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n. 7-8/2009 - © copyright

 MASSIMO PERIN
(Consigliere della Corte dei conti)

Lodo Bernardo [1], decreto correttivo ancora molto limitativo
delle indagini e la quasi abolizione della lesione all’immagine pubblica.

In questi giorni di caldo estivo, nel corso dell’attuale manovra finanziaria, erano state inserite con il cd. “lodo Bernardo” norme in grado di azzerare definitivamente l’azione di responsabilità amministrativa innanzi alla Corte dei conti.

La norma in parola (comma 30 ter), inserita nel maxiemendamento governativo), recitava così:

Le Procure regionali della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento per il danno all’immagine nei soli casi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. Per danno erariale perseguibile innanzi alle Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti si intende l’effettivo depauperamento finanziario o patrimoniale arrecato ad uno degli organi previsti all’art. 114 della Costituzione o ad altro organismo di diritto pubblico illecitamente cagionato ai sensi dell’art. 2043 del codice civile. L’azione è esercitabile dal pubblico ministero contabile, a fronte di una specifica e precisa notizia di danno qualora il danno stesso sia stato cagionato per dolo o colpa grave. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta.

Questa formulazione stabiliva la nullità per legge per quasi tutte le attività istruttorie svolte dalla Procura della Corte dei conti [2], perché in assenza di una notizia di danno talmente qualificata da contenere l’entità precisa del pregiudizio economico arrecata solo agli organi di cui all’art. 114 della Costituzione o ad altro organismo di diritto pubblico (con esclusione, dunque, dei soggetti privati che utilizzano pubbliche risorse, s.p.a. pubbliche, aziende municipalizzate, ecc…), la presenza dell’elemento psicologico del dolo e della colpa grave (da conoscere prima della denuncia!) e ovviamente anche del responsabile (non del presunto tale), nulla si poteva più fare anche se fossero stati presenti gravi fenomeni di trasgressione gestoria e finanziaria.

La gravità di questa formulazione normativa era rappresentata anche dall’affermazione che il danno erariale doveva essere cagionato solo ai sensi dell’art. 2043 del c.c. circostanza che costantemente avrebbe rimesso nelle braccia della Corte di Cassazione tutti i giudizi di responsabilità amministrativa, con il rischio di una continua restrizione dell’ambito della giurisdizione della Corte dei conti [3].

Innanzi a siffatta legislazione, il Presidente della Repubblica (cfr. rassegna stampa sul sito www.corteconti.it) è intervenuto chiedendo nuove norme correttive che non limitassero le doverose azioni della Corte dei conti dirette ad accertare i danni erariali.

Sul decreto correttivo si legge, invece, la seguente nuova formulazione:

c) all’art. 17 comma ter:

1) i primi tre periodi sono sostituiti dai seguenti “Le procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n.97. A tale ultimo fine il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’art. 1 della legge 14 gennaio 1994 è sospeso fino ala conclusione del procedimento penale.”;…

Ebbene, rispetto alla prima formulazione del deputato proponente “Bernardo” il decreto correttivo, con la sostituzione dei primi tre periodi non chiede più di conoscere preventivamente il danno esatto, il responsabile e l’elemento psicologico per avviare una legittima attività istruttoria, bensì solo una concreta e specifica notizia di danno, fattispecie che, di fatto, già avveniva presso le Procure della Corte dei conti, le quali ricevono notizie eterogenee di danno da tantissime fonti (esposti dei cittadini, denunce di dipendenti pubblici e amministratori, segnalazione di organi ispettivi e di revisione, notizie di stampa su fenomeni di malamministrazione, ecc…), soltanto che quando non emerge un serio e fondato sospetto di pregiudizio economico le stesse vengono archiviate.

Sono state poi eliminate sia le configurazioni del danno erariale ai soli sensi dell’art. 2043 del c.c. sia la limitazione agli organi di cui all’art. 114 della Costituzione e organismi di diritto pubblico, restituendo alla Corte dei conti la giurisdizione sui giudizi di responsabilità nei confronti di società e di privati che gestiscono o beneficiano di denaro pubblico.

Perlomeno, con questa diversa formulazione, si attenuano (al momento) i danni che la prima stesura aveva perpetrato [4] e non si colpiscono immediatamente con la nullità, attività istruttorie dirette ad accertare l’esistenza di danni erariali dopo una denuncia pervenuta alla Procura (ad esempio di un consigliere di opposizione). Il tutto, secondo una banale regola di buon senso che impone di verificare l’esistenza di un danno prima di avviare una qualsiasi azione di responsabilità amministrativa. Regola vulnerata dal lodo “Bernardo” che imponeva prima dell’apertura di un fascicolo istruttorio l’esistenza di un danno erariale già accertato (da chi non era nemmeno chiaro) con i contorni talmente definiti da presentarsi come una vera e propria sentenza di condanna. A questo punto sorge il sospetto a cosa serviva fare anche il processo? Per condannare qualcuno per danno erariale non era sufficiente la sola notizia di danno nella formula “Bernardo”? [5]

Di certo, la nuova norma anche per com’è scritta lascerà (o meglio lancerà) altri strascichi, perché tutti vorranno dire la loro su cosa significa “concreta e specifica notizia di danno”, specialmente quando il quarto periodo (non sostituito) del lodo “Bernardo” mantiene questo strano ricorso di nullità sugli atti istruttori disposti in violazione del punto 1 della nuova norma.

