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Articoli e note

n. 3/2006 - © copyright

MASSIMO PERIN
(Consigliere della Corte dei conti)

I recenti orientamenti della Cassazione sui confini
della giurisdizione contabile di responsabilità amministrativa

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Le Sezioni unite della Cassazione, con la recentissima sentenza n. 4511 del 1° marzo 2006 (in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/casssu_2006-03-01.htm), hanno affermato che la regola per distinguere la giurisdizione ordinaria da quella contabile in materia di responsabilità amministrativa per danno erariale si è spostata dalla qualità del soggetto (che può ben essere un privato od un ente pubblico non economico), alla natura del denaro e degli scopi perseguiti.

Conseguentemente, quando il privato, assegnatario di finanziamenti pubblici finalizzati alla realizzazione di programmi di interesse collettivo, incide negativamente sul modo d’essere del programma imposto dall’amministrazione, sia per non avere perseguito la finalità pubblica stabilita, sia per aver distolto le risorse dagli scopi collettivi al fine di destinarle a utilizzazioni diverse, si troverà a dovere rispondere innanzi alla Corte dei conti per i pregiudizi finanziari arrecati.

Pregiudizi da individuare anche nella circostanza di “avere sottratto” risorse economiche ad altre imprese che avrebbero potuto, invece, realizzare il programma di interesse pubblico.

La pronuncia in parola segue, ma con una motivazione più forte, la precedente fattispecie di cui all’ordinanza n. 20132 del 12 ottobre 2004 delle Sezioni unite (in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/ago1/cassu_2004-20132.htm con commento di L. VENTURINI - vicenda riguardante l’UNALAT, Associazione produttori del latte bovino), con la quale era stato affermato che deve essere rinvenuto il rapporto di servizio tra un’associazione privata di prodotti agricoli e un ente pubblico non economico (l’AIMA), nei cui confronti la prima si era impegnata a svolgere, con fondi comunitari, attività rientranti nei compiti d’istituto del secondo.

In quella occasione l’associazione privata dei produttori del latte bovino si era obbligata ad individuare, per conto dell’ente pubblico, gli aventi diritto agli indennizzi per la sospensione della produzione lattiera, indennizzi che gravavano sul bilancio comunitario.

L’ultima decisione delle Sezioni unite amplia ancor di più la portata della responsabilità amministrativa nei confronti dei privati che utilizzano le risorse comunitarie ed è importantissima per gli sviluppi che potrà portare sotto il profilo della moralizzazione e di una doverosa responsabilità sull’uso dei finanziamenti pubblici, contribuendo, senza altro, a una maggiore ponderazione nell’assegnazione delle risorse con l’individuazione di soggetti privati “affidabili” e a un uso efficiente ed economico delle medesime risorse da parte degli assegnatari, con il rispetto dei principi di costituzione materiale economica che si rinvengono, da tempo, dalla lettura dell’art. 97 della Costituzione in relazione all’art. 1 della legge n. 241 del 1990 e successive modifiche.

Infatti, da più di un decennio esiste una norma di piena attuazione dell’art. 97 della Carta fondamentale e, cioè, l’art. 1, primo comma, della legge n. 241/1990 che stabilisce che l’esercizio dell’attività amministrativa deve ispirarsi a criteri di economicità e di efficacia.

Naturalmente, come riporta la predetta norma, l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla legge 241/1990 e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princípi dell’ordinamento comunitario (comma 1).

Nei successivi commi si aggiunge che la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente (comma 1-bis), e che i «soggetti privati» preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princípi di cui al comma 1 (comma 1-ter).

Ebbene, a questo punto grazie a questa giurisprudenza si può dire che è chiaramente aperta la strada dell’orientamento che guarda a una nuova lettura della regola costituzionale del buon andamento, dove la visione economica e sostanziale delle cose richiede particolare attenzione, tanto per la necessità di non sprecare le risorse collettive, quanto per la circostanza obiettiva che queste non sono infinite e possono essere alimentate solo dalla partecipazione economica dei cittadini attraverso il prelievo fiscale, il quale non può spingersi oltre i limiti ragionevoli di compatibilità con la produzione del reddito.

Il rispetto di questi principi non è un dovere della sola amministrazione, ma anche dei soggetti privati che, unitamente all’amministrazione, perseguono gli scopi di sviluppo economico attraverso contributi finanziari che gravano sui pubblici bilanci.

