D.L.vo 502/1992).

La censura non è fondata, in quanto il DPCM impugnato è stato emanato nel rispetto dei principi in materia e del contemperamento delle diverse esigenze; né può ritenersi che alcuna esclusione dai livelli essenziali di assistenza possa avvenire a danno di talune prestazioni, se non a costo di ritenere una ingiustificata e indiscriminata estensione dei LEA a tutte le prestazioni mediche.

Il DPCM 29 novembre 2001, impugnato in primo grado, recante la determinazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea), espunge da questi ultimi, e quindi dal sistema di accreditamento con il Servizio Sanitario Nazionale le prestazioni di medicina fisica riabilitativa ambulatoriale (più in particolare 17 prestazioni relativa alla branca in questione), ma tale esclusione altro non è che il risultato della attuazione dei cinque principi essenziali fissati dall’art. 1 commi 2 e 3 D.L.vo 502/1992, nel testo da ultimo risultante dalla novella recata dall’art. 1 comma 5 D.L. 347/2001 (conv. con modifiche dalla L. 405/2001) ossia: il principio di dignità della persona umana; il principio del bisogno di salute; il principio di equità nell’accesso all’assistenza sanitaria; il principio della qualità e dell’appropriatezza delle cure, con riguardo alle specifiche esigenze; il principio della economicità nell’impiego delle risorse.

Del resto, che il servizio di assistenza sanitaria dovesse rispondere anche esso a principi di efficienza e di buona amministrazione, era stato già affermato dalla Corte Costituzionale tempo addietro (sentenza n. 431/1987: “servizio… prospettato e realizzato efficiente nelle sue tecniche, sano nella sua amministrazione improntata a correttezza ed economicità, senza dispendi in conferenti”).

E’ infondata altresì la censura di violazione del D.L. 347/2001, convertito in L. 405/2001.

L’art. 6 D.L. 347/2001, poi convertito in L. 405/2001, stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare entro il 30 novembre di quell’anno, su proposta del Ministro dell’Economia e Finanze, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni e le province autonome, sono definiti i livelli essenziali di assistenza, ai sensi dell’art. 1 del Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni.

Il DPCM impugnato, nel preambolo, richiama proprio l’accordo intervenuto in data 8 agosto 2001 tra Stato, Regioni e province autonome, che prevede l’impegno alla definizione dei LEA; viene richiamato anche l’art. 6 D.L. 347/2001, convertito con modifiche dalla L. 405/2001, che fonda tale potere, stabilendone le modalità procedurali (l’accordo) che devono pertanto ritenersi in sostanza rispettate.

Il DPCM impugnato, è quindi fonte immediatamente esecutiva dell’art. 6 su citato.

D’altronde, il recepimento dell’intervenuto accordo Stato-Regioni, fa ritenere che sia stato rispettato il principio costituzionale di leale collaborazione (valorizzato anche dalle sentenze della Corte Costituzionale, la n. 303/2003, che fa riferimento alle intese e agli strumenti di raccordo, e la n. 88/2003, proprio in materia sanitaria, in cui si afferma che la mancanza di leale collaborazione, a mezzo di intese, comporta la illegittima compressione dei poteri delle regioni).

Le appellanti, ammettono che, successivamente alla pubblicazione della sentenza di primo grado, è intervenuto l’art. 54 L. 489/2002 (nella legge finanziaria per il 2003), a sanatoria della adottata procedura, e a conferma dei livelli essenziali di assistenza come determinati nell’impugnato decreto presidenziale.

L’art. 54 della legge 289/2001, stabilisce espressamente che sono confermati i livelli essenziali di assistenza, precisando che tali livelli sono quelli individuati nell’allegato 1 del DPCM 29/11/2001, con le medesime esclusioni e limiti colà individuati, e con decorrenza dalla data di entrata in vigore del decreto stesso.

Tale norma pertanto conferisce valenza di fonte primaria alla determinazione dei c.d. LEA, appropriandosi dei contenuti del decreto presidenziale impugnato, e come tale, la legge ordinaria non è soggetta al sindacato di questo giudice, costituendone piuttosto il parametro di legittimità che non l’oggetto. Viene meno in ogni caso, quindi, l’interesse a contestare le formalità procedurali del decreto presidenziale impugnato, che non sarebbe stato preceduto, secondo l’assunto degli appellanti, dalla intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni, in assenza della quale risulterebbe violato il principio di leale collaborazione, con illegittima compressione dei poteri delle regioni e province autonome.