Si può supporre, con ragionevolezza, che tale definizione limiti solo quegli esposti (spesso in forma anonima) carichi di contumelie contro qualcuno (es. il Sindaco favorisce tizio contro caio, non fa altro che rubare, ecc…), ma non può (non dovrebbe) essere una limitazione per indagini avviate a fronte di esposti, di fatto incompleti, presentati da associazioni ambientali, da cittadini, da consumatori, da membri dell’opposizione ecc… per la semplice ragione che questi organismi non sono formati da inquirenti professionali, senza trascurare la circostanza che quando si chiede l’accesso ai documenti di qualsiasi amministrazione sono frapposti sempre vari ostacoli burocratici che spesso costringono i cittadini a presentare il ricorso al Tar.

Ovviamente, con questo strano ricorso per la nullità delle attività istruttorie, tra l’altro, fatta valere da chiunque vi abbia interesse [6], si può tranquillamente prevedere che gli Uffici inquirenti della Corte dei conti si asterranno dal chiedere documenti e relazioni alle amministrazioni per verificare comportamenti trasgressivi, attendendo, comunque, tempi migliori (ad esempio il riconoscimento di debito fuori bilancio, la condanna dell’ente pubblico al risarcimento dei danni ecc…), rallentando così gli accertamenti tempestivi che, a volte, costringono le amministrazioni a tornare indietro su provvedimenti di dubbia legalità (ad esempio consulenze e/o incarichi assegnati a personale privo di requisiti utili).

Questo ricorso per la nullità degli atti istruttori è una nuova arma per la difesa dei presunti responsabili del danno erariale, in quanto alle prime avvisaglie d’indagini qualcuno (i responsabili dei pregiudizi finanziari certamente) contesterà la “specificità degli indizi” sui quali si fondano le istruttorie, per bloccare sul nascere le indagini attraverso un nuovo contenzioso preliminare che, in ogni caso comporterà nuove spese per i bilanci pubblici, poiché la formula “chiunque vi abbia interesse” non esclude la stessa amministrazione coinvolta, caso mai perché intende avvalersi dell’opera di un consulente nominato in maniera illegittima, ma facente parte di quel mondo clientelare che (tutti riconoscono) affliggere gli enti locali.

Non è chiaro quale sia la natura di questo rimedio giudiziario di dubbia costituzionalità, perché l’azione di nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse prima delle conclusioni istruttorie (che possono portare anche all’archiviazione della notizia) non si sa bene se con ricorso, con atto di citazione o altro, come non si sa se sia necessaria la difesa tecnica e la presenza del P.M. nonché se il ricorso debba essere discusso in camera di consiglio o in udienza pubblica, nonché quali siano i gravami.

A questi problemi se ne aggiungono altri, quali le eventuali incompatibilità dei giudici che si sono pronunciati in questa fase, con l’eventuale successivo di giudizio di responsabilità amministrativa e le conseguenze in caso di mancata pronuncia entro trenta giorni dalla data di presentazione del ricorso.

Non si deve nemmeno trascurare la circostanza che quando si chiede la nullità d’indagini istruttorie avviate dopo un esposto, sarà obbligatorio informare l’esponente (interessato al proseguimento delle indagini) oppure no?

Nell’ipotesi in cui un’istruttoria accerta un potenziale danno che ancora non si è prodotto (ad esempio per la pendenza di un giudizio civile di risarcimento come avviene per il danno da occupazione illegittima), l’eventuale pronuncia di nullità potrà colpire anche nuove istruttorie quando in seguito è perfezionato il danno?

In ogni caso, non è nemmeno chiaro come potrà essere affrontato il regime delle spese legali, dal momento che sempre la norma “Bernardo” vieta al giudice contabile di compensare le spese (art. 30 quinquies), con la conseguenza che, in caso di accoglimento del ricorso per vizi formali dell’indagine (sarà sicuramente la fattispecie ricorrente), l’amministrazione dovrà corrispondere anche le spese per questo ricorso, nonostante l’esistenza di un pregiudizio finanziario dove erano in corso di accertamento le possibili responsabilità.

Bisogna prendere atto che si presenterà nei prossimi mesi (ma anche anni) nelle aule della giustizia contabile una lunga stagione di giurisprudenza confusa e caotica su questioni di “lana caprina” a tutto vantaggio dei malamministratori professionali, perché si bloccano le indagini sui fatti concreti, con il rischio concreto di menomare i bilanci di spese legali superflue e inutili, poiché gli eventuali soggetti coinvolti nell’indagine difficilmente intenderanno sostenere spese legali di tasca propria.

Eppure l’inutilità di questa norma emerge da quanto testualmente disposto dalla legge 14 gennaio 1994 e s.m.i. in materia di invito a dedurre, norma che consente, appunto, di rappresentare le proprie ragioni prima dell’eventuale giudizio e dalla circostanza che il comma 6 lettera c) dell’art. 5 stabilisce il Procuratore regionale può disporre nel corso delle istruttorie audizioni personali [7].

Ebbene, innanzi a questa possibilità le persone interessate alle istruttorie possono chiedere di essere ascoltate personalmente come persone informate sui fatti e rappresentare già in questa sede anche le proprie perplessità in ordine all’esistenza di danni e di responsabilità.

Argomenti che, se disattesi o non valutati dal P.M. andavano a vantaggio del convenuto.

