n.
2/2013 - ©
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MASSIMO
PERIN
(Consigliere della Corte dei conti)
Danno da disservizio e disorganizzazione nell’amministrazione
Tra le diverse figure di costruzione pretoria della giurisprudenza della Corte dei conti (lesione all’immagine, danno da tangente, lesione alla concorrenza, ecc…), in questo momento storico, merita una riflessione il danno da disservizio, figura legata tanto a profili di illegittimità, quanto alla disorganizzazione interna all’amministrazione.
Già la dottrina amministrativista metteva in relazione la disorganizzazione dell’apparato e della gestione amministrativa con i comportamenti dei funzionari scorretti [1]. Infatti, innanzi a comportamenti illeciti di dipendenti pubblici che avevano prodotto pregiudizi economici per le persone e/o imprese entrate in contatto con l’amministrazione, la giustizia amministrativa riteneva che sussisteva una colpa chiamata “colpa d’apparato”, la quale comportava il diritto al risarcimento per il danneggiato [2].
Quest’orientamento non è consolidato nella giurisprudenza amministrativa, poiché è stato ritenuto che, quando il comportamento del dipendente pubblico è caratterizzato dal fine egoistico e strettamente personale, tipico dei reati contro l’amministrazione, esso non è riconducibile agli scopi dell’ente.
Pertanto, con il fine egoistico si spezza il rapporto organico esistente tra datore di lavoro P.A. e il dipendente, con la conseguenza che le attività illegittime e/o illecite non possono ricadere sull’amministrazione [3].
In tali vicende, il richiamo all’art. 28 della Costituzione è necessario, perché ai sensi di questa norma costituzionale i funzionari e i dipendenti dello Stato sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti, in tali casi la responsabilità si estende allo Stato.
Qui l’indicazione congiunta dei “funzionari e dipendenti” evidenzia che il Costituente aveva collegato la responsabilità non “al rapporto di servizio”, ma “all'esercizio della funzione” [4].
Dal punto di vista della norma costituzionale, lo Stato e gli enti pubblici sono tenuti a rispondere non solo negli stessi limiti in cui è responsabile il funzionario o il dipendente, ma anche per gli stessi fatti, così come emerge dall'espressione «in tali casi la responsabilità si estende allo Stato» [5].
Soltanto che la responsabilità sussidiaria dello Stato viene meno quando si spezza il c.d. rapporto organico, restando così il pregiudizio a carico del singolo.
Orbene, siffatta tipologia di danno consentirà solamente le iniziative risarcitorie avviate di persona dal danneggiato contro il dipendente infedele, sulla cui effettività restano molti dubbi legati sia ai tempi lunghi della giustizia civile, sia all’esito delle decisioni del giudice penale, spesso “ingabbiato” nella legislazione di “favor” per gli autori dei reati, legislazione evergreen alla quale assistiamo ormai da molto tempo [6].
In questo contesto normativo; per la giurisprudenza della Cassazione [7], l’amministrazione pubblica risponde del fatto illecito dei propri dipendenti solo quando tra la condotta causativa del danno e le funzioni esercitate dal dipendente esiste un nesso di occasionalità necessaria.
Quest'ultimo sussiste quando il pubblico dipendente non agisce come semplice privato per fini esclusivamente personali ed estranei all'amministrazione, ma abbia tenuto una condotta anche solo indirettamente ricollegabile alle attribuzioni proprie dell'agente.
Ebbene, davanti a comportamenti illegittimi e/o scorretti del dipendente pubblico, emerge, comunque, un profilo di disorganizzazione dell’amministrazione, perché determinati comportamenti non sono solo l’esito di improvvisazioni personali, ma anche il frutto dell’assenza di controlli efficienti in grado di prevenire o contenere i comportamenti illeciti.
La disorganizzazione dell’amministrazione è sicuramente un fatto oggettivamente dannoso, sia per lo spreco delle risorse pubbliche, sia per i disagi subiti dall’utenza e dai cittadini [8].
La disorganizzazione crea disservizi e questi ultimi hanno un costo per la collettività, poiché l’amministrazione ai sensi dell’art. 97 della Costituzione deve essere efficiente e deve usare le risorse economiche in maniera corretta evitando sia gli sprechi, sia profitti privati ingiustificati a carico della collettività.
In quest’ottica la giurisprudenza della Corte dei conti ha formulato la voce di danno erariale collegata al disservizio nell’amministrazione.
