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Articoli e note

n. 3/2008
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MASSIMO PERIN
(Consigliere della Corte dei Conti)

S.p.A. pubbliche: controllo o impunità? Soluzioni
del decreto mille proroghe e novità giurisprudenziali

(note a margine dell’art. 16 bis della legge 28 febbraio 2008, n. 31,
che ha convertito il c.d. decreto milleproroghe)

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In occasione di alcune riflessioni del Presidente della Corte dei conti durante l’apertura dell’anno giudiziario per il 2008 è emerso che esiste l’esempio negativo della formazione di debito implicito e di altre gravi distorsioni gestionali legate alla creazione di società pubbliche – soprattutto locali, le quali non poche volte sono costituite allo scopo, non già di accrescere l’efficienza gestionale, ma solo di eludere i vincoli del patto di stabilità interno o di fare nuove assunzioni senza concorsi.

Gli argomenti del Presidente della Corte dei conti, unitamente a quelli gravi sulla corruzione diffusa nell’amministrazione [1], sollevano il pesante problema della dispersione delle pubbliche risorse verso lidi non sempre raggiungibili dalla legalità e dalla buona amministrazione al servizio dei cittadini e dei loro bisogni. Per questi motivi, l’occasione si presta ad alcune considerazioni su cosa «è consentito» fare al giudice contabile per arginare gli sprechi, le trasgressioni e gli illeciti che, a volte, si rinvengono nei nuovi modelli organizzativi fondati su regimi privatistici considerati migliori e più flessibili di quelli pubblicistici.

Ebbene, con la recentissima legge 28 febbraio 2008, n. 31, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, al giudice contabile «non sarà consentito» indagare sulle società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le loro controllate. Il tutto, perché la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti di queste società partecipate dalle pubbliche amministrazioni sarà regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario. Questa importante riforma per la tutela della finanza pubblica (!) non si applicherà ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (art. 16 bis della L. n. 31/2008, il quale testualmente dispone che: "Per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario. Le disposizioni di cui al primo periodo non si applicano ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto" ).

Questa riforma in materia di responsabilità amministrativa, necessaria per un legislatore in imminente congedo per i noti problemi politici, nasce a seguito della giurisprudenza (ardita) delle Sezioni unite della Cassazione che (probabilmente) ha concesso «troppo spazio» al giudice contabile, consentendo alla sua giurisdizione di fare un tentativo per arginare lo spreco delle pubbliche risorse, argomento questo che trova sempre oppositori.

Ebbene, in tempi recenti sulla stampa specializzata (cfr. il quotidiano economico MF pubblicato l’8 febbraio 2008) sono apparsi vari interventi sull’argomento delle Società pubbliche partecipate o controllate dal Tesoro, le quali, in modo chiaro, volevano escludere che la Corte dei conti potesse esercitare nei loro confronti un controllo aggiuntivo a quello già previsto dal diritto civile.

A questo proposito, l’articolo di stampa citato, ha richiamato alcuni stralci di autorevoli pareri (dei Prof.ri F.G. SCOCA e L. TORCHIA), i quali escludono la giurisdizione della Corte dei conti quando le S.p.A. pubbliche svolgono attività imprenditoriale collegata solo indirettamente ad interessi pubblici, mentre la giurisdizione di responsabilità amministrativa sussiste solo in presenza di un’attività che persegue direttamente scopi pubblici (con l’art. 16 bis nemmeno questo).

Secondo il parere del Prof. F.G. SCOCA (così come riportato nell’articolo di MF) la vera differenza non sta nella natura dell’ente danneggiato, ma nella natura dell’attività: quella oggettivamente amministrativa [2] rientra nel controllo della Corte dei conti, quella diretta alla produzione di beni e servizi intesa come attività meramente imprenditoriale non spetta alla magistratura contabile. Inoltre, non è previsto da alcuna norma la previsione della responsabilità amministrativa nei confronti di enti di diritto privato, così come per le pronunce della Cassazione su cui il giudice contabile fonda la propria giurisdizione, nessuna si riferisce alle S.p.A. controllate da soggetti pubblici.

Alla luce delle predette considerazioni giuridiche, si potrebbe (o dovrebbe) supporre che la Corte dei conti abbia esorbitato dai propri compiti per indagare su gestioni di natura privata (con risorse private) che già dispongono di altre forme di controllo fissate dall’ordinamento. Quel che non viene chiarito (ma su questo aspetto i diretti interessati, cioè le S.p.A. pubbliche, non forniscono alcun elemento di novità) riguarda, invece, la natura delle risorse finanziarie di cui si dispone: se le risorse sono private, perché non provengono da pubblici bilanci e/o da tributi e tariffe obbligatorie non si pone alcun problema, la Corte dei conti nulla deve fare (e non ha nemmeno interesse a fare) per controllare le gestioni.