Pertanto, questo nuovo rimedio giudiziario, disinvoltamente introdotto, non solo è contrario ai principi di ragionevolezza e di giusta durata dei processi (di qui le perplessità di ordine costituzionale), ma va a incidere in materia di istruttorie della Procura della Corte dei conti negativamente, perché incide sulla fase preliminare fondata anche sulla collaborazione tra Procura e parti interessate, al fine di pervenire a una corretta istruttoria e a una giusta valutazione dei fatti [8].

Altro rimedio processuale già previsto nell’ordinamento cui si poteva far ricorso, se l’interesse perseguito dal legislatore era di fornire uno strumento preventivo per non incorrere in un’azione di responsabilità amministrativa, era quello del “giudizio ad istanza di parte”.

Il giudizio ad istanza di parte, da presentare tramite ricorso e notificato alle parti interessate (p.m. e amministrazione), è utilizzabile quando esiste, in sede amministrativa, un atto contenente un addebito di responsabilità o corresponsabilità dell’agente pubblico (proveniente, ad esempio, da un giudizio civile, amministrativo, penale), quest’ultimo ha l’interesse ad agire per azionare un accertamento negativo di responsabilità [9]. Pertanto, con questo strumento, caso mai da aggiornare, si può intervenire prima di una possibile citazione in giudizio, in presenza dell’interesse ad escludere la propria responsabilità in presenza di danni erariali.

In questa situazione e, in presenza della possibile fase di contenzioso sulla nullità delle indagini, è auspicabile, almeno, che una circolare interpretativa della norma sia adottata e, a questo proposito, si confida in un’iniziativa del Procuratore generale, che dovrebbe richiamare i principi fin qui stabiliti dalla giurisprudenza in tema di notizia di danno.

La Corte dei conti (sezione II sentenza n. 159 del 28 aprile 2003), ha avuto modo di dire, in tema di omissione delle denuncie di notizie di danno, che non si richiede necessariamente una denuncia del fatto completo nelle sue componenti soggettive ed oggettive, con riferimento cioè all'autore o agli autori e alle effettive dimensioni e qualità del danno, ma è sufficiente che pervenga al P.M. una “notizia damni che lo ponga nelle condizioni di dispiegare i suoi ampi poteri di indagine e, quindi, di accertare se la notizia sia vera o infondata.

La segnalazione di un evento di danno non significa che la Procura della Corte dei conti possa sottoporre l’amministrazione interessata a un’indagine diffusa su tutta la gestione amministrativa (vicenda che anche in passato era rara avvenisse), ma solo che s’indaga su una singola fattispecie (ad esempio la consulenza illegittima affidata a qualcuno e/o l’incarico a persona sprovvista di titoli).

Il P.M. o gli organi ispettivi e/o di polizia delegati accerteranno i soggetti responsabili, le norme violate, il nesso di causalità, la tipologia degli interessi lesi e l'entità del danno. Quando emerge la consapevolezza che il danno erariale possa essere frutto di dolo o colpa grave il P.M. emetterà nei confronti del presunto incolpato l’invito a fornire controdeduzioni (siamo in una fase preliminare, dove non è necessario essere assistiti da un difensore) e solo dopo questa fase, sempre che il P.M. sia convinto dell’esistenza della responsabilità, potrà procedere all’emissione dell’atto di citazione e allo svolgimento di un giudizio completo di tutte le garanzie processuali e di revisione delle decisioni attraverso l’appello [10].

L’odierna fase preliminare al giudizio (senza oneri per l’amministrazione ed anche per i presunti responsabili che possono sia difendersi da soli, sia essere ascoltati personalmente dal P.M.) offre ampie garanzie, ma non è stata ritenuta sufficiente da questo legislatore, il quale ha ritenuto di ingessare ancora di più l’accertamento di fatti dannosi per l’amministrazione a tutto svantaggio dell’efficienza, dell’economicità, del buon andamento e dei tempi del giudizio.

Ovviamente, nel prossimo clima confuso si potrà prevedere non solo un forte rallentamento delle indagini, ma anche una loro rilevante riduzione, perché nel dubbio sarà sempre più semplice archiviare le notizie pervenute che avviare indagini a rischio azione di nullità [11]. Realisticamente si può ipotizzare, nell’ambito del c.d. federalismo in itinere, che questa normativa, appena introdotta, sia il cavallo di Troia per ottenere un brulicare di burocrazie sottratte al diretto controllo dei cittadini, ma conformi alle esigenze di gruppi di potere locali immuni da qualsiasi responsabilità e responsabilizzazione che, di fatto, controlleranno e disporranno delle risorse pubbliche dei cittadini.

Il dubbio sulla necessità e sulla concretezza di questa riforma della responsabilità amministrativa, così scoordinata, sorge anche perché le tenui misure correttive potranno tranquillamente cadere in sede di conversione del decreto legge n. 103 del 3 agosto 2009, ripristinando l’originale versione del lodo “Bernardo”.