Il danno da disservizio è una figura elaborata in base alla circostanza accertata che l’amministrazione sostiene spese, ma non consegue risultati utili. Ovviamente, si tratta di un pregiudizio sempre collegato a una determinata fattispecie dannosa esaminata e trattata da un’istruttoria della Procura contabile.
La voce “danno da disservizio” fa comunemente riferimento o alla mancata prestazione del servizio oppure allo svolgimento del servizio in modo tale che all’accertato impiego di risorse non corrisponda alcuna utilità.
Pertanto, si è in presenza di un “servizio apparente”, perché manca il collegamento teleologico tra l’utilità connessa al servizio ed il bene che ne sarebbe dovuto derivare [9].
L’esistenza del danno da disservizio emerge sicuramente in caso di condotte, sotto il profilo causale, intenzionalmente dannose e/o dolose, perché l’art. 13 del D.P.R. 3/1957, che impone il preciso obbligo, promanante dal rapporto di servizio di agire in conformità delle leggi, con diligenza, così da curare l’interesse dell’amministrazione per il bene pubblico.
Infatti, l'impiegato è tenuto a prestare tutta la sua opera nelle mansioni affidate curando, in conformità delle leggi, con la diligenza e nel miglior modo, l'interesse dell'amministrazione per il pubblico bene [10].
In sostanza, la predetta norma poneva in pratica i principi di buon andamento nello svolgimento del lavoro pubblico che il Costituente aveva perseguito con l’art. 97.
L’obbligo di agire per il bene pubblico e, quindi, nell’interesse della collettività, oggi più che mai, non è solamente limitato al rapporto di servizio in senso stretto, ma è indispensabile nello svolgimento da parte di tutti coloro che sono investiti di una funzione pubblica, comprese le parti private quando sono affidatarie di pubblici finanziamenti erogati per il raggiungimento di pubbliche finalità.
Il danno da disservizio emerge come autonoma figura di danno erariale a contenuto patrimoniale in correlazione allo svolgimento del pubblico servizio [11], questo pregiudizio esprime una mancanza qualitativa particolarmente grave del servizio pubblico, esprimendo una prestazione lavorativa che esiste solo formalmente, come servizio apparente [12].
A questo punto la giurisprudenza nell’accertare tale voce di danno tiene conto, di regola, delle spese sostenute dall’amministrazione per lo svolgimento del lavoro carente di utilità, ma dovrebbe fare un ulteriore sforzo perché dovrebbe poter essere pienamente ristorato anche il pregiudizio per le conseguenze create dal disservizio.
La struttura di questo pregiudizio presenta almeno due lati: l’inutilità della spesa pubblica, per il mancato raggiungimento delle finalità pubbliche e le spese affrontate per ripristinare i disservizi prodotti.
Infatti, il ragionamento non può non richiamare una fattispecie come quella conseguente ad attività illegale nell’amministrazione, perché è sicuramente inutile la spesa sostenuta per la retribuzione del dipendente che commette reati contro la p.a., ma è anche pregiudizievole per il bilancio pubblico la spesa sostenuta per verificare e ricostruire tutta l’attività compiuta dal dipendente infedele (ispezioni, rivisitazione dei procedimenti, spostamento di altri dipendenti presso l’ufficio oggetto delle condotte illecite, ecc…).
Questi sono i motivi per cui il disservizio è un pregiudizio che presenta profili che sono di là del mero mancato raggiungimento degli scopi dell’amministrazione.
È sempre vero che il disservizio si realizza per una violazione dei parametri della corretta e sana gestione, perché, in sostanza, all’ammontare delle somme destinate a una determinata finalità, non corrisponde un valido risultato, con la negativa alterazione nel rapporto tra risorse pubbliche impiegate ed effetti ottenuti.
La recente giurisprudenza [13], infatti, è pervenuta alla conclusione che il danno da disservizio richiede la necessaria attività di ripristino dell’ordine legale violato per mezzo di procedure in autotutela.
Tutto ciò rappresenta una spesa la cui responsabilità del danno deve essere addebitata ai responsabili dello stesso, perché il danno alla finanza pubblica ammonta all’importo della retribuzione percepita dal dipendente nel periodo di attività illecita, nei costi per l’accertamento delle responsabilità degli illeciti, nei benefici pensionistici connessi a retribuzioni erogate con causa illecita, ma anche nelle conseguenza dell’attività illecita e/o illegittima.
