n.
3/2012 - ©
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NICOLA PIGNATELLI*
La centrale di committenza unica
dei piccoli comuni:
la gestione obbligatoriamente associata
delle gare ad evidenza pubblica
SOMMARIO: 1. La scelta e la legittimazione costituzionale del legislatore statale: la centrale unica di committenza quale misura di riduzione della spesa pubblica e di tutela della concorrenza. - 2. Una species di “amministrazione aggiudicatrice” obbligata: la centrale di committenza nell’ambito di Unioni e Consorzi tra piccoli (e piccolissimi) Comuni. - 3. I profili organizzativi e procedimentali. - 4. Una notazione conclusiva di natura processuale.
1. La scelta e la legittimazione costituzionale del legislatore statale: la centrale unica di committenza quale misura di riduzione della spesa pubblica e di tutela della concorrenza.
Nel coacervo delle misure “salva-Italia” tese a razionalizzare la spesa pubblica il Governo ha introdotto una forma di accentramento della gestione delle gare ad evidenza pubblica, ritenendo che tale previsione possa eliminare taluni costi inutili connessi alla frammentazione tra i piccoli Comuni della fase procedimentale di acquisizione di lavori, servizi e forniture.
L’art. 23, 4° comma, d.l. n. 201/2011 (come convertito con modificazioni dalla l. n. 214/2011) ha aggiunto all’art. 33 del Dlgs. n. 163/2006 il comma 3 bis, secondo cui “I Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia affidano obbligatoriamente ad un’unica centrale di committenza l’acquisizione di lavori, servizi e forniture nell’ambito delle unioni dei comuni, di cui all’art. 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici”.
L’ambito di operatività di tale scelta legislativa si riferisce quindi, sotto il profilo soggettivo, ai Comuni con una popolazione fino a 5.000 abitanti (indipendentemente dalla recente distinzione normativa tra “piccoli” comuni, tra 1.001 e 5.000 abitanti, e “piccolissimi” Comuni, sino a 1.000 abitanti), sotto il profilo territoriale, ai Comuni della medesima Provincia (risultando pertanto esclusa la gestione associata tra Comuni limitrofi siti in due diversi territori provinciali), sotto il profilo oggettivo, all’attribuzione obbligatoria ad una unica centrale di committenza della acquisizione di lavori, servizi e forniture, nonché sotto il profilo strumentale (nel senso dell’ambito inter-comunale funzionale all’istituzione della centrale di committenza), alle Unioni di Comuni (per quanto il mero riferimento all’art. 32 TUEL sia insufficiente, posta, come si dirà, la specialità delle nuove Unioni obbligatorie per i piccolissimi Comuni ex art. art. 16 d.l. n. 138/2011) e a speciali (“appositi”) Consorzi tra Comuni, o, secondo una interpretazione maggiormente letterale, ad accordi di natura convenzionale istitutivi di una centrale di committenza.
La legittimazione del legislatore statale a disciplinare la suddetta materia risiede in una pluralità di titoli competenziali ex art. 117 Cost., a seconda del fine legislativo, sotteso al suddetto intervento, che si intende valorizzare [1].
Qualora si evochi quale titolo quello della riduzione della spesa pubblica (come emerge dalla relazione tecnica allegata al decreto) la legittimazione statale appare ancorata alla competenza concorrente ex art. 117, 3° comma, Cost., “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica” [2]; in questa logica, da una parte, non potrebbero escludersi interventi del legislatore regionale di dettaglio, rispetto ai principi statali, e dall’altra potrebbero sorgere dubbi di legittimità costituzionale sulla stessa natura dettagliata della suddetta disposizione statale.
Tuttavia, alla luce dei principi desumibili dalla giurisprudenza costituzionale in materia, sembra di poter dire, in una logica più salda, che tale previsione legislativa statale sia comunque espressione della competenza esclusiva della “tutela della concorrenza” (ex art. 117, 2° comma, Cost., let. e) [3], incidendo direttamente anche sulle logiche di mercato, posto che un accentramento della fase dell’aggiudicazione dei contratti pubblici determina l’aggregazione della domanda e quindi migliori condizioni di mercato [4]. Questo ambito di competenza tende pertanto a comprimere in spazi assai angusti la suddetta competenza legislativa regionale (esercitabile ai soli fini dell’armonizzazione dei bilanci).