Un legislatore attento avrebbe operato molto diversamente, perché non solo non inseriva una norma processuale del genere in un provvedimento di natura finanziaria come quello di cui trattasi, ma avrebbe compiuto gli eventuali miglioramenti del processo contabile in maniera più razionale e pacata, nell’ambito di una seria proposta di riforma della responsabilità amministrativa e del suo processo, caso mai prevedendo, in alcuni casi; una specie di giudizio preliminare per procedere alle archiviazioni e/o al proseguimento delle indagini. Di certo, predisporre provvedimenti slegati, contraddittori, probabilmente mirati a risolvere il problema personale di qualche amministratore, non è solamente cattiva legislazione, ma anche assenza di rispetto per il sacrificio dei cittadini che versano le tasse, i quali non sono per nulla garantiti sulla loro corretta utilizzazione, perché spogliati di un sufficiente strumento di sanzione capace di effettuare un risultato dissuasivo.

Sfortunatamente (per la legalità) il nostro “legislatore correttivo” [12] ha ritenuto di mantenere e fissare, nell’occasione, anche forti e significativi limiti alle azioni di responsabilità per il danno all’immagine pubblica [13].

Infatti, questo sarà perseguibile innanzi al giudice contabile soltanto nei termini e nei modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n.97 (norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), con la conseguenza che saranno perseguibili per danno all’immagine solo i responsabili dei reati di cui agli artt. 314-335 bis (peculato, concussione, corruzione, abuso d’ufficio, rivelazione segreti d’ufficio, rifiuto di atti d’ufficio e altre fattispecie minimali).

Interpretando strettamente la norma (non credo sia possibile operare in modo diverso) [14], rimarranno fuori dall’indagine della Corte dei conti tutta una serie di fattispecie molto più gravi di malamministrazione conclamata che non raggiungono la soglia di punibilità penale, oltre la circostanza che, in caso d’intervenuta prescrizione dei reati, nessuna condanna per lesione all’immagine potrà più intervenire.

La prima osservazione ricade proprio su quanto disposto pochi mesi prima con la legge 4 marzo 2009, n. 15 contenente la delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e all’efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti.

Ebbene, l’art. 7 (Princìpi e criteri in materia di sanzioni disciplinari) stabiliva alla lettera e) per contrastare i fenomeni di assenteismo nel pubblico impiego «di prevedere, a carico del dipendente responsabile, l’obbligo del risarcimento del danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché del danno all’immagine subìto dall’amministrazione».

A questo punto, qualcuno dovrebbe spiegare al Ministro Brunetta che questa norma, di fatto, è stata abrogata, perché se l’assenteismo non si accompagna a qualche reato contro la p.a. la lesione all’immagine pubblica non potrà essere in alcun modo perseguita, salvo credere alla banale ipotesi che l’amministrazione (diversa dallo Stato), dopo aver conferito l’incarico a un avvocato del libero foro, persegua la lesione all’immagine innanzi al g.o. casomai chiedendo 10.000,00 euro di danno al presunto responsabile e spendendone 30.000,00 per competenze professionali!

Purtroppo, questa è la perversa tecnica legislativa cui il Paese va incontro, dove una norma come quella della legislazione “Brunetta” utile a moralizzare fenomeni negativi come l’assenteismo nell’amministrazione, nel giro di pochi mesi viene del tutto depotenziata e annullata.

Per riportare un esempio concreto è sufficiente andare a leggere la sentenza della Corte dei conti, sezione Veneto, sentenza del 20 maggio 2005 n. 866 [15], dove si affermava che sussiste (d’ora in poi non più) la lesione dell'immagine dell'amministrazione regionale, conseguente alla condotta del dipendente assenteista, atteso il risalto dato agli episodi di assenteismo ed alla conseguente vicenda penale da parte degli organi di informazione; tenuto, altresì, conto della condotta del dipendente regionale, che non ha osservato l'orario di servizio, alterando i cartellini marcatempo era stato condannato per truffa ai danni della Regione, con violazione in modo diretto ed immediato dell'art. 97 della Costituzione che sancisce il dovere di buon andamento dell'amministrazione pubblica.

Da questa vicenda, non tanto rara nelle amministrazioni, emerge che l’allontanamento ingiustificato del dipendente dal posto di lavoro, comporta un pregiudizio soprattutto in ragione del discredito che colpisce l’ente pubblico a seguito della diffusione di notizie sulla vicenda con la pubblicazione di articoli nei media riguardanti il caso.

Non vi è dubbio che quando una storia di assenteismo conclamato colpisce un’amministrazione pubblica e, poi, è ripreso sulla stampa e sui media, si produce una lesione all’immagine pubblica, se non altro per il senso di disapprovazione dei cittadini propensi a ritenere i dipendenti pubblici come minimo svogliati e inefficienti [16] e privi di una concreta azione di controllo da parte dei dirigenti.

L’aver scelto, per via legislativa, di soprassedere a questo tipo di vicende (ma anche di altre) non è solo il frutto di una legislazione raffazzonata e sconclusionata, ma è la dimostrazione di una deriva normativa che disorienta sia gli addetti ai lavori (magistrati, avvocati, operatori professionali della p.a.), sia i cittadini che non comprendono i motivi d’interventi legislativi contraddittori con le proposte di miglioramento dell’amministrazione dichiarati spesso e volentieri.

Sempre il Ministro Brunetta, nella Relazione al Parlamento sullo stato della pubblica amministrazione del 2007 [17], afferma che il fenomeno dell’assenteismo è una piaga che intacca la p.a. peggiorando la qualità dei servizi resi, riducendo la produttività, aumentando i costi e intaccando “l’immagine” dell’amministrazione e di tutti coloro che contribuiscono a fare buona amministrazione.

