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Articoli e note

n. 7-8/2005 - © copyright

PAOLO PIACENZA*

La Corte dei conti e gli Enti locali:
il controllo di gestione

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1. Introduzione

Dopo un lungo periodo passato nell’ombra, a partire dagli anni novanta la disciplina dei controlli interni ha avuto un grande sviluppo normativo.

Le tappe fondamentali di tale sviluppo sono rappresentate dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 [1] e dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286.

Il primo dispose l’istituzione, presso ciascuna amministrazione, di servizi di controllo interno o nuclei di valutazione «con il compito di verificare, mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione degli obiettivi, la corretta ed economica gestione della risorse pubbliche, l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa» [2].

Il secondo ha dettato, per la prima volta, una disciplina organica in materia di controlli interni, definendone i profili funzionali e organizzativi [3].

Il potenziamento dei poteri dei controlli interni è, peraltro, in linea con la maggiore trasformazione che ha investito i pubblici poteri nel corso del XX secolo: quella dei compiti [4].

Questi, infatti, oltre ad essere aumentati numericamente, hanno cambiato direzione: mentre in passato le amministrazioni pubbliche erano incaricate di svolgere prevalentemente funzioni di ordine, oggi esse sono chiamate a contribuire alla diffusione del benessere collettivo principalmente mediante l’erogazione dei servizi.

Ne consegue che, ai fini del controllo, ha assunto rilevanza, non solo la legittimità della condotta ma anche l’idoneità della stessa a raggiungere il risultato finale nel modo più efficiente, efficace ed economico possibile.

Tuttavia, nonostante gli sforzi del legislatore, il processo di attuazione dei controlli interni risulta ancora lento e difficile [5].

2. I controlli negli enti locali.

Per oltre quarant’anni la legislazione in materia di enti locali è rimasta sostanzialmente ferma al testo unico del 1934, il cui orientamento era sostanzialmente opposto allo spirito autonomistico riconosciuto dalla Costituzione del 1948.

La legge definiva infatti in modo uniforme e nei minimi dettagli gli assetti organizzativi e funzionali dei comuni.

Le risorse finanziare erano prevalentemente di derivazione statale e a destinazione vincolata; l’attività di controllo assumeva principalmente la forma del controllo preventivo di legittimità da parte di organi esterni; erano inoltre previsti controlli particolarmente invasivi di merito.

Con la Legge n. 142/1990 ha avuto inizio la riforma.

Tale legge ha infatti riconosciuto agli enti locali autonomia statutaria, normativa, organizzativa e finanziaria; ha limitato i controlli preventivi di legittimità; ha cancellato quelli di merito.

La legge 142/1990 ha inoltre previsto per gli enti locali la possibilità di disciplinare nello statuto «forme di controllo economico interno della gestione» (art. 57, c. 9).

Successivamente è intervenuto il decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, il quale ha esteso l’autonomia fino a comprendere quella impositiva e, nel contempo, ha disciplinato nel dettaglio il controllo di gestione; la legge n. 127/1997 ha provveduto ad un’ulteriore drastica riduzione dei controlli di legittimità; la legge 3 agosto 1999, n. 265, ha ridotto i vincoli all’autonomia statutaria; il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ha adeguato il sistema dei controlli interni ai principi posti dalla disciplina generale e ha ribadito che la Corte dei conti esercita il controllo successivo sulla gestione degli enti locali secondo le disposizioni contenute nella legge n. 20/1994.

Il 18 ottobre 2001 è poi intervenuta la legge costituzionale n. 3 la quale, da un lato ha riconosciuto agli enti locali «pari dignità istituzionale» rispetto ai livelli di governo superiore e, dall’altro, ha abrogato l’art. 130, con la conseguenza di ridurre ulteriormente i controlli di legittimità sugli atti [6] e, al contempo, di conferire maggiore rilevanza ai controlli interni.

