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Articoli e note

n. 7-8/2007 - © copyright

MASSIMO PERIN
(Consigliere della Corte dei conti)

Il risarcimento del danno ambientale:
concorrenti profili di responsabilità amministrativa
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SOMMARIO: 1. Premessa 2. Nozione di danno ambientale e definizione della giurisdizione. 3. Le violazioni ambientali e l’impianto mite delle sanzioni. 4 Gli interventi della giurisdizione contabile per la difesa dell’ambiente. 5. Conclusioni.

1. Premessa.

L’importanza della tutela dell’ambiente rileva, prima di tutto, dalla necessità della sua protezione emersa già da tempo nel contesto internazionale [1], dove la conservazione del bene ambiente garantisce la tutela e la dignità della persona, la quale ha diritto a vivere in un ambiente salubre ed ad assicurare che la stessa salubrità sia conservata anche per le generazioni future.

Non vi è dubbio che la “questione ambiente” si pone per il conflitto che segue al rapporto uomo – natura, dal momento che le attività umane possono comportare effetti negativi, a volte anche devastanti e proprio per questo motivo è necessario che siano previste regole certe ed efficaci, validi sistemi di controllo e di prevenzione, nonché ragionevoli e proporzionate sanzioni per coloro che danneggiano l’ambiente.

Non vi è dubbio che l'uomo trae dall'ambiente molte risorse indispensabili alla propria esistenza ed ha, quindi, l'obbligo di preservarlo e sfruttarlo con giudizio ed equilibrio; infatti, dall’ambiente dipende la sua salute e la sua stessa sopravvivenza.

L’Unione europea ha sempre mantenuto un forte impegno a favore dell'ambiente, impegnandosi per la tutela della qualità dell'aria e dell'acqua, la conservazione delle risorse e della biodiversità, la gestione dei rifiuti e delle attività con effetti dannosi.

La politica europea per l'ambiente, si fonda sull'articolo 174 del trattato che istituisce la Comunità europea, mira a garantire, mediante misure correttive legate a problemi ambientali specifici o tramite disposizioni più trasversali o integrate in altre politiche, uno sviluppo sostenibile del modello europeo di società.

2. Nozione di danno ambientale e definizione della giurisdizione.

La prima definizione di danno ambientale si trae dall’art. 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, il quale ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano il risarcimento, identificando il danno ambientale come la «compromissione» dell’ambiente cagionata da «qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o provvedimenti adottati in base a legge».

Ebbene, il concetto di danno ambientale, necessario per rendere effettivo il principio “di chi inquina paga” era già presente nel nostro sistema giuridico prima della legge istitutiva del Ministero dell’Ambiente.

Infatti, il danno ambientale era stato ricondotto dal giudice contabile, fin dagli anni ‘70 alla nozione di danno erariale, con conseguente competenza decisoria della Corte dei conti [2], investita di fattispecie di pregiudizio ambientale prodotte da dipendenti delle amministrazioni, i cui costi ricadevano sui pubblici bilanci [3].

Il pregiudizio ambientale, con la predetta norma è stato incanalato nella responsabilità civile, nonostante la forte connotazione pubblicistica per la natura del bene leso, la cui difesa interessa principalmente la collettività, destinata a subire gli effetti negativi dell’azione dannosa.

Il giudice contabile, negli anni antecedenti alla legge istitutiva del Ministero dell’Ambiente, poneva in evidenza queste situazioni: il pregiudizio non era a carico di uno o pochi soggetti privati, ma della stessa collettività che, prima subiva gli effetti rovinosi e poi, attraverso i pubblici bilanci, alimentati dal prelievo fiscale, partecipava agli oneri economici del ripristino.

Comunque, una volta introdotta la norma dell’art. 18 della legge 349 del 1986, la giurisdizione sul danno ambientale diretto è stata assegnata al giudice ordinario; infatti, la Corte di Cassazione a Sezioni unite (sentenza n. 10733 del 28.10.1998) ha affermato che l'azione di responsabilità nei confronti di amministratori e funzionari degli enti territoriali (nella specie, il Sindaco di un comune) rientra nella giurisdizione contabile della Corte dei conti soltanto per ciò che attiene al cosiddetto danno erariale (quanto, cioè, agli esborsi indebitamente sostenuti dagli enti medesimi), mentre, con riferimento al danno urbanistico - ambientale (nella specie, derivante da lottizzazione abusiva della quale il sindaco era stato riconosciuto responsabile in sede penale), l'azione stessa è devoluta alla cognizione del giudice ordinario, ex art. 18 della legge n. 349 del 1986 [4].