Orbene, innanzi a questi intendimenti lo stesso Governo che vuole combattere le furberie di qualche dipendente contro la propria amministrazione, immediatamente dopo toglie un deterrente come il danno all’immagine [18], essendo impensabile come sopra affermato (anche se, visto il clima legislativo, al peggio non vi è mai fine), che una qualsiasi amministrazione, dopo avere recuperato qualche migliaio di euro per prestazioni lavorative non rese, possa incaricare un avvocato esterno per intentare una azione per danno all’immagine innanzi alla giurisdizione civile, sopportandone le spese.

La considerazione che il legislatore tratti l’amministrazione come la “figlia di un Dio minore”, perché quando deteriorata nella sua immagine, non deve essere tutelata, è fondata, perché non si vede l’utilità pratica di una siffatta norma innanzi a una giurisprudenza che sull’argomento si è, comunque, rivelata prudente e in linea con gli insegnamenti della Corte di cassazione [19].

Vi è da dire che mentre il legislatore non si preoccupa più di tanto del risarcimento dell’immagine pubblica della p.a., nulla ha avuto dire (in questo caso giustamente) sulla lesione all’immagine del dipendente prodotta, invece, da comportamenti illegittimi e ingiusti dell’amministrazione; infatti, il giudice amministrativo [20] ha condannato l’amministrazione che con i propri comportamenti ha leso la dignità e la qualità lavorativa e professionale del proprio dipendente, perché sono valori essenziali della persona (anche quando dipendente pubblico) l'onore, la reputazione e la propria immagine.

Poiché vicende di questo tipo integrano una fattispecie di danno indiretto, si suppone che, una volta corrisposto il risarcimento per il danno all’immagine subito dal dipendente, si possano perseguire i responsabili di questo per il pregiudizio, salva l’eccezione (fondata sulla norma introdotta) che, comunque, non trattandosi di fattispecie legata a reati contro la p.a. non è più perseguibile innanzi alla Corte dei conti, nemmeno indirettamente.

Un’altra chicca legislativa di questa manovra estiva è data poi dall’art. 30-quinquies che stabilisce «All'articolo 10-bis, comma 10, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, dopo le parole: «procedura civile,» sono inserite le seguenti: «non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e».))», norma che proibisce al solo giudice contabile il divieto di compensare le spese legali.

Non si comprende quale sia l’interesse del legislatore (se attento e oculato nel controllo dei conti pubblici) di redigere una siffatta norma che altera il principio costituzionale di ragionevolezza, non solo perché addebita ulteriori costi all’amministrazione danneggiata (le spese legali) in caso di assoluzioni che non affermano nel merito l’esistenza di ottimi, efficienti e parsimoniosi comportamenti amministrativi, immuni da qualsiasi critica; infatti, grazie a questa norma, nonostante la presenza di vicende tutt’altro che buone, così come avviene in caso di assoluzione per intervenuta prescrizione di danni conseguenti a reati contro la p.a., si dovrà procedere anche al rimborso delle spese legali per legge, aggiungendo al danno anche la beffa!

Questa norma è un caso scolastico con il quale il legislatore intende modificare (o meglio eliminare) la giurisprudenza delle Sezioni unite della Cassazione [21] che ha riconosciuto, come a tutti gli altri giudici, il potere di compensare le spese di giudizio, purché la decisione sia congruamente motivata [22].

La Cassazione [23] ha affermato che in tema di spese processuali è assolutamente pacifico che sussiste la violazione del principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c. denunciabile in sede di legittimità sotto il profilo di all’art. 360 , n. 3 c.p.c. solo nelle ipotesi le spese di causa siano state poste, da parte del giudice di merito totalmente (o eventualmente, anche parzialmente) a carico della parte che risulti totalmente vittoriosa.

Ebbene, la Corte dei conti ha proceduto alla compensazione delle spese legali nei giudizi di responsabilità amministrativa non quanto l’incolpato è stato pienamente assolto dagli addebiti (assenza di danno, assenza di colpa, non avere avuto nessuna responsabilità nella condotta dannosa, ecc…), perché la parte convenuta in questo caso è totalmente vittoriosa, ma solo quando si è giudicato di una condotta del convenuto al limite della colpa grave [24].

La giurisprudenza della Corte dei conti ha fatto un uso ragionevole del potere di compensazione delle spese, nella stessa misura delle altre giurisdizioni (civile e, a maggior ragione quella amministrativa), per cui imporre un divieto per legge con un intervento così pregnante per una sola giurisdizione, tra l’altro per giudizi a iniziativa officiosa [25], appare punitivo nei confronti di quei giudici che hanno operato con una giurisprudenza simile a quella delle giurisdizioni consorelle.

Inoltre, non si dovrebbe trascurare la circostanza che si tratta pur sempre di erogazioni ricadenti sulla finanza pubblica e come insegna la Cassazione [26], il rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente nel corso di un procedimento civile, penale e amministrativo, spetta quando è esclusa la loro responsabilità e, per i dipendenti dello Stato, nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato.

Siffatta decisione legislativa appare irragionevole, perché non è comprensibile la ragione di questa riforma, se non dal punto di vista di risolvere qualche problema di natura personale o di avvisare gli Uffici della Procura della Corte dei conti che in caso di assoluzione (non solo piena, ma anche dubbia) espongono l’amministrazione al rimborso totale delle spese legali [27].