Anche a seguito della emanazione dell’art. 54 della legge finanziaria per il 2003, e anche a ritenere sussistente l’interesse degli appellanti alla censura di contrasto con il nuovo assetto costituzionale e con i limiti alla potestà di legislazione esclusiva statale, l’appello nel merito è comunque infondato.

Sostengono gli appellanti che la definizione dei livelli essenziali di assistenza avrebbe dovuto avvenire a mezzo di fonte primaria e non secondaria (con il decreto presidenziale impugnato).

In contrario, è già assorbente osservare come i livelli, già prima definiti, siano poi stati riconfermati dalla legge finanziaria per l’anno 2003.

Con riguardo alle censure di incostituzionalità, per la asserita violazione del criterio di ripartizione delle materie, in più va osservato quanto segue.

Gli artt. 1 e 3 D.L.v 502/1992 attribuiscono alle regioni la determinazione dei principi sulla organizzazione dei servizi e delle attività destinate alla tutela della salute.

Secondo gli appellanti, risulterebbe in ogni caso violato, oltre che il principio di leale collaborazione sancito dall’art. 117 novellato, a causa della mancanza della previa intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni, anche il principio della riserva di legge assoluta statale in materia di livelli essenziali dei diritti civili e sociali.

La censura non è fondata, anche a prescindere dall’intervento della legge finanziaria succitata.

Alla luce del nuovo Titolo quinto parte seconda della Costituzione, lo Stato può adottare regolamenti nelle materie nelle quali conservi la legislazione esclusiva (art. 117 sesto comma Cost.), salva la possibilità di delega alle regioni.

La definizione dei livelli essenziali di assistenza, anche se fosse stata operata a mezzo di atto solo regolamentare (e non confermata poi da fonte di legge primaria), avrebbe potuto trovare giustificazione nella sua ricomprensione nella materia esclusiva di cui al secondo comma dell’art. 117 lett.m) Costituzione, in quanto attinente appunto alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni.

E’ noto, infatti, che lo Stato conserva la potestà regolamentare proprio nelle materie (e solo in esse) nelle quali dispone di potestà legislativa esclusiva.

E’ da condividere altresì il principio che siffatta materia non si presta, per la sua particolarità tecnica, e per la necessità di aggiornamento continuo, a essere disciplinata con fonte soltanto primaria, ma piuttosto con fonte secondaria, tanto che la successiva legge finanziaria ha voluto fare proprie le scelte dell’atto richiamato.

E’ da chiarire, inoltre, in relazione alla fattispecie, che la nozione di materia merita alcune precisazioni.

Infatti, la potestà attribuita al legislatore nazionale nel determinare livelli essenziali delle prestazioni è tale da configurarsi come una competenza trasversale, condizionante le scelte del legislatore regionale e non propriamente come un vero ambito materiale.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n.282/2002, ha precisato, relativamente alla determinazione dei livelli essenziali, che <<non si tratta propriamente di una ‘materia’ in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea a investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale (minimale) di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa condizionarle o limitarle>>.

Nella successiva sentenza (n.88/2003) la Corte Costituzionale ha osservato che <<l’inserimento nel secondo comma dell’art. 117 del nuovo Titolo V della Costituzione, fra le materie di legislazione esclusiva dello Stato, della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” attribuisce al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto.

La conseguente forte incidenza sull’esercizio delle funzioni nelle materie assegnate alle competenze legislative e amministrative delle Regioni e province autonome, impone evidentemente che queste scelte, almeno nelle loro linee generali, siano operate dallo Stato con legge, che dovrà inoltre determinare adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che si rendano necessarie nei vari settori.>> (così Corte Costituzionale n.88 del 13 marzo 2003).

Si ammette pertanto che la specificazione, pur nella trasversale materia degli standards minimi sanitari, possa avvenire a mezzo di fonti di grado non primario.

In ogni caso, la conferma per via legislativa dei livelli individuati con il dPCM, limita l’intervento regolamentare alla mera integrazione, dopo che la legge ha già compiuto (o compie, successivamente all’atto regolamentare) le scelte caratterizzanti.