Questa posizione della giurisprudenza della Cassazione, corroborata dalla impostazione del giudice delle leggi, si poneva nell’ottica della limitazione della responsabilità amministrativa ai soli danni patrimoniali, detti anche danni erariali, che oggi ha subito importanti modifiche interpretative [5], dal momento che, nell’attuale realtà giuridica, l’oggetto dell’azione di responsabilità amministrativa riguarda, non soltanto i beni patrimoniali dell’ente pubblico, ma anche il prestigio dell’Amministrazione (nella cui lesione si concreta il danno all’immagine) e, soprattutto, i beni della collettività (in quanto oggi deve intendersi per Stato lo Stato comunità, e lo Stato persona è soltanto ente esponenziale della collettività).

Tra i beni della collettività, ovviamente, un ruolo primario spetta al bene ambiente, anche se la norma dell’art. 18, della legge n. 349, del 1986, ha sottratto alla Corte dei conti la giurisdizione in materia, affidandola al giudice ordinario [6], resta, in ogni caso, spazio per la giurisdizione contabile per il danno ambientale indiretto, quando a seguito di una condanna emessa dal giudice ordinario l’amministrazione deve risarcire il danno a causa di condotte illecite tenute da dipendenti e/o amministratori pubblici.

La scelta legislativa di preferire il giudice ordinario ha comportato, appunto, l’individuazione nel Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare [7] a centro di riferimento dell’interesse pubblico ambientale, realizzando, così, il coordinamento e la riconduzione ad unità delle azioni politico – amministrative finalizzate alla sua tutela, coordinamento che oggi deve tenere conto anche della nuova formulazione dell’art. 117 della Costituzione.

Ebbene, l’art. 117 alla lettera s) afferma che lo Stato dispone della potestà legislativa esclusiva per la tutela dell’ambiente, soltanto che rientrano nella potestà legislativa concorrente tutta una serie di materie (valorizzazione dei beni culturale ed ambientali, protezione civile, governo del territorio) che, di fatto, interagiscono con le politiche di difesa ambientale, con la conseguenza che il coordinamento tra Stato e Regioni diventa un aspetto fondamentale in questa materia.

A tutto ciò si deve aggiungere che, in presenza di gravi disastri ambientali, l’intervento finanziario dello Stato per le azioni di bonifica e di ripristino diventa assolutamente indispensabile.

Tornando alla definizione odierna di danno ambientale il Codice dell’ambiente all’art. 300 afferma:

 

1. È danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima [8].

 

2. Ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato:

 

a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica, che recepisce le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991 ed attua le convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di Berna del 19 settembre 1979, e di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, recante regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, nonché alle aree naturali protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive norme di attuazione;

 

b) alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE, ad eccezione degli effetti negativi cui si applica l'articolo 4, paragrafo 7, di tale direttiva;

 

c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale mediante le azioni suddette, anche se svolte in acque internazionali;

 

d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell'introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l'ambiente.

 

Per quanto riguarda il profilo di risarcimento del danno ambientale l’art. 311 (azione risarcitoria in forma specifica e per equivalente patrimoniale) afferma:

 

1. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio agisce, anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto.

 

2. Chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato.

 

3. Alla quantificazione del danno il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio provvede in applicazione dei criteri enunciati negli Allegati 3 e 4 della parte sesta del presente decreto. All'accertamento delle responsabilità risarcitorie ed alla riscossione delle somme dovute per equivalente patrimoniale il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio provvede con le procedure di cui al titolo III della parte sesta del presente decreto.