Diverso è il discorso quando le cd. S.p.A. pubbliche e/o partecipate attingono ai pubblici bilanci (alimentati dai tributi versati obbligatoriamente dai cittadini); in questo caso escludere forme di controllo e/o di giurisdizione contabile appare più che una misura di razionalità solo un misura per assicurare «nuova impunità» per garantire non il buon amministratore (il quale non ha nulla da temere dalla Corte dei conti), ma il professionista dello spreco e della malamministrazione del pubblico denaro che vive (bene), appunto, in un sistema malato come quello segnalato nel corso dell’apertura dell’anno giudiziario (e non da parte della sola Corte dei conti).

A questo proposito, l’Associazione magistrati della Corte dei conti, nel proprio comunicato riguardante questa vicenda, ha sostenuto che «il danneggiato finale della contestata iniziativa legislativa non è quindi la Corte dei conti o i suoi Magistrati, ma il cittadino comune sia nella veste di contribuente sia in quella di fruitore a pagamento dei servizi erogati dalle società pubbliche»; infatti, in queste vicende, non si mette in dubbio l’identità del giudice, dove la magistratura ordinaria non dà meno garanzie di quella contabile [3]. Il problema emerge nelle caratteristiche dell’azione esperibile dinanzi a ciascun giudice: mentre quella esercitabile dinanzi al giudice ordinario è rinunciabile e transigibile dai soci [4], quella esperibile dal Pubblico Ministero presso la Corte dei conti risulta infatti obbligatoria, non rinunciabile, né transigibile [5].

Un buon legislatore, prima di intervenire in maniera così raffazzonata avrebbe dovuto verificare lo stato di efficienza e di legalità delle S.p.A. in mano pubblica, indagando sulla correttezza dei loro bilanci, vedendo se vivono con risorse provenienti dalle attività svolte in regime di mercato e concorrenza, ovvero se si alimentano di interventi pubblici o con posizioni più o meno di monopolio, in contrasto con l’interesse dei consumatori. Sempre il buon legislatore avrebbe dovuto verificare preliminarmente anche il livello di gradimento dei servizi resi ai cittadini da parte di queste Società, le quali gestiscono settori di grande importanza sociale (es. energia, acqua, fonti energetiche, ecc…). Tutto questo, all’interno del decreto mille proroghe non emerge, perché la norma in parola, molto probabilmente, è stata redatta sotto la dettatura di coloro che non gradiscono controlli terzi ed imparziali e confidano nell’inefficienza di un sistema civilistico ingolfato dal numero eccessivo di contenziosi.

Eppure, spesso si sostiene, la necessità di avere un’amministrazione pubblica virtuosa e parsimoniosa [6], resta il fatto che quando si tratta di adottare serie e concrete misure di controllo e di accertamento delle responsabilità per cattivo uso del pubblico denaro, le resistenze politiche aumentano e non si vogliono accettare interferenze di nessun tipo, specialmente quando i controlli vengono effettuati da organi, appunto, indipendenti e terzi [7].

Non vi è dubbio che la lotta agli sprechi ed alla illegalità si fonda sull’attribuzione di responsabilità agli amministratori e a chi utilizza il denaro pubblico; per tale motivo è necessario un più efficiente sistema di attribuzione della responsabilità per danno erariale, evitando, invece, di realizzare, attraverso forme giuridiche di natura barocca, isole di immunità.

La Corte dei conti (ma non solo lei) ha criticato l’amministrazione per la troppa corruzione presente anche nelle società pubbliche, con riferimento al sistema delle tangenti, ai pochi investimenti e ai troppi sperperi che creano danni di tale entità per i quali nessun giudice forse riuscirà mai a pervenire a una quantificazione, tanto meno ad ottenere il risarcimento.

Nondimeno, qualche amministratore si sarà risentito di questo e così viene infilato nella conversione del decreto mille proroghe l’art. 16-bis, il quale, sottraendo al giudice contabile la giurisdizione sulle partecipate minoritarie, di fatto, esclude uno strumento più che altro dissuasivo, dal momento che giudizi di responsabilità avviati in questa materia sono numericamente pochi. La sola possibilità che un Ufficio del P.M. potesse chiedere i danni a coloro che avevano sprecato le pubbliche risorse (sempre nei limiti del dolo e della colpa grave [8]) avrebbe indotto gli amministratori a tenere nella giusta attenzione e nel binario della legalità le gestioni finanziarie delle società pubbliche (ancorché a partecipazione minoritaria).

