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Articoli e note

 

Sandro Pelillo
(Professore associato di diritto amministrativo)

Reiterazione di vincoli urbanistici preordinati ad espropriazione per pubblica utilità  e tutela giurisdizionale. Notazioni a margine della sentenza della Corte Costituzionale 20 maggio 1999 n. 179.

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1. Il confronto tra potere di pianificazione a fini urbanistici e salvaguardia dei principi garantistici del diritto di proprietà torna all’esame della Corte Costituzionale.

In successione progressiva, in oltre trent’anni, dalla sentenza n. 6 del 1966, al Giudice delle Leggi è stato demandato [1] l’accertamento del bilanciamento tra gli interessi generali, che si concretano in opere di pubblico interesse precipuamente concorrenti al soddisfacimento di adeguati livelli di qualità della vita e che, secondo un modello di articolazione originaria [2] , risultano preceduti dalla individuazione (rectius: localizzazione) nel contesto delle scelte urbanistiche e gli interessi individuali che si incentrano nella limitazione, conseguente, dei diritti dominicali sulle aree che la subiscono.

Viene sottoposta, in sostanza, al sindacato di legittimità costituzionale l’ampiezza della discrezionalità, di cui si permea, caratterizzandolo, il potere amministrativo che si esercita attraverso gli strumenti urbanistici, a mezzo dei quali la generalità dei Comuni è tenuta a razionalizzare l’uso del territorio, nella parte in cui si esplicita con vincoli previsionali, preordinati ad espropriazione per p.u., conseguentemente abilitanti la acquisizione delle aree da trasformare.

Nella misura in cui, invero, permane una scansione (necessaria), sul piano temporale e procedimentale, tra previsione insediativa e fase dell’attuazione, conservandosi, come principio base, al Piano Regolatore Generale il ruolo – ai fini della preregolazione della ubicazione e dei relativi parametri di riferimento – prodromico anche per la realizzazione di opere pubbliche e/o di pubblico interesse, non può disconoscersi la circolarità degli effetti conformativi, a ragione dei quali si impone, per detti interventi, al pari di qualsiasi attività di trasformazione dei suoli, la preventiva disponibilità urbanistica.

Se, dunque, fin quando non si perverrà a nuovi modelli legali [3] di pianificazione, affrancati dalla analitica scomposizione del territorio in zonizzazione e localizzazione, che, come è noto, risale alla prima legge organica, tipicamente di procedura, risulta ineludibile dover constatare il ripetersi delle problematiche, inerenti e connesse la definizione, a livello di “indicazione”, degli spazi riservati ad iniziative pubbliche che, come si è già detto, beneficiano degli istituti espropriativi.

Salva, in realtà, l’ampiezza e portata di quella che criticamente viene individuata come “urbanistica statale” [4] che, attraverso la peculiarità della relativa procedimentalizzazione (art 81 d.P.R. 616/’77), o per il tramite degli accordi di programma o degli ulteriori modelli in forza dei quali si apre al privato l'accesso a strumenti di gestione del territorio, riservati alla mano pubblica, si caratterizza per la prescindibilità della preventiva cristallizzazione in uno strumento generale di pianificazione, deve potersi convenire che il criterio appena accennato soffre deroghe laddove trovi applicazione il disposto di cui all’art 1, comma 5°, l. 1/1978, in quanto l’approvazione, com’è noto, di progetto di opera pubblica, da realizzare su area non destinata a pubblici servizi costituisce variante al P.R.G., sottoposta alla approvazione secondo le regole dei piani per la edilizia residenziale pubblica. Entrambe, però, costituiscono eccezioni che confermano un rapporto discendente tra scelte, affidate alla pianificazione, e la relativa attuabilità, che impone che sia sempre assistita dalla conformità urbanistica che deve precederle e permanere.

Anche se la programmazione in tema di opere pubbliche, affermata nell’ordinamento positivo [5] , può offrire spunti di riflessione, al pari di adeguata valorizzazione e razionalizzazione dei Piani Pluriennali di attuazione, si impone all’interprete ed all’operatore l’esigenza di armonizzazione della articolazione, anche sul piano temporale, del passaggio tra estrinsecazione di scelta, che riposando nella più intima sfera della discrezionalità, viene usualmente in evidenza in ambito di adozione dello strumento urbanistico, e la relativa concretizzazione, che non è di poco momento, con i principi costituzionali a presidio del diritto di proprietà.

In tale contesto, va a collocarsi la permissività della introduzione, a livello previsionale, negli strumenti generali urbanistici, di indicazioni che, per la identificazione dei soggetti attuatori [6] e sotto il profilo oggettivo, abilitano al trasferimento coattivo degli immobili interessati e, quindi,  alla sottoposizione al regime indennitario, giusta il principio affermato nel comma terzo dell’art 42 Cost, nel momento in cui si pervenga alla effettiva utilizzazione di beni che non appartengano all’espropriante.

L’introduzione simultanea negli atti di pianificazione di una pluralità, ancorché diversificata (pari alla molteplicità e varietà dei bisogni del corpo sociale), di previsioni vincolistiche, se soddisfa ex se esigenze programmatiche e di relazione con insediamenti civili, industriali, turistici, direzionali, etcc., produce conseguenze in ordine al tempo della realizzazione con riferimento alla capacità di conservazione, legittimante, della disponibilità urbanistica che presiede e preesiste a detto momento.

Viene, in sostanza, in evidenza il confronto tra esercizio dei poteri di pianificazione, a fini urbanistici, che, attraverso gli strumenti di pianificazione, non può non implicare valutazioni spazio-temporali nella razionalizzazione delle risorse e vocazioni insediative che, ancorché abbiano, come punto di convergenza, precipuamente esigenza degli amministrati, impongono la riserva di disponibilità delle aree stimate necessarie (ma non sempre), attraverso il vincolo previsionale, che ha, come primo e quasi permanente risultato, la sottrazione alla libertà d’iniziativa ed al godimento che si traduce, secondo logica di mercato, nella attività di trasformazione a scopo insediativo secondo esaltazione di quello che appare l’unico risultato conseguibile, l’edificazione, sul presupposto della riconosciuta inerenza del relativo jus al diritto di proprietà, come se, comunque ed ovunque [7] , possa risultare possibile virtualizzare il rapporto tra il vantaggio che i centri di imputazione giuridica pubblica conseguono con la introduzione del vincolo e lo svantaggio che subiscono i proprietari, non tanto perché esiste (e resiste, pur sempre) un tempo che la Corte Costituzionale definisce di “franchigia” [8] , quanto soprattutto, all’indomani della scadenza quinquennale (o quindicinale o di ventitré anni ed oltre [9] ), della indicazione vincolistica in P.R.G..

E’, invero, tema di grande spessore, per la circolarità che lo contraddistingue nel rapporto Amministrazione/amministrato e quindi interessi pubblici/interessi individuali.

Vengono a confronto situazioni giuridiche che inevitabilmente impongono limitazioni alla proprietà privata, nel difficile compromesso della razionalizzazione distributiva delle risorse insediative pubbliche e private o che comunque, quanto alle prime, si caratterizzano per il tendenziale obiettivo di soddisfare esigenze di pubblico interesse che si rapportino ad un equilibrio parametrato a ciò che viene stimato, in un determinato contesto storico (di qui la rilevanza anche degli effetti di vincoli urbanistici e della loro reiterabilità o reiterazione), come misura di ottimizzazione.

Rilevanza del fattore “tempo”, dunque, conduce prioritariamente verso i principi affermati nel comma secondo dell’art 42 e, quindi, sul piano effettuale e di conseguenzialità, nel successivo terzo.

L’affermazione della garanzia costituzionale del diritto di proprietà deve potersi realizzare anche in subiecta materia se risulta, come ha sottolineato il Giudice delle Leggi, appartenere al relativo statuto l’insorgenza di una obbligazione pecuniaria che, in proporzionale e speculare misura a quel che provoca la reintroduzione di un vincolo urbanistico, preordinato ad espropriazione (eventuale e comunque futura), è a sua volta limitazione dell’esercizio del potere amministrativo che lo introduce.

2. La più recente sentenza della Corte Costituzionale n. 179/’99 [10] costituisce indubbia testimonianza della rilevanza e dimensione del problema, con risultato a formazione progressiva che, in coerenza ad un principio cardine del nostro ordinamento può sintetizzarsi: il jus aedificandi inerisce naturalmente al diritto di proprietà né quest’ultimo soggiace ad una indisturbata primazia del potere pubblico che possa disporne, senza adeguate contromisure, cui fa da corollario esplicativo: voler superare la soglia di tolleranza, sotto un profilo squisitamente temporale (stimato, come si è accennato e si tornerà a considerare, in cinque anni, salvo proroghe ex lege assistite da margine di ragionevolezza, cui si sommano gli anni assegnati per l’attuazione di piani attuativi mediante formale manifestazione di volontà di rinnovazione dei vincoli, preordinati a futura espropriazione, in appositi atti di pianificazione, siano essi di livello generale o parziale (variante), significa qualificarli a titolo oneroso che è il punto di arrivo e di non ritorno, come limite costituzionale all’esercizio di poteri amministrativi.

Ripercorrere, per una adeguata analisi ricostruttiva dei principi affermati dalla Corte Costituzionale, alla quale ha prestato attenzione, e con rara solerzia, il legislatore in una sola occasione e, precisamente, com’è noto, con la 1187/1968 [11] , significa prendere le mosse, secondo univoco riscontro in dottrina e giurisprudenza, dalla sentenza 20 giugno 1966 n. 6 [12] .

Non sembra azzardato, però, poter individuare, ancorché in un contesto generalizzato, precedente l’ingresso dell’urbanistica nella giurisprudenza costituzionale, in punto ai limiti della proprietà privata, riconoscendosi nella sentenza 7/10 maggio 1963 n. 64 che la legge urbanistica li contiene e sono da ricondurre “tra quelli previsti dall’art. 42, comma 2°, Cost., non potendosi dubitare di ciò che richiede la relativa funzione sociale” [13] .

Detta affermazione appare, invero, poter essere posta in correlazione ai principi garantistici del diritto di proprietà, sostenuti dalla pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma secondo, della l. 20 dicembre 1932 n. 1849, sulle servitù militari, non tanto perché questa era risultata in contrasto con  il comma terzo dell’art. 42 Cost., in assenza di previsione di “indennizzo per limitazioni della proprietà privata di natura espropriativa”, che ha influito su quelle correnti di pensiero che hanno fatto riferimento esclusivamente ai canoni costituzionali consacrati in detto comma, quanto sulla ampia apertura  di sostenibilità argomentativa che, in sintesi, rifiutando distinguo esegetico-interpretativi tra limiti (o limitazioni) e servitù [14] ,conduce al risultato della imprescindibilità di un bilanciamento, mediante obbligazione pecuniaria a carico del soggetto pubblico, a compensazione del sacrificio dell’imposizione sulla proprietà privata, così, come sarà, nelle successive pronunce, ulteriormente perfezionato e puntualizzato, allorché si pervenga alla rinnovazione di un vincolo urbanistico preordinato ad espropriazione.

Dall’esame coordinato dei principi contenuti nelle disposizioni di cui ai commi secondo e terzo, secondo la Corte, si perviene alla constatazione che è prioritaria la conservazione della garanzia accordata dalla Costituzione al diritto di proprietà e risulterebbe violata le tante volte che detto diritto venga soppresso, negato o compresso senza indennizzo [15] : ma, si precisa, singoli diritti e non anche beni in generale o di intere categorie di beni, introducendosi così un ulteriore elemento di distinzione sul quale tornerà lo stesso Giudice, escludendo esplicitamente, dal novero della imposizioni che danno titolo alla tutela della proprietà in funzione della garanzia riconosciuta ex comma secondo art 42 e fors’anche con parametri che, per comodità di quantificazione e giustificazione, si dirigono verso i principi di cui al successivo terzo comma, i vincoli ex ll.1497/1939 e 431/1985.

Nella sentenza n. 38 del 14 maggio 1966 [16] , provocata dal dubbio di costituzionalità dell’art 7 nn. 2, 3 e 4 l. 17 agosto 1942 n.1150, sollevato dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in riferimento all’art 42, commi secondo e terzo, Cost., e dichiarato infondato, si affronta il tema tra la riserva di legge di disciplina dell’attività dei Comuni e proprietà privata, riconoscendosi un margine di discrezionalità tecnica, “per ciò che riguarda il regime della proprietà privata nell’ambito delle singole zone in relazione alle esigenze, modificabili, anche nel tempo, della vita moderna e dell’espansione urbanistica”, per concludere  che l’art 7 n.2 l.1150/1942 non vulnera la garanzia inerente la riserva legislativa, di cui al  comma secondo dell’art. 42 Cost.

Si rinvia a separata ordinanza la pronuncia sulla questione di legittimità costituzionale con riguardo alle disposizioni di cui ai nn. 3 e 4 dello stesso art 7 nella parte in cui “autorizzerebbero l’imposizione di limitazioni incidenti sugli attributi essenziali del diritto di proprietà (disponibilità ed utilizzazione) sopprimendo, nella specie, il jus aedificandi, senza prevedere al riguardo alcun indennizzo”.

3. Il tema, che tanta attenzione ha suscitato e suscita, meritando innumerevoli contributi di dottrina [17] , e che ha aperto verso il risultato cui è pervenuta la Corte con la più volte menzionata sentenza n.179/’99, fu concentrato (in sent. 55/’68 e confermata con la coeva n.56 [18] ) nella rilevanza dell’assenza di previsione di un termine finale dell’efficacia dei vincoli introdotti con il P.R.G., riconducibili pur sempre a criteri ed indirizzi dettati dal legislatore (art 7, nn. 3 e 4 in specie), e della operatività immediata, “senza il riconoscimento di alcun compenso”.

Nodo focale, dunque, posto a fondamento della pronuncia della Corte, indicata come testata d’angolo della questione, risultò costituto dagli aspetti connessi e così sintetizzati dallo stesso Giudice, in  relazione all’accertamento di legittimità costituzionale o meno, riguardo alla sottrazione senza indennizzo degli immobili considerati edificabili in base all’ordinamento vigente, come conseguenza della sovrapposizione ad una destinazione positiva [19] : l’indennizzabilità; il tempo dell’indennizzo.

Quanto al primo, come noto, attesa la gerarchia degli interessi (generale e privato) che l’ordinamento riconosce e tutela, il pati della sottoposizione della proprietà privata (comma secondo art 42 Cost) a siffatti vincoli deve essere bilanciato da indennizzo; quanto al secondo, “razionalmente riferito a punti cronologici di operatività, senza creare vuoti”.

L’attenzione viene, quindi, incentrata sulle imposizioni desumibili dalle disposizioni affidate ai nn. 3 e 4 più che al n.2 (vincoli di zona, demandando alla giurisdizione ordinaria la verifica della relativa inscrizione), in quanto destinate a provocare, senza traslazione e quindi con conservazione della proprietà del bene, una definitiva profonda incisione “al di là dei limiti connaturali sulle facoltà di utilizzabilità sussistenti al momento dell’imposizione”, pervenendosi alla dichiarazione di illegittimità dei numeri 2,3 e 4 dell’art 7 e dell’art 40 l.17 agosto 1942 n.1150, per contrasto con l’art 42 comma terzo Cost., nella parte in cui non è previsto indennizzo sia per i vincoli di durata in funzione di futuri trasferimenti, incerti nell’an e nel quando, che immediatamente definitivi, inerenti a proprietà non destinate ad essere trasferite.

