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Articoli e note

n. 7-8/2006 - © copyright

DIONISIO PANTANO

Natura giuridica della d.i.a. e tutela dei terzi

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Pochi istituti hanno diviso al loro interno così profondamente la giurisprudenza e la dottrina come la denuncia di inizio attività (ora, ai sensi del nuovo art. 19 [1] della l. n. 241/1990: dichiarazione di inizio attività).

Come osservato da attento studioso [2], nella ricostruzione di questa figura giuridica si è infatti sostenuto di tutto.

Spesso ad essa si è attribuita una portata ed una rilevanza che la qualità degli interventi normativi che se ne sono occupati non giustifica.

Con evidenza, inoltre, in questo istituto si sono riposte speranze di semplificazione e snellimento degli iter procedurali facilmente deluse. D’altronde, è poco ragionevole pensare di risolvere i problemi di efficienza delle PP.AA. con interventi normativi che si concentrino sul solo procedimento, laddove le difficoltà attengono prioritariamente all’organizzazione dell’apparato amministrativo [3].

Delle aspettative che circondano la d.i.a. è tangibile testimonianza la tanto pubblicizzata “liberalizzazione” [4] che alla sua introduzione sarebbe seguita.

Invero, ad avviso di chi scrive, la d.i.a. è uno strumento di semplificazione utilissimo sin tanto che allo stesso non vogliano attribuirsi funzioni eccessive, simboliche, quasi miracolistiche, e soprattutto, sin tanto che nella ricostruzione della sua natura e della sua disciplina non si scelgano pregiudizialmente soluzioni tanto innovative quanto opinabili.

Ci si riferisce, in particolare, alla natura “privata” di quest’atto.

L’individuazione di un atto privatistico con la capacità di conferire i crismi della legittimità ad un’attività professionale, imprenditoriale o artigianale, senza l’intermediazione “pubblicistica”, lascia, in quest’ottica, intravedere i contorni di una sorta di “autoamministrazione” che consente di immaginare un sistema depurato dalle lungaggini delle vituperate burocrazie italiche.

In realtà, l’indiscutibile natura privata [5] della d.i.a. non può condurre l’interprete attento a concludere che tale istituto rifugga da inquadramenti pubblicistici con tutto ciò che ne deriva: non necessità del rispetto delle garanzie procedimentali (comunicazione di avvio del procedimento, partecipazione ecc..), inesistenza di un provvedimento autorizzatorio, “privatizzazione” delle attività soggette a dichiarazione di inizio attività.

E che tale completo allontanamento dalla via pubblicistica conduca fuori strada è, a mio avviso, deducibile chiaramente dalla ingiustificabile lesione della posizione dei terzi che tale percorso ricostruttivo delinea. In fin dei conti gli stessi sostenitori della tesi privatistica “pura” [6] avvertono il disagio provocato da un’esegesi dell’istituto che non dà adeguata tutela delle ragioni dei terzi.

Proprio la considerazione delle insopprimibili esigenze di tutela dei terzi induce chi scrive a riconsiderare l’istituto della d.i.a. in un senso che sia più aderente alla lettera ed allo spirito dell’art. 19 della l. n. 241/90. Perché, a volte, si dimentica che tale legge non è solo la legge di semplificazione del procedimento ma, soprattutto, è la legge del giusto procedimento.

Ove per giusto procedimento deve intendersi una sequenza di attività giuridiche al cui sviluppo debba poter partecipare ogni soggettività giuridica portatrice di interessi qualificati.

Non è seriamente discutibile, infatti, che la presentazione della d.i.a. dia luogo alla nascita di un procedimento amministrativo [7] e ciò tanto che lo si consideri finalizzato ad un’attività di controllo [8], quanto se lo si inserisca in esercizio di funzioni amministrative “attive” [9].