Però quest’ultimo legislatore ha optato, con tanto di decretazione d’urgenza, per una misura che non appare, specialmente in questo momento storico, in linea con la responsabilizzazione degli amministratori e con la cura dell’interesse pubblico in materia finanziaria [9]. Resta il fatto che, in presenza di gravi illeciti riscontrati nelle gestioni di S.p.A. partecipate in misura minoritaria, i pregiudizi finanziari subiti dall’amministrazione, ricadranno, come al solito, sul bilancio pubblico e sarà del tutto improbabile che sia accertata una qualche forma di responsabilità [10]. La buona amministrazione dovrebbe, invece, prevedere che chi gestisce il pubblico denaro risponda del danno arrecato qualora il suo comportamento attivo od omissivo abbia determinato, con colpa grave o dolo, la illegittima e/o illecita uscita di somme.

Nondimeno, tra gli illeciti che si rinvengono - anche in queste società - emerge la deviazione funzionale dei pubblici poteri (richiamata nella relazione del Presidente della Cassazione), dal momento che esiste un incremento della diffusione dell’illegalità all’interno dell’amministrazione (in tutte le sue articolazioni) ponendosi «come vero e proprio sistema» [11] che danneggia non solo l’efficienza degli apparati, ma compromette anche la civile convivenza.

Ebbene, in questo scenario, dove la legalità dell’azione amministrativa è fortemente vulnerata, qualcuno si è posto il problema di ridurre, per via legislativa, gli spazi della giurisdizione di responsabilità amministrativa, perché ritenuta ripetitiva di quella civile. Ovviamente, nessuno si pone il problema del perché nell’attuale situazione di plateale degrado amministrativo (come denunciato dai Presidenti della Cassazione e della Corte dei conti) non funzionano i controlli e non esiste, di fatto, una sanzione dissuasiva per le condotte illecite e trasgressive. In questo contesto, il problema non sono le condotte illecite, ma la possibile duplicazione di forme di controllo e l’applicazione (per la prima volta) di una qualche sanzione.

Infatti, nell’articolo di stampa di MF di cui sopra si accenna alla circostanza che il Governo «è preoccupato» per una circolare del Procuratore generale della Corte dei conti che chiede agli organi di gestione e di controllo delle società pubbliche di denunciare gli amministratori che hanno prodotto danno erariale. A questo punto, si è preso (tanto per cambiare la tecnica legislativa) il primo provvedimento legislativo utile, come il decreto mille proroghe in scadenza [12], e si è inserita una norma sulla responsabilità contabile degli amministratori delle società pubbliche a partecipazione minoritaria, ai quali, di fatto, deve essere assicurata (per scopi che non è difficile comprendere) l’esenzione da forme concrete di responsabilità e responsabilizzazione [13]. Eppure, la circolare del Procuratore generale invitava soltanto gli organi di gestione e controllo a denunciare i danni da loro accertati ed i possibili responsabili, non metteva sotto il controllo di una parte pubblica inquirente le gestioni che continuavano (e continuano [14]) ad operare all’interno delle regole già previste dal sistema normativo.

Il problema, come sopra accennato, è sorto da quando la Suprema Corte, innanzi a fattispecie di pessima amministrazione del pubblico denaro, ha inteso modificare il proprio orientamento sulla giurisdizione di responsabilità amministrativa, aprendo così nuovi scenari, dove diventa possibile – per la prima volta – combattere sprechi e illeciti solitamente impuniti.

Cosa aveva detto la Cassazione a questo proposito [15], ebbene, il giudice della giurisdizione nella recente giurisprudenza ha affermato i seguenti principi:

1. a seguito delle innovazioni apportate dall’art. 1 della legge n. 20 del 1994, in materia di giudizi innanzi alla Corte dei conti, il dato essenziale dal quale scaturisce la giurisdizione contabile è dato dall’evento dannoso verificatosi in pregiudizio di un’amministrazione pubblica (Corte di Cassazione, Sezioni unite civili - sentenza 22 dicembre 2003 n. 19667, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/ago/casssu_2003-19667.htm);

2. sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti degli amministratori di una società per azioni il cui capitale è detenuto in misura assolutamente maggioritaria dalla pubblica amministrazione (Corte di Cassazione, Sezioni unite civili - sentenza 26 febbraio 2004 n. 3899, in LexItalia.it, pag http://www.lexitalia.it/p/ago/casssu_2004-02-26.htm) [16];