Il principio viene ribadito con la sentenza n.260 del 29 dicembre 1976 [20] .

Un’ordinanza del Tribunale di Palermo [21] offre occasione alla Corte Costituzionale [22] per ribadire, a mo’ di interpretazione autentica, i principi di cui alla citata sent. 55/’68, riguardanti la necessarietà della previsione di indennizzo in alternativa al termine di durata dell’efficacia del vincolo, per pervenire alla dichiarazione di legittimità degli artt 1,2 e 5 l. 19 novembre 1968 n.1187 e delle leggi di proroga, in quanto risultato di una scelta correttamente esercitata dal legislatore ordinario, in successione alla statuizioni del Giudice Costituzionale del 1968.

Affermata l’assenza di rilevanza, in ordine al fatto che la l. 1187/’68, contrariamente a quanto sollevato dal T.A.R. Umbria [23] , non avrebbe stabilito espressamente che il termine quinquennale non è prorogabile, viene riconosciuto allo stesso carattere permanente (Corte Cost. 27 aprile-12 maggio 1982 n.92 [24] ).

Pietra miliare nel percorso che conduce alla più recente pronuncia della Corte Costituzionale è da riconoscere nella sent. n.575 del 22 dicembre 1989 [25] , con la quale viene affrontato il tema della reiterabilità dei vincoli, fermo il caposaldo della alternatività del requisito della temporaneità e della indennizzabilità. [26]

In piena coerenza e conseguenzialità ai principi innovativi affidati alle sentenze nn. 6 del 1966 e 55 del 1968, il superamento di quella che sarà definita dalla stessa Corte soglia di franchigia, mediante reiterazione, risulterà costituzionalmente legittimo se compatibile con le garanzie della proprietà privata, secondo quanto affermato in dette decisioni, e quindi assistito da indennizzo.

Poco più tardi (sent. 20-22 febbraio 1990 n.67) [27] , la Corte rivendicherà al legislatore ed a sé stabilire, rispettivamente, termini e modalità di acquisizione di beni per pubblica utilità, ed “i limiti al di là dei quali le garanzie apprestate dalla Costituzione devono ritenersi violate”.

La violazione di dette garanzie era stata sospettata dalla Corte di Appello di Firenze [28] nella saldatura  tra temporalizzazione del vincolo ed assenza di previsione di termini per la sostituzione  degli strumenti decaduti.

E’ nota la funzione di supplenza della giurisprudenza pretoria del G.A. che, nella specie, ha individuato, sul piano effettuale, le conseguenze della cessazione di efficacia dei vincoli urbanistici preordinati ad espropriazione con l’allineamento alla condizione dei suoli non pianificati.

Riconoscere l’applicazione degli standards, ex art 4 u.c. l.10/’77, per le aree con vincolo caducato, ricomprese nell’ambito del perimetro dei centri urbani, significa indubbiamente peggiorare lo stato di soggezione, sommandosi l’onere di sopportare per un quinquennio (almeno, ma potrebbero essere  molti di più se si pensi alla finzione della approvazione di piano attuativo mai realizzato in concreto), senza indennizzo cui segue l’assenza di recupero di edificabilità per le ipotesi di aree urbane.

La Corte ha ritenuto di sottrarsi all’esame, dichiarando, con sent. 19-23 aprile 1993 n.185 [29] , inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt 2 L.1187/’68 e 4 u.c. lett. b) l. 10/’77.

Con la coeva pronuncia n.186 [30] , viene ribadito, in relazione al principio temporalità/indennizzabilità dei vincoli in rassegna, che essi assumono carattere sostanzialmente espropriativo, se non sono adeguatamente delimitati nel tempo, con la conseguenza che, in assenza di previsione di indennizzabilità, la durata deve essere contenuta entro limiti ragionevoli, pena il contrasto con gli artt 42 e 3 Cost., e ferma l’appartenenza alla discrezionalità del legislatore la relativa determinazione.

Sulla base di tali premesse è stata riconosciuta non irragionevole  la scelta operata dal legislatore siciliano, pervenendosi alla dichiarazione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art 2, commi 1 e 2 l. Reg. Sicilia 30 aprile 1991 n.15 in riferimento agli artt 3 e 42 Cost.

Il principio del doversi contenere la durata dei vincoli - che comportando l’inedificabilità assumono carattere sostanzialmente espropriativo - entro limiti ragionevoli, torna ad essere evidenziato dalla Corte Costituzionale (sent. 26 ottobre / 7 novembre 1994 n.379 [31] ), che, successivamente [32] , a proposito della determinazione di detta durata, che si appartiene alla piena disponibilità del legislatore, e dei limiti del potere di proroga “in assenza di sopravvenute esigenze sociali di rilievo”, ha ribadito che vadano individuati con riferimento alla ragionevolezza e non arbitrarietà delle scelte del legislatore, dovendo risultare assicurato “al limite temporale il pieno requisito di essere certo, preciso e sicuro”, con ciò evitandosi anche proroghe sine die attraverso rinnovazioni di proroghe a tempo determinato, che si ripetano in successione.

In sintesi, quanto precede tratteggia i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in subiecta materia in trentatré anni ai quali si aggiungono, con ulteriori aperture, quelli affermati con la più recente sentenza n. 179/’99, provocata da ordinanza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.20 del 25 settembre 1996 [33] , alla quale la Sezione Quarta [34] , quale Giudice di Appello [35] , aveva rimesso la questione del criterio di sufficienza della motivazione dei provvedimenti con i quali l’Amministrazione deliberi di rinnovare i vincoli espropriativi decaduti, una volta superato il limite quinquennale di cui al più volte menzionato art 2 l. 1187/’68.

Suscita attenzione l’iter argomentativo della Sezione, indirizzato verso la rilevanza della sussistenza di ragioni non vessatorie per la reiterazione del vincolo e, ancor prima, della mancata attuazione, che non trascura di considerare i principi affermati dalla Corte Costituzionale e la rilevanza dell’alternatività tra indennizzabilità del vincolo espropriativo e la relativa temporaneità [36] .

Significativo è il richiamo della decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo (24 settembre 1981), con la quale erano stati riconosciuti contrastanti con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo [37] i vincoli all’uso ed al godimento della proprietà, se protratti oltre un certo limite.

Si interroga, quindi, l’Adunanza Plenaria sull’applicazione della L. 1187/’68, cui riconosce carattere transitorio, riproponendo le scelte del legislatore sulla temporaneità rispetto alla indennizzabilità dei vincoli, riguardo alla reiterazione, dopo l’inutile decorso del quinquennio, “che può collocarsi dall’una e dall’altra parte del crinale tra temporaneità ed indennizzabilità”.

In conseguenza della mancata definizione normativa della soglia massima di tollerabilità, in assenza di previsione di reiterazione del vincolo, il Supremo Organo di Giustizia amministrativa ha dubitato della legittimità costituzionale del sistema, in relazione: alla non conformità alla riserva di legge di cui al terzo comma art 42 la non determinazione per legge dei casi in cui la reiterazione costituisca espropriazione di valore; alla mancanza di previsione con legge dei criteri di determinazione dell’indennizzo in presenza di espropriazione di valore; alla assenza di determinazione con legge “dei casi in cui la reiterazione dei vincoli costituisce espropriazione e comporta la corresponsione dell’indennizzo” [38] .

Detti dubbi sono stati risolti dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.179 del 20 maggio 1999, con la quale è stata dichiarata “l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt 7, numeri 2,3 , 4 e 40 della legge 17 agosto 1942 n.1150 (legge urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968 n.1187…. nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo” [39] .

Numerosi sono gli spunti di riflessione che la articolata motivazione offre. Il Giudice delle Leggi perviene alla definizione delle conseguenze derivanti dalla rinnovazione dei vincoli urbanistici, preordinati ad espropriazione, coordinando i principi affermati in precedenza e, separatamente.

In relazione ad essi, che, come noto, sono stati caratterizzati dalla alternatività: indennizzabilità/temporaneità, non si disconosce che  il potere pianificatorio, sempreché corretta espressione di discrezionalità che, riguardo al se, perché, quanto, si risolve nella rinnovazione di una scelta che, nella sostanzialità di risultato, perpetua la indisponibilità del bene a fini edificatori, subisce limitazione, a sua volta, mediante contestuale assoggettamento ad onerosità.

Si raggiunge, per esplicito, quanto delineato con la sentenza 575/89, nel senso che, fermo un margine di tolleranza, da ricercarsi nella prima imposizione vincolistica (con l’esclusione di eventuali proroghe legali), ogniqualvolta si pervenga (previa legittima giustificazione) ad imprimere un’area con vincolo caducato una nuova destinazione di segno negativo (rispetto al ius aedificandi) in quanto preordinata ad espropriazione, detta scelta è indissolubilmente legata a previsione di indennizzo.

Si afferma, in sintesi, che il superamento di quella che viene definita soglia di franchigia (corrispondente al primo quinquennio ex art. 2 l. 1187/1968, cui può aggiungersi il periodo di efficacia dei piani particolareggiati), non esclude ex se che lo strumento urbanistico possa riproporre scelte vincolistiche (del resto, se così fosse, significherebbe comprimere i margini della discrezionalità amministrativa) ma le sottopone, in primis, sempreché adeguatamente sostenute da ragioni attuali di pubblico interesse, all’onere dell’indennizzo in favore del proprietario dell’area che le subisce.

Così posta, però, la questione non sembra potersi dire esaustivamente e completamente risolta senza l’intervento del legislatore.

Viene, in primo luogo, dato di constatare che non viene affrontato, tra gli altri, (ad es. chi è il soggetto tenuto all’obbligazione indennitaria; quando la previsione si traduce in precetto, etc.), il profilo del rapporto tempo / indennità, nel senso che nulla si afferma se l’indennizzo, legittimando (oltre argomentate ragioni di scelta ex se) la rinnovazione del vincolo, lo sottragga alla osservanza della norma che disciplina a regime il potere pianificatorio sul punto.

In buona sostanza, il limite temporale imposto dall’art 2 l.1187/’68, in presenza di rinnovazione di vincolo, è trasformato in permanente per il solo fatto della previsione di indennizzo o questa la legittima  in funzione ed ai fini della reiterabilità in sé considerata, cioè come replica di un nuovo periodo “salvaguardato”?.

Se è la rinnovazione (sent. 575/’89 Corte Cost.) a provocare l’insorgenza dell’obbligo di indennità e se il termine di durata deve essere “certo, preciso e sicuro” (sent. 379/94), si perviene ad una interpretazione che conduce ad una risposta di segno negativo all’interrogativo che precede. Se, per contro, si prende a riferimento la motivazione della sent. 186/93, ove si afferma che solo in assenza di previsione di indennizzabilità, la temporalità del vincolo deve essere contenuta entro limiti ragionevoli, si è tentati a pervenire ad un risultato diametralmente opposto.

Nulla sul punto precisa la Corte, anche a livello di conferma di definizione normativa, con riserva di sindacato se il potere esercitato risulti contenuto in termini di ragionevolezza o comunque  di compatibilità con i principi affermati nella carta fondamentale, mentre riconosce il ruolo di supplenza del diritto vivente, peraltro temperando, in contestualità, l’esigenza dell’intervento del legislatore ordinario ai fini delle individuazioni dei criteri (ma, sarebbe auspicabile,  anche della qualificazione giuridica, che non è di poco momento ove si pensi, ad es., alle conseguenze che derivano, in termini di prescrizione, nella distinzione tra obbligazione ex lege e risarcimento) per la determinazione dell’indennizzo, cui andrebbero aggiunti il soggetto tenuto all’adempimento ed il tempo relativo, non definisce le conseguenze, sul piano effettuale, della reintroduzione di vincolo urbanistico, se non in relazione alla imprescindibilità di previsione di indennizzo o di altri  sistemi compensativi, che stanno ad indicare una apertura notevole della Corte.

4. A Costituzione vigente, viene, dunque, a delinearsi la conferma che l’esercizio del potere di pianificazione, a fini urbanistici, soffre le conseguenze che esso stesso provoca, sempreché coerente ai principi di cui all’art 97 Cost e quindi ai canoni del buon andamento finalizzati ad una corretta e razionale gestione del territorio e delle relative risorse insediative, se posto in correlazione alla tutela che l’art 42 Cost riconosce al diritto di proprietà, sul quale ed attraverso il quale si esplicita  la discrezionalità pianificatoria.

In particolare, nella metà degli anni sessanta, è venuto a delinearsi il punto di crisi di un  modello legale (primigenio), peraltro antecedente il vigente sistema costituzionale rigido, delle regole contenutistiche, da osservare nella formazione dei piani regolatori generali, cui seguirà l’equiparazione dei programmi di fabbricazione [40] , in quanto risultante non adeguatamente conformata al giusto contemperamento tra gli interessi che il nostro ordinamento riconosce: generali ed individuali.

Tale binomio costituisce polo immediato di confronto, specie laddove lo strumento urbanistico ne è testimonianza: è il caso in cui si trasferiscono sul territorio, ancorché (ed è già sufficiente a produrre risultato) a livello previsionale e segnatamente mediante localizzazione, pluralità di soluzioni insediative che stanno ad identificare, prioritariamente in chiave soggettiva, interventi direttamente indirizzati verso quei fabbisogni che concorrono a soddisfare le esigenze del corpo sociale, crescenti con il miglioramento degli standards qualitativi del tenore di vita e della coscienza sociale.

Ne consegue che la individuazione di destinazione d’uso, preclusa al soggetto privato, titolare del diritto di proprietà [41] , colloca in priorità l’obiettivo perseguibile, il soddisfacimento dell’interesse pubblico in via diretta, ulteriore rispetto a quello identificabile nell’assetto del territorio, così come pianificato, e quindi in una armonica ed organica distribuzione delle risorse e degli equilibri insediativi.

Sembra, invero, opportuno soffermarsi sul momento di introduzione della limitazione d’uso che, ex iure e di fatto, sottrae, al privato-proprietario ogni e qualsiasi libertà di iniziativa, riconducibile alla negoziabilità del bene (per evidente assenza di mercato o comunque di remunerabilità), più che verificarne la preordinazione e connessione con procedimenti espropriativi che conservano la vis del (l’effettivo) trasferimento coattivo.

Si ha motivo di riflettere sulla rilevanza, in realtà, del momento genetico che procura la conformità urbanistica anche per gli interventi pubblici.

Se, dunque, ciò si rinviene nella introduzione di quelle che il legislatore del 1968 (art 1, comma primo, l.1187/’68) ha definite “indicazioni” nel P.R.G., il contesto non può che rappresentare esercizio di un potere amministrativo, e più specificatamente di pianificazione, che incide su tutto il territorio in risposta (si presume) a criteri di razionalizzazione in piena coerenza a principi di indifferenza dominicale [42] , e quindi di perequazione, nella composita articolazione di uno strumento urbanistico generale.