Deve, invece, ritenersi più problematico (o perlomeno meramente eventuale) il riferimento all’art. 117, 2° comma, let. p “funzioni fondamentali di Comuni, Provincie e Città metropolitante”, posto che la disciplina degli appalti pubblici, per la sua trasversalità, aderisce anche a funzioni amministrative non fondamentali.
2. Una species di “amministrazione aggiudicatrice” obbligata: la centrale di committenza nell’ambito di Unioni e Consorzi tra piccoli (e piccolissimi) Comuni.
L’art. 23, 4° comma, d.l. n. 201/2011 incide, in primo luogo, in senso negativo sulla disciplina del Codice dei Contratti pubblici, precludendo a talune Amministrazioni territoriali (i Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti) la qualifica di “amministrazione aggiudicatrice” (come puntualmente definita dall’art. 3, 25° comma, Dlgs. n. 163/2006, secondo cui sono tali “le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti”). In altre parole i piccoli ed i piccolissimi Comuni non potranno più bandire gare a partire dal 31.3.2013 (come previsto dall’art. 23, 5° comma, d.l. n. 201/2011, con proroga di 12 mesi introdotta dall’art. 29, 11° comma ter, d.l. n. 216/2001, convertito in l. n. 14/2012).
Il suddetto art. 23, 4° comma, d.l. n. 201/2011 valorizza il combinato dell’art. 3, 25° comma, Dlgs. n. 163/2006, nella parte in cui annovera tra le amministrazioni aggiudicatrici non soltanto i Comuni ma anche le unioni ed i consorzi tra Comuni, e dell’art. 33, 1° comma, Dlgs. n. 163/2006, alla luce del quale le stazioni appaltanti (tra le quali le amministrazioni aggiudicatrici e quindi anche le unioni ed i consorzi) “possono” fare ricorso a centrali di committenza. Evidentemente tale facoltà si trasforma in un “obbligo” nel nuovo art. 33, 3° comma bis, Dlgs. n. 163/2006 per le gare che saranno bandite a partire dal termine temporale individuato (31.3.2013).
Rispetto a tale obbligo devono essere fatte due precisazioni, una di carattere sistemico ed una relativa al destinatario dell’obbligo.
In primo luogo deve rilevarsi una digressione rispetto al modello facoltativo di committenza centralizzata derivante dalla disciplina comunitaria. La definizione di centrale di committenza, attualmente contenuta nell’art. 3, 34° comma, Dlgs. n. 163/2006 (“è un’amministrazione aggiudicatrice che: - acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori, o -aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori”) ha recepito il rilevo del 15° considerando della Direttiva 2004/18, che evidenzia la necessità di definire tale nozione, prendendo atto dello sviluppo di una prassi di aggiudicazione centralizzata, potenzialmente virtuosa per la concorrenza. Si tratta, però, di un istituto a recepimento facoltativo, come di desume espressamente dal 16° considerando: “al fine di tener conto delle diversità esistenti negli Stati membri, occorre lasciare a questi ultimi la facoltà di prevedere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere ad accordo quadro, a centrali di committenza, ai sistemi dinamici di acquisizione (…)”. In questa logica l’art. 11 della Direttiva 2004/18 dispone che “1. Gli Stati membri possono prevedere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di acquistare lavori, forniture e/o servizi facendo ricorso ad una centrale di committenza. 2. Le amministrazioni aggiudicatrici che acquistano lavori, forniture e/o servizi facendo ricorso ad una centrale di committenza nei casi di cui all’art. 1, paragrafo 10, sono considerate in linea con la presente direttiva a condizione che detta centrale l’abbia rispettata” [5].
Nella previsione in commento, al contrario, tale facoltà si trasforma in un modello organizzativo necessitato, la cui ratio è intimamente connessa non tanto alle esigenze di valorizzazione della concorrenza (per quanto indirettamente incise e comunque rispetto alle quali la disciplina comunitaria non ha ritenuto la committenza unica strumento diffusamente necessario) ma alle straordinarie esigenze della finanza pubblica in questo momento storico.