D’altro canto, anche la legge 5 giugno 2003, n. 131, meglio nota come «legge La Loggia», attuativa della riforma costituzionale, ha previsto espressamente per gli enti locali la necessità di dotarsi di «sistemi di controllo interno, al fine di garantire il funzionamento dell’ente, secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità» (art. 2, c. 4, lett. e) [7].

3. La Corte dei conti.

La Corte dei conti esercita il controllo di gestione sugli enti locali, ai sensi della legge 14 gennaio 1994, n. 20 e successive modificazioni e integrazioni; essa agisce quale garante imparziale economico-finanziario del settore pubblico [8].

Dal punto di vista funzionale, l’attività della Corte riguarda tutte le amministrazioni pubbliche ed è diretta ad assicurare il rispetto degli equilibri finanziari e la corretta gestione delle risorse.

L’art. 3 della legge n. 20/1994 attribuisce alla Corte dei conti il controllo successivo sulla gestione di tutte le amministrazioni pubbliche, compresi gli enti locali e le università, al fine di accertare la rispondenza dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge.

La norma definisce poi il rapporto tra il controllo esterno e i controlli interni.

Il c. 4 dell’art. 3 predetto, prevede che il controllo sulla gestione debba, da un lato, «verificare […] il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione» e, dall’altro, essere svolto «anche in base all’esito di altri controlli».

Il successivo comma 7, stabilisce poi che le relazioni della Corte debbano contenere valutazioni sul funzionamento dei controlli interni.

La Corte dei conti ha operato un salto di qualità al servizio dello Stato-comunità, a seguito della costituzione della Sezioni enti locali, istituita con D.L. 22 dicembre 1981, n. 786, convertito dalla legge 26 febbraio 1982, n. 51.

La legge di conversione n. 51/1982 (art. 13, comma 4) ha previsto l’obbligo per i Comuni, aventi più di ottomila abitanti, di trasmettere alla Corte dei conti i propri conti consuntivi, entro trenta giorni dall’esame di legittimità, unitamente alle relazioni dei revisori e di qualsiasi ulteriore documento richiesto.

Con deliberazione 18 gennaio 1995, n. 2, la Corte dei conti ha poi disposto che tutti i Comuni debbono essere sottoposti al controllo finanziario della Sezione enti locali, indipendentemente dalla dimensione demografica e dalla condizione deficitaria.

La Sezione de qua della Corte di conti deve comunicare, entro il 31 luglio, ai Presidenti dei due rami del Parlamento, l’elenco dei conti consuntivi pervenuti, il piano delle rilevazioni che si propone compiere e le linee-guida da seguire nell’esame dei rendiconti e riferire i risultati dell’esame svolto sulla gestione finanziaria (art. 13 commi 4-5 L. 51/1982).

Il sistema dei controlli sulla gestione degli Enti locali è disciplinato essenzialmente dagli art. 2 e 9 del regolamento 16 giugno 2000.

L’art. 2 ha istituito in ogni Regione a statuto ordinario, una Sezione regionale di controllo, avente sede nel capoluogo, composta da un Presidente di Sezione e da almeno tre magistrati assegnati dal Collegio di presidenza.

La Sezione regionale di controllo esercita il controllo sulla gestione degli enti locali territoriali e verifica il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione (art. 3, commi 4, 5 e 6 legge n. 20/1994) [9].

Successivamente, ad opera dell’art. 9 del Regolamento 16 giugno 2000, n. 14, è avvenuta la trasformazione della Sezione Enti locali in Sezione Autonomie la quale viene presieduta da un presidente di Sezione e si compone di magistrati assegnati dal Consiglio di presidenza [10].

4. La riforma del Titolo V della Costituzione.

La posizione della Corte dei conti esce valorizzata e rafforzata dal processo di redifinizione della forma di Stato in senso federale, avviato dalla revisione del Titolo V della Costituzione e proseguito con la legge n. 131 del 2003 (la c.d. Legge La loggia), laddove anche il sistema delle autonomie (Regioni ed enti locali) viene definitivamente sottoposto alla verifica che la Corte dei conti svolge sulla gestione finanziaria degli enti territoriali per il tramite delle sue Sezioni regionali di controllo.