Del resto, se, specie con la più recente (ed ultima in ordine di tempo) sentenza n.179/’99, il Giudice delle Leggi ha trasformato il dubbio espresso dal G.A. [43] in affermazione di illegittimità degli art 7 nn. 2,3 e 4 e 40 l.1150/’42, nella parte in cui non escludono la reiterabilità delle indicazioni preordinate ad espropriazione, è il momento in cui l’Autorità pianificante (il riferimento normotipo è al Comune, ovviamente), si avvale della potestà di scelta nella localizzazione che acquista rilevanza in parte qua.

Ora, indipendentemente dal dove cada il conseguente risultato della valutazione discrezionale, se rispondente o meno ai canoni informatori del corretto uso del potere amministrativo, all’esito del confronto con i parametri che, secondo il magistero della giurisprudenza amministrativa, ne misurano l’affrancazione da profili patologici più significativi, quali lo sviamento, (ir)ragionevolezza [44] , e, non ultimo, superamento del limite o rapporto di proporzionalità [45] , è la esplicitazione di detto esercizio, che si concreta in un atto complesso [46] , che ha primo elemento di composizione, nella adozione da parte del Comune, a conferire rilevanza al risultato di contemperamento tra interesse pubblico e privato (nello specifico, identificabile nel proprietario del terreno “opzionato” prescelto), sempreché risulti adeguatamente testimoniata la inderogabilità di una scelta che legittimamente sottragga a quest’ultimo poteri dispositivi sul bene [47] , ed alla irrinunciabilità della ripetuta priorità, riconosciuta al primo sin dal conseguimento di previsione  (o prescrizione?) che la consenta, ma è pur sempre abbisognevole della traduzione nel concreto, mediante apposito procedimento espropriativo, preliminare alla esecuzione dei lavori.

Le “indicazioni”, dunque, nel PRG di localizzazioni, che rendono indisponibile ex se il bene su cui gravano, appaiono offrire spunti di riflessione di non secondario momento per la tutela giurisdizionale esercitabile, ai fini del conseguimento, jussu judicis, di indennizzo per il caso di reiterazione di previsione vincolistica, come ha definitivamente riconosciuto ed affermato la Corte Costituzionale con la più recente, menzionata, sentenza n.179/’99.

5. Viene, invero, dato di chiedersi, preliminarmente, se la indennizzabilità, meglio ancora l’insorgenza di “obbligo di indennizzo” [48] , a fronte della rinnovazione (o perpetuazione), in forza di atto amministrativo,  di una condizione del bene di sostanziale indisponibilità a fini insediativi (che sembrano identificare l’unica qualità espressiva del jus aedificandi, che inerisce, come noto, naturalmente al diritto di proprietà), e l’accostamento agli istituti propri dell’espropriazione, con la variabile della atipicità e anomalia [49] , e dell’oggetto quale esprime il riferimento alla perdita e diminuzione sensibile del valore, conducono verso apprezzabili differenziazioni, non potendo essere trascurato il nuovo assetto delle competenze funzionali del Giudice Amministrativo, secondo quanto affermato ex D.Lgs. 80/’98.

Si nutrono, in realtà, perplessità e dubbiezza ad individuare, per affermare che se il bene sacrificando subisce, attraverso atto di pianificazione, una flessione di valore, relazionata alla causa della (re)introduzione di destinazione vincolistica, il referente si rinvenga nei principi affermati con il terzo comma dell’art 42 Cost., con sostanziale allineamento ai principi ivi affermati anche in assenza di effetti traslativi. E’ pur vero che siano state individuate nell’ordinamento positivo espropriazioni cd anomale [50] , ma non è di secondo momento considerare che l’affermazione dell’”obbligo di indennizzo” è relazionata al “quando” si rieditta la manifestazione di potere che si risolve nella reiterazione della imposizione di soluzione insedativa, sottratta, generalmente, alla disponibilità privata per essere affidata ad interventi autoritativi che, beneficiando ope legis della dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità, apre la strada alla coazione per l’acquisto della proprietà, a titolo definitivo (espropriazione) o della immissione nel possesso giuridico e di fatto (occupazione).

In quest’ultimo, si coglie una relazione dinamica nel rapporto amministrazione / amministrato, rectius tra titolare della cura di interessi pubblici e del diritto di proprietà sul bene, che, mediante la utilizzazione, concorre a soddisfarli e nella indennità che, come costantemente affermato dal Giudice delle Leggi, deve rappresentare un serio ristoro per il pregiudizio sofferto, si rinviene la rispondenza ai canoni di cui al terzo comma dell’art 42 sul presupposto della effettività  e delle conseguenze dell’agire amministrativo che si concretizza in un risultato (apprensione della proprietà privata).

Per contro, nella rinnovazione di una scelta vincolistica, attraverso strumento urbanistico, nello stesso rapporto sembra più pertinente riconoscere una relazione statica, che, se provoca l’affermazione della indennizzabilità (come consacrato, è da ritenere in via definitiva, con la sent. n.179/’99 ed anticipata, tra le altre, con sent. 575/’89), non fa venir meno la tipicità di una mera operazione cartolare (localizzazione su tavola di piano) e prescrittiva della idoneità insediativa, a fini sottratti al godimento tipico della iniziativa privata.

Ancorché, ragionando in termini di concretezza, non possa disconoscersi che detta operazione ex se provochi un risultato negativo, riguardo al valore del bene ed alla sostanziale indisponibilità a fini di trasformazione ad uso privatistico e quindi di circolazione, sembra non trascurabile prendere in considerazione la scomposizione ed autonomia dei procedimenti che vengono a porsi in rapporto di sovraordinazione e presupposizione e, più precisamente, tra attività prodromica (a livello previsionale, attraverso gli strumenti urbanistici) dell’espropriazione e la attuazione relativa.

Gli effetti, che derivano dall’esercizio del potere di pianificazione e che, nello specifico, giustifichi la rinnovazione di una pretesa ad una futura acquisizione del bene, che torna a sopportare nuovamente un vincolo preordinato a futura espropriazione, non possono risultare attratti, in nome di una sostanzialità di contenuto, nei principi garantistici di cui al più volte menzionato comma terzo art 42 Cost.

Anche se, invero, il Giudice delle leggi riafferma, con la più recente sentenza, il diritto del proprietario a ricevere l’indennizzo cui si correla l’obbligo dell’Amministrazione a corrisponderlo, deve potersi convenire che l’accostamento del nomen, proprio dell’istituto tipico dell’espropriazione per p.u., non può portare ad una reductio ad unitatem, permanendo  differenziazioni  che la escludono e che appaiono risultare ancor più significative ove si rapporti la questione al novello regime della tutela giurisdizionale in relazione alla reattività del proprietario che veda il suo terreno, ancora una volta (atteso che di rinnovazione si discute), deputato al sacrificio, per essere posto a disposizione di quel soggetto pubblico (e la categoria è ampia e diversa dal pianificatore, usualmente comunale, come si rinviene, ad es., nell’art 2 l.109/’94) che, intendendo realizzare un proprio programma di pubblica itilità, potrà avvalersene ed acquisirlo, facendo ricorso ad espropriazione.

Se, dunque, ha rilevanza la rinnovazione del vincolo, è di tutta evidenza che ciò si debba relazionare al momento in cui si reintroduce, come si è già detto, una siffatta scelta, cioè, con l’atto di adozione dello strumento urbanistico.

Si ha, quindi, la cristallizzazione del quando venga a potersi operare il controllo della correttezza del potere amministrativo, che risponde a principi di garanzia di costituzionalità se contempli anche “la previsione di indennizzo”, attribuendosi al legislatore ordinario la “quantificazione e….. le modalità di liquidazione dell’indennizzo”.

Ora, a prescindere dal riconoscimento del primato del potere legislativo e del ruolo succedaneo della stessa Corte, con l’accertamento dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità del modo e del tempo di liquidazione, affidati a legge, deve potersi riflettere sulla possibilità di prescindere dalla subordinazione a disciplina normativa, in quanto il Giudice delle leggi tempera la subordinazione de qua, ammettendo la immediata tutelabilità della situazione giuridica soggettiva che subisce il risultato di attività amministrativa che si estrinsechi nella (re)introduzione di destinazione vincolistica.

La possibilità di reazione non può che essere immediata sia che si tratti di pianificazione senza previsione di indennizzo e sia con misura inadeguata, ed indeterminata nel quando ed aiuta ad individuare il soggetto che ne è tenuto.

Se, ripetesi, è la rinnovazione in sé considerata che costituisce vulnus dei principi costituzionalmente garantistici dello statuto della proprietà, è al pianificatore l’imputazione dell’onere adempitivo dell’indennizzo, al pari della esternazione di adeguata motivazione, giustificativa della permanenza di una scelta preordinata ad espropriazione.

Si coglie in ciò la peculiarità di ambito più precipuamente appartenente alla materia urbanistica, come intima connessione tra potestà pianificatoria ed effetti relativi, da apprezzarsi sempre nel contesto proprio della materia, così come indicata, ex art 117 Cost, nell’art 80 d.P.R. 616/’77 e riduttivamente, forse, più di recente, negli artt. 33 e 34 D.Lgs 80/’98.

Non può, invero, restare senza significato, per quel che qui interessa, che la illegittimità costituzionale del “combinato disposto degli artt 7, numeri 2,3, e 4 e 40 della legge 17 agosto 1942 n.1150 (legge urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968 n.1187 (modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n.1150)”, sia stata individuata “nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare in vincoli urbanistici  scaduti, preordinati all’espropriazione”.

Si ha motivo di individuarvi un riferimento puntuale ad attività di pianificazione in senso proprio, anche se, nella stessa sentenza, successivamente, a proposito della necessarietà dell’intervento legislativo, si abbandona la qualificazione urbanistica del vincolo e la preordinazione alla espropriazione è sostituita dal “contenuto espropriativo”.

Se, dunque, ha rilevanza il quando l’attività dell’Amministrazione (quale, se non il Comune?) non sia in jure, deve potersi convenire sulla esigenza di riconoscere che l’esercizio del potere amministrativo provochi una limitazione della proprietà privata, riconducibile ai principi di cui al secondo comma del più volte menzionato art 42 Cost, attraverso lo strumento urbanistico, sin dalla adozione, attesa la obbligatorietà delle misure di salvaguardia ex l.1902/’52 e 1357/’55.

Carico di conseguenze è, comunque, ritenere sufficiente la previsione di indennizzo, che, a ben vedere, non costituisce stralcio o acconto o anticipazione della futura (ed eventuale) indennità di espropriazione, o misura della monetizzazione per la perdita del possesso, in quanto il primo atto che la legittima non è la previsione di disponibilità urbanistica ma l’approvazione di un progetto di opera pubblica o di pubblico interesse, che appartiene ad un procedimento autonomo, temporalmente successivo a quello che garantisce la conformità urbanistica.

6. Si è dell’avviso che l’autonomia dei procedimenti (di pianificazione e di espropriazione) non subisca punti di debolezza, che ne determini il superamento, attraverso l’identità di nomenclatura che caratterizza la contromisura a carico dei poteri amministrativi, sempreché riconducibili nell’alveo della legittimità, che si esplicano in due distinti momenti e con finalità diversificate, ancorché connesse.

In buona sostanza, se si riconosce che la rinnovazione del vincolo urbanistico, per essere conforme ai canoni di costituzionalità, progressivamente affermati dal Giudice delle leggi nella successione delle pronunce, a far tempo dalla sent. 6/’66, della alternatività temporalità/indennizzabilità (55/’68), fino alla dichiarazione di legittimità della reiterabilità (75/’89), deve essere accompagnata da previsione di indennizzo, deve potersi convenire che la relazione tra diritti del proprietario ed “obblighi” del soggetto pubblico, che si avvale di poteri destinati ad incidere direttamente, ma ex se, sui beni che subiscono la localizzazione, viene a risultare qualificata attraverso attività di pianificazione, che ha il suo punto di convergenza e concretezza nell’atto amministrativo con il quale viene, in primis, adottato lo strumento urbanistico.

Ne consegue che la limitazione, ancorché assoluta, che subisce il bene privato (nel momento in cui viene rinnovata una previsione vincolistica), è e resta il risultato dell’esercizio del ripetuto potere di pianificazione, idoneo a produrre effetti (in negativo) suoi propri, al pari della introduzione di scelte di segno positivo, quale, ad es., la previsione di edificabilità a fini insediativi. Ed è, inoltre, e resta ancorata ad uno stadio di mera previsione che si ritiene non poter consentire accostamenti alle ipotesi in cui si realizzi, in concreto, anche senza perdita del diritto di proprietà o del possesso, come, ad es., accade con la imposizione di servitù militari.

In quest’ultimo caso, invero, si è già abbandonato il livello previsionale, trovando ingresso l’applicazione concreta di misura di vantaggio in favore di strutture militari che provoca un rapporto di soggezione tipico dell’istituto.

Si ha, invero, motivo di non condividere l’accostamento che precede, secondo l’indirizzo di dottrina autorevole, riconoscendovi, ove ci si orienti in tale direzione, il risultato di una costruzione che impone l’esigenza di effettività del rapporto che caratterizza le servitù, dal momento che  la posizione dominante dovrebbe identificarsi nel solo esercizio del potere di scelta, rectius: di opzione o prelazione coatta, pur sempre a livello previsionale, in favore di una futura ipotesi insediativa, con rilevanza del fine pubblico cui è sottesa.

Parimenti, soprattutto se si argomenta in termini di tutela in sede giurisdizionale, per mancata o inadeguata previsione di indennizzo, per il caso di rinnovazione di vincolo, il ricorso a moduli o a formule espropriative, pur in assenza del comune denominatore di ciascun procedimento ablatorio, identificabile nella forza della traslazione, che appare non risultare indifferente, come ricerca di una qualificazione meramente nominalistica.

Sono noti il dibattito [51] in dottrina e gli itinerari argomentativo-motivazionali delle pronunce della Corte Costituzionale in ordine alle conseguenze che derivano da (reiterazione di) imposizione di vincolo preordinato ad una futura (ed eventuale) espropriazione, quale più tipicamente, la perdita o contrazione di valore  per esclusione ovvia (ma non assoluta) dal libero mercato, per differenziazione rispetto ad aree circostanti con caratteristiche vocazionali indistinte.

Ora, anche a voler trascurare di riflettere, de iure condito e condendo, sui limiti di inadeguatezza di un modulo (art. 7 l. 1150/1942) anelastico, per la razionalizzazione  e quindi per la disciplina del territorio nonché sulla esigenza di un riordino globale dei metodi, criteri ed identificazione di un “modo” nuovo di concepire l’urbanistica esteso ai soggetti attuatori (anche se aperture verso l’urbanistica contrattata non mancano), non può trascurarsi di considerare che, allo stato, deve potersi condividere che l’analisi impone la scomposizione tra procedimenti differenziati (non solo nel tempo), che hanno e conservano  una autonoma valenza: la localizzazione (che comporta rinnovazione di vincolo) e la attuazione appartengono a poteri che, se pure in connessione o in rapporto di presupposizione (quantomeno a fini della conformità urbanistica), assicurata in via preventiva ma non necessariamente [52] , producono l’instaurazione di distinti rapporti giuridici, anche con riferimento alle caratterizzazioni, secondo l’ordinamento interno, delle situazioni giuridiche soggettive e relativa giurisdizione.