Quanto alla problematica del destinatario dell’obbligo di costituzione di una centrale unica di committenza e quindi di affidamento della gestione dell’acquisizione di lavori, forniture e servizi, è certamente necessario coordinare la disciplina dell’art. 23, 4° comma, d.l. n. 201/2001 con le recenti novità normative relative alle unioni obbligatorie tra i piccolissimi Comuni -ovvero con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti- istituite per la gestione associata di tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici (art. 16 d.l. n. 138/2011, come convertito dalla l. n. 148/2011) nonché relative alle unioni o convenzioni tra i piccoli Comuni -ovvero con popolazione tra i 1.001 e i 5.000 abitanti- previste per la gestione associata delle funzioni fondamentali (art. 14, 28° comma e 31° comma, d.l. n. 78/2010 convertito in l. n. 122/2010, come modificato dall’art. 16, 22° e 24° comma, d.l. n. 138/2011, come convertito in l. n. 148/2011).
L’art. 23, 4° comma, d.l. n. 201/2011 -prevedendo che i Comuni (piccoli e piccolissimi) debbano affidare ad un’unica centrale di committenza la gestione delle gare ad evidenza pubblica “nell’ambito delle unioni di comuni (…), ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile”- sembra porre (almeno letteralmente) l’obbligo di costituzione della centrale di committenza direttamente in capo ai Comuni, così che dovrebbero ritenersi quest’ultimi competenti a far sorgere questa nuova stazione appaltante centralizzata.
In realtà, proprio alla luce della necessità di una interpretazione sistematica, devono essere fatte talune precisazioni.
Quanto ai piccolissimi Comuni (2.1) il legislatore ha previsto l’applicazione, in deroga all’art. 32 TUEL, di una unione “speciale” (obbligatoria) come disciplinata dall’art. 16 d.l. n. 138/2011, quale strumento di gestione associata di tutte le funzioni amministrative ed i servizi pubblici, (1° comma) a decorrere dal giorno della proclamazione degli eletti negli organi di governo del Comune per primo interessato al rinnovo (9° comma) e comunque non oltre il 30.9.2013 (come risultante dalla proroga di 9 mesi introdotta dall’art. 29, 11° comma bis, d.l. n. 216/2001, convertito in l. n. 14/201), termine oltre il quale è attribuito alla Regione l’esercizio di un potere sostitutivo di imposizione dell’unione (8° comma).
Pertanto, posto che l’art. 23, 5° comma, d.l. n. 201/2011 (come prorogato) prevede l’applicazione della centrale unica di committenza a partire dal 31.3.2013, ovvero da un momento potenzialmente precedente alla nascita delle suddette unioni obbligatorie, potranno darsi due ipotesi:
a) nel caso in cui l’Unione obbligatoria sia già sorta (“ove esistente”), l’obbligo di costituzione della centrale unica di committenza graverà in capo ad essa. In tal caso spetterà all’Unione (non ordinaria ex art. 32 TUEL) dare vita ad un proprio ufficio qualificato di committenza (un Servizio), attraverso l’esercizio del proprio potere regolamentare;
b) nel caso in cui l’Unione obbligatoria non sia ancora sorta, l’obbligo di costituzione della centrale unica di committenza graverà sui singoli Comuni, nel senso che spetterà ad essi dare vita ad un Consorzio obbligatorio (art. 31, 7° comma, TUEL) e a quest’ultimo ad un ufficio di committenza (o in alternativa all’attribuzione di tale funzione ad uno dei Comuni consorziati, quale “capo-fila”).
In questa logica lo strumento-Consorzio è subordinato alla inoperatività dell’Unione [6].
Deve in ogni caso precisarsi come l’Unione obbligatoria tra i piccolissimi Comuni potrebbe risultare recessiva o comunque essere indebolita da una disposizione che rischia di escluderne in nuce l’operatività. L’art. 16, 16° comma, d.l. n. 138/2011 (come prorogato dall’art. 29, 11° comma bis, d.l. n. 216/2001, convertito in l. n. 14/2012) prevede, infatti, che l’obbligo di costituzione dell’unione obbligatoria viene meno nei confronti dei Comuni che alla data del 30.6.2013 risultino esercitare le funzioni amministrative ed i servizi pubblici mediante convenzione ex art. 30 TUEL secondo significativi livelli di efficacia ed efficienza (meramente) “autocertificati” al Ministero dell’Interno. L’operatività di tale escludente potrebbe determinare una prevalenza, nei piccolissimi comuni, della costituzione della centrale di committenza a seguito di un accordo consortile (e non anche “nell’ambito” dell’unione dei comuni).