Non vi è dubbio che il giudice della giurisdizione, abbia adottato, in questa occasione, una decisione forte e contraria alla stessa impostazione della Procura generale presso la Cassazione, la quale aveva sostenuto che «nel caso di finanziamenti a soggetti privati, che conservano completa autonomia nell’organizzazione dell’attività imprenditoriale, sia pure con l’obbligo di destinare le somme erogate all’acquisto di macchinari nuovi, il soggetto privato non assume la posizione di ente strumentale dell’ente pubblico, specialmente quando - come nella specie - l’unica forma di controllo cui è sottoposto il soggetto beneficiario riguarda soltanto la corretta contabilizzazione delle operazioni di acquisto».

La Procura generale della Cassazione non aveva rinvenuto nell’odierna fattispecie il rapporto di servizio, necessario per l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei Conti degli autori del pregiudizio economico, dal momento che il soggetto beneficiario del contributo poteva essere sottoposto al solo controllo sulla regolarità contabile delle operazioni di acquisto (es. verifica della rispondenza delle fatture presentate con il materiale comperato), ma al medesimo permaneva un completa autonomia imprenditoriale, incompatibile con la posizione di ente strumentale dell’ente pubblico, ipotesi questa che escludeva il suo inserimento nella funzione amministrativa e all’assoggettamento alla giurisdizione contabile.

La verifica del rapporto di servizio è indispensabile per affermare la giurisdizione contabile, perché attraverso di esso si riscontra l’esistenza di una relazione funzionale tra l’autore dell’illecito di danno patrimoniale e l’ente pubblico che il danno subisce, quale presupposto per la formulazione dell’addebito di responsabilità amministrativa (Cass. Sezioni unite, sentenza n. 1377 del 25 gennaio 2006).

Vi è da dire che la Cassazione (Sezioni unite, sentenza n. 3899 del 26 febbraio 2004, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/ago/casssu_2004-02-26.htm con una mia nota di commento) aveva già ravvisato il rapporto di servizio, necessario per l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei Conti, ogni qualvolta si instauri una relazione non organica, ma funzionale, caratterizzata dall’inserimento del soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente pubblico, come compartecipe dell’attività ai fini pubblici di quest’ultimo a nulla rilevando, in contrario, la natura privatistica dell’ente affidatario e/o dello strumento contrattuale con il quale si è costituito ed attuato il rapporto in questione.

In questa occasione, sotto il profilo dei soggetti convenibili nel processo contabile, è stato affermato il principio della soggezione alla giurisdizione di responsabilità non solo dei pubblici funzionari, ma anche degli organismi privati coinvolti nei procedimenti di controllo e certificazione della corretta erogazione delle spese, in relazione al rapporto di servizio instauratosi fra le amministrazioni e tali strutture private (enti o società), nonché delle stesse persone fisiche responsabili della gestione di detti enti, sia a titolo di responsabilità contabile nel caso di distorto maneggio, anche in via di fatto, dei finanziamenti erogati, sia in generale in virtù del rapporto di servizio con l’ente e, in via mediata, con la P.A. (cfr. relazione del Procuratore Generale in occasione dell'inaugurazione dell' anno giudiziario della Corte dei conti 2006, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/vari/pg_2006.htm).

Principio ancora di recente ribadito (Cass. Sezioni unite, sentenza n. 1377/2006, cit.) ai fini dell’affermazione della giurisdizione nei confronti del collaudatore di lavori pubblici, il quale si colloca all’interno dell’amministrazione come compartecipe fattivo dell’attività amministrativa dell’ente pubblico preponente.

Tuttavia, il discrimine tra la giurisdizione contabile di responsabilità finanziaria e quella ordinaria non aveva ancora avuto una specificazione così netta, dove si deve guardare più alla natura del denaro e degli scopi perseguiti che alla qualità del soggetto, il quale indifferentemente può essere tanto un privato, quanto un ente pubblico non economico.

Impostazione questa che andava già prendendo forma presso la giurisdizione contabile che aveva individuato il rapporto di servizio fra l’agente che ha cagionato il danno e l’ente pubblico che lo ha sofferto, in presenza della «natura oggettivamente pubblica delle risorse finanziarie», in relazione alle quali il danno patrimoniale alle finanze pubbliche viene individuato e in relazione alle quali viene avanzata la pretesa risarcitoria della Procura erariale (Corte dei conti, sezione Molise, n. 92 del 13.5.2003).