La prima (individuazione della ubicazione attraverso strumento urbanistico), provoca una limitazione del diritto di proprietà che appare più pertinentemente riconducibile nell’alveo dei principi di cui al comma secondo dell’art. 42 Cost. [53] e non anche al comma terzo, ancorché impositiva di indennizzabilità.

La disgiunzione non è di poco momento e non obbedisce ad un esasperato concettualismo.

Offre spunti di riflessione con riguardo al nuovo assetto della giurisdizione amministrativa esclusiva secondo la novella di cui al d.lgs 80/1998.

7. L’estensione, come noto, della giurisdizione esclusiva, voluta dal legislatore delegante [54] , indipendentemente dalle problematiche sorte sull’eccesso di delega, ha provocato che l’urbanistica, l’edilizia e i servizi pubblici costituiscano materie in relazione alle quali, non è più e solamente esercitabile la tutela degli interessi legittimi dinanzi il G.A. ma anche dei diritti soggettivi.

Riguardo alla “materia urbanistica” è stato affermato che “concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio”, mentre “nulla è innovato in ordine……….alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa” (art. 34, comma secondo e terzo) [55] .

Ora, se si ragiona in termini di principi generali, e si discute in termini di rapporti amministrato/Amministrazione con  riferimento al potere di pianificazione, prescindendo dalle innovazioni del 1998, circa le competenze funzionali del G.A., è pacifico considerare la situazione giuridico-soggettiva che abbia una relazione qualificata come posizione di interesse legittimo, che subisce (o ritenga di subire) lesione dell’esercizio del potere discrezionale, di scelta del pianificatore.

Se detto esercizio, in punto di rinnovazione di previsione vincolistica, in quanto preordinata alla localizzazione di opere ed interventi di pubblico interesse e pertanto idonea a provocare l’espropriazione dei suoli, subisce a sua volta una limitazione, in quanto gravato dall’obbligo di indennizzo, cui si correla il diritto (soggettivo) a pretenderlo, non sembra azzardato ritenere che si resti in ambito della giurisdizione amministrativa, resa più significativa atteso che il G.A. è anche giudice dei diritti soggettivi, in quanto permane la riconducibilità  nella materia urbanistica.

Ragionando in termini più distesi, appare più coerente considerare irrilevante (in parte qua) l’accostamento al modulo proprio della espropriazione per p.u., per il tramite della coincidenza della indennizzabilità, ancorché in assenza di atti idonei a provocare effetti traslativi tipizzati secondo i principi di cui al comma terzo art 42 Cost., prestando attenzione alla sostanzialità del risultato che provoca la riemersione del vincolo, come espropriazione di valore.

Deve potersi convenire che l’indennizzo è corollario al (corretto e legittimo esercizio del) potere di pianificazione, che è e resta espressione peculiare della urbanistica.

 

 

Ne consegue che controversie che possano insorgere intorno alla mancata o inadeguata previsione di indennizzo, non possono che appartenere al G.A., come nuovo giudice esclusivo anche per la materia urbanistica, in quanto direttamente relazionate alle attività di pianificazione e quale giudice del diritto soggettivo cui appartiene la titolarità e pretendere, nei confronti dell’Autorità che impone il vincolo, l’adempimento della obbligazione pecuniaria  (indennizzo, appunto) che è il necessario bilanciamento per garantire legittimità alla reiterazione, con atto amministrativo a contenuto generale o parziale (si pensi ad una variante ad hoc), di destinazione d’uso, sottratta alla sfera di iniziativa privata e che afferma la indisponibilità del bene che la subisce.

Se, per contro, si intenda da ciò prescindere ed attraverso il collegamento che anche la Corte Costituzionale opera, con il disposto di cui all’art 42 comma terzo Cost., si enuclea, dal contesto cui appartiene, il tema dello indennizzo secondo i criteri e principi del potere espropriativo, verrebbe a determinarsi una frattura tra sindacato del più volte menzionato potere di pianificazione ed accertamento in sé considerato del ristoro per il pregiudizio che soffre il proprietario, per il solo fatto della introduzione del vincolo, al pari di “atto di natura espropriativa”, con la conseguenza che verrebbe ad identificarsi, in allineamento con i principi affermati in tema di riparto e confermati con il citato art 34 D.Lgs. n.80/’98, la competenza del G.O., atteso che, avuto riguardo alla sostanzialità degli effetti, dovrebbe riconoscersi che la controversia insorgerebbe, comunque, intorno alla determinazione e corresponsione di una indennità di espropriazione.

8. La più recente pronuncia della Corte Costituzionale potrebbe, sul punto della giurisdizione, far insorgere elementi di incertezza o che potrebbero provocare l’intervento del Giudice del riparto.

Si legge, invero, in motivazione, tra l’altro: “l’esigenza di un intervento legislativo sulla quantificazione e sulle modalità di liquidazione dell’indennizzo non esclude che – anche in caso di persistente mancanza di specifico intervento legislativo determinativo di criteri e parametri per la liquidazione delle indennità – il giudice competente sulla richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo nei sensi suindicati, possa ricavare dall’ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo”.

L’indicazione, tout court, del “giudice competente sulla richiesta di indennizzo”, sottolinea il “carattere espropriativo” dei vincoli, il ricorso ad espressioni da sempre riservate alla qualificazione e specificazione finalistica di cosa debba rappresentare la indennità di espropriazione, quale ….. il (serio) ristoro per il pregiudizio sofferto dal proprietario, potrebbero indurre a ritenere, da parte del Giudice delle Leggi, in parte qua, la competenza funzionale del G.O.

Deve, al riguardo, potersi convenire sulla esigenza di non rinunziare alla identificazione della matrice genetica, come, del resto, si riconosce in sentenza, del carattere espropriativo del vincolo nella materia urbanistica e quindi della primazia, inscindibile, della rilevanza della diretta derivazione dal potere di pianificazione, il cui esercizio, ancorché limitato o condizionato dal bilanciamento degli interessi in contrapposizione, mediante attribuzione di un corrispettivo, non può fare apprezzamento, sotto il profilo della individuazione della giurisdizione per le controversie che dovranno insorgere, solo sulla ripetuta sostanzialità del risultato conseguibile, cioè il diritto a riceversi un serio ristoro, al pari di quanto si afferma pacificamente in tema di espropriazione per p.u., ex comma terzo del più volte menzionato art 42 Cost.

Non sembra azzardato poter affermare, dunque, che la rinnovazione di una previsione urbanistica, preordinata alla acquisizione coattiva delle aree, necessaria per realizzarla, appartiene all’”uso del territorio”, e se per il proprietario dell’area che la subisce è di segno negativo, cioè di non usabilità, al pari di quelle contermini di identica conformazione, caratteristiche o vocazione, ma temperata dal diritto a pretendere un indennizzo, non fa venir meno la concentrazione che qualifica la nuova giurisdizione esclusiva del G.A., quand’anche la controversia si restringa alla sola (giusta) “determinazione e corresponsione della indennità”, e quindi in assenza di petitum esteso o risalente al potere di scelta che si sia concretizzato nella stessa reiterazione [56] , cioè al pari di quelle situazioni, in tema di procedimenti espropriativi, in senso proprio, per le quali il legislatore delegato ha ritenuto di sottolineare che “nulla è innovato”, in ordine alla devoluzione alla cognizione del G.O., come è stato riconosciuto in giurisprudenza, del resto anche per la determinazione e liquidazione della indennità per l’occupazione temporanea, avendo la Corte Costituzionale dichiarato l'illegittimità dell'art. 20 l. 865/1971, nella parte in cui, in assenza di quantificazione di detta indennità, non contempla la previsione di tutela giurisdizionale sul punto. [57]

Si rinviene, invero, nel nuovo assetto funzionale della giurisdizione esclusiva, secondo la più ampia formulazione del testo novellato dell’art 7 della legge istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali (l.1034/’71), in coordinazione con la puntuale devoluzione della “materia urbanistica”, una risposta plausibile alla ammissione della Corte Costituzionale di potersi derogare dalla subordinazione all’intervento del legislatore che, a questo punto, non dovrebbe esaurirsi nella individuazione dei soli criteri di determinazione dei criteri per la quantificazione dell’indennizzo, ma ricomprendere l’individuazione del “Giudice competente”.

Per la prima volta nella stessa motivazione è la Corte ad affermare la prescindibilità della regolamentazione con atto avente forza di legge.

Invero, mentre si riafferma il riconoscimento, in favore del potere legislativo, dell’appartenenza, nel rispetto dei principi costituzionali, dei limiti (ex comma secondo ?) o della espropriazione (comma terzo ?) della proprietà privata, come dichiarato con la precedente sentenza, si riconosce la immediata possibilità di tutela del titolare di diritti dominicali su beni gravati da vincolo preordinato ad espropriazione, in presenza di reiterazione.

L’ordinamento vigente, in realtà, con la novella di cui al più volte menzionato d.lgs. 80/98, sembra offrire elementi anticipatori che possono anche consentire, e non sarebbe la prima volta, una funzione di supplenza della magistratura al ritardo, se non latitanza, del legislatore ordinario.

Del resto, non può trascurarsi di considerare che, a distanza di quasi sette anni dall’entrata in vigore dell’art. 5 bis l. 359/1992, non è ancora emanato il regolamento di disciplina dei criteri di determinazione della indennità di espropriazione delle aree urbane [58] , con il concorso della definizione della “edificabilità legale e di fatto” delle stesse.

Ciononostante, è la giurisprudenza della Corte di Cassazione ad offrire risposta adeguata, al pari di quanto potrà il Giudice Amministrativo esclusivo, ancorché non menzionato esplicitamente dal Giudice delle Leggi che, però, ha fatto ricorso, nella sentenza 179/’99, a quei parametri o indici rivelatori che il legislatore ha indicati, nel più volte ripetuto d.lgs. 80, riguardo ai poteri di condanna della P.A. da parte del Giudice amministrativo nella nuova giurisdizione esclusiva, non solo attraverso lo specifico disposto di cui agli artt. 34 e 35, ma anche e soprattutto nel novellato art. 7 della legge istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali (ex comma quarto art. 35), che, peraltro, il legislatore ordinario si accinge ulteriormente a modificare [59] , rendendo ancor più significativa la ratio della concentrazione, verso i poteri decisori di un unico Giudice, della tutela dell’interesse legittimo e del diritto soggettivo e, forse, a ben vedere, minimalizza la verifica del riconoscimento esplicito o meno, da parte del legislatore, della risarcibilità degli interessi legittimi in ossequio al criterio dominante della affermazione della giurisdizione per materia, con il carico delle conseguenze che trascina per le componenti o versanti soggettivi delle situazioni giuridiche che evidenziano, sì da potersi condividere che, in base al nuovo assetto del riparto, può parlarsi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, al pari di giurisdizione esclusiva del G.O.

Nella parte in cui, nella più volte menzionata sentenza n.179/’99, si individua il ruolo guida del legislatore ordinario circa le “modalità di attuazione del principio della indennizzabilità del vincolo a contenuto espropriativo” che dovranno essere precisate, risultano evidenziati elementi che non possono non condurre verso la identificazione dei poteri del G.A. in “materie omogenee indicate dalla legge riguardanti l’esercizio di pubblici poteri”, come si riafferma nell’art. 119, comma primo, del progetto di riforma costituzionale, approvato dalla Commissione bicamerale.

Nelle scelte urbanistiche, dunque, secondo il Giudice delle leggi, che sono espressione emblematica della primazia del potere amministrativo, la discrezionalità è controllata, nel senso della necessità della coesistenza di “sistemi compensativi che non penalizzano i soggetti interessati” alla reintroduzione di vincoli, in esubero rispetto al cd. tempo di “franchigia”, costituito da un primo periodo, in relazione al quale non si determina alcuna limitazione del diritto di proprietà del bene gravato da previsione vincolistica.

La rinnovazione, quindi, provoca una interferenza “tra interessi ultraindividuali e interessi individuali che ovviamente convivono nella dinamica della vita sociale” [60] , pregiudizievole ex se in via diretta ed immediata per i secondi, cui si correla l’esigenza di bilanciamento a carico del soggetto preposto alla cura e soddisfacimento  dei primi,  mediante  la  realizzazione  di  opere  pubbliche   con

destinazione puntuale o ancor più diffusamente attraverso gli standards (d.m. 1968 n. 1444) che impongono vincoli “preordinati alla localizzazione di attività di interesse collettivo secondo criteri di proporzionalità rispetto agli insediamneti residenziali ed a quelli produttivi” [61] .

La Corte Costituzionale [62] individua il contemperamento delle conseguenti delimitazioni delle utilità economiche, nei confronti della pubblica amministrazione, che potrà “esercitare scelte tra misure risarcitorie, indennitarie e anche, in taluni casi, tra misure alternative riparatorie anche in forma specifica”.

Il Giudice delle leggi, dunque, riproponendo quasi pedissequamente le espressioni usate nella Ordinanza n. 165 del 4-8 maggio 1998 [63] , individua e definisce gli effetti e conseguenze dei vincoli urbanistici scaduti e reiterati (della categoria a carattere cd. “puntuale”) riguardo alla controprestazione che si impone, affinché rispondano a principi costituzionali, senza peraltro specificare a carico di chi e il quando, come si è già accennato.

9. Se, invero, è il vincolo (rectius: la reintroduzione, superato il periodo di “franchigia” che nella realtà può superare il margine temporale quinquennale, già di per sé normalmente accresciuto dal tempo della fase della adozione dello strumento urbanistico per l’obbligatorietà della applicazione delle misure di salvaguardia, come si è già anticipato, potendosi verificare l’approvazione del piano attuativo, e quindi, in sintesi, una moratoria dell’indennità che sempreché si superino possibili “ragionevoli” proroghe ex lege  per oltre quindici anni) fattore genetico dell’obbligazione, in quanto per essere ex lege [64] deve essere supportato da previsione di indennizzo, deve potersi convenire che a corredo degli atti dello strumento urbanistico in itinere deve risultare una apposita relazione finanziaria, (al pari di quanto si prevede per l’approvazione del piano particolareggiato, equivalente a dichiarazione di pubblica utilità) o di apertura ad una procedimentalizzazione negoziata laddove trovi ingresso quella apertura della Corte Costituzionale verso “altri sistemi compensativi” con il ricorso a misure alternative, quali quelle esemplificate in motivazione, della assegnazione di altre aree, che di per sé identifica un accostamento a modelli di matrice diversa e tipizzata nella espropriazione, su cui si tornerà, che lasciano intravedere una latitudine più ampia dell’istituto della partecipazione, disciplinato ex l. 241/1990 e che nella l. 1150/1942 aveva avuto un antesignano nelle osservazioni al P.R.G. adottato.