Quanto, invece, ai piccoli Comuni (2.2) deve rilevarsi come l’art. 14, 28° comma, d.l. n. 78/2010 (come prorogato dall’art. 29, 11° comma, d.l. n. 216/2001, convertito in l. n. 14/2012) disponga che le funzioni fondamentali siano obbligatoriamente esercitate attraverso una convenzione (art. 30 TUEL) o una unione (art. 32 TUEL) entro il 30.9.2013 (per quanto entro il 30.9.2012 almeno due di esse dovranno essere esercitate in una logica associata).
Anche alla luce di tale previsione possono distinguersi due ipotesi:
a) qualora l’unione risulti già istituita al 31.3.2013, l’obbligo di costituzione della centrale di committenza dovrà gravare sull’Unione stessa, in una logica conforme allo spirito dell’intervento normativo. Tuttavia deve precisarsi come tale Unione (diversa da quella speciale dei piccolissimi comuni) è istituita per la gestione delle sole sei funzioni fondamentali individuate in via provvisoria dall’art. 21, 3° comma, l. n. 42/2009 (a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e controllo; b) funzioni di polizia locale; c) funzioni di istruzione pubblica; d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti; e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente; f) funzioni del settore sociale), tra le quali non sembra annoverabile la gestione associata delle committenze. A tutto concedere potrebbe sostenersi, vista la trasversalità delle gare ad evidenza pubblica, che tale gestione è riconducibile nell’alveo delle suddette funzioni fondamentali quale funzione strumentale o connessa (si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alle gare riguardanti la fornitura di materiale scolastico riconducibile nell’alveo della lett. e). Pertanto la previsione dell’art. 23, 4° comma, d.l. n. 201/2011 sembra incidere sulle Unioni di piccoli comuni (art. 32 TUEL), nel senso di estenderne la sfera di competenza ad una funzione non fondamentale.
b) qualora, invece, al 31.3.2013 l’Unione non sia ancora costituita o qualora i Comuni abbiano deciso di stipulare una convenzione ex art. 30 TUEL per la gestione associata delle funzioni fondamentali, graverà su di essi l’obbligo di stipulare un accordo consortile e pertanto sul Consorzio istituito l’obbligo di dare vita ad un proprio ufficio di committenza accentrata (o comunque di attribuire tale funzione ad uno dei Comuni consorziati, quale “capo-fila”).
Può quindi rilevarsi come la costituzione della centrale di committenza, per quanto il legislatore abbia previsto una preferenza per l’ambito dell’Unione e soltanto in subordine per l’accordo consortile, possa passare (soprattutto in questa prima fase) attraverso la funzionalità dei Consorzi. Tale effetto, che può generarsi dalla interazione tra l’art. 23 d.l. n. 201/2011 e la recente normativa in materia di gestione associata dei piccoli e dei piccolissimi Comuni, sembra conforme al contenuto dell’art. 31, 7° comma, TUEL, secondo cui “in caso di rilevante interesse pubblico, la legge dello Stato può prevedere la costituzione di consorzi obbligatori per l’esercizio di determinate funzioni e servizi. La stessa legge ne demanda l’attuazione alle leggi regionali”.
Tuttavia, quanto alla valorizzazione dei consorzi in questa delicata materia, non può non rilevarsi come la scelta sembra andare in senso inverso rispetto ad altra recente opzione espressa dal legislatore statale (legge finanziaria 2010), il quale proprio nel medesimo intento di contingentare la spesa pubblica, ha previsto la soppressione dei consorzi di funzioni tra gli Enti locali (art. 2, 186° comma, let. e, l. n. 191/2009) [7].
In ogni caso, in una diversa prospettiva interpretativa, maggiormente conforme alla suddetta logica di soppressione dei consorzi di funzioni e specificatamente tesa a valorizzare l’espressione “accordi consortili” nel senso di accordi di natura consortile ma non propriamente istitutivi di un Consorzio (rectius, accordi convenzionali), potrebbe sostenersi che i Comuni non hanno l’obbligo di istituire un Consorzio, al quale spetterebbe successivamente la competenza a istituire una propria centrale di committenza, ma hanno più semplicemente l’obbligo attraverso un atto convenzionale di istituire una centrale di committenza.
Questa interpretazione avrebbe certamente il pregio di evitare la costituzione di ulteriori organi consortili e con essa le relative spese.