L’istituzione delle suddette Sezioni (integrate da due componenti designati da ciascuna Regione) risponde all’intenzione del legislatore nazionale di realizzare un sistema di verificazione in cui le Sezioni regionali di controllo svolgano, nei confronti degli enti eroganti controllati, una funzione collaborativa, di indirizzo e di guida nella gestione del bilancio.  

Le Sezioni regionali di controllo, infatti, sono preposte a verificare il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli enti locali e il funzionamento dei controlli interni.

L’art. 7, comma 8, prevede che le Regioni e gli enti locali, di norma tramite il consiglio delle autonomie locali [11] (se istituito), possano chiedere ulteriori forme di collaborazione alle sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza e della efficacia dell’azione amministrativa e pareri in materia di contabilità pubblica [12].

La Corte dei conti non esercita però sul bilancio delle Regioni, delle Province e dei Comuni un controllo di tipo impeditivo perché non è in grado di menomare alcuna attribuzione costituzionale degli enti territoriali.

Anche la Corte Costituzionale [13], nell’interpretare la legge n. 20 del 1994 (art. 3) ha sostenuto che la Corte dei conti è chiamata ad operare come organo ausiliario e non solo nei confronti del Governo o comunque dello Stato centrale ma della Repubblica in senso lato, nella nuova definizione di cui all’art. 114 Cost., quindi sia come organo dello Stato che delle regioni e degli enti locali.

Le Sezioni giurisdizionali hanno invece acquisito la potestà di erogare sanzioni, in caso di ricorso all’indebitamento per finanziare spese correnti, ex art. 30, comma 15, L. n. 289/2002; alla Procura della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 23, comma 5, L. cit., devono essere trasmessi i provvedimenti di riconoscimento dei debiti fuori bilancio da parte degli enti locali.

Il nuovo dettato dell’art. 227 T.U.E.L. [14] prevede poi che gli enti debbano trasmettere telematicamente alla Sezione Autonomie il rendiconto completo di allegati, delle informazioni relative al rispetto del patto di stabilità, nonché dei certificati del conto preventivo e consuntivo.

La legge 131/2003 (c.d. legge La Loggia) [15], all’art. 7, comma 7, delimita le attribuzioni della Corte dei conti e delle Sezioni regionali di controllo.

La Corte dei Conti esercita il controllo sugli equilibri di bilancio in relazione alla verifica del patto di stabilità interno e ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, da parte dei Comuni e altri enti pubblici territoriali.

In particolare, doveri specifici spettano al Consiglio comunale, quest’ultimo deve infatti, nella verifica degli equilibri di bilancio, porre alla base della sua attività l’accertamento dello stato di attuazione dei programmi e l’analisi dei singoli equilibri di bilancio.

Dai maggiori nuovi spazi che sono stati riconosciuti all’autonomia dei controlli amministrativi deriva, in primo luogo, una graduale sostituzione dei controlli interni sul funzionamento delle amministrazioni rispetto a quelli tradizionali di merito e di legittimità, i controlli esterni hanno poi assunto carattere successivo sulla gestione.

In secondo luogo, si sono stabiliti raccordi diretti tra controlli interni e controlli esterni: la Corte dei conti, in particolare, verifica il funzionamento dei controlli interni e utilizza le risultanze dell’attività da questi svolta per le valutazioni di rispettiva competenza [16].

I controlli amministrativi di carattere interno, a causa dell’ampliamento degli spazi di autonomia, vengono ad assumere posizione dominante; l’affermarsi delle autonomie, inoltre, rende necessario assicurare strumenti di raccordo e di conoscenza a livello centrale, al fine di avere un quadro completo dell’azione amministrativa e di consentire agli organi decisionali, posti a vari livelli di governo, l’adozione di eventuali interventi correttivi.