Questa norma, in maniera chiara, afferma un competenza nell’azione di risarcimento al Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio [9], al quale al successivo art. 312 consente, per l'accertamento dei fatti, per l'individuazione dei trasgressori, per l'attuazione delle misure a tutela dell'ambiente e per il risarcimento dei danni, di delegare il Prefetto competente per territorio ed avvalersi, anche mediante apposite convenzioni, della collaborazione delle Avvocature distrettuali dello Stato, del Corpo forestale dello Stato, dell'Arma dei carabinieri, della Polizia di Stato, della Guardia di finanza e di qualsiasi altro soggetto pubblico dotato di competenza adeguata.

L’azione risarcitoria spetta al Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e riguarda tutte le ipotesi di danni causati sia da soggetti legati all’amministrazione (e, dunque, in rapporto di servizio), sia privati estranei a quest’ultima.

Il Ministero, come già affermato dalla Consulta (sentenza n. 641 del 1987) assurge a centro di riferimento dell’interesse pubblico ambientale, a cui è affidato e in maniera più specifica, con il nuovo testo unico, il coordinamento delle azioni politico – amministrative finalizzate alla sua tutela.

Questa impostazione, verso la quale non erano mancate, a suo tempo, critiche in ordine all’effettività del suo funzionamento ed alla voluta tutela del bene ambientale, non esclude che il legislatore possa intervenire per colmare le lacune e le deficienze rilevate, al fine di assicurare l’effettività della norma [10].

In modo particolare, la Consulta aveva affermato nella nota sentenza n. 641 del 1986 che, in caso di omissioni da parte degli organi deputati all’avvio delle iniziative risarcitorie, l’ordinamento apprestava già alcuni rimedi, quali la denuncia per omissione di atti d’ufficio degli amministratori inerti, la legittimazione degli organi di vigilanza dell’ente, la nomina di commissari ad acta o curatori speciali ex art. 78 c.p.c.

A questo si aggiungeva che, in ragione del regime di temporaneità delle cariche pubbliche che importano la rappresentanza dell’ente e della sostituzione degli amministratori responsabili di eventuali danni con altri che abbiano maggiore cura dell’interesse pubblico, si poteva rimediare alla carenza di effettività.

In ogni caso, la scelta del giudice ordinario assicurava la regolarità di giudizio, sia per la sussistenza dei tre gradi di giudizio, sia per la struttura del sistema probatorio ed istruttorio, sia, infine, per la maggiore idoneità del giudice ordinario alla cura degli interessi concernenti rapporti di natura paritaria attribuiti alla sua competenza.

Ebbene, parte di queste argomentazioni, a distanza di tempo, si rilevano deboli per una serie di motivi.

Infatti, sulla temporaneità delle cariche sussistono forti dubbi, dal momento che i sistemi elettorali di tipo maggioritario (che, appunto, possono garantire l’alternanza nelle cariche pubbliche) sono stati resi inoffensivi [11], oltre la circostanza che quando l’iniziativa risarcitoria viene rimessa all’amministratore che subentra al suo predecessore sussistono forti dubbi sull’imparzialità dell’azione, essendo prevalenti motivi metagiuridici, quali l’ostilità politica.

La scelta garantistica dei tre gradi di giudizio per il risarcimento del danno ambientale, stante l’attuale crisi del sistema giudiziario civile, si pone, invece, a favore degli autori dei danni che hanno tutto l’interesse a assecondare i noti ritardi del processo civile, il quale, nonostante le frequenti novelle, stenta a raggiungere quella ragionevole durata stabilita nell’art. 111 della Carta fondamentale.

Per quanto riguarda, infine, la struttura del sistema probatorio ed istruttorio, quella presente nel processo di responsabilità amministrativa non presenta carenze o profili di incostituzionalità (tenuto conto della regola del giusto processo ex art. 111 della Costituzione), anzi, per la tutela degli interessi pubblici, quali sono quelli ambientali, garantisce meglio la collettività, non avendo il P.M. contabile i limiti che incontra il Ministero dell’Ambiente (cfr. art. 312, comma 4°, comma 5° e comma 6°), il quale per l’esercizio di tutta una serie di attività istruttorie deve essere autorizzato dall’autorità giudiziaria competente.

A questo punto, si prende atto della scelta del legislatore, la quale non esclude, come meglio si vedrà in seguito, un’azione convincente del giudice contabile in materia di protezione ambientale anche se dai profili diversi da quelli del danno ambientale diretto disciplinato nel testo unico n. 152 del 2.3.2006.