3. I profili organizzativi e procedimentali.
Non può negarsi come la vita e la forma delle centrali di committenza unica siano rimesse alla specifica disciplina che la potestà regolamentare delle Unioni e le previsioni degli accordi consortili conferiranno loro.
In ogni caso, in questa sede, possono essere articolate delle osservazioni ad una prima analisi normativa dell’istituto.
In primo luogo, deve rilevarsi come il vincolo di gestione associata introdotto dal legislatore statale possa porre dei problemi territoriali. L’art. 23, 4° comma, d.l. n. 201/2011 impone, infatti, il suddetto vincolo ai Comuni siti nella medesima provincia. Tale delimitazione territoriale rischia di entrare in conflitto con la mancanza di tale delimitazione per le Unioni ex art. 32 TUEL e per le Unioni obbligatorie ex art. 16 d.l. n. 138/2011. Non sembra di scuola l’ipotesi in cui la gestione associata delle funzioni venga esercitata da una Unione composta da Comuni contermini ma siti in territori provinciali diversi. In tal caso, qualora tali Unioni siano costituite prima del 31.3.2013, potrebbero porsi dei problemi per i Comuni non appartenenti al territorio della maggioranza dei Comuni dell’Unione, visto che i primi si vedrebbero costretti a costituire una ulteriore Unione ai fini della gestione della gare. Pertanto sembra immaginabile che la speciale previsione relativa alla centralizzazione della committenza possa produrre i propri effetti (indiretti) anche sulla conformazione delle Unioni, che i Comuni tenderanno a costituire con altri Enti della medesima provincia.
In secondo luogo deve rilevarsi come la costituzione di una centrale di committenza unica, che è “tenuta all’osservanza” del Dlgs. n. 163/2006 (come previsto dall’art. 33, 2° comma, Dlgs. n. 163/2006), non sottragga ai piccoli e ai piccolissimi Comuni la totalità delle proprie competenze in materia di contratti pubblici. Spetta, infatti, alla suddetta stazione appaltante centralizzata la fase che va dal bando all’aggiudicazione definitiva della gara, rimanendo in capo agli Enti locali sia la fase (“a monte”) della programmazione e della scelta discrezionale dei lavori, delle opere e delle forniture da acquisire, sia la fase (“a valle”) della stipulazione del contratto, salvo una espressa delega anche di quest’ultima fase.
Può ritenersi utile, quale paradigma funzionale, la recente disciplina normativa della stazione unica appaltante (S.U.A.), introdotta nel Piano straordinario contro le mafie, dall’art. 13 della l. n. 136/2010, che ha previsto l’adozione di un regolamento per la definizione delle modalità per promuovere l’istituzione di una o più stazioni appaltanti uniche a livello regionale, “al fine di assicurare la trasparenza, la regolarità e l’economicità della gestione dei contratti pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazione mafiose”. Dalla disciplina regolamentare di tale istituto (DPCM 30.6.2011), per quanto configurato come un modello non obbligatorio come la centrale di committenza de qua, possono desumersi elementi utili a specificare le competenze rilevanti ai nostri fini.
Più specificatamente nell’art. 4 del suddetto regolamento si legge che la S.U.A. cura la gestione delle procedura di gara e in particolare svolge una serie di attività, espressamente elencate:
a) collabora con l’ente aderente alla corretta individuazione dei contenuti dello schema del contratto, tenendo conto che lo stesso deve garantire la piena rispondenza del lavoro, del servizio e della fornitura alle effettive esigenze degli enti interessati;
b) concorda con l’ente aderente la procedura di gara per la scelta del contraente;
c) collabora nella redazione dei capitolati di cui all’articolo 5, comma 7, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
d) collabora nella redazione del capitolato speciale;
e) definisce, in collaborazione con l’ente aderente, il criterio di aggiudicazione ed eventuali atti aggiuntivi;
f) definisce in caso di criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, i criteri di valutazione delle offerte e le loro specificazioni;
g) redige gli atti di gara, ivi incluso il bando di gara, il disciplinare di gara e la lettera di invito;
h) cura gli adempimenti relativi allo svolgimento della procedura di gara in tutte le sue fasi, ivi compresi gli obblighi di pubblicità e di comunicazione previsti in materia di affidamento dei contratti pubblici e la verifica del possesso dei requisiti di ordine generale e di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa;
i) nomina la commissione giudicatrice in caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa;
l) cura gli eventuali contenziosi insorti in relazione alla procedura di affidamento, fornendo anche gli elementi tecnico-giuridici per la difesa in giudizio;
m) collabora con l’ente aderente ai fini della stipulazione del contratto;
Questa logica “unificante” può potenzialmente razionalizzare la spesa pubblica, evitando la parcellizzazione delle gare, certamente diseconomica per le difficoltà di gestione soprattutto in relazione ad alcuni adempimenti. Si pensi, a titolo esemplificativo, al momento di redazione dei capitolati tecnici e all’effettuazione dei controlli dei requisiti ex art. 38 Dlgs. n. 163/2006.