Il buon funzionamento dei controlli interni risulta quindi essenziale non solo per l’amministrazione interessata ma anche per gli organi ai quali spetta il compito di assicurare, mediante la conoscenza dei fatti giuridici, l’unità dell’ordinamento.

Come sottolineato precedentemente, la Corte dei conti ricopre anche un ruolo fondamentale ed essenziale per assicurare il rispetto del Patto di stabilità interna e dei crescenti obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.

5. La legge finanziaria 2005: linee di indirizzo.

La finanziaria 2005 [17], ai commi 11 e 42 del suo unico articolo, detta disposizioni concernenti l’affidamento degli incarichi di studio, ricerca e consulenza a soggetti estranei all’amministrazione.

I commi citati prevedono precisamente che l’affidamento di incarichi senza il rispetto delle previsioni legislative costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale e dispongono la trasmissione alla Corte dei conti degli atti di conferimento.

Tali commi non chiariscono però quali siano gli organi della Corte dei conti destinati a ricevere detti atti.

Sono quindi intervenute le Sezioni Riunite della Corte dei conti [18] in sede di controllo le quali, oltre a chiarire quali siano gli organi competenti, hanno altresì fornito ulteriori preziose precisazioni.

Le Sezioni Riunite hanno preliminarmente precisato che:

a) le tipologie di incarico [19] individuate dalla norma hanno un contenuto dell’atto di conferimento che coincide con quello relativo al contratto di prestazione d’opera intellettuale, disciplinato dagli articoli 2229 – 2238 del codice civile (come gli studi di questioni inerenti all’attività dell’amministrazione, quelli per l’elaborazione di schemi d atti e leggi, le consulenze legali, i pareri e le valutazioni);

b) per valutare in concreto se un incarico rientri nella previsione normativa, occorre considerare il contenuto dell’atto di conferimento, piuttosto che la qualificazione formale adoperata dal medesimo;

c)      non rientrano nella previsione normativa:

-  gli incarichi conferiti per gli adempimenti obbligatori per legge (come la rappresentanza in giudizio e il patrocinio dell’amministrazione, i servizi per cui esistono uffici o strutture ad hoc, gli appalti e le esternalizzazioni)[20];

- i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (salvo che, per il contenuto, non rientrino nella categoria degli incarichi di studio o di ricerca o di consulenza); questi incarichi si collocano in una «posizione intermedia fra il lavoro autonomo, proprio dell’incarico professionale, e il lavoro subordinato» e sono «utilizzabili per le esigenze ordinarie proprie del funzionamento delle strutture amministrative», differenziandosi quindi dagli incarichi esterni.

In una recentissima decisione della Corte Costituzionale [21] si è affermato il principio secondo il quale gli amministratori e i dirigenti sono direttamente responsabili per gli incarichi da loro affidati per conto dell’ente se essi sono condizionati ad un futuro finanziamento.

La Corte ha altresì stabilito che non può essere imputato all’ente, neppure come forma di responsabilità collocata nella fase esecutiva del contratto, la sua mancata attivazione operativa per conseguire il finanziamento dopo la presentazione della domanda ai soggetti pubblici competenti. Questa eccezione deve semmai essere posta nei confronti degli amministratori e dei funzionari, perché il rapporto negoziale non è più riferibile all’ente territoriale.

Per quanto concerne l’individuazione degli organi ai quali debbono essere inviati gli atti di conferimento degli incarichi, le Sezioni Riunite hanno affermato la competenza delle Sezioni di controllo evidenziando che l’eventuale attribuzione della competenza alle Procure regionali, contrasterebbe con la funzione istituzionale degli organi requirenti i quali devono esercitare l’azione per l’accertamento della responsabilità amministrativa o contabile e che, di conseguenza, possono ricevere soltanto gli atti dai quali emergano elementi di danno per l’erario.