Già questa prima conclusione cozza con il consolidato, quanto errato, orientamento per cui, presentata la d.i.a. alla P.A. competente, questa non avrebbe alcun obbligo di avvisare i controinteressati dell’avvio del procedimento per garantire l’esercizio delle loro facoltà partecipative. Infatti, se una comunicazione di avvio del procedimento nei confronti del dichiarante è quanto meno ultronea, essendo, in fondo, proprio costui il dominus del procedimento, non si capisce perché i controinteressati debbano veder pretermesse le loro ragioni.

Occorre, a questo punto, un chiarimento che sarà possibile ottenere anticipando le conclusioni che si trarranno al termine del discorso che si è avviato. La d.i.a. non è altro di diverso da un atto privato con cui si dà automaticamente avvio ad un procedimento la cui istruzione è, in buona parte ma non interamente, rimessa allo stesso dichiarante.

Non vi è ragione, allora, per ritenere che in un siffatto caso, in cui gioca un ruolo rilevante l’ipotetica inerzia della P.A., il terzo controinteressato non sia messo in condizione di interloquire con il dichiarante e con la P.A.

A meno che non si voglia ritenere che l’art. 7 della l. n. 241/1990, nella parte in cui obbliga la P.A. a comunicare l’avvio del procedimento ai destinatari del provvedimento finale ed ai soggetti individuati o facilmente individuabili diversi dai suoi diretti destinatari, non sia applicabile nel caso della d.i.a. perchè in tale caso mancherebbe proprio un provvedimento finale.

A ben vedere una simile conclusione contrasterebbe con un’osservazione decisiva:

1) come si avrà cura di sottolineare, al termine del procedimento avviato con la d.i.a. si avrà un provvedimento. O, almeno, lo si può avere. Difatti - anche a non voler accedere alla tesi della natura provvedimentale del silentium protratto dall’Amministrazione oltre i 30 giorni successivi alla comunicazione di cui all’art. 19, comma II, della L. n. 241/1990 - ove la P.A. ritenga di non poter consentire la prosecuzione dell’attività dovrà manifestare all’esterno questa determinazione con un atto provvedimentale.

A questo punto - stante l’ovvia constatazione che sembra perlomeno bizzarro ritenere che la versione positiva (il silentium) di un sicuro atto provvedimentale (il divieto di prosecuzione dell’attività appunto) non abbia la stessa natura giuridica del suo atto di verso opposto - ogni eccezione all’applicazione dell’art. 7 dovrebbe essere superata;

Infine, un'altra considerazione lascia deporre per l’esistenza di un obbligo a carico della P.A. di comunicare ai controinteressati l’avvio del procedimento. Perché il legislatore ha previsto un termine dilatorio (ex art. 19, comma II della 241/1990) prima che il dichiarante possa iniziare la sua attività? E, soprattutto, che senso avrebbe questa scissione in due sottotermini dei 60 giorni necessari per rendere definitivamente stabile il supporto giuridico sulla base del quale il privato svolge la sua attività, iniziata con la dichiarazione di cui al comma I dell’art. 19?

Una ricostruzione ragionevole [10] del complesso procedimento pare la seguente:

a)  il privato presenta la sua dichiarazione di inizio attività;

b) entro i primi 30 giorni, la P.A., valutata sommariamente la denuncia del privato, individua i possibili controinteressati e li notizia dell’avvio del procedimento, del possibile inizio dell’attività da parte del dichiarante, della facoltà loro concessa di intervenire nel procedimento indicando loro il responsabile del procedimento stesso, della data entro la quale potrà definirsi il procedimento avviato con la d.i.a., delle modalità con le quali questo si svolge, della facoltà di prendere visione degli atti, compresa la d.i.a.;

c) dalla comunicazione di cui al comma II dell’art. 19, decorreranno i 30 giorni necessari per il consolidarsi della d.i.a.: in questo frangente l’Amministrazione avvierà l’istruttoria di controllo obbligatorio [11] delle dichiarazioni del privato denunciante alla quale potranno partecipare i terzi controinteressati; il dichiarante non dovrebbe, di norma, avere necessità a prendere parte a questa fase che si svolge in gran parte sugli atti da lui prodotti;