Non può negarsi, però, come la brevità della disposizione in commento non risolva il vero problema connesso alla concreta operatività della centrale di committenza, ovvero quello delle risorse umane e materiali. Pertanto soltanto una volta congegnata la disciplina regolamentare e convenzionale dell’istituto e soltanto una volta applicata potrà realmente apprezzarsi l’impatto razionalizzante sulla spesa pubblica.
Deve precisarsi in ogni caso come nell’ambito dell’Unione tutte le suddette competenze dovrebbero spettare al Servizio istituito, mentre nell’ambito degli accordi consortili all’organo gestionale all’uopo costituito o comunque all’ufficio di uno dei Comuni delegati. Tuttavia in entrambi i casi dovrà essere nominato un responsabile del procedimento [8].
Inoltre, in riferimento all’ambito oggettivo di operatività della centrale di committenza obbligatoria, la disciplina statale non prevede alcuna deroga. L’art. 23, 4° comma, d.l. n. 201/2011 non ammette alcuna eccezione rispetto all’accentramento della gestione delle gare, riconoscendo così una legittimazione diffusa dei piccoli Comuni; non vi sono eccezioni né in relazioni ad eventuali e straordinari motivi di urgenza (che nella disciplina del Dlgs. n. 163/2006 assumono comunque precipuo apprezzamento, come nel riconoscimento della esecuzione anticipata di un contratto d’appalto) né in relazione al valore (modesto) delle gare.
Quanto a quest’ultimo profilo non sembrerebbe neppure poter assumere qualche rilevanza la collocazione topografica dell’art. 33, 3° comma bis, contenuto nel Titolo I della Parte II del Dlgs. n. 163/2006, rubricato “contratti di rilevanza comunitaria”, al fine di limitare l’obbligatorietà del modello della centrale di committenza esclusivamente ai contratti sopra-soglia, posto che tale disposizione è applicabile anche ai contratti sotto-soglia alla luce del rinvio contenuto nell’art. 121 Dlgs. n. 163/2006.
In ogni caso un elemento ermeneutico di delimitazione oggettiva dell’operatività della centrale di committenza può rinvenirsi nell’art. 23, 5° comma, d.l. n. 201/2011, nella parte in cui, individuando il termine di attuazione dell’obbligo di gestione associata, si riferisce “alle gare bandite successivamente” al 31.3.2013. L’uso di tale nomen ancora l’obbligatorietà della gestione associata alle procedure in cui vi sia un confronto concorrenziale tra le imprese candidate, residuando pertanto per i singoli Comuni la facoltà di gestire autonomamente il procedimento di acquisizione dei lavori, forniture e servizi per le eccezionali ipotesi di procedure negoziate ammesse nei confronti di un solo operatore o per l’acquisizione in economia mediante trattativa diretta entro le soglie previste dai singoli enti (cfr. artt. 56, 57, 125 Dlgs. n. 163/2006).
Alla luce dello spirito della normativa riteniamo che anche le procedure di acquisizione in economia, come il cottimo fiduciario, debbano ricondursi nell’ambito della gestione associata obbligatoria.
4. Una notazione conclusiva di natura processuale.
In conclusione il legislatore statale, al fine di razionalizzare i bilanci della Repubblica (non solo quindi dello Stato ma anche degli Enti territoriali), è arrivato ad incidere profondamente sull’autonomia comunale, imponendo una doppia obbligatorietà, sia di natura “generale”, in relazione alle Unioni e alle Convenzioni di piccoli e piccolissimi Comuni per la gestione associata delle funzioni amministrative ed i servizi, con le specificità viste sopra, sia di natura “speciale”, connessa alla gestione associata delle gare ad evidenza pubblica.