Inoltre, si aggiunge lo sviamento nell’uso delle risorse pubbliche, il disservizio creato all’utenza, che comportano spese per il ripristino della legalità violata.
Ebbene, altra attenta giurisprudenza [14] afferma che l'illecita appropriazione e lo sviamento dei contributi pubblici dalla finalità del sostegno all'economia è pregiudizio che comporta anche la vanificazione delle risorse pubbliche dedicate alla gestione delle pratiche di finanziamento, con la conseguenza che il danno per l'amministrazione non si esaurisce nel solo importo del contributo fraudolentemente ottenuto, ma ricomprenda anche i costi sopportati e le risorse vanamente impiegate nell'ambito complessivo dell'istruzione, dell'erogazione, della gestione, della revoca e del recupero del contributo stesso.
Nelle fattispecie concernenti l’illecita apprensione di fondi pubblici è certo il danno patrimoniale conseguente alla perdita delle risorse intercettate fraudolentemente, ma è certo anche il danno da disservizio da liquidare equitativamente ex art. 1226 c.c.
Il danno da disservizio consiste nel pregiudizio ulteriore rispetto al “danno patrimoniale diretto” arrecato al corretto funzionamento dell’apparato pubblico, e si concreta nel mancato conseguimento della legalità, della efficienza, della efficacia, della economicità e della produttività dell’azione e della attività di una pubblica amministrazione [15].
Ebbene, il pregiudizio conseguente al disservizio nell’amministrazione, dovrà tenere conto, appunto, della violazione dell’efficienza, dell’economicità e dell’efficacia dell’azione amministrativa e, dunque, del buon andamento, con la conseguenza che possono aprirsi nuove strade per contrastare la disorganizzazione della p.a.
La disorganizzazione è un concetto che rivela confusione, disordine, sfacelo amministrativo e inefficienza e il suo esatto contrario si chiama buon andamento, organizzazione, produttività e rendimento.
Contro la disorganizzazione nell’amministrazione questa voce di danno può essere di contrasto alle negatività presenti negli apparati pubblici, anche se si dovrà tenere pure conto (come esimente) degli elementi negativi portati dalla legislazione caotica e raffazzonata degli ultimi anni che ha fornito un contributo “disorganizzativo” certamente rilevante.
Di certo, sarà importante che negli scenari futuri sia avviato un percorso virtuoso verso forme e comportamenti organizzativi efficienti, la collettività vuole essere partecipe di un’amministrazione che funziona e non di un’amministrazione (come gli ultimi anni hanno dimostrato) impantanata in uno stato di abbandono, dove i particolarismi e le illegalità vivevano alla grande.
In un momento di crisi come quella in corso è indispensabile avviare azioni che siano oltre i localismi [16] e gli interessi privati e di gruppo in danno del bene comune, organizzare bene “la cosa pubblica”, senza disservizi per gli utenti, significa utilizzare al meglio le risorse disponibili che non sono eccessive (o infinite) e non potranno più essere alimentati dal facile ricorso all’indebitamento, tra l’altro consentito solo per investimenti importanti e per opere destinate a durare nel tempo (art. 119 della Costituzione).
In definitiva per superare la disorganizzazione e non produrre danni da disservizio è necessario operare bene e con efficienza.
Per fare questo è utile il richiamo al pensiero di un’attenta dottrina [17], la quale ha sostenuto che il significato del “buon andamento” si è spostato da quello di andamento formalmente corretto a quello di andamento sostanzialmente buono.
L’affermazione esplicita di ciò è contenuta nell’art. 1 della legge n. 241 del 1990 e successive modifiche, secondo cui l’attività amministrativa è retta dai principi generali di economicità e di efficacia, oggi correntemente ritenuti principi di costituzione materiale economica, con la conseguenza che la giurisprudenza deve proiettarsi verso posizioni che abbandonano la concezione di buon andamento inteso solo come «comportamento dell’amministrazione non macchiato da incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere».
Sarà sempre di più necessario verificare gli effettivi risultati ottenuti da chi ha la responsabilità della gestione delle risorse pubbliche, ma questa verifica non può essere lasciata a forme auto celebrative se non di auto assoluzione da parte di chi ha amministrato e spesso l’ha fatto anche male.
Per questi motivi è sempre più importante il rispetto dell’economicità, dell’efficacia, della legalità, della pubblicità e, in particolar modo della trasparenza, perché le decisioni pubbliche non possono essere un “affare di poche persone” che poi si muovono soltanto per fini di potere personale che con il buon andamento e il rispetto del bene collettivo non hanno nulla a che fare.