Le Sezioni Riunite hanno altresì chiarito a quali Sezioni di controllo devono essere inviati gli atti:

a) Atti delle amministrazioni centrali dello Stato: Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato;

b) Atti di enti controllati: Sezioni di controllo sugli enti;

c) Atti di amministrazioni decentrate dello Stato, Regioni, Province, Comuni, comunità montane, unioni di comuni, aziende sanitarie locali, camere di commercio, industria e agricoltura, enti pubblici regionali non economici: Sezioni regionali di controllo.

La Corte Costituzionale, con la medesima sentenza di cui sopra, ha confermato che il Procuratore della Corte dei conti può promuovere l’azione di responsabilità sulla base di una segnalazione acquisita “attraverso l’esercizio dei poteri istruttori inerenti al controllo sulla gestione”, arrestandosi alla segnalazione il rapporto fra attività giurisdizionale e controllo sulla gestione.

In ogni caso è stato confermato l’obbligo di denunzia alla Procura della Corte dei conti posto dalla legge a carico degli organi amministrativi e di controllo interno.

Con la delibera n. 6 del 2005 [22], le sezioni di controllo della Corte dei conti hanno poi stabilito che per quanto riguarda il conferimento di incarichi di studio, ricerca e consulenza, la spesa sostenibile da parte degli enti locali con popolazione superiore ai cinquemila abitanti non può, in ognuno degli anni 2005/2007, essere superiore a quella del 2004 (la quale, a sua volta, non poteva essere maggiore di quella media sostenuta nel biennio 2001-2002, ridotta del 15 per cento).

Gli atti di conferimento degli incarichi devono recare il parere attestante la copertura e il mancato superamento del tetto da parte degli uffici finanziari.

Gli enti locali possono conferire incarichi di collaborazione solo rispettando rigidi vincoli di carattere procedurale.

I vincoli previsti sono: obbligo di motivazione, in particolare in riferimento all’assenza di analoghe professionalità all’interno dell’ente ovvero al ricorrere di circostanze di tipo straordinario, il parere dei revisori dei conti e l’obbligo di trasmissione alla Corte dei Conti.

Il conferimento di incarichi senza rispettare queste indicazioni costituisce illecito disciplinare e sarà fonte di responsabilità erariale [23].

Ha inoltre precisato che la verifica dei revisori dei conti si deve dirigere ai dati di tipo procedurale e, in particolare, al rispetto del tetto.

6. Orientamenti giurisprudenziali.

Alla fine di questa breve trattazione è utile fornire qualche riferimento in merito alle più recenti tendenze giurisprudenziali.

Per quanto riguarda i consiglieri comunali, la Corte dei conti [24] ha ravvisato la loro colpa grave nel caso in cui questi abbiano approvato una delibera in violazione dell’art. 23 della legge n. 144/1989, il quale stabilisce per tutte le Amministrazioni provinciali, comunali e comunità montane che presentino nell’ultimo conto consuntivo deliberato disavanzo di amministrazione o debiti fuori bilancio, il divieto di assumere impegni per pagare spese per i servizi non espressamente previsti per legge.

Sussiste un comportamento gravemente colposo dei consiglieri comunali, quando costoro, con l’approvazione di una delibera di spesa, hanno violato una precisa norma di legge posta dal legislatore a tutela delle finanze dell’ente locale, con riferimento allo stato di dissesto di quest’ultimo.

Ai fini della valutazione dei vantaggi che devono essere presi in considerazione per la determinazione del danno, è fuori di dubbio che tali vantaggi possono completamente compensare il pregiudizio economico verificatosi, però, tale valutazione non può essere spinta al punto tale da pervenire comunque e sempre a un computo matematico o compensativo, perché quando la violazione colpisce una norma che protegge interessi primari finanziari, occorre tener conto dei vantaggi di carattere generale che il legislatore ha voluto tener presente a favore dell’ente o della comunità e che non trova il suo esatto contrapposto nei vantaggi di natura settoriale della P.A. o comunque della comunità amministrata.