In seguito, la giurisprudenza delle sezioni territoriali (Corte dei Conti, sezione Abruzzo, sentenza n. 631 del 25.8.2005) aveva già individuato nell’uso delle risorse pubbliche di provenienza comunitaria che la partecipazione dei soggetti privati allo svolgimento della funzione pubblica comportava l’obbligo di osservare i criteri di leale collaborazione, necessari per il perseguimento efficiente dello scopo pubblico e, di conseguenza, aveva affermato la propria giurisdizione nei confronti di una società privata beneficiaria un finanziamento pubblico assegnato nell'ambito di un programma operativo a livello comunitario plurifondo.

Nella fattispecie, era stato affermato che il concorso del privato nella formazione della decisione pubblica, si esplica in diversi momenti: dalla approvazione del programma alla realizzazione della attività finanziata fino alla richiesta di liquidazione del contributo; in tutte queste fasi egli deve ispirare la sua condotta a criteri di leale collaborazione (ad. es. nella produzione della documentazione) e di correttezza, non alterando, ad esempio, i costi e, soprattutto, destinando il finanziamento alle effettive finalità per cui è stato erogato.

Naturalmente, seguendo la predetta impostazione, sussisteva l’obbligo di restituzione del contributo ricevuto dalla Regione con fondi comunitari esistendo la deviazione del comportamento della società privata beneficiaria del finanziamento comunitario, perché acclarata un’evidente sproporzione tra il costo delle attività svolte (di nessuno rilievo pubblico come la ristrutturazione immobiliare della privata abitazione del titolare della società) e la singolare esiguità delle attività di “promozione turistica” poste in essere e per le quali era stato concesso l’intervento pubblico.

Vicende di questo tipo comportano l’accertamento di attività consapevolmente poste in essere con piena volizione contraria alle finalità pubbliche per le quali il contributo viene assegnato, colorando così l’elemento psicologico del responsabile del pregiudizio quantomeno del dolo in senso civilistico, stante la condotta caratterizzata dall’intenzionalità di occultare la vera situazione dei fatti (cfr. Corte dei conti, sezione Marche, n. 257 del 7.4.2005).

A questo punto, non si può non guardare con favore alla decisione del giudice della giurisdizione, il quale ha colto l’intuizione dell’importanza di assicurare ai finanziamenti pubblici non solo un controllo meramente contabile, ma anche quello diretto ad assicurare il raggiungimento dello scopo pubblico, indipendentemente della figura (privato o amministrazione) affidataria dei contributi e della realizzazione del programma, perché quel che conta è la natura oggettivamente pubblica delle risorse finanziarie.

Il tutto avviene in un’ottica di contrasto ai fenomeni di devianza finanziaria che aggrediscono i pubblici bilanci, dove l’istituto della responsabilità amministrativa si colloca come argine per una tutela funzionale degli interessi obiettivi della comunità e, dunque, degli stessi enti pubblici (cfr. N. Longo, Natura giuridica e orizzonti politico culturali della responsabilità amministrativa, Riv. della Corte dei conti, n. 1/2001, pag. 365).

Certamente, la decisione della Cassazione avvicina la Corte dei conti al modello francese di giudice contabile preposto al controllo anche degli enti di diritto privato beneficiari di contributi finanziari di provenienza pubblica, comprendendo in questa anche quelli dell’Unione europea (cfr. A. Mezzera e M. Champomier, L’organizzazione e le competenze della Corte dei conti e delle Camere regionali dei conti in Francia, Riv. Della Corte dei conti, n. 1/2005, pag. 404 e segg.).

Ebbene, in una fattispecie come quella scrutinata dalla Cassazione non si può negare che il vero presupposto dell’erogazione finanziaria a favore di soggetti privati, sia la realizzazione di programmi di sviluppo economico per i quali si ritiene meglio utilizzabile un organismo privato (per avere quest’ultimo una struttura, snella, flessibile ed efficiente, nonché un forte spirito imprenditoriale necessario per esaltare la capacità realizzativa dei programmi), il quale una volta conseguite le risorse, si deve impegnare a realizzare compiutamente le finalità previste, tenuto conto della circostanza che l’affidamento di risorse pubbliche impone una seria ed efficiente progettazione e programmazione organizzativa, una puntuale presenza di responsabilità e tempistica esecutiva e, in ogni caso, una rigorosa verifica dei risultati.