3. il criterio per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile in materia di azione di responsabilità per danno erariale si è spostato dalla qualità del soggetto (che può ben essere un privato od un ente pubblico non economico) alla natura del denaro e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, per sue scelte, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla P.A., alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, e la incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, egli realizza un danno per l’ente pubblico (anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altre imprese il finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione del piano così come concretizzato ed approvato dall’ente pubblico con il concorso dello stesso imprenditore), di cui deve rispondere dinanzi al giudice contabile; pertanto sussiste la giurisdizione della Corte dei conti anche con riguardo ad un giudizio nei confronti di una società privata con il quale è stata contestata l’illegittima erogazione di fondi pubblici (Corte di cassazione, Sezioni unite civili - sentenza 1 marzo 2006 n. 4511, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/casssu_2006-03-01.htm).

4. Per effetto dell'evoluzione normativa, a far data dalla L. n. 241 del 1990, e del conseguente mutamento dei moduli organizzativi ed operativi dell’amministrazione, deve ritenersi superata, ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice contabile, la tradizionale distinzione tra enti pubblici economici e non economici. Ne consegue che, in tema di responsabilità contabile degli amministratori di enti pubblici economici la giurisdizione spetta alla Corte dei conti, quand'anche l'ente operi attraverso l'impiego di strumenti privatistici (Corte di Cassazione, Sezione unite civili, sentenza 11 luglio 2007 n. 15458, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/72/casssu_2007-07-11.htm) [17].

A questi pilastri interpretativi, necessari per dare un minimo di credibilità sul piano delle sanzioni (finora inesistenti) ad un sistema amministrativo prossimo al collasso, si deve aggiungere anche l’orientamento consolidato della Cassazione (Corte di Cassazione, Sezioni unite civili - sentenza 25 gennaio 2006 n. 1378, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/casssu_2996-01-25.htm) in ordine ai limiti della riserva di amministrazione, dove si afferma che al giudice contabile non è certo inibita una valutazione della illegittimità di provvedimenti amministrativi, perché l’inibizione riguarda solo un sindacato diretto sulla legittimità di atti e provvedimenti amministrativi (dove esiste, per fortuna, ancora la giurisdizione di legittimità).

Secondo questo orientamento il giudice contabile, rispetto agli atti discrezionali, può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, precisando che, una volta accertata tale compatibilità, l’articolazione concreta e minuta, dell’iniziativa intrapresa dall’amministrazione rientra nell’ambito delle scelte delle quali il legislatore ha stabilito l’insindacabilità, sempre che esse non manifestino “un’assoluta e incontrovertibile estraneità” rispetto ai fini dell’ente, siano, cioè, palesemente irrazionali (così Cassazione, Sezioni unite civili, sentenza 3 novembre 2005 n. 21291).

In questo contesto di regolazione della giurisdizione da parte della Cassazione, sono state trattate dal giudice contabile fattispecie di danno pubblico con caratteristiche inaccettabili per un sistema a forte pressione fiscale, dal momento che si dovrebbe spiegare meglio ai cittadini perché avvengono certi fatti e perché non esistono credibili forme di controllo terzo ed imparziale in grado di impedirli.

Infatti, è stata affermata l’esistenza di un pregiudizio finanziario per l’amministrazione (S.p.A. del Comune di Roma) affidante il servizio della sosta a pagamento per la consistente spesa per consulenze, studi e collaborazioni acquisite da personale della stessa società affidataria del servizio della riscossione della sosta a pagamento su aree pubbliche, quando nella gran parte dei casi le consulenze sono prive di riscontro circa il risultato delle stesse e la relativa utilizzabilità (Corte dei conti, Sezione Lazio, sentenza 30 dicembre 2005 n. 3008, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/ccontilazio_2005-12-30.htm).

È stato accertato un danno erariale, da disservizio e all’immagine, cagionato da due dipendenti di società per azioni (nella specie ENIPOWER s.p.a. e SNAMPROGETTI s.p.a.) partecipate in modo totalitario da altra società (nella specie dall’Eni s.p.a.), a sua volta partecipata al 30% (all’epoca dei fatti) dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che in occasione dell’espletamento di gare pubbliche e di esecuzione dei relativi contratti, percepivano tangenti [18] per favorire talune imprese (Corte dei conti, Regione Lombardia, sentenza 17 luglio 2007 n. 414, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/72/ccontilomb_2007-07-17.htm).