Documenti correlati:
Corte dei conti, sezione giurisdizionale Regione Veneto - sentenza 20 maggio 2005 n. 866, la quale ha affermato che il danno da disservizio è correlato al minore risultato conseguito dall'apparato organizzativo, a seguito di un’omessa o carente prestazione lavorativa del dipendente, con conseguente ulteriore danno in termini di efficienza, efficacia, economicità e quindi di resa dell'azione amministrativa. Il danno da disservizio è un quid pluris rispetto al danno subito dall'ente pubblico per la retribuzione erogata al dipendente assenteista che ha violato il rapporto sinallagmatico fra controprestazioni e si configura come danno da disfunzione organizzativa che ricade anche sull'utente del servizio pubblico. Cfr. pag. web http://www.lexitalia.it/p/51/ccontiveneto_2005-05-20.htmCorte dei conti, sezione giurisdizionale Regione Emilia Romagna - sentenza 16 dicembre 2004 n. 2269, la quale ha affermato che Sussiste anche un danno da disservizio, determinato dall'indebolimento della capacità operativa, necessaria per il perseguimento dei fini di istituto, a causa dell'assenza di due dipendenti della Polizia di Stato per la sospensione dal servizio o allontanamento per destituzione che è all'origine del pregiudizio erariale e che è diretta conseguenza della condotta penalmente rilevante dei convenuti medesimi, cfr. pag. web http://www.lexitalia.it/corte/ccontiemilia_2004-2269.htm
Corte dei conti, sezione giurisdizionale Regione Abruzzo- sentenza 18 febbraio 2002 n. 94, la quale ha affermato che il danno da disservizio consiste nella lesione dei valori del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa ed è riscontrabile quando amministratori e/o agenti pubblici, abusando delle loro funzioni, abbiano alterato la prestazione di un appalto pubblico per proprio personale profitto. In siffatto caso si tratta, quindi, di una vera e propria strumentalizzazione delle funzioni pubbliche, con evidente violazione delle prescrizioni penali, amministrative e dei precetti costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità dell’Amministrazione, cfr. pag. web http://www.lexitalia.it/private/corte/ccontiabruzzo_2002-02-18.htm
Corte dei conti, sezione giurisdizionale Regione Abruzzo - sentenza 18 febbraio 2002 n. 94, la quale ha affermato che L’affidamento di un servizio pubblico a un soggetto privato, determina l’obbligo per quest’ultimo di adempierlo con correttezza e, di conseguenza, l’aver consentito l’elusione dagli obblighi tributari da parte di un consistente numero di contribuenti, oltre a costituire un pregiudizio erariale per la pubblica amministrazione anche sotto il profilo del disservizio, favorisce, al contempo, l’evasione fiscale nonché una pressione fiscale maggiore sui contribuenti che adempiono le proprie obbligazioni, i quali, nella sostanza, devono provvedere a pagamenti per tributi più elevati rispetto a quelli cui soggiacerebbero, ove tutti i consociati rispettassero i propri obblighi tributari, cfr. pag. web http://www.lexitalia.it/private/corte/ccontiabruzzo_2002-02-18.htm
[1] Cfr. Vittorio Italia in “Danno da disservizio urge chiarimento normativo”, pag, web http://www.ascolod.it/wp-content/uploads/2011/05/19g18TAdannodidiser.pdf
[2] cfr. Tar Lombardia, sentenza n. 3877 del 19 ottobre 2005.
[3] Cfr. Consiglio di Stato, sentenza 2 marzo 2011, n. 1335.
[4] Cfr. Cassazione, Sezioni Unite, n. 1890 del 18 febbraio 2000.
[5] La Corte costituzionale con la sentenza n. 88 dell’8 giugno 1963 affermava che «la garanzia prestata dalla norma dell'art. 28 della Costituzione non si esaurisce nell'affermazione della responsabilità del funzionario o dipendente pubblico. Si legge in tale articolo che la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici, contro i quali pertanto potrà rivolgere la propria azione il soggetto leso nei propri diritti, mentre poi lo Stato o altro ente pubblico potrà rivalersi a sua volta sulle retribuzioni del dipendente responsabile fino alla concorrenza di un quinto, a norma dell'art. 2, n. 2, del T. U. 5 gennaio 1950, n. 180».