Questa impostazione si deve inquadrare, soprattutto, nell’ambito del rispetto dei principi di costituzione materiale che impongono di gestire il pubblico denaro con efficienza, efficacia ed economicità, ma anche trasparenza, tempestività, ragionevolezza e proporzionalità, stante il progressivo operare dell’amministrazione con i principi della legge sul procedimento che, alla luce delle ultime innovazioni apportate (legge n. 241/90, così come modificata e integrata dalla legge n. 15/2005), esalta il ricorso allo strumento negoziale.

Nondimeno, la legge n. 15/2005, aggiungendo il comma 1 bis all’art. 1 legge n. 241/90, ha inserito la novità del principio secondo il quale l’amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente.

A questo punto diviene essenziale, per garantire l’equilibrio finanziario del sistema che dall’interpretazione di questa norma, ribaltatrice del principio tradizionale per il quale l’amministrazione agisce di regola secondo il diritto pubblico e solo in via eccezionale, nei casi espressamente previsti dalla legge, secondo il diritto privato, non si concedano spunti di immunità, quando l’attività di spesa sia effettuata al di fuori dei canoni pubblicistici.

Tutto ciò si presenta opportuno in un momento storico, come quello attuale, con un’amministrazione avviata verso forme più o meno avanzate di federalismo e di sussidiarietà, proiettate a una maggiore responsabilizzazione delle amministrazioni territoriali che potranno avvalersi, per la gestione di molti servizi pubblici, così come per la realizzazione di lavori pubblici, della partecipazione di soggetti privati, che quando responsabilizzati, anche per il rischio di dover rispondere patrimonialmente delle inefficienze e degli sprechi, avranno maggiore cura dell’interesse pubblico alla cui realizzazione contribuiscono.

Allo stesso modo le amministrazioni, grazie all’estensione della giurisdizione contabile avranno uno strumento (la denuncia del danno alla Procura regionale della Corte dei conti) che si pone come barriera ai tentativi di assalto alle pubbliche finanze da parte di quei soggetti privati interessati solo ad ottenere finanziamenti, ma non a realizzare i programmi; richiamando, a questo proposito, le riflessioni del prof. Giuseppe ABBAMONTE, il quale, a proposito delle privatizzazioni, affermava che queste sono una strana vacca, che mangia nella greppia del pubblico e fa il latte nel secchio del privato, riflessioni che hanno certamente tenuto conto dei frequenti esempi negativi che si sono avuti con le gestioni di pubbliche risorse affidate a soggetti privati.

Invero, consentendosi l’avvio di un’azione di responsabilità amministrativa presso la giurisdizione contabile, dove opera, com’è noto, un ufficio del pubblico ministero, si solleva l’amministrazione anche da possibili ipotesi di conflitto d’interesse e di condizionamento con le parti private finanziate, che raramente sarebbero state perseguite dalla stessa amministrazione (con sostanziale esonero di responsabilità per i pregiudizi economici arrecati), in quanto l’avvio di un’azione di restituzione del contributo presso il giudice ordinario poteva essere intesa anche come un’ammissione di inefficienza, sia sotto il profilo dell’individuazione del soggetto beneficiario, sia sotto il profilo di un carente controllo sul programma da realizzare, il quale potrebbe anche dar luogo a un’ipotesi di responsabilità amministrativa.

Si deve rammentare che l’iniziativa risarcitoria viene promossa da un organo pubblico che deve esaminare non solo il risultato negativo sull’uso delle risorse pubbliche, ma anche tutti i comportamenti degli agenti pubblici che possono essere stati determinanti nella realizzazione degli effetti pregiudizievoli per il bilancio dell’amministrazione, il tutto nell’ambito della configurazione della sanzione finanziaria in un contesto di deterrenza – prevenzione positiva, in presenza di strategie di responsabilizzazione professionale e di valutazione di risultato (G. Palumbi, Il Pubblico Ministero della Corte dei conti, Rassegna TAR n. 5-6 maggio – giugno 2004, parte II, 319).

Per di più, non vi è dubbio che, trattando la fattispecie esaminata un finanziamento comunitario acquisito da una società privata (finanziamento finalizzato all’attuazione del programma operativo multiregionale - patti territoriali per l’occupazione, a valere sugli accordi con l’Unione Europea), la sentenza consentirà di perseguire con il carattere dell’effettività il principio di «sana gestione finanziaria» discendente dai trattati dell’Unione europea, dal momento che sono responsabilizzati anche i fruitori dei finanziamenti i quali, una volta che abbiano male impiegato le risorse, possono essere chiamati a risponderne personalmente e con il loro patrimonio.