Resta fermo il principio che, per essere risarcibile il danno, occorre che vi siano stati fatti commissivi od omissivi, colposi o dolosi in violazione della legge o di provvedimenti adottati in base ad essa.

In ogni caso, l’odierna scelta legislativa sembra recuperare qualche spazio verso il modello di responsabilità oggettiva[12], anche se appare prevalente il tipo di responsabilità colposa strutturata sulla falsariga dell’illecito aquilano [13], dove il danno dipende anche da un comportamento tenuto in violazione delle norme e dei provvedimenti posti a tutela dell’ambiente.

3. Le violazioni ambientali e l’impianto mite delle sanzioni.

In materia di tutela dell’ambiente il legislatore con il testo unico ha dato rilievo, in ossequio al principio di precauzione[14], al momento della prevenzione delle attività lesive e alla riduzione degli effetti derivanti dall’inquinamento (cfr. ad esempio l’art. 73 a proposito della tutela delle acque dall'inquinamento, ovvero, l’art. 124 in materia di scarichi, i quali devono essere tutti preventivamente autorizzati, ed ancora l’art. 304 che prevede la cd. azione di prevenzione, che opera quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi), conseguentemente l’azione di controllo assume un ruolo strategico, dal momento che qualsivoglia forma di cautela, per essere credibile, necessità di un’azione preventiva efficace di accertamento, così come l’azione repressiva è indispensabile per sanzionare coloro che hanno danneggiato l’ambiente.

Queste finalità trovano, però, sul piano sanzionatorio una serie di misure che non sono sufficienti a dissuadere gli autori dei pregiudizi in materia ambientale (cfr. artt. 133 – 140), perché le sanzioni amministrative non superano l’importo dei sessantamila euro per le condotte più gravi, mentre quelle penali non superano, sempre nei casi più gravi, la pena dell’arresto fino ad un massimo di tre anni.

Si deve, altresì, rilevare che anche in materia di obblighi del condannato di cui all’art. 139, il beneficio della sospensione condizionale della pena “può essere subordinato al risarcimento del danno e all'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino”, quando, invece, sarebbe stato più utile prevedere l’obbligo effettivo del risarcimento per ottenere il predetto beneficio.

A questo si deve aggiungere che, stante la nota crisi del sistema penale, caratterizzato da interventi di clemenza adottati frequentemente dal legislatore, la sanzione penale non dispone più di un credibile e forte effetto dissuasivo.

4. Gli interventi della giurisdizione contabile per la difesa dell’ambiente.

In questo contesto la giurisdizione contabile, anche se non possiede spazio per il risarcimento del danno ambientale diretto, può, comunque, intervenire, prima del verificarsi della condizione del danno indiretto, per il perseguimento di alcuni pregiudizi collegati al medesimo danno ambientale, fornendo, a questo proposito, un ulteriore effetto dissuasivo per coloro che verso l’ambiente non hanno prestato particolare attenzione e sensibilità.

A questo proposito occorre ricordare che l’art. 313 del testo unico, al comma 6, dispone che, nel caso di danno provocato da soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio (e del mare), anziché ingiungere il pagamento del risarcimento per equivalente patrimoniale, invia rapporto all'Ufficio di Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti competente per territorio.

Questa norma non esclude che la Corte dei conti non abbia spazi d’intervento per il perseguimento di quelle condotte che abbiano concorso alla produzione di pregiudizi ambientali.

Infatti, anche riportandosi alla più volte richiamata sentenza n. 641 del 30.12.1987 della Consulta, la quale ricorda la possibilità di denunciare per i reati di omissione coloro che innanzi al danno ambientale sono rimasti inerti, il mancato perseguimento del risarcimento comporta sicuramente il sorgere di un pregiudizio erariale, sotto il profilo della mancata acquisizione del credito derivante dall’illecito.

Non vi è dubbio che, in siffatta fattispecie, la giurisdizione contabile non può essere negata, dal momento che non si persegue l’autore del deterioramento ambientale, ma coloro che, per dovere di servizio, avevano l’obbligo di perseguirlo per il ristoro dell’illecito realizzato [15], i quali con la condotta omissiva hanno rinunciato ad un credito dell’erario.