d)  nelle more di svolgimento dell’istruttoria, il dichiarante può intraprendere, a suo rischio e pericolo, l’attività per la quale ha presentato la d.i.a. così introducendosi elementi di semplificazione congeniali alla finalità del provvedimento nel quale si è inserita la disciplina della nuova d.i.a.: il d.l. sulla competitività;

e)  ove la P.A. non emani, nel termine di 30 giorni dalla comunicazione di cui all’art. 19, comma III, L. n. 241/90, un provvedimento di divieto di prosecuzione di attività o un provvedimento con cui si intimi al dichiarante di conformarsi agli obblighi normativi, la d.i.a. stabilizzerà i suoi effetti di titolo giuridico che legittima l’intrapresa attività del privato; titolo giuridico che, in quanto vagliato all’interno di un procedimento amministrativo e frutto di una valutazione della P.A., acquista i caratteri pubblicistici tipici di un provvedimento [12] amministrativo.

Questa ricostruzione ha l’indiscutibile vantaggio di consentire una tutela effettiva delle ragioni dei terzi senza sacrificio delle finalità di accelerazione degli iter procedimentali cui è preordinata la nuova d.i.a.

Basti pensare che secondo la ricostruzione prevalente [13] la salvaguardia degli interessi dei terzi[14] passerebbe per la sollecitazione di un provvedimento di autotutela della P.A., successivo allo stabilizzarsi degli effetti della d.i.a., che troverebbe la sua ragion d’essere nel preliminare accertamento dell’illegittimità dell’inizio dell’attività del dichiarante.

In sostanza, al terzo toccherebbe il defatigante compito di attendere che sulla dichiarazione del privato si esprima (o resti silente) la P.A.; ove l’Amministrazione lasci trascorrere i 30 gg dalla comunicazione di cui all’art. 19, comma II, dovrebbe stimolarne un successivo intervento in autotutela che, se non seguito da un concreto intervento dell’Organo Amministrativo, obbligherebbe il terzo ad impugnare il silenzio-rifiuto [15] [16] formatosi sulla propria istanza.

Insomma, una costruzione quanto mai complessa, ai limiti del barocco [17], considerando che, tra l’altro, l’intervento in autotutela che il terzo richiede e che la P.A. può effettuare ai sensi dell’art. 19, comma III, della nuova 241/90’, viene ritenuto un qualcosa di diverso dalla vera e propria autotutela, pur evocata dal testo normativo con il richiamo agli artt. 21 quinquies e nonies.

Tuttavia, ritenere che il legislatore non si sia voluto riferire [18] all’autotutela - tecnicamente intesa -nella prima legge che storicamente, in modo esplicito, detta una disciplina apposita dell’istituto appare un bizantinismo non meritevole di grande considerazione. Specie ove si osservi che la novella alla legge n. 241/1990 è un raro tentativo di intervenire sugli istituti anche in chiave qualificatoria [19].

Dato per scontato, quindi, che la norma faccia riferimento all’autotutela in senso proprio, disciplinata in modo organico dagli artt. 21 quinquies e nonies, si deve respingere la costruzione maggioritaria di cui sopra si è dato brevemente conto per un’ulteriore, decisiva, ragione.

Non è ammissibile che il terzo veda tutelato il suo interesse ad un ordinato svolgimento delle attività soggette a d.i.a. (si pensi in specie a quelle edificatorie, sia pure di lieve entità) solo attraverso le forche caudine dei presupposti che giustificano l’autotutela [20].

Come noto ed oggi pietrificato negli artt. 21 quinquies e 21 nonies, i presupposti per agire in autotutela sono diversi da quelli che sovrintendono i poteri di amministrazione attiva. Ossia, a giustificare l’intervento in autotutela non è la tutela della legalità violata ma una più complessa ponderazione degli interessi in campo: l’interesse pubblico, l’interesse del dichiarante a veder tutelato il proprio affidamento, gli eventuali interessi di terzi controinteressati.