Si deve segnalare, a questo proposito, che la sentenza della Cassazione contribuisce sicuramente (cfr. l’art. 280 del Trattato di Amsterdam del 1997) a far sì che lo Stato possa perseguire con maggior forza anche la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari della Comunità, perseguendo non solo gli illeciti penali (spesso stemperati da provvedimenti di clemenza più o meno premiali da parte del legislatore di turno), ma anche quelli amministrativi che saranno colpiti da misure risarcitorie dietro l’iniziativa officiosa del pubblico ministero presso la Corte dei conti.

Al riguardo si richiama anche l’attenzione dell’opinione pubblica al tema delle risorse comunitarie, la quale è stata incentrata sui “fondi comunitari” e sul tema dei “ritardi” nel loro utilizzo con ricorrenti allarmi circa l’inadeguatezza dell’azione delle amministrazioni pubbliche interessate, dove emerge l’aspetto gestionale collegato al tempestivo utilizzo dei fondi, da tenere distinto dalle fattispecie relative alle frodi e alle irregolarità che saranno oggetto di attenzione anche da parte del giudice penale (cfr. P.L. Rebecchi, La responsabilità amministrativa e contabile nel contesto delle misure di tutela degli interessi finanziari comunitari e nazionali, in www.amcorteconti.it).

Naturalmente, questa impostazione può contribuire ad alleggerire il carico di lavoro del giudice penale, dal momento che spesso il cattivo impiego di pubblico denaro può essere riportato nell’alveo di una giurisdizione attenta alle vicende economiche, perché non sempre la malamministrazione (anche quando realizzata da parte dei privati) comporta la violazioni di norme penali e non per questo deve essere lasciata immune da sanzioni, specialmente quando quella restitutoria si presenta non solo più efficiente e rapida, ma anche fornita di maggiore deterrenza.

A questo proposito, lo stesso legislatore con la recente legge finanziaria del 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266) sinteticamente e ripetutamente enuncia, con maggior vigore, rispetto al passato, la finalità della tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica (art. 1, commi 24, 138, 166), rafforzando positivamente ed evolutivamente il ruolo della funzione e delle attività di controllo della Corte dei conti, privilegiando, così, una visione dove il ricorso alla sanzione penale (indispensabile a fronte di comportamenti criminali come ad es. la truffa) deve essere preceduto sia dal controllo (sicuramente ancora da rafforzare e migliorare, garantendo sempre e comunque l’indipendenza e la neutralità), sia dall’azione di responsabilità amministrativa che consente il perseguimento degli illeciti finanziari in tempi sicuramente ragionevoli anche quando questi sono commessi dai privati affidatari di risorse pubbliche,.

Ritornando sulla decisione n. 4511 del 2006, non vi è dubbio che la Cassazione abbia posto l’accento sulla «funzionalizzazione» dell’attività svolta dal privato (il perseguimento di un programma attraverso il conseguimento di finanziamenti pubblici), attività che deve poter essere controllata, dove chi è controllato deve poter dar conto di ciò che ha fatto o non fatto e del perché, del come e così via (cfr. M.S. Giannini, Diritto amm.vo, vol. II, Milano 1993, pag. 8), anche con la previsione di una sanzione o dell’addebito di restituzione del finanziamento, specialmente quando il programma non sia stato realizzato a causa di una mala gestione dei fondi.

Nondimeno, l’acquisizione di finanziamenti pubblici per la realizzazione di programmi nell’interesse dell’amministrazione non può essere vista come una sorta di funzione di assistenza economica alle imprese, considerato che se la stessa amministrazione deve essere guardata come espressione della società e non come un’entità antagonista ad essa (per usare l’espressione di Giorgio Berti “Sull’Amministrazione capovolta”) si deve vedere all’interesse primario della collettività formata da tutti (cittadini, imprese, istituzioni, associazioni, ecc…) e dove il perseguimento delle utilità pubbliche sia garantito non solo dalla serietà degli interventi, ma anche dalla sanzione dei comportamenti trasgressivi, dal momento che lo stesso soggetto amministrato (nel caso specifico, colui che percepisce un finanziamento) a sua volta amministra realizzando o non realizzando il programma e, per tale motivo, deve essere ancora più forte la sua responsabilizzazione.