Si deve ricordare la circostanza che i cittadini, sia attraverso la loro partecipazione [16], sia con la maggiore informazione fornita dai media, pretendono che siano perseguiti coloro che vengono meno ai loro doveri, come avviene quando si omette di azionare la pretesa risarcitoria verso i responsabili dei danni.

Tra le varie fattispecie si deve segnalare, nondimeno, che non è esclusa dalla giurisdizione contabile la conoscibilità dei costi sostenuti dall’amministrazione al fine di procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche ed alle rilevazioni utili per l'accertamento del fatto dannoso, come sono, ad esempio, i costi seguenti le fasi emergenziali [17].

Questi costi, anche dalla lettura della giurisprudenza della Cassazione [18] rientrano nel danno erariale, perché si tratta esborsi sostenuti dagli enti pubblici, per far fronte a comportamenti illeciti.

Un altro spazio per la giurisdizione contabile si rinviene quando la mancata utilizzazione di beni necessari al miglioramento dell’ambiente (es. depuratori, impianti di smaltimento dei rifiuti), spesso costati ai pubblici bilanci somme rilevanti, comporta un sicuro pregiudizio ambientale per l’assenza di misure di contenimento dell’inquinamento.

Di sicuro rilievo, anche per la funzione sanzionatoria e dissuasiva si rinviene nella perseguibilità di condotte omissive quali l’assenza di controlli o, come emerso in una recente sentenza della Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale Abruzzo[19], si contesta il danno da mancato introito di proventi contravvenzionali in materia ambientale.

In questa fattispecie, è stata affermata la responsabilità amministrativa di un dirigente che non ha adottato le misure utili per il corretto espletamento delle attività cui era preposto, con riferimento al risultato negativo derivante dall’omesso incameramento di somme dovute per effetto delle contravvenzioni relative a violazioni ambientali, in modo particolare, quando, con il suo comportamento, ha determinato una gestione amministrativa non improntata all’efficienza e efficacia richieste dalla legge (art. 1 legge n. 241 del 1990).

Infatti, sussiste la manifesta antidoverosità dei comportamenti omissivi dei soggetti preposti alla gestione del servizio del contenzioso in materia ambientale di una Provincia, dal momento che i predetti comportamenti omissivi risultano improntati alla evidente inosservanza di regole e princìpi generali di buona organizzazione, essendo assolutamente pronosticabile che l’incuria organizzativa poteva e poté provocare gravi disguidi produttivi di danno erariale sotto il profilo del mancato incameramento dei proventi delle contravvenzioni in materia ambientale.

Non vi è dubbio che quando l’amministrazione competente all’applicazione delle misure sanzionatorie omette di perseguire i responsabili delle azioni illecite, vanifica anche le azioni di contrasto alle violazioni ambientali operate dalle Forze di Polizia, perché i contravventori non subiscono le doverose sanzioni a fronte degli illeciti commessi, confidando così nell’impunità che consegue all’inefficienza dell’amministrazione.

Inoltre, l’aspetto economico che emerge in questa fattispecie riguarda anche la spesa che si sostiene per le funzioni di polizia necessarie per la sorveglianza sull’osservanza dei vincoli e le regole in materia ambientale.

Di rilievo appare anche quella giurisprudenza [20] che afferma la responsabilità amministrativa di un Sindaco per danno all'immagine dell'Ente [21], conseguente alla realizzazione irregolare di una discarica di rifiuti solidi urbani sul territorio comunale vincolato.

Nell’occasione il Sindaco aveva adottato un’ordinanza contingibile e urgente per la individuazione del sito idoneo per il deposito provvisorio dei R.S.U. , motivato dall'esigenza di provvedere con urgenza alla salvaguardia della salute pubblica.

Dagli accertamenti emersi nel corso del procedimento penale, si rilevava che la condotta del sindaco non era giustificata da una situazione eccezionale e imprevedibile, in quanto il problema si era posto già in anni precedenti per le medesime vicende.