Questa riforma in atto della giurisdizione di responsabilità amministrativa, ancora sotto la spada di Damocle della conversione del decreto legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), con la possibilità di rilanciare la prima stesura del lodo Bernardo non solo compromette l’efficienza del processo di responsabilità amministrativa ormai avviato al rischio di trasformazione in un inutile rito barocco, colpirà i tentativi seri di contenimento della spesa pubblica, avviati in esplicita adesione al canone costituzionale di buon andamento, per l’assenza di idonee misure sanzionatorie e dissuasive.

Se il legislatore di urgenza riteneva inadatta al Corte dei conti a svolgere questa funzione poteva tranquillamente trasferire i compiti da essa svolti alla giurisdizione ordinaria o a quella amministrativa (quest’ultima da munire di un ufficio del P.M.), ma non è ricorso a tanto e ha preferito scegliere la strada della riduzione di operatività della funzione ai minimi termini, con tutti i rischi che ne conseguono, perché quando gli operatori della malamministrazione si renderanno conto del “regalo” ricevuto, non avranno alcuna remora a fare con le risorse pubbliche il buono e il cattivo tempo.

Si spera in qualche tentativo lungimirante in sede di conversione del decreto e nella prossima faticosissima opera della giurisprudenza oltre che della Corte anche delle Sezioni unite e della Corte costituzionale che, molto probabilmente, sarà investita delle questioni di legittimità che pone questa riforma.

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Documenti correlati:

Legge 3 agosto 2009, n. 102 alla pag. web http://www.lexitalia.it/leggi/2009-102.htm

Decreto-Legge 3 agosto 2009, n. 103, alla pag. web http://www.lexitalia.it/leggi/2009-103.htm

Corte di Cassazione, sezioni unite civili - ordinanza 3 luglio 2009 n. 15599, alla pag. web http://www.lexitalia.it/p/92/cassu_2009-07-03o.htm, la quale ha affermato che sussiste la giurisdizione della Corte dei conti sull'azione di responsabilità amministrativa relativa al danno erariale nel caso di un rapporto di servizio esistente tra una società privata e un Ente pubblico;

Corte dei conti, sezione giurisdizionale Regione Liguria - sentenza 23 maggio 2006 n. 392, alla pag. web http://www.lexitalia.it/p/61/ccontiliguria_2006-05-23.htm, con gli approfondimenti sul danno all’immagine pubblica.

Note:

[2] È difficile pensare e trovare un altro procedimento giudiziario (penale, civile, amministrativo, tributario) che possa avere, ma anche sopportare, una limitazione così forte da renderlo del tutto inutile, favorendo così la barbarie giuridica. Si immagini un giudizio penale, dove in assenza di specifica e concreta notizia di reato, anche in ordine all’elemento psicologico dell’autore e alla previa valutazione dei danni patiti dalla vittima, le eventuali indagini sono nulle di diritto! Quale sarebbe la risposta dei cittadini a tali norme se non il legittimo ricorso alla giustizia fai da te! Inoltre, non si comprende il motivo per cui il legislatore voleva penalizzare una propria Istituzione, prevista in Costituzione, ritenendola solo un fastidio di cui disfarsi, nonostante la presenza di veri e propri disastri finanziari nelle amministrazioni (specialmente al sud) per l’incapacità delle classi dirigenti di utilizzare correttamente e con rispetto il denaro dei cittadini. Sulle prossime iniziative legislative di matrice penale e dirette a modificare la legislazione sulle intercettazioni telefoniche e sulla possibilità compromessa di perseguire reati gravissimi sono utili e interessanti le considerazioni di Bruno TINTI alla pag. web http://togherotte.ilcannocchiale.it/.

[3] Per fare un esempio concreto, la responsabilità dei contabili e di coloro che maneggiano beni e valori dell’amministrazione è una tipica responsabilità contrattuale di restituzione. Grazie a questa (per ora soppressa) intuizione del lodo “Bernardo”, nel caso in cui un ricevitore del lotto avesse deciso di non riversare le somme incassate, al P.M. contabile l’unica cosa da fare restava il solo giudizio per resa di conto, certamente molto più lento di quello di responsabilità amministrativa (avente ben altri effetti dissuasivi, rafforzati anche dalle misure cautelari, come il sequestro). Quali sarebbero poi gli scenari se tutti i ricevitori del lotto, nell’ambito di una rivendicazione contrattuale con i Monopoli, decidessero di non riversare i proventi del lotto (e giochi affini, oltre i bolli e le tasse automobilistiche)? Sarebbe sufficiente la sola misura della chiusura del collegamento informatico e la denuncia all’Autorità giudiziaria penale per peculato, con i lunghi tempi che seguono? Chi ha scritto la norma ovviamente queste cose non le conosce e non si rende nemmeno conto dei danni che poteva fare alle entrate pubbliche con questa pessima norma!