Non sembra azzardato non escludere che la rinnovazione di un vincolo urbanistico, della categoria preordinata ad espropriazione per p.u., pur non integrando un modello ablatorio in senso proprio, abiliti ad introdurre un’esplicitazione dell’amministrare per accordi – che, come è noto, nell’art. 11 della menzionata l. 241/1990 riceve consacrazione -, attraverso il convenzionamento per soluzioni alternative, che, da un lato, consentono la conservazione, a questo punto sine die, della previsione e, dall’altro, il soddisfacimento e reintegrazione della sfera giuridico-patrimoniale del proprietario del bene, da ricercarsi nella ipotesi avanzata dalla Corte, relativa “ad assegnazione di altre aree idonee alle esigenze del soggetto che ha diritto ad un ristoro (v. come esempio di misura sostitutiva di indennità, art. 30, primo e secondo comma, della legge 28 febbraio 1985 n. 47)”.

L’accostamento ad un modello legale di disciplina speciale, riguardante la formazione, adozione ed approvazione delle varianti agli strumenti urbanistici generali finalizzate al recupero urbanistico degli insediamenti abusivi (art. 29) ed in base al quale “in luogo dell’indennità di esproprio i proprietari di lotti di terreno vincolati attraverso dette varianti “possono chiedere che vengano loro assegnati equivalenti lotti disponibili nell'ambito dei piani di zona di cui alla l. 18 aprile 1962 n. 167.……..”, offre più di uno spunto di riflessione.

In primo luogo, sembra cogliersi l’inclinazione del Giudice delle leggi a riconoscere nella fattispecie, ancorché di portata limitata al valore, una effettiva espropriazione con l’equiparazione a situazioni traslative, nel concreto, che per un vincolo rinnovato non si realizza.

Appare, altresì (in diritto), impraticabile, per l’evidente squilibrio che vi si coglie, ipotizzare assegnazione di aree (in diritti di superficie o cessione in proprietà) in ambito PEEP e quindi alla costituzione di un diritto reale a bilanciamento di una previsione, che non provoca ex se ed in quanto tale, effetti parimenti costitutivi  di  diritti reali e che di conseguenza non offre parametri economici che possano sostenere ed equivalere a quelle che, secondo la norma richiamata, è una conversione di una obbligazione pecuniaria (indennità di espropriazione) in una permuta, dovendosi tenere in considerazione, peraltro, il divario tra misura del valore del bene che viene assegnato, e della legittimità che afferisce alla previsione vincolistica rinnovata, attraverso la onerosità, riconosciuta, dell’esercizio del potere discrezionale che la produce, unitamente al divario tra le fasi di tempo che caratterizzano il rapporto tra previsione vincolistica e sua realizzazione, che identifica il momento effettivo del trasferimento (normalmente coattivo del bene che necessita per la realizzazione dell’intervento di pubblica utilità che beneficia della prevalenza della preliminare localizzazione.

L’esemplificazione in parola di una delle possibili soluzioni al problema dell’indennizzo, a caratterizzazione ed identificazione come obbligazione ex lege, può, se attuata, provocare la concentrazione di risultato di due procedimenti in evidente successione temporale, quello riservato alla pianificazione, per la rinnovazione di una scelta che affermi il primato della previsione di un modo di concepire il soddisfacimento degli interessi generali, e quello ablatorio che attraverso la seriazione degli atti che lo caratterizzano (approvazione progetti di massima, definitivo, esecutivo, etcc..) concorre alla effettiva realizzazione.

Non sembra azzardato altresì ritenere proporzionato il rapporto tra misura del corrispettivo per vincolo urbanistico preordinato ad espropriazione e per assegnazione di aree, a meno che non si pervenga alla immediata definizione con la conversione della previsione de qua mediante trasferimento delle aree corrispondenti.

Se, invero, il riferimento all’art. 29 l. 47/85, operato dal Giudice delle leggi, deve essere apprezzato nella sua interezza, deve constatarsi che viene a riconoscersi al proprietario una potestà, per il cui esercizio e concretizzazione non sembra estraneo il modello degli accordi ex art. 11 l. 241/1990 con la convergenza verso l’affermazione della competenza funzionale esclusiva del G.A.

E’, dunque, ipotizzabile che siffatta facoltà, riservata al proprietario, potrebbe risolvere il problema se implicante l’accesso ad un immediato trasferimento al patrimonio comunale (e se le opere pubbliche localizzate non sono di competenza di detto Ente locale?) delle aree gravate dal vincolo rinnovato, ma non anche, puramente e semplicemente, costituire l’equivalente della obbligazione indennitaria che detta rinnovazione provoca, se si vuole che sia ex lege.

Riaffermata, dunque, la indennizzabilità di vincoli urbanistici per il superamento del ripetuto limite di “franchigia” attraverso la rinnovazione, cui non sembra potersi collegare l’ipotesi di protrazione, come fattispecie distinta ed alternativa, in quanto è la reiterazione ad integrarla di fatto [65] , nella ricerca di una identità di qualificazione giuridica nel contesto delle “obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito” dal titolare del diritto dominicale del bene che ne è colpito, prima ancora delle modalità di quantificazione e liquidazione, si coglie un apertura ampia del Giudice delle leggi, consapevole degli effetti e conseguenze che derivano a carico del soggetto pubblico in relazione ad una pluralità di situazioni che simultaneamente possono venire a realizzarsi [66] , non solo attraverso “sistemi compensativi che non penalizzano i soggetti interessati”, genericamente indicati ed ulteriori rispetto alla assegnazione di aree, di cui si è detto, di non facile lettura, secondo i parametri propri di una urbanistica non contrattata, e soprattutto di non facile perseguibilità [67] per una corretta delimitazione delle “utilità economiche suscettibili di ristoro patrimoniale nei confronti della pubblica amministrazione”, ma soprattutto mediante indicazione, in contestuale allineamento sotto il profilo oggettivo e soggettivo, che è una novità verso la quale si è spinta la Corte, in ordine ai vincoli che “restano al di fuori dell’ambito della indennizzabilità” e precisamente:

a) “i vincoli incidenti con carattere di generalità e in modo obiettivo su intere categorie di beni – ivi compresi i vincoli ambientali paesistici”;

b)  “i vincoli derivanti da limiti non ablatori posti normalmente nella pianificazione urbanistica”;

c) “vincoli comunque estesi derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato”;

d)  “i vincoli che non superano sotto il profilo quantitativo la normale tollerabilità”;

e)  “i vincoli non eccedenti la durata (periodo di franchigia) ritenuta ragionevolmente sopportabile”.

L’esonero dalla indennizzabilità, riferito ai vincoli così come individuati in sentenza sub a; b; d; e, è il risultato di sintesi dell’indirizzo pluritrentennale stratificato, della Corte Costituzionale, affermato con i precedenti più significativi, richiamati in motivazione, sopra ricordati.

10. Merita attenzione il distinguo (che parimenti esclude l’indennizzabilità sotto il profilo soggettivo) che, per la prima volta, viene in evidenza e si aggiunge ai fattori temporali e di qualificazione oggettiva delle fattispecie che vanno considerati come “limiti non ablatori” in quanto “normali e connaturali alla proprietà” o attengano “ad intere categorie di beni e perciò interessino la generalità dei soggetti con una sottoposizione indifferenziata di essi – anche per zone territoriali – ad un particolare regime”, o, ancora, rispondano all’apprezzamento discrezionale, quanto a durata (anche attraverso proroga), del legislatore e risulti contenuta in termini di ragionevolezza.

Riconosce, invero, il Giudice delle leggi che previsioni vincolistiche, quali quelle che, per natura, una volta superata la soglia temporale del limite di franchigia, devono essere assistite dalla previsione di (rectius sarebbe preferibile modificare in: provocano il diritto ad ) indennizzo, per rispondere alle garanzie costituzionali del diritto di proprietà, possono esserne sottratte con riferimento al soggetto attuatore, avuto riguardo alla realizzabilità ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata.

La alternativa suscita qualche perplessità ed offre spunti di riflessione, specie attraverso le esemplificazioni che si leggono in sentenza.

Si coglie, in realtà, un implicito suggerimento come correttivo all’onere della copertura finanziaria dell’indennizzo. Basterà introdurre nelle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico generale l’apertura alla flessibilità, con possibilità di sottrazione e deroga al principio generale di avocazione alla mano pubblica, per escludere la indennizzabilità.

E’ pur vero che l’ordinamento positivo si è arricchito, negli ultimi anni, di modelli organizzativi che, attraverso la cd. urbanistica contrattata [68] , conducono verso un crescente ampliamento della partecipazione diretta dei privati, come, ad esempio, le società di trasformazione urbana (che, peraltro, il legislatore ha di recente ricompreso nella materia dei pubblici servizi [69] ), i contratti d’area; i piani di riqualificazione urbana, etcc…

Si ha, tuttavia, ragione di dubitare se, specie secondo le indicazioni esemplificate, possa riconoscersi piena aderenza e corrispondenza agli indici rivelatori del limite imposto al potere pianificatorio susseguente la primitiva dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 7 l. 1150/1942, nella parte in cui, come è noto, confliggeva con i canoni della Carta fondamentale la introduzione (mediante localizzazione) di vincoli preordinati ad espropriazione, comportando l’approvazione dei relativi progetti la dichiarazione di pubblica utilità, e la indeterminatezza dell’an e del quando della realizzazione, stante anche l’assenza di temporalizzazione dello stesso piano regolatore generale.

Vincoli, in sostanza, corrispondenti ad opere pubbliche, che trovano qualificazione anche attraverso l’identificazione, ex art. 2 l. 109/94, così come integrato dall’art. 1 l. 415/98, dei soggetti che sono tenuti alla applicazione della legislazione sui lavori pubblici, di diritto interno o comunitario.

Non sembra azzardato affermare che si coglie una circolarità, sotto il profilo soggettivo-oggettivo, che si estende fino a trovare coincidenza con i canoni dell’urbanistica e di tutela costituzionale del diritto di proprietà, nel senso di poter riconoscere che integrano ipotesi di fattore genetico dell’obbligo di indennizzo quei vincoli, soprattutto puntuali, che trovano ingresso nello strumento urbanistico generale, sin dalla adozione, attraverso l’esercizio di quel pur ampio potere discrezionale che recede di fronte ad irragionevolezza [70] , mancanza di proporzionalità [71] , che si concretizza, usualmente, attraverso localizzazioni o rinvio a piani particolareggiati di esclusiva iniziativa pubblica, come ad es. piani per l’edilizia economica e popolare, più confacentemente identificabili come piani per l’edilizia residenziale, e piani per impianti produttivi.

Non altrettanto sembra potersi condividere a fronte delle ricordate esemplificazioni, sulle quali ha ritenuto di soffermarsi il Giudice delle leggi, facendo riferimento “ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la

distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura o sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato”.

Ora, se si ha riguardo a siffatta suscettibilità, viene dato di sollevare dubbi sulla riconducibilità di dette iniziative tra quelle per le quali deve raggiungersi, secondo l’ultratrentennale indirizzo della Corte, un equilibrio e contemperamento tra gli interessi generale e individuale, rectius: pubblici e del privato, identificabili, in presenza di previsione urbanistica vincolistica, nei sensi precisati più volte dallo stesso Giudice delle leggi, attraverso, in primis (sin dalla formalizzazione della, ad es., rinnovazione) il riconoscimento ed affermazione della indennizzabilità relativa.

In buona sostanza, ancor prima del modulo che qualifica l’intervento che, in realtà, ha più di una possibile identificazione, nel quadro delle soluzioni che l’ordinamento interno offre [72] , la correlazione tra temporalizzazione (superamento del margine di tollerabilità o franchigia) e le conseguenze che derivano a svantaggio (obbligazione indennitaria) della reintroduzione del vincolo, secondo i ripetuti parametri di compatibilità costituzionale, in relazione ad obiettivi insediativi, per la cui realizzazione ci si può avvalere dei procedimenti espropriativi, non può subire deroghe in funzione del soggetto attuatore. Significherebbe sottrarsi ad un paradigma, consacrato come principio, quale rapporto di conseguenzialità che deve immediatamente correlarsi ex se al momento della esplicitazione della volontà di rinnovazione di destinazione vincolistica, nel senso che l’obbligazione, a carico del soggetto pubblico, sorge automaticamente con l’adozione dello strumento urbanistico che detta scelta (negativa per il privato) (re)introduce, con la conseguenziale facoltà a potersene pretendere l’adempimento [73] .

L’effettiva identificazione del soggetto agente, invero, potrebbe accadere esclusivamente nella fase della realizzazione, con differimento del se e del quando e, quindi, con sostanziale vanificazione della tutela del diritto di proprietà del bene sul quale grava la scelta di pianificazione, protetto in parte qua, nei sensi confermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza più recente.

E’ pur vero che attraverso i nuovi modelli di intervento, che il legislatore ha coonestati su impianto rigido (ed unico, ad oggi) secondo la articolazione piramidale delineata dalla l. 1150/1942, ed ai quali è stato fatto cenno, si perviene, da un lato, alla applicazione concreta della linea di tendenza verso un amministrare per accordi e quindi verso un’attività non autoritativa, dall’altro, alla apertura al privato verso la disponibilità di strumenti di gestione del territorio, ulteriori rispetto a quelli “tradizionalmente” identificati come di stretta osservanza (ad es., piani di lottizzazione, comparti, piani di recupero di iniziativa privata), attraverso i quali vengono rivisitati i criteri soggettivi ed oggettivi per la identificazione e qualificazione degli organismi di diritto pubblico [74] , ma non sembra potersi discostare dall’asse che caratterizza il rapporto: localizzazione, e quindi presupposto di conformità urbanistica, relativa tipicità per l’attuazione, per pervenire, coma ha suggerito il Giudice costituzionale, ad un esonero dall’assoggettamento ad obbligazione indennitaria per la rinnovazione di un vincolo preordinato ad espropriazione.

A prescindere, però, dal rapporto tra le fasi di tempo, cui si è fatto cenno, della rinnovazione, con il carico della obbligazione indennitaria del vincolo ed effettiva azionabilità del diritto all’adempimento, non sembra azzardato disconoscere, nelle esemplificazioni rese in sentenza, che ad identità di presupposti (vincoli) corrisponda diversità di risultato, indenne da dubbi di costituzionalità per il solo tramite della identificazione del soggetto agente, cui va a correlarsi la qualificazione stessa degli interventi.

Ed è proprio su quest’ultimo profilo che si incentrano le maggiori perplessità per essere stati individuati ambiti di intervento che avrebbero richiesto una pur immediata, incisiva spiegazione, riguardando zonizzazioni che appartengono alla iniziativa pubblica (piani PEEP e per impianti produttivi), se prese in considerazione secondo l’ordinamento vigente, al pari di attività di trasformazione puntuali, quali “parcheggi e impianti sportivi” e nel contempo, risultando accomunante oltre che tipicamente, non hanno alcun punto di convergenza con omologhe iniziative, proprie dell’area pubblica, come potrebbe essere tra un complesso ospedaliero pubblico ed una casa di cura. Non altrettanto si coglie, ad esempio, laddove vengono indicati i “complessi per la distribuzione commerciale”, in quanto emblematica testimonianza della iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), a fronte della quale è arduo individuare un collegamento con i poteri (limitati o condizionati) della pianificazione urbanistica, nei sensi intorno ai quali si discute da oltre trenta anni, per riconoscere, nella sola individuazione del soggetto attuatore, l’affrancazione dalla connessione con l’obbligazione indennitaria, per la reintroduzione di detta soluzione insediativa tra le previsioni di uno strumento urbanistico e quale accostamento suggerisca con riguardo “ad indicazioni” (art 2 comma primo l.1187/’68), nel P.R.G..