Nell’occasione, la Corte dei conti, oltre ad evidenziare la carenza della imprevedibilità e della urgenza nella soluzione adottata, aggiungeva che, a connotare di illegittimità e illiceità il comportamento del sindaco nell'esercizio del proprio potere di ordinanza, concorreva anche:

- la violazione della legge in materia vincolistica (l'intero territorio comunale era sottoposto a vincolo paesaggistico);

- la violazione delle inderogabili prescrizioni poste a tutela della salute e dell'ambiente, con il trasferimento del rischio dal centro urbano ad altra località, dove si accertava che i rifiuti venivano abbandonati a cielo aperto con pericolo di inquinamento delle falde acquifere;

- l'irragionevolezza della durata della soluzione contingente adottata; la situazione, infatti, si protraeva ben oltre la scadenza del termine di validità dell'ordinanza, in quanto la discarica abusiva in realtà veniva utilizzata per oltre quattro anni, senza che il sindaco provvedesse a risolvere, non solo la precarietà della soluzione adottata, ma la stessa esigenza del servizio di smaltimento dei R.S.U.

Una vicenda di questo tipo connotava di sicura gravità la colpa richiesta per l'addebito della responsabilità amministrativa dell’amministratore pubblico.

Infatti, illegittimità, inefficienza e trascuratezza dell'azione del sindaco mal si conciliavano con la qualifica e le funzioni pubbliche ad essa legate, in quanto egli, proprio in ragione della qualità di rappresentante della collettività amministrata, era preposto alla effettiva salvaguardia e alla corretta gestione degli interessi collettivi e, in particolar modo, delle risorse anche paesaggistiche, ambientali ed artistiche dell'Ente, che vedeva nella propria vocazione turistica (in ragione del patrimonio storico e artistico dei luoghi) una delle maggiori fonti di prestigio cittadino dei suoi abitanti, oltre che di destinazione dell'interesse turistico delle altre popolazioni.

Altra vicenda interessante riguarda la responsabilità amministrativa per ipotesi di danno attinenti a vizi funzionali di un depuratore, quando il contraente dell’amministrazione si era impegnato espressamente in sede contrattuale nel garantire che l'offerta progettuale risultasse maggiormente affidabile in relazione alle condizioni locali di funzionamento dell'impianto di depurazione [22].

Nell’occasione, è stata rinvenuta la responsabilità dei collaudatori dell’opera pubblica, per aver omesso con colpa grave, in sede di rilascio del certificato di collaudo, di prevedere anche una adeguata garanzia finanziaria in favore dell'amministrazione, considerando che, anche in conseguenza di detta omissione, è conseguito un danno patrimoniale per l'amministrazione, per la sostanziale grave difficoltà di corretto funzionamento della tecnologia del depuratore nel contesto ambientale di riferimento, a cui l'amministrazione si è dovuta fare carico in termini finanziari.

Infine si segnala, anche la giurisprudenza [23] che ha ravvisato la responsabilità del Sindaco e del dirigente competente (il responsabile dell’ufficio tecnico comunale) per il danno patrimoniale cagionato all'Ente locale in fattispecie di responsabilità amministrativa indiretta, ossia per aver esposto l'amministrazione al pagamento di una sanzione amministrativa inflitta per scarico abusivo di liquami.

Nell’occasione, sono stati valutati in termini di grave negligenza, i comportamenti dei convenuti in considerazione delle chiare disposizioni (di legge statale e regionale) in materia di inquinamento.

Orbene, si trattava di norme rigide, che non lasciavano spazio a scelte discrezionali, la cui consapevolezza non può essere messa in dubbio da parte di soggetti in possesso di una professionalità specifica e di precise responsabilità istituzionali.

5. Conclusioni.

Ebbene, da questo percorso emerge che il problema “ambiente” non riguarda solo l’aspetto sanzionatorio, tanto penale, quanto amministrativo, ma anche un fatto educativo e precauzionale.

Infatti, il “bene ambiente” richiede, in ragione della scarsità delle risorse naturale ed ambientali, una completa disciplina che eviti sprechi e danni, ma è necessaria anche una coscienza collettiva rispettosa di questo bene che, nel nostro paese, per tutte le attività legate al turismo, costituisce una delle principali industrie.