Quanto a quest’ultimo profilo deve rilevarsi come non sia prevista alcuna sanzione espressa nell’ipotesi in cui un piccolo o un piccolissimo Comune eluda (dopo il 31.3.2013) la competenza della centrale unica di committenza e proceda ad un affidamento con gara “propria”.
Tuttavia, alla luce dei principi generali sul regime processuale dei provvedimenti amministrativi, può ritenersi che i provvedimenti adottati in violazione dell’art. 23, 4° comma, d.l. n. 201/2011 debbano essere ritenuti certamente annullabili e quindi suscettibili di impugnazione entro il termine decadenziale (breve, vista la materia de qua) di 30 giorni di cui all’art. 119, 5° comma, c.p.a. Pertanto, a titolo meramente esemplificativo, un bando adottato e pubblicato da parte un piccolo Comune potrà essere impugnato entro 30 giorni dalla pubblicazione o, più probabilmente, un’aggiudicazione definitiva in seno ad una gara non centralizzata potrà essere impugnata dall’impresa non aggiudicataria nel termine di 30 giorni dalla comunicazione ex art. 79 Dlgs. n. 163/2006.
A nostro avviso, però, gli atti adottati da un piccolo o piccolissimo Comune potrebbero ritenersi nulli e quindi suscettibili di essere oggetto dell’azione di accertamento ex art. 31, 4° comma, c.p.a, esperibile nel termine più ampio di 90 giorni (come desumibile, a stretto rigore, dal dimezzamento ex art. 119 c.p.a. del termine di 180 giorni previsto dal suddetto art. 31, 4° comma, c.p.a.), posto che si tratterebbe di provvedimenti adottati in carenza assoluta di potere (art. 21 septies l. n. 241/1990) [9].
Questo regime processuale deve ritenersi applicabile almeno rispetto alle Unioni di Comuni, ove esistenti, quali amministrazioni competenti, posto che l’art. 2, 1° comma, TUEL le annovera tra gli Enti locali, riconoscendo ad essa un’autonomia istituzionale, funzionale e organizzatoria, che può dirsi, qualora un provvedimento sia adottato da un “altro” Ente, il presupposto stesso della carenza assoluta di potere. In questa logica non sembra irragionevole distinguere tra la nullità (per carenza assoluta) degli atti adottati da un Comune in luogo dell’ Unione competente e l’annullabilità (per incompetenza relativa o più semplicemente per violazione di legge sub specie dell’art. 23, 4° comma, d.l. n. 201/2011) degli atti adottati da un Comune in luogo di un Consorzio competente.
Più realisticamente, fatta eccezione per possibili tentativi fraudolenti di “trattenere” talune gare, alcuni problemi interpretativi potrebbero porsi in relazione alla interpretazione del nomen gare, di cui si è detto nel paragrafo precedente, e alla ricerca di uno spazio di conservazione della funzione appaltante, soprattutto in relazione ad esigenze di urgenza, non specificatamente disciplinate dal legislatore.
In ogni caso un’analisi effettiva di questo nuovo modello potrà essere posta in essere soltanto al momento di concreta attivazione delle centrale uniche di committenza.
* Avvocato, Professore a contratto di Diritto costituzionale dell’Unione europea, Università di Pisa.
[1] Sulla problematica della legittimazione legislativa statale a disciplinare le forme di gestione associata tra gli Enti locali (art. 30, 31, 32 TUEL) cfr. da ultimo C. Bertolini, sub art. 32, in C. Napoli, N. Pignatelli (a cura di), Codice degli Enti locali, Roma, 2012, 301 ss.
[2] Utili elementi in tal senso possono desumersi da Corte cost. n. 36/2004, relativa alla compatibilità del sistema di committenza CONSIP rispetto alle istanze di decentramento e di autonomia degli Enti locali, ritenuto legittimo in quanto espressione del potere statale di coordinamento della finanza pubblica.
[3] In questo senso cfr. Corte cost. n. 345/2002, secondo cui la disciplina degli acquisti di beni e servizi, anche per mezzo di centrali di acquisto, involge una competenza trasversale ed esclusiva dello Stato, in quanto afferente alla tutela della concorrenza (art. 117, 2° comma, let. e). Sulla riconducibilità, più in generale, della materia degli appalti pubblici alla suddetta competenza esclusiva statale si veda Corte cost. n. 303/2003.