12. Per quanto riguarda le altre esemplificazioni, invero, l’attenzione incontra almeno due versanti di riflessione. Si prenda “il riferimento………ai parcheggi (ed agli) impianti sportivi”. Se, ab initio, vengono individuati come “iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato”, autonomamente apprezzate rispetto ad infrastrutture di urbanizzazione secondaria in un normale contesto lottizzatorio di iniziativa privata, peraltro eccedente l’onere che normalmente si esaurisce con la cessione gratuita dell’area da utilizzare, non è dato comprendere come possano sorgere questioni sui modi di acquisto delle superfici necessarie, per escludere la soggezione alla preliminare e preventiva obbligazione indennitaria che la destinazione urbanistica produce ex se rispetto alla indennità di espropriazione, trattandosi di previsione, e non di vincolo, che non è prodromica alla utilizzazione degli istituti che abilitano alla acquisizione, con il conforto della dichiarazione di pubblica utilità.

Se, per converso, si è inteso fare riferimento ad iniziative pubbliche, come espressione di una riserva originaria, può anche sussistere un regime di economia di mercato, attraverso l’istituto della concessione di costruzione e gestione che non può escludere che, ancorché per il tramite del trasferimento di poteri amministrativi ad una autorità non amministrativa, si realizzi la fattispecie tipica che caratterizza ex se il rapporto tra reintroduzione (di cui si discute) della corrispondente previsione di destinazione / ed insorgenza della obbligazione indennitaria.

Per quanto attiene, poi, alle “altre utilizzazioni, quali zone artigianali o industriali o residenziali”, deve osservarsi che la Corte supera i limiti dell’ordinamento interno, atteso che i piani per impianti produttivi e per l’edilizia residenziale, secondo gli artt. 27 e 35 l. 22 ottobre 1971 n. 865, sono riservati alla iniziativa pubblica con acquisizione di tutte le aree occorrenti, tanto che il proprietario è escluso da qualsiasi possibilità surrogatoria  o di intervento diretto, ma deve “accontentarsi” di richiedere l’assegnazione di un’area.

Riguardo a zone residenziali, che possano identificarsi in quelle di espansione, è agevole poter escludere, a priori, l’esigenza di riconoscervi  caratteri vincolistici, preordinati alle espropriazioni e quindi di per sé indennizzabili, secondo l’indirizzo di costituzionalità in rassegna, in quanto, in tema di zoning ad uso abitativo, il diritto positivo non richiede specificazioni localizzative, nel contesto di pianificazione generale ma riserva ai piani attuativi la distribuzione insediativa, infrastrutturale e dei servizi, da regolamentare mediante apposita convenzione di lottizzazione [75] , nel rispetto di parametri essenziali che in via di preregolazione generale stanno ad identificare il risultato di un ottimale equilibrio.

Tutto ciò, però, già appartiene alla iniziativa privata; non richiede la intermediazione autoritativa per traslazione delle aree e quindi non appartiene alla categoria di quelle indicazioni urbanistiche, come significativamente è affermato al comma primo dell’art. 2 l. 1187/1968, per le quali si riconosce la indennizzabilità e che si vuole escludere, così come si afferma in sentenza. Né può dubitarsi del contrario attraverso il rinvio ai piani di lottizzazione di ufficio, riguardando direttamente e precipuamente la fase della realizzazione.

Appare, dunque, certo, in conclusione, a prescindere dal confine di esonero tracciato, il binomio vincolo urbanistico/indennizzabilità ex se per via della rinnovazione, oltre quindi il margine di franchigia.

Non altrettanto la qualificazione, in assenza di univocità di  situazioni, potendo verificarsi che:

a)      la rinnovazione della indicazione urbanistica, di cui si discute (art. 2, comma primo, l. 1487/1968), risulti correttamente supportata da ragioni di interesse generale, concrete ed attuali ed

a.1 è assistita da previsione indennitaria adeguata;

a.2 non adeguata;

a.3 non è assistita da previsione indennitaria.

b)      la rinnovazione non è supportata, o adeguatamente sostenuta, da ragioni di interesse generale;

b.1 per giunta, senza previsione indennitaria, o inadeguata;

b.2 con previsione indennitaria adeguata.

L’articolazione delle “combinazioni” possibili evidenzia situazioni differenziate, riguardo anche alla identificazione e qualificazione giuridica dell’obbligo indennitario che si realizza (rectius: deve realizzarsi) le tante volte che l’esercizio di poteri pianificatori si concretizzi, puntualmente, attraverso la reiterazione di un vincolo, superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea, e preordinati a concretizzarsi, previa espropriazione per pubblica utilità del terreno, fatto segno dalla localizzazione, nel contesto della adozione di strumento urbanistico generale o, ancor più significativamente, di variante parziale.

E’ agevole poter constatare che l’indennizzabilità è, in ogni caso, (sub a e b), dipendente dal ripetuto esercizio del potere discrezionale che si estrinseca nelle scelte urbanistiche, attraverso gli strumenti che ne sono vettori. Ciò rafforza, come si è già detto, l’individuazione del “giudice competente”, come si è limitata a qualificarlo la Corte, nella giurisdizione esclusiva del G.A. e nei nuovi poteri decisori che gli sono riconosciuti, che offrono una concentrazione di risultato a supporto della effettività di tutela  che può essere conseguita.

Nelle ipotesi sub a, e più precisamente sub a.2 e a.3, la legittimità della attività di pianificazione non si estende fino a ricomprendere - in tutto o in parte - la previsione  di indennizzo.

Costituisce il risultato di un giudizio di accertamento con la determinazione della giusta misura della indennità e la condanna, all'adempimento, come obbligazione ex lege, quale punto di equilibrio tra l'interesse pubblico alla utilizzazione (futura) del terreno localizzato ed interesse del privato che ne è il proprietario.

Non sembra poter essere condiviso che in relazione ad un potere amministrativo, esercitato in iure, la indennità, che garantisce legittimità alla rinnovazione di un vincolo urbanistico, debba essere apprezzata come risarcimento, alla stregua dell'orientamento della Corte di Cassazione [76] riguardo alle servitù coattive [77] ed in particolare alle servitù pubbliche di natura amministrativa [78] , così come per l'espropriazione per pubblica utilità e le requisizioni, a fronte delle quali è previsto il pagamento di giusta indennità (artt. 834 e 836 c.c.; art. 42, coma terzo, Cost.).

Gli accostamenti o gli allineamenti tra istituti diversi appaiono costituire un modo esasperato di superare una crisi di identità di fattispecie resa giuridicamente rilevante dal Giudice delle leggi. Appare, invero, più lineare, soprattutto in presenza della nuova giurisdizione esclusiva amministrativa (che peraltro non rende più decisivo il dilemma se anche l'interesse legittimo sia risarcibile), riconoscere l'insorgenza di una nuova obbligazione pecuniaria, ex lege, relazionata alla reintroduzione del vincolo e per il solo fatto di detta rinnovazione. [79]

L'annullamento dell'atto che abbia illegittimamente reintrodotto o prorogato un vincolo (ipotesi sub b) abilita ad istanze risarcitorie, aventi ad oggetto i diritti patrimoniali conseguenziali, per effetto ed a ragione della indisponibilità del bene per il tempo della reimposizione del vincolo fino alla sentenza che abbia disconosciuto, come corretto, l'esercizio del potere amministrativo ed, in ogni caso, il primato effettivo dell'interesse pubblico al riguardo [80] . 

L'accesso a misure riparatorie, mediante reintegrazione in forma specifica, appare invero di non facile percezione, ove manchi una situazione peculiare, avuto riguardo ai limiti che il G.A. riconosce nei confronti della discrezionalità, in via generale, ed a quelli affermati [81] relativamente alle conseguenze della caducazione del vincolo, che dovrebbe poter costituire l'equivalente della dichiarazione di illegittimità della sua reintroduzione, tanto più che detta censurata rinnovazione è stata pur sempre preceduta da altra scelta autoritativa di pari intensità, quanto ad effetti sulla disponibilità del bene, e quindi per la sfera giuridico-patrimoniale del soggetto che è titolare del relativo diritto di proprietà, quella volta, però, in periodo di franchigia, cioè senza indennizzo.

La monetizzazione appare, invero, il criterio più consono, anche per i nuovi poteri del giudice amministrativo esclusivo, ex art. 35, comma secondo, d.lgs. 80/1998 [82] che, a ben vedere, finiranno per penalizzare in ordine di tempo, il privato perché l'effettiva condanna dell'Amministrazione risulterà conseguibile solo con sentenza del Giudice dell'ottemperanza [83] , e quindi attraverso i poteri, sul campo, del commissario ad acta.

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[1] Ord. AP n. 20 del 25 settembre 1996 in Cons. Stato, 1996, 1290.

[2] cfr. l. 23 giugno 1865 n. 2359.

[3] V. Cerulli Irelli: "Le prospettive della riforma urbanistica in Italia nel mutato quadro dei rapporti tra Stato centrale ed autonomie territoriali"; "La disciplina urbanistica in Italia: problemi attuali e prospettive di riforma". Torino, 1998, 45, ivi, P. Urbani: "Problemi vecchi e nuovi della disciplina urbanistica in Italia"; S. Amorosino: "Cinquant'anni di leggi urbanistiche: spunti preliminari ad una riflessione" in Riv.Giur.Ed., 1993, 93.

[4] cfr. B. Stella Richter: "Indicazioni per una legge urbanistica di principi" in "La disciplina urbanistica in Italia", cit. 15; V. Cerulli Irelli: "Urbanistica" in Dir. Amm. A cura di G. Guarino, Milano, 1983, 1673; P. Urbani, op. cit., 5; S. Amorosino op.cit; P. Mantini: "Scenari evolutivi del diritto urbanistico" e "Le funzioni urbanistiche tra pubblico e privato"in Riv. Giur. Ed. 1995, 111; 1993, 281; V. Parisio "Programmazione del territorio" in Riv. Giur. Ed. 1995, 110.  

[5] L'indicazione di fascia temporale triennale per gli interventi degli EE.LL. è affermata con l'art. 14 l. 109/94.

[6] cfr. art 2 l. 109/94 ed art. 1 l. 415/98.

[7] in realtà, non può non influire la relatività delle fattispecie: se si pensi alla ipotesi di previsione di una strada comunale di collegamento esterna al nucleo abitato, la conformazione fisica della  indicazione de qua non può non influire sulla dimensione del problema, anche ai fini della quantificazione dell’indennizzo.

[8] In sent. 179/99.

[9] Tenuto conto del termine di anni 18, definito per la validità dei piani di zona per l’edilizia economica e popolare ex art 51 l. 457/1978, cui vanno aggiunti gli anni di proroga ex art 1 bis, commi 1 e 2, aggiunto al d.L. 22 dicembre 1984 n. 901 dalla legge di conversione n. 42 del 1 marzo 1985, riconosciuto non contrastare con la carta costituzionale con sent. 17/30 marzo 1992 n.141 in Giur. Cost. 1992, 1164 e segg..

[10] in Lexitalia. It, pag. www.lexitalia.it/corte/cortecost. 1999-0179.htm

[11] In risposta alla sent. n. 55/1968 Corte Cost., il legislatore, con rara solerzia, ebbe ad introdurre, ferma la indeterminatezza del tempo di durata del PRG, il limite quinquennale di efficacia dei vincoli urbanistici preordinati ad espropriazione.

[12] in Giur. Cost. 1966, 72 e segg. con osservazioni di F. Lubrano “Alcune considerazioni sui limiti delle questioni di legittimità costituzionale”.

[13] In Foro Amm. 1963, IV, 141; S. Mangiameli, in "La proprietà privata nella costituzione", Milano, 1986, 93 e segg., ritiene che il contenuto della nozione di proprietà presupposto dal Costituente è racchiuso nella espressione : "diritto di godere e di disporre delle cose", nella quale si condenserebbe la configurazione - di origine romanistica - dell'istituto, secondo cui la proprietà costituisce "la signoria più generale in atto in potenza sulla cosa". Ne sono caratteri tipici la "pienezza" e l'"assolutezza" del dominio: la prima intesa come potere (almeno potenzialmente) illimitato, la seconda come caratteristica inerente alle modalità di esercizio del diritto, di escludere ogni altro dal godimento e dalla disposizione della res, di rivendicarla e di chiedere protezione allo Stato contro ogni turbativa apportata al suo diritto. In concreto, poi, la eventualità che contenuto e caratteri del dominio mutino anche in misura notevole, per opera della legge e per ragioni di pubblica utilità, non sembra intaccare la nozione in quanto tale, ma anzi si spiega all'interno di questa, con l'attributo della elasticità e con l'attitudine alla espansione, proprie del diritto in esame. Va osservato, inoltre, che, con riguardo alla possibilità per la legge di incidere in modo permanente sulla (o di modificare la ) titolarità, il diritto è salvaguardato dal principio della monetizzazione della proprietà (ricavabile, ormai, da numerose disposizioni, ma della cui esistenza non si dubitava già al tempo del codice del 1865 e della coeva legge n. 2359 sulla espropriazione per pubblica utilità). Infatti, assumendo la proprietà una connotazione sociale, il dominio appare modificabile. Tuttavia, in occasione di ogni codificazione, l'ordinamento riconosce l'esistenza di un valore (economico) originario che riconduce l'istituto al suo concetto tradizionale nel quale il diritto dominicale è espressione (riconosciuta e garantita) della personalità. In conseguenza di ciò, la proprietà privata non può essere soppressa e, nell'ipotesi in cui la titolarità del singolo privato non sia compatibile con l'interesse generale, essa viene convertita nel suo equivalente monetario”.

cfr. G. Alpa, M. Bessone. "Atipicità dell'illecito. III Diritti reali tutela dell'ambiente, Milano, 3^ ed.,1994, 84; G. Alpa, M. Bessone ( a cura di) "Poteri dei privati e statuto della proprietà" (la nuova disciplina della proprietà edilizia ) Padova, 1992; G. Alpa M. Bessone, L. Francario "Il privato e l'espropriazione", Milano, 1994; M. Antonino Ciocia: "Aree protette e diritto di proprietà. Vincoli urbanistici ed uso del territorio", Padova, 1999,  65; G. Pagliari: "Corso di diritto Urbanistico", Milano, 1997, 92; N. Centofanti: "La legislazione urbanistica", Padova, 1998, 85.

[14] Si legge in motivazione (sent. 6/66 cit), a proposito delle servitù militari: “che trattisi di servitù o di limiti non ha influenza decisiva, come ha messo bene in luce l'ordinanza della Corte di cassazione; tanto più che, non essendo chiarito a sufficienza nella legislazione, nella giurisprudenza e nella dottrina il significato dei due termini "servitù" e "limiti" (assunti come sinonimi ed intercambiabili i due termini "limiti" e "limitazioni", le cui differenze di significato, se pure esistono, non hanno rilievo ai fini della questione in esame), specialmente in rapporto alle servitù militari, il tentativo di una definizione di tale significato in questa sede non partirebbe da una base sicura e difficilmente approderebbe ad una sicura soluzione.