Responsabilizzazione che non può essere limitata al solo riscontro contabile e formale della documentazione (il beneficiario presenta i documenti di spesa per giustificare il finanziamento ricevuto), sicuramente importante per la regolarità dell’impiego delle somme, ma deve spingersi anche alla verifica della congruenza dell’attività svolta tra i costi sostenuti, i risultati e gli obiettivi conseguiti.

A questo proposito, si segnala anche l’orientamento della giurisprudenza (Corte dei conti, sezione Lazio, n. 794 del 3 maggio 2005) che non ravvisa l’attualità del danno erariale nella sola erogazione del finanziamento pubblico, specialmente quando questa avviene a titolo di anticipazione ed essendo ancora possibile la restituzione a titolo di rimborso in sede di riscontro, quando risulti che le spese anticipate siano superiori a quelle ritenute giustificate.

Ovviamente questo non esclude l’accertamento successivo per individuare e perseguire gli eventuali pregiudizi quando, terminata la rendicontazione, gli esuberi non siano stati recuperati a carico del beneficiario o del fideiussore.

Una volta acclarati i fenomeni di trasgressione amministrativa (mancata realizzazione dell’opera, dispersione di risorse, ecc…) dovrà intervenire la misura risarcitoria e il giudice fornito delle giurisdizione sarà la Corte dei conti e non il giudice ordinario, tra l’altro soffocato dai noti problemi di ingolfamento delle attività sia per l’eccesso di litigiosità, sia per i ritardi nel rendere giustizia, per i quali mancano ancora, da parte del legislatore, utili interventi strutturali.

Il tutto avverrà nell’ambito degli ordinari profili di accertamento della responsabilità amministrativa indispensabili per promuovere iniziative risarcitorie, quali l’elemento psicologico rappresentato dal dolo o dalla colpa grave (art. 1, comma 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificata dalla legge n. 639 del 1996), l’esistenza di un pregiudizio finanziario attuale ed economicamente valutabile sofferto dall’amministrazione pubblica, il nesso eziologico tra la condotta tenuta dall’agente pubblico o dal privato beneficiario di finanziamento pubblico convenuto in giudizio e l’evento dannoso, infine il rapporto di servizio fra l’agente che ha cagionato il danno e l’ente pubblico che lo ha sofferto.

Con molta probabilità questa pronuncia darà il via al superamento definitivo di quegli orientamenti che, in passato, hanno escluso la giurisdizione contabile, pur in presenza di vistose vicende di cattivo impiego di finanziamenti pubblici, perché prima non si ravvisava il rapporto di servizio fra un organismo privato e un ente pubblico (nella specie il CONI), per l’assenza di una vera e propria preposizione funzionale del primo nei compiti del secondo, nonostante la presenza di erogazioni contributive da parte dell’ente pubblico al privato che avrebbe dovuto, appunto, perseguire i medesimi scopi (Cass. Sezioni unite, n. 12041 del 28.11.1997) (1).

Così come era stata esclusa la giurisdizione contabile, per difetto del rapporto di servizio, tra l’ente Ferrovie dello Stato e il Ministero dei Trasporti per le fasi di attuazione del contratto di programma per il quale è stata costituita la T.A.V. s.p.a. che, a sua volta, avvalendosi degli strumenti di diritto privato aveva intavolato i successivi rapporti contrattuali (Cass. Sezioni unite, n. n. 10979 del 2004).

Non vi è dubbio poi che questa sentenza si colloca sulla scia della giurisprudenza (Corte di Cassazione - Sezioni Unite, ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003) che ha affermato che sussiste la giurisdizione della Corte dei conti anche nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici, per i giudizi di responsabilità amministrativa conseguenti alla commissione di fatti dannosi realizzati dopo l'entrata in vigore dell'art. 1, ultimo comma, legge n. 20 del 1994, perché, a seguito delle innovazioni apportate dall’art. 1 della legge n. 20 del 1994, in materia di giudizi innanzi alla Corte dei conti, il dato essenziale dal quale scaturisce la giurisdizione contabile è dato dall’evento dannoso verificatosi in pregiudizio di un’amministrazione pubblica.