[4] Non è necessario che sia mantenuta la giurisdizione di responsabilità della Corte dei conti (questo è, perlomeno, il senso di una siffatta riforma), ma è necessario prevedere che altro organo giurisdizionale e altro organo pubblico indipendente procedano giudiziariamente nei confronti di spreca le risorse pubbliche in violazione della legge e della regola del buon andamento. Chiudere una giurisdizione e lasciare tutto all’impunità non conviene proprio a nessuno, compreso l’attuale Governo, che poi dovrà trovare le risorse necessarie per ripianare i tanti disastri amministrativi in giro per l’Italia (es. rifiuti a Napoli, sanità dissestata e fallita nel centro sud, opere pubbliche mai costruite, ecc…)

[5] Cfr. commento su Italia Oggi del 7 agosto 2009 di Antonio Ciccia, il quale rileva che non solo con queste norme il P.M. contabile avrà vita dura, il quale con la prima formula “Bernardo” non avrebbe più potuto fare istruttorie. Questa formulazione sarebbe stata dannosa anche per la classe forense, la quale dopo un primo periodo di ricorsi per nullità delle istruttorie non avrebbe avuto più modo di lavorare per il danno pubblico, essendo abolita, di fatto, la giurisdizione di responsabilità (n.d.r.).

[6] Probabilmente dai presunti responsabili fino ai politici che sostengono una maggioranza negli enti locali, senza escludere la stessa amministrazione interessata a non avere azioni di controllo sul proprio comportamento.

[7] Non vi è dubbio che colui che ha proposto l’emendamento fosse a “digiuno” di questa materia, probabilmente un buon avvocato amministrativista gli avrebbe potuto spiegare come stavano veramente le cose.

[8] Qualora un P.M. avesse ingiustificatamente rifiutato la richiesta di audizione personale, non avrebbe certamente eseguito una completa istruttoria, vicenda questa che, fatta valere nel corso del giudizio, sarebbe stata valutata in favore del convenuto e non dell’attore pubblico. Senza dimenticare che l’omessa audizione dopo la formale richiesta dell’invitato a fornire deduzioni rende la citazione inammissibile (art. 1 D.L. 543 del 1996, convertito in legge 20.12.1996, n. 639).

[9] F. Garri, I giudizi innanzi alla Corte dei conti, Milano 2000, pag. 468 e la giurisprudenza ivi indicata (Corte dei conti, I sezione centrale, 14.2.1994, n. 36).

[10] Si deve aggiungere che la legislazione pone a favore dei responsabili dei danni erariali i seguenti benefici: uso del potere di riduzione dell’addebito; limitazione della trasmissibilità agli eredi ai soli casi d’illecito arricchimento del dante causa e conseguente indebito arricchimento degli eredi; limitazione del propagarsi della solidarietà alle sole ipotesi di dolo o illecito arricchimento, termine di prescrizione di cinque anni dal verificarsi del fatto dannoso e, da ultimo, anche il condono in appello delle sentenze di condanna emesse in primo grado.

[11][11] Non bisogna dimenticare che nella prima stesura del lodo erano presenti anche norme sul procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati della Corte dei conti molto intimidatorie che avrebbero avuto un peso proprio contestare errori formali d’indagine. Questa norma è stata fermata dal Presidente della Repubblica, ma potrebbe sempre rientrare in gioco in sede di conversione in legge del decreto correttivo.

[12] Termine al quale si ricorre per descrivere il fenomeno di norme che correggono altre norme contestualmente alla loro approvazione. Questa tecnica legislativa esprime un concetto di attività legislativa “molto coerente” con la regola della semplificazione normativa che, a parole, si dice di perseguire. Inoltre, desta perplessità la contraddizione evidente tra quanto disposto con questa manovra finanziaria sulla Corte dei conti e la “pretesa” di voler rendere trasparente, efficiente e moderna la pubblica amministrazione, migliorando la qualità dei servizi a cittadini e imprese, così come emerge dal DPEF 2010 – 2013 (cfr. pag. 56) consultabile alla pag. web http://www.mef.gov.it/documenti/open.asp?idd=21784 del Ministero dell’economia e delle Finanze. Ovviamente, la riduzione ai minimi termini dell’azione di responsabilità amministrativa e dell’effetto dissuasivo che l’accompagna aiuta il raggiungimento di questi obiettivi! Eppure, il pensiero di Cicerone rammentava che il governo dello Stato deve esercitarsi a vantaggio non dei governanti, ma dei governati, per cui considerare lo Stato come una fonte di lucro, non solo è disonesto, ma anche delittuoso e sacrilego.

[13] Cfr. i commenti critici delle norme appena introdotte su http://www.unsognoitaliano.it/, a cura di Salvatore SFRECOLA, dove si riportano i seguenti titoli: Di fatto abolita per legge la tutela dell'immagine dello Stato! e L'Italia rinuncia all'immagine ed al prestigio. Dal commento di Senator emerge che il solo modo possibile per tutelare l’immagine pubblica è «quello di sanzionare con un sonoro e significativo risarcimento in denaro contante, quando a tradire il giuramento di fedeltà siano amministratori e dipendenti dimentichi di essere al servizio esclusivo della Nazione. Tenuti a risarcire non solo quando la loro condotta si tinge dell'illecito penale (corruzione o concussione, ad esempio) ma anche quando assuma le connotazioni di un illecito di diversa natura eppure tale da menomare il prestigio del pubblico agli occhi del cittadino contribuente».

[14] Si potrebbe obiettare che le norme “Brunetta” sull’assenteismo abbiano natura speciale e, quindi, non siano intaccate da questa nuova formulazione. Tali obiezioni non sono convincenti perché la protezione per le fattispecie sanzionatorie (ad es. il ricorso all’indebitamento per spese diverse da quelle di investimento), sono presenti nel primo periodo della norma, mentre, nel secondo periodo, è testualmente imposto giudice contabile il perseguimento del danno all’immagine soltanto nei termini e nei modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n.97, impendendo così qualsiasi diversa interpretazione. Occorre dire che bisognerà attendere qualche anno per avere poi un riscontro da parte della giurisprudenza (compresa quella della Cassazione a Sezioni unite) che, grazie, a questa riforma, dovrà rivedere anni e anni di decisioni consolidate.