Ma anche se fosse possibile giungere ad una appagante discriminazione, rispetto alle predette "servitù", dei due concetti di servitù e di limite, ciò non offrirebbe un criterio valevole per identificare i casi in cui sussista espropriazione e quindi diritto all'indennizzo. Difatti, non sarebbe esatto affermare che si abbia sempre espropriazione nei casi di servitù e non si abbia mai espropriazione nei casi di liti, giacchè possono esserci imposizioni di servitù che non importano espropriazione e imposizioni di limiti che hanno carattere di espropriazione, secondo la natura, l'incidenza, l'entità del sacrificio che deriva dall'imposizione".

Oltre alle servitù militari, (l. 24 dicembre 1976 n. 898; modifiche ed integrazioni con l. 2 maggio 1990 n. 104), tra le servitù pubbliche, di natura amministrativa, si ricordano: le servitù aereonautiche (l. 23 giugno 1927 n. 1630); servitù ferroviarie (l. 12 novembre 1968 n. 1202; d.P.R. 11 luglio 1980 n. 753); servitù per telecomunicazioni  (d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156); servitù stradali (nuovo codice della strada, approvato con d. lgs. 285/1992) d.M. 1 aprile 1968; servitù di funicolare (l. 13 giugno 1907 n. 403; r.d. 25 agosto 1908 n. 829; regolamento per funicolari approvato con d.P.R. 18 ottobre 1957 n. 1367; l. 27 luglio n. 660); servitù di elettrodotto (r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775; l. 28 giugno 1986 n. 339).

[15] “la logica del sistema impone di considerare che la violazione della garanzia si avrebbe non soltanto nei casi in cui fosse posta in essere una traslazione totale o parziale del diritto, ma anche nei casi in cui, pur restando intatta la titolarità, il diritto di proprietà venisse annullato o menomato senza indennizzo” (Corte Cost. sent. n 6/1966, cit.)

[16] in Giur. It. 1966, I, sez. 1 , 1201

[17] ad iniziative del Club dei Giuristi dell'Istituto "L. Sturzo", dell'Associazione Italiana di diritto urbanistico (AIDU), della Rivista Giuridica dell’Edilizia, si è celebrato a Roma il 20 aprile 1998 un Convegno su “trent’anni doppo: l’impatto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 55 e 56 del 1968 sull’evoluzione successiva dell’ordinamento giuridico e dell’urbanistica” con relazioni ed interventi di M.A. Sandulli; P. Stella Richter; F. Spantigati; P. Avarelli; F. Savini; S. Amorosino; A. Guizzi; P. Urbani; G. Lavitola in Riv. Giur. Ed. 1998, II, 55 e segg. Di grande ed indubbio rilievo è il contributo offerto dagli autorevoli esponenti della dottrina, intervenuti, avuto riguardo alla ampiezza e diversificazione delle riflessioni, maturate a distanza di trenta anni, coinvolgenti anche l’inquadramento delle sentenze n. 55 e 56, “pietra miliare per la costruzione della garanzia costituzionale del diritto di proprietà immobiliare” (Sandulli), nel quadro socio-politico del tempo.

Ricorda Spantigati che “le due sentenze, nel linguaggio giuridico del tempo, parlarono di rapporto pubblico/privato, invece che di pluralismo di interessi. Non definirono una composizione di interessi, ma un regime di beni….a causa delle condizioni politiche, urbanistiche, giuridiche del 1968”. Suggerisce, tra l’altro, che le due sentenze vadano lette in rapporto inverso alla loro numerazione. “Prima è da leggere il principio che la realizzazione di interesse prevalente è attribuita con valutazione giuridica della qualità degli interessi coinvolti e prevale sul loro valore economico. Poi, in subordine, è da leggere il principiio che il confronto dei valori economici, in assenza di qualità prevalente non economica, deve riconoscere valore a ciascun interesse, con indennizzo per l’interesse che prima era tutelato e poi è venuto meno” (pag. 270). V. Salomone: “Vincoli PRG”; S. Russo: “Riflessioni a margine della decadenza dei vincoli urbanistici” in Riv. Giur. Ed. 1997, 89, 105. Ancora sul tema, tra gli altri, M.A. Sandulli: “Ancora sull’indennizzabilità dei vincoli urbanistici” in Riv. Giur. Ed. 1990, I, 196. Puntuale e particolarmente incisiva l’analisi di G. Morbidelli: “Ancora sui vincoli urbanistici nelle aree urbane: non sono più temporanei ma allora sono da indennizzare” (Giur. Cost. 1990, 449) con amplissimi riferimenti di dottrina.

[18] La sentenza n. 56, alla quale erroneamente viene riservato un ruolo marginale, rispetto alla 55, in realtà, introduce la distinzione dei vincoli di categoria, sottraendoli dal regime vincolistico-indennitario.

F. Pagano: “Piani paesistici e relazioni tra urbanistica e tutela ambientale” in Riv. Giur. Ed. 1996, 139; G. D’Angelo: “Piani Paesistici e Piani Urbanistici: contenuti, funzioni e loro attualità” in Riv. giur. Ed. 1996, 163.

G. Morbidelli: “Tutela dell’ambiente e normativa urbanistica – riflessi sul diritto di proprietà” in Riv. Giur. Ed. 1988, II, 119 e segg.

[19] che la stessa Corte ricorda, in graduazione, come intensiva o meno intensiva ed estensiva o addirittura rada .

[20] in Riv. Giur. Ed. 1976, I, 855 e segg.

[21] 16 maggio 1975, in G.U. n. 242 del 1975.

[22] 16-29 aprile 1982 n. 82, in Cons. Stato 1982, II, 461 e segg.

[23] Ord. 7 novembre 1978 in G.U. n.182 del 1979.

[24] in Cons. Stato, 1982, II, 648.

[25] In Riv. Giur. Ed. 1989, I, 809.

[26] In Giur. Cost. 1990, 289 e segg. Cfr. M.A. Sandulli "Ancora sull'indennizzabilità dei vincoli urbanistici" in Riv. Giur. Ed. 1990, I, 196 e segg.; G. Morbidelli in "Ancora sui vincoli urbanistici nelle aree urbane: non sono più temporanei ma allora sono da indennizzare" in Giur. Cost. 1990, 450 e segg., così sintetizza: "decorso il primo quinquennio, il vincolo può essere reiterato (con una motivata procedura di variante urbanistica), decorso il quindicennio complessivo il vincolo non è assolutamente reiterabile se non prevedendo un indennizzo: diversamente si eluderebbe la temporaneità del vincolo. Vale a dire: il decorso dei cinque anni dalla approvazione dello strumento urbanistico generale, senza attuazione, determina la decadenza relativa del vincolo, in quanto, a determinate condizioni di procedura e di logicità di motivazione, esso è reiterabile; mentre il decorso complessivo dei quindici anni determina la decadenza assoluta del vincolo, nel senso che esso non è più reiterabile; mentre il decorso complessivo dei quindici anni determina la decadenza assoluta del vincolo, nel senso che esso non è più reiterabile (se non dietro indennizzo). Secondo l'Autore la Corte ha "salvato il potere di pianificazioone, i vincoli inaedificandi, l'interpretazione data dal giudice aministrativo circa la potestà di rinnovare i vincoli" (464); F. Bertolini: "Vincoli urbanistici di inedificabilità: "fin da non recevoir" da parte della Corte Cost?" in Giur. Cost. 1989, 2658; M. Riccio "La competenza spetta al Giudice Amministrativo anche in sede di giurisdizione esclusiva" in Guida al Diritto, 1999 n. 22, 138. P. Vaiano "La reiterazione dei vincoli urbanistici di natura espropriativa" in Foro Amm. 1987, 1329; G. Giambartolomei: "La reiterabilità dei vincoli di piano divenuti efficaci" in Foro Amm. 1984, 1829, nota a T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 11 luglio 1984, n. 683.

[27] In Giur. Cost. 1990, 289 e segg.

[28] Ord. 28/02/92 in G.U. n.42/1992.

[29] in Giur. Cost. 1993, 1277, con approfondita e puntuale analisi di D.M. Traina, “ancora inammissibili le questioni di costituzionalità dei vincoli urbanistici” (1285 e segg.), cui si rinvia anche per gli ampi riferimenti di dottrina. Ritiene l'Autore che "dalle sentenze soprarichiamate possono desumersi i seguenti postulati: a) se rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire gli strumenti di tutela nei confronti della pubblica amministrazione, non sfugge al sindacato di costituzionalità un sistema in cui, all'esperibilità in astratto dei rimedi giurisdizionali si contrappone il carattere defatigante e non conclusivo dei risultati ottenibili; b) in tale ipotesi, occorrendo dare effettività ad un diritto costituzionalmente garantito, spetta alla Corte stabilire i limiti al di là dei quali la tutela apprestata dalla Costituzione deve ritenersi violata; c) la mancata prefissione del termine entro il quale, per la tutela di un diritto costituzionale, deve cessare uno stato di soggezione del privato nei confronti della pubblica amministrazione determina l'incostituzionalità in parte qua della legge attributiva del potere; d) in tal caso la Corte può individuare il termine in via analogica, con riferimento a situazioni presentanti la stessa ratio e quindi meritevoli di identico trattamento in base al principio di eguaglianza ovvero con riguardo al momento in cui si determina la limitazione della posizione del soggetto interessato".

[30] in Giur. Cost. 1993, 1303 et segg. – cfr. nota redazionale e richiami di dottrina.

[31] in Giur. Cost. 1994, 3422 e segg.

[32] sent. 12-21 luglio 1995 n.344, in Giur. Cost. 1995, 2588 et segg.

[33] in Cons. Stato, 1996, 1290 et segg.

[34] Ordinanza n.411 del 5 giugno 1995, in Cons. Stato 1995, 648 et segg.

[35] su sentenza T.A.R. Lazio, sez. I, 14 aprile 1993 n.600, in Rass. i Trib. Amm. Reg., 1993, I, 1590. Con nota redazionale viene segnalato l’allineamento della Sezione alla giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. IV, 9 dicembre 1992 n.978; 13 maggio 1991 n.357; 9 maggio 1990 n.330 in Cons. Stato 1992, I, 1537; 1991, I, 849; 1990, I, 676).

[36] Si afferma, tra l’altro (pag. 651), che “anche una corretta pianificazione urbanistica, esente da vizi di violazione di legge o eccesso di potere, non può…divaricare nel tempo la cd. espropriazione di valore, conseguente alla sottoposizione di un immobile al vincolo di una futura espropriazione, e la concessione del relativo indennizzo. La limitazione al quinquennio dell’efficacia dei….vincoli, ai sensi dell’art 2 della legge n.1187 del 1968, ha proprio questa finalità e presuppone un fisiologico e corretto esercizio della potestà urbanistica”

[37] ratificata con la L. 4 agosto 1955 n.848

[38] Si precisa in motivazione (AP Ord. n.20/1996 cit, 1293): "In primo luogo, la mancata determinazione per legge dei casi in cui la reiterazione dei vincoli costituisce espropriazione di valore e comporta la corresponsione dell'indennizzo appare non conforme, sotto il profilo del difetto di tassatività della fattispecie, alla riserva di legge di cui all'art. 42 terzo coma della Cost., secondo cui la proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale nei casi preveduti dalla legge. Vero è che la possibilità di reiterazione dei vincoli urbanistici è propria della potestà pianificatoria, ma è vero altresì che appare ineludibile la definizione specifica dei casi in cui alla compressione del diritto di proprietà consegue, con l'espropriazione, la corresponsione dell'indennizzo. La proposizione generale di cui alla sentenza n. 575 del 1989 cit. della Corte costituzionale (l'indeterminatezza temprale dei vincoli, resa possibile dalla potestà di reiterarli indefinitamente nel tempo anche se con diversa motivazione o con altri mezzi, è costituzionalmente legittima a condizione che l'esercizio di  detta potestà non determini situazioni incompatibili con la garanzia della proprietà secondo i principi affermati nelle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968 cit.), sufficiente a risolvere le questioni di legittimità costituzionale della reiterazione dei vincoli urbanistici, ex se, non appare invece idonea a soddisfare il presupposto della riserva di legge, una volta che la questione dell'indennizzo sia, come qui appare, rilevante. Diversamente opinando, l'accertamento degli estremi della fattispecie espropriativa - di valore - sarebbe rimesso ad un apprezzamento discrezionale - delle Amministrazioni e dei giudici - con compromissione della certezza del diritto in una materia che esige uniformità di soluzioni. In secondo luogo, appare egualmente in contrasto con l'art. 42 terzo comma Cost. la mancanza di una previsione con legge dei criteri di determinazione dell'indennizzo per i casi di espropriazione di valore, necessaria per la concreta attuabilità del diritto all'indennizzo, così come per la copertura amministrativa della spesa. Infine - la questione è rilevante ai fini della pronuncia sui motivi d'appello del Comune di Roma - la mancata determinazione con legge di casi in cui la reiterazione dei vincoli costituisce espropriazione e comporta la corresponsione dell'indennizzo appare essere non soltanto in contrasto con la tutela costituzionale del diritto di proprietà, ma altresì di ostacolo al bilanciamento tra il diritto di proprietà e gli interessi costituzionalmente protetti cui è preordinata l'attività di pianificazione urbanistica";  M.A. Bazzani: "Vincoli inaedificandi tra tutela costituzionale del diritto di proprietà e potestà pianificatoria" in Urb. Appalti 1997, 174; G.Lavitola, in Riv. Giur. Ed. 1998, II, 278 cit., ha puntualmente analizzato l’ordinanza che precede

[39] in Giust. It. giustizia amministrativa home. http.www.infcom.it/giustamm/corte/cost. 1999.0179.htm.

[40] Corte Cost., 20 marzo 1978 n. 23, in Riv. Giur. Ed., 1978, I, 61.

[41] Salvo ipotizzare l’istituto della concessione di costruzione e gestione che in concreto è eccezione che conferma la regola.

[42] G.Roehrssen :“Gli strumenti urbanistici italiani”, Firenze, 1971, 31, invoca una riforma che dovrebbe ispirarsi a: "a) affermazione della prevalenza dell'interesse pubblico su quello privato attraverso il ripristino, quindi, di una situazione che invero non può non ritenersi pienamente corretta, non essendo da dubitare che la disciplina urbanistica tende al soddisfacimento di imponenti interessi della collettività; b) necessità della indifferenza dei proprietari delle aree interessate da un piano regolatore rispetto alla concreta destinazione delle aree medesime così che si stroncherebbe anche la speculazione dei privati; c) perequazione tra gli stessi proprietari, anche quale mezzo idoneo a consentire la già cennata indifferenza e, comunque, in omaggio ad un evidente criterio di giustizia distributiva; d) avocazione, nella massima misura possibile, delle plusvalenze derivanti dalla attuazione dei piani regolatori". Sui principi generali e sui contenuti del PRG copiosa è la dottrina, tra gli altri: A. M. Sandulli: "Scritti giuridici, VI, Diritto Urbanistico, 1990; Laschena-Pajno: "Enti pubblici e soggetti privati nella gestione del territorio" in "Il cittadino e la Pubblica Amministrazione dopo l'entrata in vigore del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, Milano, 1993, 67 e segg.; G. Torregrossa: "Introduzione al diritto urbanistico", Milano, 1978; F. Spantigati: "Manuale di diritto Urbanistico", Milano, 1969; V.Cerulli Irelli: "Pianificazione Urbanistica e interessi differenziati" in RTDP 1985, 4; P. Urbani, G. Civitarese: "Diritto Urbanistico:organizzazione e rapporti", Torino, 1990; G. D'Angelo: "Legislazione Urbanistica", Padova, 1998; G.C. Mengoli: "Manuale di diritto urbanistico", Milano, 1997; N. Assini, M. Mantini: "Manuale di diritto urbanistico", Milano, 1997; G. Spadaccini, S. Annunziata: "Urbanistica, Edilizia, Espropriazioni per pubblica utilità", Roma, 1980; A. Fiale: "Diritto Urbanistico", VII ed., Napoli, 1997, cit.