E’ ovvio, invece, che l’impugnativa del provvedimento per silentium formatosi sulla d.i.a. comporta il mero vaglio dell’illegittimità dello stesso.

Non si capisce, allora, perché un soggetto debba vedere tutelati i propri interessi in modo deteriore [21] in caso di d.i.a. per il solo fatto che la P.A. sia rimasta colposamente inerte [22]. Non è seriamente accettabile, in definitiva, che si confonda un’ambita competitività con una sbrigativa accelerazione degli iter procedimentali, sacrificando le legittime aspettative di terzi controinteressati [23].

Non si sottovaluti, infine, il delicato tema dell’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del g.a. della competenza a decidere, ai sensi del nuovo art. 19, comma V, della L. n. 241/1990, in materia di d.i.a.

Questa devoluzione, avvenuta dopo la celeberrima sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale, non si giustifica [24] agevolmente accedendo alla tesi, sinora prevalente, del mero comportamento (senza valenza provvedimentale) che la P.A. terrebbe dinanzi ad una d.i.a. [25].

Ulteriormente, sembra difficilmente conciliabile con la presunta “liberalizzazione” affermata con insistenza dai sostenitori della tesi che con il presente lavoro si intende criticare.

Riprendendo le fila del discorso relativo alla natura giuridica della d.i.a., occorre osservare che la P.A., terminata la doverosa istruttoria procedimentale così come sopra delineata, avrà due alternative:

1) vietare espressamente la prosecuzione dell’attività o

2) valutare positivamente i requisiti presentati dal dichiarante e quindi tacere. Rimanendo silente, quindi, pur manifestando chiaramente la propria volontà provvedimentale. La forma [26], anche tacita, è, infatti, lo strumento attraverso il quale si esprime la volontà.

La forma tacita, accedendo a questa ricostruzione, avrebbe anche un’altra giustificazione.

In caso di esito positivo dell’istruttoria di controllo, infatti, l’eventuale provvedimento positivo espresso nulla potrebbe aggiungere alla dichiarazione del privato, sulla cui legittimità la P.A. concorda pienamente.

D’altronde, proprio a fini di accelerazione degli iter procedimentali, anche a bassa discrezionalità [27], il dichiarante può iniziare l’attività per la quale ha presentato la d.i.a. occupandosi solo dell’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale, confidando nella legittimità della documentazione dallo stesso presentata. Risparmio di tempo, dunque, e recupero di competitività conseguente al risparmio di risorse.

E’ chiaro, poi, che il vero dominus del procedimento è il dichiarante, specie ove si consideri che il provvedimento finale, tacitamente formatosi, altro non è che la ricezione pubblicistica della d.i.a. presentata. Si verifica, dunque, come acutamente osservato da attenta dottrina [28], la “trasfigurazione” della denuncia di parte in atto amministrativo, nell’ambito di una fattispecie a formazione progressiva.

Con l’indiscutibile vantaggio che il terzo, avvisato della presentazione dell’inizio dell’attività, messo in condizione di conoscere e di partecipare alla sua trasfigurazione in atto amministrativo per effetto del decorso del tempo accompagnato dal silenzio, avrà un dies a quo certo per impugnare la d.i.a. divenuta stabile.

Lo stesso terzo potrà far valere contro il provvedimento formatosi per silentium le stesse censure che potrebbe muover contro qualsiasi provvedimento, senza doversi arrampicare sulle scivolose altezze di un’autotutela predisposta dal legislatore per la tutela di interessi più articolati; ovvero, interessi ben diversi dall’interesse alla legalità e alla tutela della propria situazione soggettiva qualificata di cui è portatore il terzo.