Si noti come, addirittura nell’ambito della materia della riserva di legge penale, sono consentite integrazioni di tipo tecnico (si pensi alla compilazione delle tabelle delle sostanze stupefacenti e psicotrope da parte dell’autorità sanitaria, in attuazione dei criteri posti dall’art. 12 L.685/1975).

Dopo la entrata in vigore del nuovo Titolo V seconda parte della Costituzione, l’art. 6 D.L.347/01 (convertito con legge 405 del 16 novembre 2001), ha disciplinato espressamente il procedimento di adozione dei LEA attraverso l’attribuzione ad un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del compito di definirli, e la previsione del coinvolgimento delle Regioni e province autonome attraverso la previa intesa con il Governo, da conseguire in sede di Conferenza Permanente Stato-Regioni.

La medesima Corte Costituzionale, nella su citata sentenza n.88/2003, riconosce che un apposito accordo (di cui pertanto riconosce la legittimità) è stato conseguito in sede di Conferenza permanente il 22 novembre 2001 fra Governo, Regioni e province autonome, e il dPCM 29 novembre 2001 ne ha recepito i contenuti.

Successivamente l’art. 54 legge finanziaria 2003 ha confermato per il futuro la utilizzabilità dei c.d.Lea di cui al DPCM su citato, prevedendo esplicitamente che eventuali modificazioni agli allegati debbano essere “definite con dPCM, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome”.

Il Giudice delle leggi riconosce che, al di là del merito delle scelte e della adeguatezza dei livelli essenziali in tal modo individuati, esiste una specifica procedura, individuata con fonte legislativa, per la determinazione di quanto previsto nell’art. 117 secondo comma, lettera m), della Costituzione e che questa determinazione è intervenuta appunto con il dPCM 29/11/2001.

Non hanno pregio le censure di difetto di istruttoria e di motivazione, basate sulla pretesa che le inclusioni e le esclusioni di determinate prestazioni dall’ambito dei “Lea” richiederebbero una specifica motivazione in ordine ad ognuna di esse, in quanto, se da un lato deve riconoscersi, data la particolarità tecnica della materia, la difficoltà di disciplinarla interamente con legge, considerando anche l’evoluzione delle scienze mediche, dall’altro lato non può negarsi comunque valenza di efficacia generale all’atto impugnato.

Non trova applicazione l’art. 3 comma 2 L.241/1990 nei confronti del DPCM 29 novembre 2001, recante la determinazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea), essendo quest’ultimo un atto a contenuto generale e di indirizzo, e più precisamente, un atto-fonte immediatamente esecutivo dell’art. 6 D.L.347/2001 e della intesa Stato-Regioni del 22.11.2001, ad efficacia generale, sul contenuto concordato dei Lea e del livello di spesa, che dà loro significato concreto.

Alla stregua delle considerazioni svolte, a causa della sopravvenuta legge finanziaria per il 2003, che all’art. 54 (L.289/2002), ha elevato a livello di fonte legislativa (primaria) i livelli essenziali di assistenza, contenuti nella fonte secondaria (DPCM 29/11/2001), gli appelli debbono essere dichiarati improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse (v. in tal senso anche sentenza di questa sezione, n.398/2004), e in ogni caso devono essere respinti in quanto infondati nel merito.

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sui ricorsi indicati r.g.566/2003 e 3075/2003, entrambi nei confronti della sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio, sezione terza ter, n.10101 del 19 novembre 2002, previa riunione degli stessi, così provvede:

dichiara la improcedibilità di entrambi gli appelli per sopravvenuto difetto di interesse nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 2 marzo 2004, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale- Sezione quarta, riunito in camera di consiglio con l’intervento dei seguenti signori Magistrati:

Trotta Gaetano,                 Presidente

Barberio Corsetti Livia,       Consigliere

Scola Aldo,                       Consigliere

Deodato Carlo,                  Consigliere

De Felice Sergio,               Consigliere, estensore

L’ESTENSORE                             IL PRESIDENTE

 Sergio De Felice                                  Gaetano Trotta

 IL SEGRETARIO

Maria Cecilia Vitolla

Depositata in Segreteria il 15 giugno 2004.


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