L’ambiente ha, quindi, un valore in senso economico, un patrimonio di cui si può godere, ma che non dobbiamo consumare con intense attività speculative ovvero distruggere con azioni sconsiderate, se non si vuole pervenire al progressivo decadimento dell’economia e della stessa qualità della vita.

L’attuale sistema sanzionatorio non consente di colpire con ragionevole severità [24] coloro che, con le proprie azioni, arrecano danni all’ambiente, con la conseguenza che il legislatore dovrà intervenire per migliorare l’attuale impianto normative, predisponendo misure più incisive per rendere effettive le condanne in materia ambientale, con particolare attenzione al ristoro del pregiudizio economico, al fine di non rendere conveniente per i trasgressori le violazioni delle regole stabilite per la protezione e la cura dell’ambiente medesimo.


 

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(*) Testo riveduto e corretto della relazione tenuta nel corso del convegno sul codice dell’ambiente (D.Lgs n. 152 del 2.3.2006) presso l’Associazione avvocati amministrativisti di Chieti il 29.6.2007.

[1] Si ricorda la Dichiarazione di Stoccolma del 1972, la Carta mondiale della natura adottata dall’Assemblea generale dell’O.N.U. nonché la Conferenza delle Nazioni unite su ambiente e sviluppo di Rio de Janeiro e il Protocollo di Kioto, riguardante il riscaldamento globale, adottato l’11 dicembre 1997 ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005, sul quale non si riesce ancora a raggiungere un consenso pieno, dal momento che manca l’adesione degli U.S.A. e dell’Australia che temono di danneggiare il proprio sistema industriale, inoltre i paesi in via di sviluppo sono stati esclusi, al fine di non ostacolare la loro crescita economica.

[2] Cfr. Stefania PALLOTTA, Spunti di riflessione in materia di danno ambientale da una recente sentenza del Tribunale di Venezia, http://www.lexambiente.com, dove rileva che l’intervento del giudice contabile negli anni ‘70, non sfuggiva a quella genesi pretoria che ha caratterizzato i principali istituti di diritto ambientale.

[3] Cfr. Corte dei conti, II sezione, 30.4.1985, Riv. Corte dei conti, 1985, pag. 126.

[4] La Corte costituzionale con la sentenza n. 641 del 30.12.1987, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 349 del 1986, nella parte in cui sottrae alla giurisdizione della Corte dei conti la responsabilità dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per i danni arrecati all’ambiente nell’esercizio delle proprie funzioni, in riferimento agli artt. 5, 25 e 103 della Costituzione. Nell’occasione, la Consulta ha affermato che il legislatore può scegliere le sanzioni più idonee alla salvaguardia dei pubblici interessi nelle varie materie ed effettuare altresì la conformazione tipologica delle responsabilità.

[5] È sufficiente pensare a tutta la recente giurisprudenza della Cassazione prima di tutto per quanto riguarda il danno all’immagine (SS.UU. della Corte di Cassazione n. 5668/1997 e n. 744/1999), in seguito in ordine all’affermazione della giurisdizione contabile sulla sindacabilità degli atti discrezionali, dove si deve verificare la compatibilità delle scelte discrezionali con le finalità dell’ente pubblico (sentenza del 29 settembre 2003 n. 14488), nonché sulla compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici (sentenza 25 gennaio 2006 n. 1378); inoltre si ricorda l’estensione della giurisdizione contabile sugli enti pubblici economici, sulle S.p.A. partecipate, sui soggetti privati che beneficiano di contributi comunitari per il raggiungimento di finalità pubbliche.

[6] Questa norma per aver sottratto al giudice contabile il danno ambientale prodotto da agenti pubblici è stata criticata da Paolo MADDALENA (attualmente giudice costituzionale) in La sistemazione dogmatica della responsabilità amministrativa, alla pag. web http://www.lexitalia.it/articoli/maddalena_sistemazione.htm.

[7] Questa è la corrente denominazione del Ministero dell’Ambiente, competente, appunto, nelle materie di competenza, degli adempimenti concernenti la quantificazione del danno ambientale ed il relativo contenzioso, ivi compreso il risarcimento, nonché la predisposizione degli elementi per l'adozione delle relative ordinanze cautelari, vedi http://www.minambiente.it.

[8] sostanzialmente è la perdita di qualità posseduta dalle risorse.