Ai sensi dell’art. 21 octies, comma II, sono, infine, scongiurati i pericoli di una destabilizzazione del provvedimento formatosi per silentium dopo la presentazione della d.i.a. a causa della mancata comunicazione ai terzi controinteressati dell’inizio del procedimento. Questi, inoltre, ove abbiano ragione per dolersi di un vizio “sostanziale” del provvedimento formatosi tacitamente, potranno essere restituiti nei termini per impugnare, dimostrando la mancata tempestiva conoscenza del provvedimento favorevole al dichiarante.

Si è obiettato [29] che così argomentando si finisce per assimilare la d.i.a. al silenzio assenso, finendo per toglierle la sua autonomia operativa.

Premesso che quand’anche ciò fosse vero, non si capisce perché sacrificare fondamentali interessi dei terzi sull’altare dell’autonomia di un istituto [30] che, in fondo, come ogni strumento giuridico, deve regolamentare e possibilmente facilitare la convivenza civile più che complicarla.

Comunque, quest’identificazione d.i.a. – silenzio assenso è scongiurata dalla costruzione sopra patrocinata, anche se è innegabile un certo avvicinamento nella disciplina dei due istituti.

D’altronde, la stessa dottrina che enfatizza le distinzioni tra le due figure, quasi temesse che un loro qualsiasi avvicinamento possa produrre la caduta di una costruzione a cui appare legata da fideistica adesione, sintetizza le diversità nei seguenti aspetti:

a) l’art. 19 (in materia di d.i.a.) prevederebbe casi in cui ai privati è riconosciuta la facoltà di intraprendere determinate attività economiche sulla base di una mera denuncia; l’art. 20 (silenzio assenso), al contrario, concernerebbe ipotesi nelle quali la richiesta del privato si considera accolta qualora entro un determinato termine la P.A. non comunichi all’interessato il provvedimento di diniego;

b) l’art. 20, a differenza dell’art. 19, non inciderebbe in senso abrogativo sull’esistenza del regime autorizzatorio, che rimarrebbe inalterato, ma introduce una modalità semplificata di conseguimento dell’autorizzazione;

c) l’art. 19 riguarderebbe materie innanzi soggette a provvedimenti autorizzatori a carattere essenzialmente vincolato laddove l’art. 20 concernerebbe settori caratterizzati dall’intervento di autorizzazioni a contenuto discrezionale, in cui la P.A. è chiamata ad una ponderazione degli interessi in gioco;

d) differenti, infine, sarebbero gli strumenti di tutela a disposizione dei terzi eventualmente pregiudicati dall’inerzia della P.A.. Infatti, nel caso della d.i.a. si dovrebbe escludere una sua diretta impugnazione davanti al G.A., mentre nel caso di silenzio assenso, vertendosi in tema di provvedimento di amministrazione attiva, sia pure in forma tacita, si aprirebbero al privato le porte per l’esperimento della tutela giurisdizionale davanti al G.A. [31].

Sottoposte ad attento vaglio, le citate differenze, con esclusione di quella emarginata al punto a) che giustifica ancora oggi, a mio avviso, il mantenimento di una distinzione tra i due istituti, sembrano scolorire.

Nel dettaglio, quanto al punto b) si osservi che se i poteri della P.A. in materia di d.i.a. esulassero realmente dal regime autorizzatorio e rientrassero in un potere di vigilanza latamente inteso, non si giustificherebbe tanto facilmente l’attribuzione della giurisdizione al g.a.; specie ove si tenga nel debito conto la recente pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite civili – ordinanza 29 luglio 2005 n. 15916 in tema di omessa vigilanza della Consob.

Tra l’altro, è contestabile a monte la stessa riconduzione della d.i.a. ai poteri di vigilanza della P.A., in particolare una volta che si sia sentenziata la liberalizzazione della materia. In primo luogo, infatti, così facendo si allarga a dismisura il concetto di vigilanza facendo perdere di significato il concetto stesso di liberalizzazione.