In un’altra decisione la Corte [25] ha statuito che il Comune che, a richiesta di un consigliere, fotocopia gratuitamente gli atti dallo stesso richiesti, non è passibile di responsabilità amministrativa per danno erariale in quanto la richiesta di atti, anche in copia, così avanzata, è strumentale rispetto all’espletamento del mandato politico-amministrativo. Il Comune comunque dovrebbe regolamentare le modalità di esercizio del diritto in modo che il rilascio di copie avvenga con il minor aggravio possibile, sia organizzativo che economico, per gli uffici del Comune.

L’ipotesi di danno erariale potrebbe configurarsi qualora si dimostrasse che il diritto pretensivo del consigliere sia stato esercitato e consentito in modo non corretto, in contrasto con la finalità della legge, cosicché i documenti acquisiti in copia non sono risultati utili né per l’esercizio del mandato amministrativo, né per i filoni di questo, bensì, per esempio, per fini assolutamente personali e, dunque, estranei alla funzione pubblica di controllo che a lui spetta in quanto membro del corpo elettivo, nel qual caso sorgerebbe l’obbligo di denuncia al procuratore regionale della Corte dei Conti.

La stessa Corte [26], pronunciandosi sulla responsabilità del Sindaco e dei componenti della giunta comunale presenti all’atto deliberativo di affidamento di una consulenza professionale, ha riconosciuto la loro responsabilità in merito al danno erariale subito dall’ente.

La Corte ha infatti precisato che, in merito alla colpevolezza, i componenti di un organo collegiale sono tenuti ad approfondire ogni questione sottoposta al loro esame, a prescindere dal fatto che si tratti, o meno, di problematica attinente alla propria specifica competenza, anche se - come è ovvio - la circostanza che si tratti di questione complessa può avere rilievo ai fini della individuazione della colpa grave.

Pronunciandosi poi sul danno subito dal Comune in conseguenza della richiesta di risarcimento derivante dall’omesso pagamento delle competenze professionali dovute ad un professionista incaricato della progettazione e direzione di opere pubbliche da eseguirsi sul suolo comunale, la Corte [27] ha precisato che ci si trova di fronte ad un danno erariale tutte le volte in cui l’Amministrazione subisca un depauperamento patrimoniale riconducibile alle maggiori spese dovute all’omesso o tardivo pagamento di somme oggetto di obbligazioni pecuniarie legittimamente assunte e senza che, ovviamente, nessun vantaggio o corrispettivo possa derivare all’Amministrazione da siffatto esborso.

In particolare, da tale impostazione discende che il mancato trasferimento di un finanziamento regionale (non potendo giammai, quest’ultimo, svolgere il ruolo di una condizione sospensiva o risolutiva degli effetti di un contratto stipulato dall’ente beneficiario per via della mancanza del carattere dell’incertezza in ordine al suo divenire – art. 1353, comma 1, c.c.) è destinata ad assumere, sempre che se ne accerti la “vincolatività” nella sua destinazione, una valenza esimente della responsabilità amministrativa o quantomeno indubbiamente limitativa sotto il profilo del quantum debeatur, solo in presenza di una situazione contabile, ovviamente intesa in termini di stanziamento e di liquidità, che non consentirebbe all’ente di procedere all’esatto adempimento dell’obbligazione di pagamento assunta nei confronti del terzo creditore, salvo dar vita ad una spesa priva di copertura e come tale idonea ad alterare gli equilibri finanziari del bilancio comunale.

La Corte [28] ha poi dichiarato illegittima l’assunzione da parte dell’ente pubblico dell’onere della tutela assicurativa dei propri amministratori o dipendenti in riferimento alla responsabilità amministrativa per danno erariale, per la sua contraddittorietà al principio ex art 28 della Costituzione. Tale copertura assicurativa deve corrispondere allo scopo di salvaguardare soltanto la responsabilità civile incombente sulla struttura organizzativa pubblica con esclusione di qualsiasi aggravio che deriva dall’assicurare anche altre evenienze dannose, le quali devono rimanere a carico del personale fisico degli amministratori.