È stata, altresì, affermata la responsabilità finanziaria di una Società beneficiaria di contributi pubblici che, a fronte di operazione inesistente, utilizzava la documentazione contabile allo scopo di ottenere indebitamente contributi pubblici, con la consapevolezza, la coscienza e la volontà di far apparire come reali rapporti giuridici inesistenti (Corte dei conti, sezione Abruzzo – sentenza n. 32 dell’11 gennaio 2007).

È stata affermata la responsabilità amministrativa degli amministratori di una società concessionaria per la mancata esecuzione di lavori rendicontati e finanziati dall’amministrazione concedente (Corte dei conti, Sezione II centrale, n. 125 del 20 marzo 2006).

È stata riconosciuta la responsabilità amministrativa, per comportamento gravemente colposo, degli amministratori di una S.p.A. pubblica (Autostrade del Brennero S.p.A.) che avevano provocato un notevole contenzioso giudiziario in materia di gare pubbliche, con ripetute condotte illegittime soggette di puntuali censure da parte del giudice amministrativo (Corte dei conti, Sezione Trentino – Alto Adige – Trento, n. 58 del 18 luglio 2006).

Nell’attuale sistema ordinamentale l’azione della giurisdizione contabile si muove in presenza di gravi trasgressioni che comportano un pregiudizio economico che non possono (e non devono) rimanere a carico del solo pubblico bilancio, altrimenti viene vulnerato il principio della buona amministrazione che si trae dall’art. 97 e dall’art. 1 della legge n. 241 del 1990, secondo cui l’attività amministrativa è retta dai principi generali di economicità e di efficacia, oggi correntemente ritenuti dalla dottrina [19] principi di costituzione materiale economica [20].

Pertanto, si deve sottolineare che la giurisdizione di responsabilità amministrativa svolge, in queste vicende, una funzione di deterrenza, perché la sola circostanza che gli amministratori che commettono danni con dolo o colpa grave possono essere chiamati a rispondere sul piano personale, comporterà una maggiore attenzione, da parte dei medesimi amministratori pubblici, nello svolgimento delle proprie funzioni ed un maggior rispetto per le risorse pubbliche amministrate.

Tutto questo non significa che la giurisdizione amministrativo – contabile sia la panacea contro la pessima amministrazione che può emergere nelle gestioni della S.p.A. pubbliche; la svolta giurisprudenziale della Cassazione, comunque, lascia aperti alcuni problemi anche rilevanti di concorso di controllo giurisdizionale tra il giudice ordinario e il giudice contabile.

Infatti, un’attenta dottrina [21] non lesinato dubbi sull’iniziativa legislativa “last minute”, facilmente criticabile sotto il profilo delle possibili eccezioni di legittimità costituzionale e comunitaria, auspicando, quando sarà possibile, l’intervento sia della Cassazione, sia quello della Corte costituzionale.

La norma in parola, tra l’altro, appare come importante «innovazione legislativa» per creare un precedente a cui possano far riferimento altre categorie escluse da questo tipo di «benefici» [22], ad esempio, anche gli amministratori degli Enti pubblici economici potrebbero in futuro rivendicare qualcosa di simile, dal momento che la Cassazione a Sezioni Unite, con l’ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003, ha affermato che sussiste la giurisdizione della Corte dei conti anche nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici, per i giudizi di responsabilità amministrativa conseguenti alla commissione di fatti dannosi realizzati dopo l'entrata in vigore dell'art. 1, ultimo comma, legge n. 20 del 1994.

Comunque, in questo scenario la Cassazione (Sezioni unite civili - ordinanza 27 febbraio 2008 n. 5083, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/81/cassu_2008-02-27.htm) afferma, proprio in questi giorni, che «rientra nella giurisdizione della Corte dei conti un giudizio di responsabilità amministrativa promosso per i comportamenti compiuti da un Assessore regionale all’agricoltura, quale rappresentante della Regione azionista di maggioranza della società del latte, consistenti nell’imporre alla società indirizzi incompatibili con il perseguimento di un risultato positivo di esercizio e nel non aver adottato iniziative volte ad impedire le perdite, in violazioni di norme di legge (che tutelano i soci di minoranza) e di regolamenti comunitari (che negli stessi anni vietavano aiuti pubblici nel settore lattiero - caseario), così provocando perdite di esercizio della partecipata». In questa fattispecie, anche se non riguarda le S.p.A. con partecipazione minoritaria, emerge in modo chiaro che le condotte politiche di interferenza nella gestione amministrativa portano a risultati economici negativi, oltre che alla violazione di legge, ivi compresa quella di derivazione comunitaria. Occorre ancora ricordare che, inizialmente, il tentativo legislativo era stato quello di negare la giurisdizione contabile su tutte le società partecipate e non solo su quelle a capitale minoritario.