Sulla esigenza di adeguate misure perequative si sofferma V. Caianiello in "La riforma urbanistica come attuazione della Costituzione", In Urbanistica, 1997, n. 109, 88 e segg.; F. Forte: "Le alternative per il processo di socializzazione dei benefici e di contenimenti della rendita", ivi, 86 e segg.; S. Pompei: "Cinque nodi lungo le vie della perequazione in Italia", ivi, 71 e segg., indica le modalità per pervenire ad una giustizia distributiva tra i proprietari di aree suscettibili di utilizzazione urbana e formazione di patrimonio pubblico"

[43] Ord. AP 20/96 cit.

[44] G. Lombardo: “Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza amministrativa”, in RTDP, 1997, 939.

[45] G. Ferrari: "Il principio di proporzionalità" in Atti VII Convegno biennale di diritto amministrativo su "Potere discrezionale e controllo giudiziario", Brescia, 24-25 ottobre 1997.

[46] Non più, se viene eliminata la fase della approvazione da parte della Regione o dell'Amministrazione Provinciale.

[47] "Il sacrificio dell’interesse privato solo se l’interesse pubblico lo esiga in maniera perentoria" in G. Roeherssen: "Gli strumenti urbanistici italiani", cit. 34.

[48] così si esprime il Giudice delle Leggi: da intendersi, come precisa (in dec. 179/99), meglio come obbligazione.

[49] G. Santaniello: "Espropriazione per pubblica utilità: forme anomale" in Enc. Dir. XV, 1966, 899.

[50] G. Santaniello, op. cit., 902, afferma che "ci si intende riferire a quelle deviazioni dal paradigma tipico che alterano fondamentalmente il nucleo stesso del fenomeno: a) perchè l'intervento autoritativo, ordinato a spogliare uno o più soggetti della titolarità di diritti su una cosa ( e senza finalità sanzionatorie) per la realizzazione di un interesse pubblico, si attua omettendo un momento essenziale quale la concessione dell'indennizzo; b) perchè la misura amministrativa pur lasciando formalmente inalterata la titolarità del bene da parte del proprietario (senza quindi trasferirla ad altro soggetto), sostanzialmente la svuota di contenuto, fissando alla proprietà colpita (attraverso la paralizzazione delle facoltà di utilizzazione, di impiego, di disposizione decisiva per ciascuna categoria di beni) restrizioni tali da snaturare i caratteri essenziali (ciò che gli scrittori tedeschi chiamano Wesengehalt); e) ovvero perchè il provvedimento amministrativo raggiunge lo stesso risultato ablatorio, insito nelle espropriazioni "palesi", ma attraverso un provvedimento rivolto a finalità diversa da quella espropriativa". Per l'analisi dei principi generali  cfr. F. Bartolomei: "L'espropriazione nel diritto pubblico", Milano, 1965.

[51] Cfr. i  richiami nelle note che precedono.

[52] Legge 1/78: l’approvazione di progetti di opere pubbliche, ex comma V, costituisce anche variante allo strumento urbanistico.

[53] Cfr. Mangiameli, op. cit., 152.

[54] Art 11 comma quarto L. 15 marzo 1997 n.59.

[55] Nel parere espresso dal Consiglio di Stato, in Adunanza Generale del 12 marzo 1998, si è sostenuto che "potrebbe apparire che la definizione ampia di urbanistica ripresa dall'art. 80 del decreto legislativo 24 luglio 1977 n. 616, vada oltre la delega, considerato il particolare contesto del rapporto Stato-Regioni, in cui si pone la norma richiamata, pur sussistendo una intrinseca connessione fra le materie della protezione dell'ambiente e dei valori artistici, storici e paesaggistici e quella della gestione del territorio". E' stato, quindi, proposto ( ma disatteso, come è stato evidenziato, dal legislatore delegato) il seguente testo: "Limitazioni agli effetti del presente decreto legislativo, la materia dell'urbanistica concerne tutti gli aspetti dell'uso e della gestione del territorio".

[56] coerente ai canoni di governo della discrezionalità (ragionevolezza, proporzionalità) con esternazione adeguata delle giustificazioni motivazionali sull’an, e quindi anche sul quando e quomodo della attuazione.

[57] Corte Cost. 22 ottobre 1990 n. 470 in Giur. Cost. 1990, 2812.

Cfr. M. Vignale: "Espropriazione per pubblica utilità e occupazione illegittima", Napoli, 1998, 195.

[58] per quelle esterne alla perimetrazione urbana, come è noto, continuano ad applicarsi i parametri risultati indenni ab inizio dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, con sent. 5/80.

[59] D.d.l. n. 2934 approvato al Senato nella seduta del 22 aprile 1999: l’art. 5, comma primo, così dispone in sostituzione del primo periodo del terzo comma dell’art. 7 l. 1034/1971: “Il tribunale amministrativo regionale, nelle materie deferite alla sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno e agli altri diritti patrimoniali conseguenziali”.

[60] G. Abbamonte “Sulla risarcibilità del danno per lesione di interessi legittimi” Atti Convegno Varenna 1997, 5.

[61] Cons. Stato, A. P. Ord. 25 settembre 1996 n. 20 in Cons. Stato, I, 1294 cit.

[62] Sent. 179/99, cit.

[63] in Giur. Cost., 1998, 1415 e segg. si afferma: “il problema della responsabilità civile delle pubbliche amministrazioni per il risarcimento dei danni derivanti ai soggetti privati della emanazione di atti e provvedimenti amministrativi illegittimi, lesivi di situazioni di interesse legittimo è di indubbia gravità e di particolare attualità” ed essendo “di ordine generale richiede prudenti soluzioni normative”, richiamando la precedente sent. n. 35/1980. Riconosce altresì la Corte, nella stessa Ordinanza che il legislatore nazionale non è rimasto inerte, ricordando, tra l’altro, che, in attuazione della delega di cui all’art. 11, comma 4 lett. G l. 59/’97 (prorogata con l’art. 7, comma 1, lett. f l. 15 maggio 1997 n. 127), la giurisdizione esclusiva del G.A. sia stata “estesa alle controversie in materia edilizia urbanistica e servizi pubblici, aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali ivi compresi quelli relativi al risarcimento del danno, d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 artt. 33, 34 e 35.

[64] Corte Cost. 17 ottobre – 2 novembre 1996 n. 369 in Giur. Cost. 1996, 3335.

[65] Mentre appartiene al legislatore ed ai limiti di ragionevolezza del relativo potere introdurre proroghe del limite temporale di “franchigia”.

[66] E’ sintomatica l’esemplificazione delle istanze di edificabilità, relative al Comune di Roma, richiamate nella ordinanza A. P. n. 96 (cit.), con la quale sono state sollevate le questioni di costituzionalità che hanno provocato la sentenza Corte Cost. 179/99.

[67] Può ipotizzarsi una potenzialità virtuale volumetrica delle aree “sacrificate” con traslazione di incremento su altre superfici nella disponibilità del soggetto interessato?

[68] Sulla idoneità delle decisioni amministrative ad avere origine negoziata cfr. M. Nigro in “Convenzioni urbanistiche e rapporti tra privati. Problemi generali”, in M. Costantino “Convenzioni urbanistiche e tutela nei rapporti tra privati”, Milano, 1978, 33 e segg.

[69] art. 33, comma secondo, lett. a d.lgs. 80/1998.

[70] G. Lombardo: "Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza amministrativa" in RTDP, 1997, 939, cit.

[71] cfr. G. Ferrari op. cit.

[72] P.L. Portaluri “Le funzioni urbanistiche “necessarie” dei soggetti privati: aspetti di diritto interno e comunitario” in Riv. It. Dir.Pubbl.Comm., 1999, 137 e segg.

[73] sarebbe maggiormente garantista la previsione con prescrizione di indennizzo, così come, del resto, accade per le stesse localizzazioni che lo provocano.

[74] Cfr. art. 2 l. 109/94, cit.

[75] cfr V. Mazzarelli “Le convenzioni urbanistiche”, Bologna, 1979; P. Urbani “Le convenzioni urbanistiche”, in Urbani-Civitarese (a cura di) “Amministrazione e privati nella pianificazione urbanistica. Nuovi moduli convenzionali”, Torino, 1995; A. Candian – A. Gambaro “Le convenzioni urbanistiche”, Milano, 1992.

[76] Ad es., SS.UU. 13 ottobre 1996 n.8063; Sez I, 6 marzo 1998 n.2505; Sez.II, 25 marzo 1998 n.3153

[77] M. Bianca “Diritto civile”, Milano, 1999, 673 e segg.; Gazzoni “Manuale di diritto privato”, settima ed. 1998; M. De Tilla “Le servitù”, Milano, 1996, 259 e segg.

[78] cfr V. Cerulli Irelli: “Servitù (diritto pubblico)” in Enc. Dir. XLII, Milano, 1990, 332-333; id., “Proprietà pubblica e diritti collettivi”, Padova, 1983; M.A. Angiuli: “Servitù Pubbliche” in Dig.delle discipline pubblicistiche, XIV, Torino, 1999, 58; S. Pubusa: “Servitù Pubbliche” in Enc. Giur., XXVIII, Roma, 1992; M.S. Giannini: “Diritto Amministrativo”, Milano, 1993, 743; A.M. Sandulli: “Manuale di Diritto Amministrativo”, 1993, 878.

[79] Cfr. Corte Cost. 17 ottobre – 2 novembre 1996 n.369 in Giur. Cost. 1996, 3335 cit.

[80] Se si ragiona in termini di rapporto con il potere di pianificazione, è indubbio che, secondo l'ordinamento positivo ed il diritto vivente, la situazione giuridica soggettiva che lo subisce non può che essere qualificata come interesse legittimo, sia di conservazione che di pretesa. Se si aggiunge l'apertura verso una qualificazione risarcitoria dell'indennizzo per reiterazione  di vincolo urbanistico, si è proiettati verso uno dei grandi temi che alle soglie del terzo millennio solo la dottrina aveva risolto, salvo registrare l'intervento del legislatore delegato, (art. 35 d.lgs. 80/98) nel quale è stata  salutata la codificazione  del risarcimento danni per lesione di interessi legittimi e, da ultimo, delle Sezioni Unite del 26 marzo/22 luglio 1999, la cui sentenza n. 500/1999 costituisce una epocale e definitiva svolta ove si consideri la chiusura totale della Corte regolatrice sul punto. Si afferma, ad es., in SS.UU., 28 ottobre 1995 n. 11308 (in Cons. Stato, 1995, II, 463):”la l. 19/11/68 n.1187, recante modifiche ed integrazioni alla l.17/08/42 n.1150, conferisce ai Comuni, in via permanente, il potere di imporre, con i piani regolatori generali, vincoli di destinazione di tipo espropriativo, anche in assenza della previsione di indennizzo, salvo l’obbligo, a pena di inefficacia dei vincoli stessi, di approvare nel quinquennio i suddetti strumenti urbanistici di attuazione, con la conseguenza che, rispetto all’attività di imposizione dei vincoli senza indennizzo, il proprietario è titolare di situazioni aventi la consistenza di interessi legittimi, tutelabili, come tali, in sede di giurisdizione generale di legittimità del Giudice amministrativo, non essendo l’indicata attività, anche in caso di reiterazione di vincoli scaduti, configurabile come espletata in assoluta carenza di potere né è idonea a comportare lesione di diritti soggettivi di contenuto risarcitorio, tutelabili davanti al Giudice ordinario”. Tra le altre, cfr, ad es., SS.UU. 15/10/92 n.11257; 10/06/83 n.3987 in Cons. Stato, 1992, II, 262; 1983, II, 1342. Di grosso spessore il dibattito ed il contributo della più autorevole dottrina. Nel richiamare l'apposito Convegno di Varenna del 1997, con relazioni, tra gli altri, di Scoca, Abbamonte, Brignola, Follieri, Giacchetti, Rodella, si rinvia alla approfondita e particolarmente incisiva analisi di E. Follieri in "La tutela risarcitoria degli interessi legittimi. Profili ricostruttivi con riferimento al d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80" in " Le situazioni giuridiche soggettive del diritto amministrativo: Trattato di Diritto Amministrativo, diretto da G. Santaniello, vol. II, Padova, 1999, 139 e segg.; "lo stato dell'arte della tutela risarcitoria degli interessi legittimi. Possibili profili ricostruttivi". In Dir. Proc. Amm. 1998, 253 e segg.; dello stesso Autore "Risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi", Chieti, 1984; L.V. Moscarini, "Risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi e nuovo riparto di giurisdizione" in Riv. Dir. Proc. 1998, 803 e segg. M. Buricelli, "Decreto legislativo n. 80 del 1998 e giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: risarcimento del danno e norme processuali (art. 35)" in Diritti e Diritto - Rivista giuridica on line, 1998. D. Rodella, "Risarcimento del danno da parte della Pubblica Amministarzione nei campi dell'urbanistica, dell'edilizia, dei lavori pubblici e dell'espropriazione per pubblica utilità" in Atti Convegno Varenna 1997.   

[81] Cons. Stato, AP. 2 aprile 1984 n. 7 in Cons. Stato, 1984, 349 e segg.

[82] cfr. parere Adunanza Generale del Consiglio di Stato, cit. M. Breganze "Urbanistica ed edilizia nel decreto legislativo 80/1998" in Giust. It. Giustizia amministrativa 6/05/99. L.Stevanato "D.lgs. 80/98 e giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, in particolare nella materia edilizia" in Riv. Giur. Ed. 1998, III, 604.

[83] F. Bartolomei, "Giudizio di ottemperanza e giudicato amministrativo. Contributo per un nuovo processo amministrativo", Milano, 1987; S. Santoro, "L'esecuzione del giudicato ed il problema del risarcimento del danno" in Dir. Proc. Amm. 1993, 458; L. Mazzarolli, "Il giudizio di ottemperanza oggi: risultati concreti" in Dir. Proc. Amm. 1990, 226; S. Giacchetti "Un ambito nuovo per il giudizio di ottemperanza" in Foro Amm. 1989, II, 2615; F.O. Zuccaro, "Il giudizio di ottemperanza: codice delle fonti giurisprudenziali", Rimini, 1994; mi permetto rinviare a S. Pelillo, "Il giudizio di ottemperanza alle sentenze del Giudice Amministrativo", Milano, 1990.


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