[9] L’attribuzione alla Stato della legittimazione all’esercizio dell’azione risarcitoria è connessa non tanto alla proprietà del bene, quanto alla funzione dello Stato di perseguire l’interesse pubblico alla conservazione dell’ambiente, in quanto titolare degli interessi generali della collettività, cfr. G. Cassano e C. Cosentino, Il Danno Ambientale, IPSOA, 2000, pag. 6.

[10] Infatti, la Corte costituzionale nella sentenza n. 641 del 1987 aveva escluso che la sottrazione del potere di azione ad un organo pubblico imparziale, quale il P.M. presso la Corte dei conti, avesse rilievo e consistenza ai fini dell’incostituzionalità dell’art. 18 della legge n. 349 del 1986, perché il legislatore aveva, comunque, predisposto un sistema di legittimazione ad agire per lo Stato e per gli enti sul cui territorio incidono i beni oggetto del fatto lesivo.

[11] L’inoffensività è stata prodotta non solo dallo svuotamento delle legislazione in materia elettorale di tipo maggioritario, ma anche dal sistema politico che impedisce, di fatto, il ricambio delle componenti di governo.

[12] Cfr. le varie ipotesi di danno ambientale di cui all’art. 300, dove rileva, appunto, il deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima.

[13] G. Cassano e C. Cosentino, cit. pag. 39, i quali affermavano, prima dell’introduzione del testo unico, che il regime di responsabilità prescelto è addirittura meno severo rispetto a quello previsto dall’art. 2050 del c.c., relativo alla attività pericolose, le quali sono anche quelle maggiormente inquinanti. La Corte costituzionale nella sentenza n. 641 del 1987 aveva affermato che la responsabilità per danno ambientale è correttamente inserita nell’ambito e nello schema della tutela aquiliana (art. 2043 c.c.).

[14] l’art. 301 stabilisce in attuazione del principio di precauzione di cui all'articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE, in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l'ambiente, che deve essere assicurato un alto livello di protezione.

[15] La condotta dannosa dell’agente pubblico può essere attiva od omissiva. La crescita degli illeciti omissivi segue alla circostanza che eventi dannosi, una volta ritenuti fortuiti, spesso sono il frutto di omissioni colpose da parte dell’uomo, cfr. V. Tenore, La nuova Corte dei conti, Milano, 2004, pag. 72 e segg.

[16] Si può ricordare anche il ruolo delle associazioni di protezione ambientale.

[17] In questo caso si segnala la sentenza della Corte dei conti, Sezione Abruzzo, n. 185 del 13.02.2007, riguardante la fattispecie di danno prodotto all’interno del Laboratorio dell'Istituto nazionale di fisica nucleare del Gran Sasso, dove era avvenuto uno sversamento di sostanze tossiche nel torrente Mavone. Nell’occasione la Procura regionale contestava ai presunti responsabili un pregiudizio economico per i costi sostenuti per le incombenze istituzionali di controllo svolte dall'Arta - Agenzia Regionale per la tutela dell'Ambiente.

[18] Sentenza n. 10733 del 28.10.1998.

[19] Sentenza n. 432 del 23 aprile 2007.

[20] Corte dei conti, Sezione Lazio, n. 421 del 27.03.2007.

[21] Il danno all'immagine e al prestigio della P.A. rientra nella connotazione del “danno patrimoniale in senso ampio” ex art. 2043 c.c. e, in linea di principio, non si correla necessariamente ad un comportamento causativo di reato, ben potendo discendere anche da un comportamento gravemente illegittimo ovvero gravemente illecito extrapenale.

[22] Corte dei conti, Sezione Toscana, n. 792, del 19.12.2005 per una fattispecie riguardante gli effetti dannosi derivanti dal mancato esercizio dell’impianto di depurazione di Monte Argentario.

[23] Corte dei conti, Sezione, Lombardia, n. 991 del 2003.

[24] Nel caso di coloro che causano incendi boschivi il codice penale all’art. 423 bis prevede la pena della reclusione da quattro a dieci anni, mentre, nel caso in cui l’incendio sia cagionato per colpa, è prevista la pena della reclusione da uno a cinque anni.


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