[16] Tra queste vicende si ricorda il caso del magistrato velista durante il periodo di malattia (cfr. pag. web http://www.corriere.it/cronache/08_gennaio_14/giudice_regata_b3f3ddca-c27d-11dc-ab8f-0003ba99c667.shtml), nonché il caso del medico, sempre in malattia, che frequentava trasmissioni a quiz sulle reti nazionali (cfr. pag. web http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=262245). Tutte queste vicende potranno solo comportare un’azione di responsabilità diretta a recuperare solo le prestazioni stipendiali erogate illegittimamente, ma non alla lesione all’immagine pubblica, pur presente sui media, come i lettori possono tranquillamente verificare. Si segnala anche l’articolo del Corriere.it, dove si riporta che il record di assenteismo spetta alle dipendenti degli enti pubblici (cfr. pag. web http://www.corriere.it/economia/07_dicembre_01/scandalo_bonus_presenza_95180af2-9fe1-11dc-8bf1-0003ba99c53b.shtml). A questo si deve aggiungere che il Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione propone (correttamente) l’operazione trasparenza, la quale comporta anche la rilevazione mensile del tasso di assenza del personale pubblico (cfr. pag. web http://www.innovazionepa.gov.it/).

[17] Pag. web http://www.innovazionepa.gov.it/ministro/pdf/RelazioneAnnuale_2007_VolumePrimo.pdf. In particolare, vedi le considerazioni riprese dal Governo a pag. 24 sull’assenteismo nel pubblico impiego.

[18] Eppure la Corte dei conti nel sanzionare queste vicende si era mostrata rispettosa dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, non avendo certamente corrisposto sanzioni pecuniarie esagerate per fenomeni di questo tipo, cosi come emerge dall’entità della condanna di cui alla sentenza della sezione Veneto del 20 maggio 2005 n. 866.

[19] Cfr. Corte dei conti, Sezioni riunite - sentenza 23 aprile 2003 n. 10/SR/QM alla pag. http://www.lexitalia.it/private/corte/ccontiriun_2003-10.htm, nonché tutta la giurisprudenza successiva sull’argomento.

[20] Cfr. sull’argomento Tar Piemonte, sezione I - sentenza del 15 giugno 2007 n. 2623, alla pag. web http://www.lexitalia.it/p/71/tarpiemonte1_2007-06-15.htm.

[21] Cfr. sentenza della Cassazione Sezioni unite, n. 17014 del 12 novembre 2003 (pag. web http://www.amcorteconti.it/giurisp/cass_17014_03.htm), la quale aveva affermato che l’avvenuta dichiarazione di compensazione delle spese del processo innanzi alla Corte dei conti non è decisione esorbitante dalla giurisdizione, perché la pronuncia sulle spese, da parte del giudice contabile, non è espressione di giurisdizione in materia attribuita ad altro giudice, ordinario o speciale che sia. In questa fattispecie (da segnalare come un piccolo manuale sul rimborso delle spese legali ai dipendenti pubblici) il ricorrente lamentava che la Corte dei conti, dopo averlo assolto (non per motivi di merito) aveva disposto in suo danno la compensazione delle spese legali.

[22] Tra le tante sentenze cfr. Consiglio di Stato, sezione V - sentenza 20 maggio 2008 n. 2373, alla pag. web http://www.lexitalia.it/p/81/cds5_2008-05-20.htm, dove si afferma che la motivazione dell'esercizio del potere di compensazione, “per giusti motivi”, delle spese processuali, deve essere tale che le ragioni della statuizione compensatoria debbano essere comunque desumibili dal contesto della decisione. Ancora la Cassazione Sez. I n. 1887/98, e Cassazione Civ. Sez. I, sentenza 5 maggio 1999, n. 4455 in CED Cass. Rv. 526006, secondo cui: “Il potere di compensazione delle spese processuali può ritenersi legittimamente esercitato da parte del giudice in quanto risulti affermata e giustificata, in sentenza, la sussistenza dei presupposti cui esso è subordinato, sicché, come il mancato esercizio di tale potere non richiede alcuna motivazione, così il suo esercizio, per non risolversi in mero arbitrio, deve essere necessariamente motivato, nel senso che le ragioni in base alle quali il giudice abbia accertato e valutato la sussistenza dei presupposti di legge devono emergere…”.

[23] Cfr. Cassazione civile, sezione terza, n. 2397 del 31 gennaio 2008.

[24] Cfr. Corte dei conti, I sezione centrale di appello, n. 203 del 17 luglio 2007.

[25] Cfr. Michele ORICCHIO, Il regolamento delle spese nei processi ad iniziativa officiosa, pag. web http://www.lexitalia.it/private/articoli/oricchio_spese.htm.

[26] Cfr. Cassazione sezione I civile, n. 2 del 3 gennaio 2008.

[27] Anche in questo caso, sarà più semplice archiviare le notizie di danno (anche se certo e conclamato), piuttosto che rischiare un atto di citazione che non ha la possibilità al cento per cento di ottenere una condanna.


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