[6] Cfr. le difficoltà incontrate per l’approvazione di un minimo di legislazione contro la corruzione, nonostante l’obbligo internazionale sottoscritto dal nostro Paese. Qui rinvio a quanto già scritto nel seguente articolo “Legge anticorruzione e gli obblighi del responsabile della prevenzione della corruzione con riferimento alla lesione dell’immagine pubblica”, www.lexitalia.it, n. 1/2013.
[7] Cfr. Cassazione Sezione III, sentenza n. 29727 del 29 dicembre 2011. Cfr. sempre Sezione III, n. 2089 del 30.1.2008, la quale afferma che, in tema di responsabilità diretta dell’amministrazione per fatto lesivo derivante dall'operato dei suoi dipendenti, non può essere esclusa la sussistenza del rapporto di occasionalità necessaria tra l'attività del dipendente e l'evento lesivo in presenza dell'eventuale abuso compiuto da quest'ultimo o dall'illegittimità del suo operato, quando la condotta del dipendente rientra nel meccanismo dell'attività complessiva dell'ente pubblico. Pertanto, la responsabilità dell’amministrazione viene meno solo quando il dipendente agisce come semplice privato, per un fine strettamente personale ed egoistico, indipendentemente dal comportamento colposo o doloso.
[8] In questo clima di disorganizzazione si assiste anche a iniziative giudiziarie che possono apparire stravaganti, ma che dietro celano, comunque, un disagio che non può essere trascurato. Cfr. Cassazione III Sezione civile, n. 21725 del 4.12.2012, la quale esclude che esiste un diritto al tempo libero risarcibile, perché leso dalla perdita di tempo alla quale era sottoposto un avvocato per la perdita, appunto, del tempo libero imputata a disservizi degli uffici giudiziari. Comunque, disservizi nell’amministrazione o nei servizi dell’amministrazione (es. trasporti) sono frequenti, con la conseguenza che quando non contenuti a livelli fisiologici possono ampliare richieste risarcitorie di questo tipo.
[9] Cfr. Corte dei conti, Sezione Piemonte n. 52 del 2011.
[10] Il perseguimento del pubblico bene dovrà fondarsi anche sull’obbligo imposto dal quarto comma dell’art. 13 del D.P.R. del 10 gennaio 1957, n. 3, che stabilisce, appunto, che nei rapporti con il pubblico, il comportamento dell'impiegato deve essere tale da stabilire completa fiducia e sincera collaborazione fra i cittadini e l'Amministrazione. Poiché, spesso, nelle amministrazioni male organizzate anche la scortesia trova terreno fertile non è male ricordare che esiste una norma che impone anche un minimo di educazione e di civiltà nei rapporti tra amministrazione e amministrati.
[11] Corte dei conti, III sezione centrale d’appello, n. 789 del 6 dicembre 2012.
[12] La giurisprudenza ha definito il disservizio come un servizio pubblico “desostanziato” delle sue caratteristiche essenziali di pubblica utilità, così Corte dei conti, Sezione Umbria sent. n. 1087/1998, ovvero come “un servizio privo dei necessari requisiti essenziali e, quindi, scadente”, ancora Corte dei conti, Sezione Umbria, sentenze n. 39/2002 e n. 371/2004.
[13] Corte dei conti, Sezione Piemonte, n. 7 del 21 gennaio 2013, questa sentenza contrasta l’affermazione della Corte dei conti, III sezione centrale d’appello, n. 789 del 6 dicembre 2012 che ancora il pregiudizio al solo svolgimento privo di utilità del servizio pubblico, tralasciando o dimenticandosi che i problemi del disservizio non sono solamente limitati all’inutilità del servizio, ma anche ai costi di ripristino e, probabilmente, alla disaffezione che il servizio pubblico reso malamente crea nei cittadini e negli utenti, che avvertono l’amministrazione come un’organizzazione priva di controlli.
[14] Corte dei conti, Sezione Abruzzo, sentenza n. 377 del 25.10.2012.
[15] Cfr. Corte dei conti, Sezione Umbria, sentenza n. 346 del 28 settembre 2005.
[16] Qui è utile il rinvio al dibattito sui diversi livelli di governo e sulla loro efficienza e utilità innanzi alla spesa sostenuta per il loro funzionamento.
[17] S. GIACCHETTI, Appalti di pubblici servizi e/o appalti pubblici di servizi? La legge n. 205 del 2000 gioca a dadi, sul sito on line della giustizia amministrativa, alla pag. web http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/art_giacchetti.htm