Infatti, come evidenziato da attenta dottrina (L. Venturini, Corte di cassazione e giurisdizione della Corte dei conti in questo primo scorcio dell’anno: in particolare la sentenza n. 4511 del 1° marzo 2006, in http://www.amcorteconti.it/articoli/venturini_4511_06_cass.htm) la Cassazione, recependo le sollecitazioni contenute nelle iniziative dell’Organo di tutela erariale, ha sottolineato la nuova complessa plurisoggettività dell’amministrazione che opera attraverso moduli e strumenti privatistici, indirizzati al perseguimento del fine pubblico, con destinazione in tal senso, delle finanze pubbliche, cui consegue la necessità di tutelare le risorse collettive con le modalità risarcitorie, sanzionatorie, ma anche deterrenti dell’azione di responsabilità amministrativa.

Nell’occasione il giudice della giurisdizione aveva affermato che così come, con il D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80 e la legge 21 luglio 2000 n. 205, la giurisdizione amministrativa esclusiva è stata attribuita per settori omogenei di materia - essendo stato trasferito il criterio di riparto dal soggetto all'oggetto - allo stesso modo il legislatore ha inteso operare, relativamente alla giurisdizione in materia di responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici, sia pure attraverso un iter non altrettanto organico, ma al fine di dare concreta e puntuale applicazione al secondo comma dell'art. 103 della Costituzione.

L’ordinanza n. 19667/2003, nella sostanza, afferma che, ai fini della giurisdizione di danno erariale, occorre guardare più alla natura delle risorse finanziarie impiegate che alla situazione soggettiva del danneggiante.

Questa evoluzione tiene conto, appunto, della circostanza che l’amministrazione ha assunto la veste di soggetto che produce servizi, con la conseguenza di sfumare il ruolo dell’autorità per far emergere quello di parte di un rapporto economico che si avvale degli schemi e degli istituti del diritto privato (così M. Donno, Dal controllo preventivo di legittimità al controllo sulla gestione, Riv. Della Corte dei conti, n. 3/2005, pag. 310).

Infatti, la penetrazione del diritto privato nella gestione della pubblica amministrazione è divenuta sempre più intensa a partire dagli anni novanta del secolo appena trascorso, comportando così notevoli mutamenti sul modo di essere delle gestioni pubbliche ai fini della realizzazione delle attività istituzionali (cfr. G. D’Auria, Foro italiano, n. 10/2005, parte I, pag. 2674 e segg.).

Infine, si deve segnalare che la Cassazione con la sentenza 4511 del 2006, lancia anche un forte segnale agli organi di controllo delle procedure di finanziamento, in quanto afferma che sussiste la giurisdizione della Corte dei conti non solo con riguardo al giudizio nei confronti dell’impresa beneficiaria dei finanziamenti, ma anche nei confronti dell’istituto di credito convenuto nel giudizio di responsabilità - nella qualità di concessionario - per l’omessa vigilanza riscontrata nella fattispecie.

Al riguardo si deve ricordare l’importanza della funzione di controllo in ogni fase dell’azione amministrativa, tanto interna, quanto esterna all’amministrazione, perché un efficace, serio e attento controllo, impedisce (attraverso la regola della prevenzione, stranamente mal vista dal legislatore di questi ultimi anni che, in nome della liberta di amministrare, ha sostanzialmente abolito i controlli esterni impeditivi di efficacia degli atti, senza creare una diversa ed efficace alternativa, tenuto conto che i controlli interni diventano inoffensivi con la dipendenza del controllore dal soggetto controllato) fenomeni di mala amministrazione e spreco di risorse.

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(1) Vi da dire, a proposito delle federazione sportive, che la giurisprudenza (Corte dei conti, sezione Lazio, n. 922 del 17 maggio 2005) ha affermato che le stesse federazioni sportive, nonostante la loro natura privatistica – affermata dal D.Lgs. n. 242 del 1999, come modificato dal D.Lgs. n. 15 del 2004 – partecipano alla funzione pubblica del Comitato olimpico e costituiscono integrazione strutturale di un settore della vita nazionale, quello sportivo, caratterizzato dall’interesse della promozione dello sviluppo socio morale della popolazione. Con questa pronuncia la Corte dei conti ha affermato la propria giurisdizione nei confronti di un funzionario delegato da una federazione sportiva, che nella normalità dei casi sono soggetti privati, incolpato di irregolarità amministrative, il tutto all’interno della cornice interpretativa che caratterizza il rapporto di servizio tra le federazioni sportive e il CONI, in ragione dei forti poteri che questo esercita nei confronti delle prime (atti d’indirizzo, controllo sui bilanci, commissariamento, ecc…).


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