[4] Cfr. M. Di Lullo, Le centrali di committenza, in M. Sanino (a cura di), Commento al codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Torino, 2006, 179.
[5] Cfr. A. Giuseppone, P. Silvestri, I sistemi di scelta del contraente, Torino, 2007, 105; S. Martino, sub 33, in R. Garofoli, G. Ferrari (a cura di), Codice degli Appalti Pubblici, Roma, 2011, 376 ss. Deve rilevarsi come nell’ordinamento italiano un’anticipazione, rispetto alla normativa comunitaria, vi sia stato con il modello CONSIP, come disciplinato dalla l. n. 488/1999, la cui vigenza lo stesso Codice dei Contratti pubblici fa salva secondo un criterio di specialità (art. 252 Dlgs. n. 163/2006).
[6] Tuttavia non può ignorarsi come la gestione associata delle gare pubbliche potrebbe essere assorbita tra le competenze di un Consorzio già esistente, posto che l’art. 31, 6° comma, TUEL dispone che tra gli stessi enti locali non può essere costituito più di un Consorzio.
[7] Tale scelta (in controtendenza) per la gestione delle gare pubbliche potrebbe spiegarsi soltanto facendo riferimento alla necessità di attribuire alla centrale di committenza una propria soggettività giuridica, che in assenza delle unioni, una mera convenzione tra Comuni non potrebbe garantire. Il riconoscimento di tale soggettività assume rilevanza sotto il profilo processuale, visto che alla Centrale di Committenza, rectius, al Consorzio, potrebbe essere riconosciuta una legittimazione processuale passiva. Tuttavia questo assunto è assai controverso. Dalla giurisprudenza dominante (Cfr. ex plurimis Tar Sicilia, Catania, 10.2.2009 n. 291; Cons. St.., V Sez., 19.4.2007 n. 1800) si desume, infatti, come un consorzio di Amministrazioni, quale centrale unica di committenza, non sposti su di sé la legittimazione passiva, così che una eventuale impugnazione degli atti di gara, ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio, dovrà essere notificata a tutti i soggetti aderenti alla procedura centralizzata; in questa prospettiva la centrale di committenza costituisce meramente un modulo organizzativo, vale a dire uno strumento di raccordo tra Amministrazioni, privo di una propria individualità e non un centro formale di imputazione autonomo, con la conseguenza che gli atti della procedura vanno imputati alle altre Amministrazioni che la compongono. Nel caso di specie, però, la natura “mobile” della centrale di committenza, che agisce volta per volta per conto (normalmente) di un solo Comune (e non di tutti i Comuni Consorziati), quale parte sostanziale del processo, può far ritenere che il ricorrente, anche qualora si neghi la soggettività giuridica del Consorzio, possa notificare il ricorso esclusivamente al Comune che si è servito della Centrale unica nonché a quest’ultima e (per maggiore certezza) al Consorzio stesso, nel cui ambito è costituita la centrale di committenza.
[8] Più specificatamente l’art. 274 del DPR n. 207/2010, in materia di acquisti a mezzo di centrale di committenza, prevede che dovrà essere nominato un responsabile del procedimento, oltre all’eventuale direttore dell’esecuzione. Il responsabile del procedimento, in coordinamento con il direttore dell'esecuzione (ove nominato), assume specificamente in ordine al singolo acquisto i compiti di cura, controllo e vigilanza nella fase di esecuzione contrattuale nonché nella fase di verifica della conformità delle prestazioni. Le centrali di committenza, previa sottoscrizione di appositi protocolli di intesa per il collegamento informatico con l'Osservatorio, acquisiscono in via telematica dati, informazioni e documentazione in ordine alla fase di esecuzione del contratto, anche in relazione a quanto stabilito al riguardo nelle disposizioni di cui al titolo IV.
[9] Tuttavia, posto che l’operatività del regime della nullità in seno alla materia degli appalti pubblici potrebbe generare delle criticità, vista l’ontologica dissonanza rispetto alla natura “accellerata” del rito nonché rispetto alla coordinata disciplina sostanziale contenuta nel Dlgs. n. 163/2006, la giurisprudenza amministrativa potrebbe convertire forzosamente il vizio di nullità per carenza assoluta di potere in un vizio di incompetenza relativa, garantendo la tenuta del sistema processuale in materia di appalti.