Vi è da dire che, sempre in questi ultimi giorni, la Corte costituzionale (sentenza 4 marzo 2008 n. 46, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/81/ccost_2008-03-04-3.htm) ha affermato, con riguardo ai Parlamentari, che la prerogativa costituzionale di cui al primo comma dell’art. 68 della Costituzione si riferisce non solo alla responsabilità penale, ma anche a quella civile, come a qualsiasi altra forma di responsabilità diversa da quella che può essere fatta valere nell’ambito dell’ordinamento interno della Camera di appartenenza; ciò è ancora più chiaro dopo che la riforma del primo comma dell’art. 68 della Costituzione ha sostituito l’originaria dizione (“i membri del Parlamento non possono essere perseguiti”) con una più univocamente comprensiva (“non possono essere chiamati a rispondere”) [23].

Conseguentemente, ai Parlamentari viene garantito sul piano procedimentale, un efficace e corretto funzionamento della loro prerogativa. Infatti, deve essere coinvolta, anche nel giudizio di responsabilità amministrativa, la Camera di appartenenza del Parlamentare che abbia eccepito la insindacabilità dei propri comportamenti senza convincere il giudice competente.

In questo periodo, dove è temporaneamente sospeso il giudizio per un tempo limitato ed improrogabile, la Camera di appartenenza può esprimere la propria valutazione sulla affermata insindacabilità. Nel caso in cui il giudice (a quo) non condividesse la eventuale delibera, assunta dalla Camera di appartenenza dell’interessato, favorevole all’applicazione nel caso di specie dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, può contestarne la legittimità sollevando un apposito conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato dinanzi alla stessa Consulta.

A tal punto, non resterà che attendere la creazione di nuove S.p.A. partecipate dall’amministrazione pubblica con capitale minoritario e, dunque, inferiore al 50%, con azioni quotate nei mercati regolamentati (salvo l’estensione dei benefici anche ad altri), perché sicuramente saranno uno strumento più duttile per l’esigenze della nuova politica, di certo, sofferente alle forme di controllo delle pubbliche risorse. Peccato che ai cittadini sarà, invece, imposto di contribuire, attraverso il sistema fiscale, alla creazione di queste società che, perlomeno, stando a quelle già presenti, non brillano sul piano della convenienza economica e spesso anche della qualità dei servizi resi.

 

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[1] In questo caso, le riflessioni sulla corruzione nella p.a. non sono diverse, nella sostanza, da quelle riportate nella relazione di apertura dell’anno giudiziario 2008 del Presidente della Corte di Cassazione, infatti, in questa occasione è stato affermato che tra i reati contro la pubblica amministrazione sono emersi, in particolare, quelli di «corruzione» che si presentano, a volte, collegati con vicende di mafia. Inoltre, è interessante notare, nella stessa relazione, il richiamo alla proposta di introduzione della fattispecie di «traffico di influenze illecite» (anche per la sollecitazione di organizzazioni internazionali) per punire la condotta di tutti quei soggetti che si propongono come intermediari nel disbrigo delle faccende corruttive, nonché di quelli che ricercano la corruzione. Ebbene, se questa nuova fattispecie criminosa sarà introdotta nel nostro ordinamento l’attuale sistema politico sarà propenso ad accettarla? Credo che i dubbi, oggi come oggi, sono più che fondati! Sull’argomento vedi anche l’articolo del Sole 24ORE.com dove è riportato che la corruzione in Italia brucia 50 miliardi l’anno e, stante lo stato della finanza pubblica non è poco! (cfr. pag. web http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Norme%20e%20Tributi/2008/02/corruzione-italia-brucia--miliardi.shtml).

[2] A questo proposito è sempre utile rinviare il lettore alle pagine di M. S. Giannini (Diritto amministrativo, vol. II, pag. 21 e segg., Milano, 1993) in materia di «attività oggettivamente pubbliche», dove per qualificare un’attività come pubblica occorre verificare che essa sia pertinente ad un pubblico potere e non che sia regolata dal diritto pubblico. L’impostazione dell’illustre giurista per qualificare un’attività come oggettivamente pubblica, verifica e considera gli interessi che sono coinvolti, con la conseguenza che per aversi, appunto, un’attività oggettivamente pubblica è necessario che l’attività medesima sia inerente a pubblici interessi. Inoltre, esistono anche attività che coinvolgono insieme interessi privati e pubblici.