Da ciò deriva che l’ente pubblico può assicurare esclusivamente rischi che rientrano nella sfera della propria responsabilità patrimoniale e che si vogliono trasferire all’assicuratore, con la conseguenza che è illegittima, e comporta responsabilità per chi l’ha deliberata, la stipula di una polizza per coprire gli amministratori dai rischi conseguenti a responsabilità amministrativa [29].

In materia di appalti incentivati finanziariamente da enti sovraordinati al Comune, la Corte [30] ha chiarito che: la responsabilità dell'appalto dei lavori ammessi al contributo, la conduzione dei lavori medesimi, il collaudo dell'opera e la definizione dei rapporti contrattuali con l'impresa esecutrice, rimane interamente assoggettata al soggetto beneficiario.

L'ente concedente interviene in alcune fasi dei lavori ed a conclusione di essi, soltanto per verificarne la conformità al progetto ammesso al beneficio, la buona esecuzione e la congruità della spesa finale, unicamente per giustificare, sul piano amministrativo e contabile, l'erogazione della somma promessa; rimane, quindi, del tutto estraneo ad ogni rapporto nascente dall'esecuzione dell'opera.


 

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(*) Diplomato presso la scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università di Pavia-Università Bocconi.

[1] Oggi sostituito dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Per un esame della disciplina, si veda L. TORCHIA, La responsabilità dirigenziale, Padova, 2000, 108 ss.

[2] Articolo 20, c. 2, del testo originario.

[3] In particolare, il decreto ha individuato quattro tipi di controlli: il controllo di regolarità amministrativa e contabile, volto a «garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa» (art. 1, c. 1, lett. a); il controllo di gestione, diretto a «verificare l’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi, il rapporto tra costi e risultati» (art. 1, c. 1, lett. b); la valutazione della dirigenza, cioè la valutazione delle prestazioni del personale con qualifica dirigenziale (art. 1, c. 1, lett. c); la valutazione e il controllo strategico, finalizzato a «valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti ed obiettivi predefiniti». 

[4] Per un approfondimento, si veda S. CASSESE, Le trasformazioni dell’organizzazione amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, 374 ss.

[5] Strutture deputate al controllo interno sono presenti in un numero sufficientemente ampio di amministrazioni, ma la loro istituzione ha risposto, nella maggior parte dei casi, a esigenze di adempimento formale e la loro operatività è ancora nulla o molto limitata. Si veda A. NATALIZI, Introduzione, in A. NATALIZI (a cura di), L’esperienza dei controlli interni nelle amministrazioni pubbliche, Roma, Quaderno MIPA, 2002, n. 5, 9 ss.

[6] Si veda, Consiglio di Stato, sez. V, 8 agosto 2003, n. 4598, che ha riconosciuto l’immediata caducazione delle norme di attuazione dell’art. 130 Cost.

[7] Al riguardo, si veda il commento di F. PIZZETTI, in F. BASSANINI et al., Legge «La Loggia». Commento alla L. 5 giugno 2003, n. 131 di attuazione del Titolo V della Costituzione, Rimini, 2003, 71.

[8] Corte Costituzionale, sentenza 470/1997, in www.lexitalia.it; si veda anche Corte Costituzionale, 29/1995, in www.lexitalia.it, in  cui si sottolinea come la Corte dei conti è tenuta ad accertare nel controllo di gestione la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa dell’art. 4, L. 20/1994. E’ stato inoltre qualificato il controllo della Corte dei conti come atto a suscitare nell’amministrazione controllata un processo di autocorrezione, avulso da qualsiasi potestà di indirizzo.  