[3] È interessante evidenziare che il Presidente del TAR Lazio DE LISE, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario 2008, ricorda che il Primo Presidente della Corte di Cassazione ha affermato, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, che “la riflessione sul «diritto vivente» si arricchisce della considerazione che il nostro sistema non è un sistema con un unico giudice, bensì un sistema che prevede un’unica funzione giurisdizionale distribuita su più plessi giurisdizionali, che concedono in ogni caso una tutela «piena» alle diverse posizioni soggettive del diritto e dell’interesse legittimo, tutela che si estende sempre sino a quella risarcitoria”; ebbene, questo discorso vale anche per la giurisdizione contabile che prevede sia la tutela piena del pubblico bilancio, verificando il corretto uso delle risorse (ed ottenere il risarcimento dei danni di fronte ad accertate patologie), sia le garanzie processuali per gli eventuali soggetti sottoposti al suo processo, il quale opera in conformità con i principi dell’art. 111 della Costituzione.

[4] Tra i soci e, quindi, nelle amministrazioni, possono benissimo essere presenti persone che hanno avuto responsabilità nell’arrecare danno, perlomeno sotto il profilo del difetto di controllo, i quali nel transigere i pregiudizi finanziari potrebbero avere anche un interesse personale.

[5] Nonostante questa riforma non verrà meno il lavoro alle Procure della Corte dei conti, già impegnate in molti altri settori di spreco e cattiva amministrazione, verrà meno un freno all’illegalità, ma questo è un problema politico che in assenza di una svolta etica della funzione pubblica, non troverà soluzione.

[6] Infatti, a titolo di esempio, il Ministro della Giustizia, nella sua relazione al Parlamento di fine anno, ha messo in evidenza che la propria amministrazione non può essere accusata di prodigalità e di riluttanza ad adeguarsi ai noti vincoli di bilancio, tanto è vero che la stessa ha ridotto più di tutte le altre le spese per il parco automobilistico e non ha affidato consulenze esterne.

[7] Accuse di questo tipo vengono rivolte a tutte le magistrature, tanto è vero che il Presidente DE LISE del Tar Lazio nel corso della sua relazione di apertura dell’anno giudiziario 2008 ha dovuto ricordare che la giustizia amministrativa (accusata di invadere la sfera politica degli atti di alta amministrazione) è tenuta a rendere giustizia perché lo richiede l’art. 113 Cost., che prevede la giustiziabilità di tutti gli atti amministrativi, e perché, altrimenti, la stessa civiltà giuridica sarebbe a rischio.

[8] I limiti della responsabilità per dolo o colpa grave garantiscono sufficientemente le scelte di natura imprenditoriale ragionevoli, anche quando il risultato raggiunto non è apprezzabile economicamente, specialmente se condizionato da eventi negativi non sempre prevedibili (es. crisi internazionali e delle fonti di approvvigionamento).

[9] Naturalmente, coloro che contrastano la giurisdizione contabile ritengono che nell’ordinamento sono già presenti altre misure di controllo per le società quotate. Vi è da dire che la cronaca di questi ultimi anni ha dimostrato quanto male hanno funzionato (es. caso Parmalat e bond Cirio, senza citare i grandi scandali internazionali, favoriti da famose società di revisione tutt’altro che imparziali!), per cui un legislatore più accorto avrebbe praticato una diversa ricerca di soluzioni legislative, caso mai coordinando meglio i controlli per evitare eventuali duplicazioni, ma garantendo, comunque, un sistema effettivo di responsabilità e responsabilizzazione che oggi non sembra presente.

[10] Come riportato in una rivista internet (http://www.peacelink.it/sociale/a/25285.html) il solo il sen. VILLONE ha denunciato a Radio Radicale la «furbata» dell’art. 16 bis, lasciando così uno spazio alla classe politica immune da interferenze. Lo stesso senatore VILLONE, ha affermato, in una diversa occasione, che un sistema politico e istituzionale si mantiene in equilibrio e in buona salute solo se il potere è assoggettato a uno scrutinio continuo ed efficace. Controlli, limiti, paletti insuperabili sono elementi essenziali di un sistema democratico e più in generale dell’efficienza delle istituzioni. Il pensiero del sen. VILLONE è stato opportunamente ripreso anche nella relazione di apertura dell’anno giudiziario 2008 del Tar Lazio.

[11] Tra l’altro una delle forme più insidiose delle predette devianze è data dalla «corruzione in atti giudiziari» realizzata per favorire o danneggiare una parte nel processo, così come ripreso anche dalla giurisprudenza recente come Cass. Pen. VI Sezione del 20.6.2007, n. 25418. Infatti, un paese serio, efficiente, ben organizzato e democratico ai suoi cittadini, più che un giusto processo formale deve garantire una vera giustizia sostanziale, dove ai «furbi e furbetti» deve essere impedito di esercitare illecite pressione per ottenere l’incremento dei privilegi gia ottenuti violando la legalità.

[12] Tra l’altro, esiste più di qualche dubbio che un Governo dimissionario e/o un Parlamento sciolto, possano, nel contesto di un decreto che dovrebbe solamente prorogare dei termini, inserire norme che modificano il regime della responsabilità amministrativa.

[13] Luca RICOLFI, nel numero di “Panorama” del 6 marzo 2008 (pag. 338), evidenzia che non esiste un “colore degli sprechi”, perché le analisi statistiche rivelano che non esiste alcuna relazione tra il colore politico delle amministrazioni che hanno governato le regioni tra il 1996 ed il 2004 ed il livello degli sprechi rinvenuto alla fine di tale periodo.

[14] Almeno si spera.

[15] Gli autorevoli studiosi, richiamati nell’articolo di MF nei loro pareri, sembrerebbe che non condividano le soluzioni indicate dal Giudice della giurisdizione.

[16] Né va dimenticato che la Suprema Corte, in precedenza, si era già espressa in favore della giurisdizione contabile per l’obbligo della resa del conto di società private affidatarie del servizio pubblico di riscossione delle tariffe di parcheggio, così Corte di Cassazione - Sezione unite civili sentenza n 12367/2001 del 9 ottobre 2001 (fattispecie riguardante la società di parcheggi STA S.p.A. del Comune di Roma).

[17] Principio già affermato con la sentenza del 22 dicembre 2003 n. 19667, in LexItalia.it, pag.  http://www.lexitalia.it/p/ago/casssu_2003-19667.htm).

[18] Curiosamente proprio dall’ENI viene messo in dubbio il controllo della Corte dei conti, così come riportato dall’articolo di MF più volte richiamato

[19] S. Giacchetti, Appalti di pubblici servizi e/o appalti pubblici di servizi? La legge n. 205 del 2000 gioca a dadi, alla pag. web http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/art_giacchetti.htm. D’altra parte è sempre più avvertita l’esigenza che la p.a. nell’ottica delle più recenti riforme deve porsi come “servente” gli interessi dei cittadini e, dunque, come struttura al servizio della collettività (cfr. E. Picozza e R. Rota, Il ruolo degli amministratori pubblici tra garanzia «della rappresentanza dei fatti» ed efficacia dei risultati, in Rass. Cons. Stato, vol. 11/2003, pag. 2259 e segg.), la quale mal digerisce l’attuale sistema, dove in presenza di veri e propri disastri amministrativi, non esiste mai un responsabile e una responsabilità! (vedi, a questo proposito, la vicenda dei rifiuti di Napoli e della Campania e l’ostinazione all’autoassoluzione anche politica degli amministratori di quella regione).

[20] È sempre bene ricordare che il Trattato dell’Unione europea afferma il principio fondamentale della sana e corretta finanza pubblica, al fine di perseguire l’obiettivo primario di una gestione della spesa pubblica razionale e compatibile con le risorse effettive a disposizione.

[21] M.A. SANDULLI, “L’art. 16 bis del decreto mille proroghe sulla responsabilità degli amministratori e dipendenti delle S.p.A. pubbliche: restrizione o ampliamento della giurisdizione della Corte dei conti? (ovvero l’effetto perverso delle norme last minute” in Federalismi.it, ha contestato il metodo del legislatore per risolvere i dubbi sugli spazi della giurisdizione contabile in questa materia, il quale è invece intervenuto principalmente per scongiurare che i dipendenti di quattro importanti società pubbliche (ENEL, ENI, FINMECCANICA e TERNA) possano in futuro essere chiamati a rispondere dei danni in sede contabile.

[22] Ovviamente si tratta di benefici ricercati dal cd. partito della spesa pubblica, trasversale a tutti gli schieramenti, che spreca e distrugge risorse e non vuole responsabilità.

[23] Lascia un po’ perplessi che la garanzia dell’art. 68 della Costituzione viene chiesta nel corso di un procedimento di responsabilità amministrativa per i danni prodotti in relazione ad un continuato e ampio sistema di corruzione in favore di esponenti delle istituzioni locali e statali.


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