[9] Le Sezioni di controllo varano il loro programma di controllo entro il 30 novembre, determinando criteri metodologici di analisi sul funzionamento dei controlli interni, in base agli indirizzi di coordinamento della finanza pubblica di gestione, adottati dalle Sezioni riunite.

[10] La Sezione Autonomie ha le competenze previste dalla legge n. 51/1982 e riferisce al Parlamento sull’andamento generale della finanza regionale e locale; ha inoltre facoltà di acquisire i rendiconti di tutti gli enti locali per il varo del referto ex. art. 3, commi 4 e 7 L. 20/1994 e del consolidamento dei conti pubblici (art. 227 T.U.E.L.).

[11] L’art. 7, comma 7, della L. 131/2003, prevede che le Sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti possano essere integrate da due componenti, designati dalla Regione e dal Consiglio delle Autonomie, se istituito.

[12] «La Corte dei conti è destinata ad avere sempre più un ruolo centrale nell’azione di controllo esterno sulla gestione finanziaria delle autonomie locali, fermo restando che è auspicabile da parte del legislatore sviluppare un migliore coordinamento delle competenze tra la Sezione Autonomie e le Sezioni regionali, con una attenzione più incisiva al funzionamento dei controlli interni affidati ai Comuni per riuscire a coniugare in modo sinergico i criteri dell’efficienza e dell’economicità dell’azione amministrativa con il principio della legalità sostanziale», G. DI PAOLO, Il controllo di gestione della Corte dei conti sugli Enti locali, in L’Amministrazione Italiana, 2004, 9, 1216-1219.

[13] Corte Costituzionale, n. 29 del 1995, in www.lexitalia.it.

[14] Così come modificato dall’art. 28, comma 6, L. 289/2002.

[15] Recante «Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3».

[16] Si veda, A. TONETTI, I controlli interni nelle autonomie locali e funzionali, in Giornale di diritto amministrativo, 2004, 8, 914-931.

[18] Adunanza del 15 febbraio 2005, delibera n. 6/CONTR/05, in www.corteconti.it.

[19] Tre tipologie di incarico: a) incarichi di studio: svolgimento di un’attività di studi nell’interesse dell’amministrazione; requisito essenziale è la consegna di una relazione scritta finale nella quale saranno illustrati i risultati dello studio e le soluzione proposte; b) incarichi di ricerca: preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione; c) consulenze esterne: richieste di pareri ad esperti.

[20] Tutti quelli insomma in cui manca “qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione”.

[21] Corte Costituzionale, 27 gennaio 2005, n. 16, in A. BIANCO, Il dirigente risponde delle spese per incarichi, in Il Sole 24-ore, 17 febbraio 2005.

[22] In www.corteconti.it.

[23] Si veda, A. BIANCO, Vincoli più rigidi sulle collaborazioni, in Il Sole 24-Ore, 7 febbraio 2005, 28.

[24] Corte dei Conti, sezione II giurisdizionale Centrale d’appello, 10.01.2005, n. 2/2005/A, in www.corteconti.it.

[25] Corte dei Conti, sezione giurisdizionale regionale per la Liguria, sentenza n. 1/2005, in A. PALADINO, Fotocopie gratuite per i consiglieri, in Italia Oggi, 15 febbraio 2005, 34.

[26] Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Veneto, sentenza 20 dicembre 2004, n. 1706, in www.corteconti.it.

[27] Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Calabria, sentenza 23 febbraio 2004, n. 130, in www.corteconti.it.

[28] Corte dei conti, sezione centrale di controllo legittimità atti delle amministrazioni dello Stato in adunanza congiunta, deliberazione 1/2005, depositata il 13 gennaio 2005 e resa nota sul sito www.corteconti.it l’11 febbraio 2005.

[29] Si veda A.G. PALADINO, P.A., Rischi scoperti, in Italia oggi, 12 febbraio 2005, 35.

[30] Corte dei conti, sezione giurisdizionale centrale d’appello, sentenza 23 febbraio 2004, n. 55, in www.corteconti.it.


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