In secondo luogo, si parla di vigilanza riferendosi ad un fenomeno di controllo “necessario” su ogni d.i.a., anche perché nessuno immagina di ritenere legittimo un controllo a “campione” della P.A. Proprio questo controllo “necessario” conferma la conclusione che si sia dinanzi ad una funzione di amministrazione attiva, rientrante nel regime autorizzatorio, che si concretizza in un controllo successivo alla comunicazione di inizio attività.

La distinzione di cui al punto c) è contraddetta, poi, dalla stessa dottrina maggioritaria [32], che sul punto condivido in pieno, per la quale la novella all’art. 19 della l. n. 241/1990, avrebbe ricondotto anche all’alveo della d.i.a. materie caratterizzate da bassa discrezionalità.

Sennonché se materie dotate di un certo margine di discrezionalità sono rimesse alla disciplina della d.i.a., e atteso che laddove vi sia un margine di discrezionalità necessita l’esercizio di un potere amministrativo, si deve concludere che tale potere è esercitato

-  dal privato, e allora non si giustifica tanto facilmente la giurisdizione del g.a.,

- oppure che detto potere è esercitato tacitamente dalla P.A. e, dunque, saremmo in presenza di un potere amministrativo autorizzatorio.

Delle due, una.

Il punto d) è, infine, una mera conseguenza della tesi cui si accede con riferimento alla natura giuridica della d.i.a., problema discendente in gran parte dalle soluzioni che si preferiscono con riferimento ai punti b) e c).

A parere di chi scrive si può concludere che d.i.a. e silenzio assenso rappresentano solo due modalità procedimentali diverse, predisposte a fini di semplificazione [33], tramite le quali si può giungere all’emanazione di provvedimenti amministrativi per silentium. 

 

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[1] Art. 19. Dichiarazione di inizio attività

1.                 Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell'ambiente, nonché degli atti imposti dalla normativa comunitaria, é sostituito da una dichiarazione dell'interessato corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste. L'amministrazione competente può richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità soltanto qualora non siano attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non siano direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.

2.       L'attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all'amministrazione competente. Contestualmente all'inizio dell'attività, l'interessato ne dà comunicazione all'amministrazione competente.

3.       L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. E' fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Nei casi in cui la legge prevede l'acquisizione di pareri di organi o enti appositi, il termine per l'adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti sono sospesi, fino all'acquisizione dei pareri, fino a un massimo di trenta giorni, scaduti i quali l'amministrazione può adottare i propri provvedimenti indipendentemente dall'acquisizione del parere. Della sospensione é data comunicazione all'interessato.

4.                 Restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l'inizio dell'attività e per l'adozione da parte dell'amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti.

5.                 Ogni controversia relativa all'applicazione dei commi 1, 2 e 3 é devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

[2] C. FERRAZZI, La d.i.a., i terzi e l’interesse pubblico, nota a Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 3916 del 22 luglio 2005, pubblicata sulla rivista giuridica on line lexfor.it del febbraio 2006.

[3] Così, condivisibilmente, C. FERRAZZI, cit., pag. 3.

[4]F.CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, tomo II, 2005, pag. 1392, ritiene che con la d.i.a. si abbia una sottrazione di un settore al regime amministrativo, così producendosi una liberalizzazione che si concreta in un recesso integrale dello Stato. Di liberalizzazione assai tenue parla E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2005, pag.318 e s. Lo stesso Autore, pag. 487, precisa “Dove però la prospettiva di un’effettiva liberalizzazione dell’attività del privato risulta frustrata è nella previsione di un potere di autotutela che la P.A. può esercitare ai sensi dell’art. 21 quinquies e art. 21 nonies”. Ritengono non si possa parlare affatto di liberalizzazione R.MURRA, La denuncia di inizio attività, in Cons. St., 2003, II, 1967; A. BIANCHI, La denuncia di inizio attività in materia edilizia. Profili ricostruttivi dell’istituto con particolare riferimento alla tutela giurisdizionale del terzo, in Riv. giur. edil., 1998, 158.

[5] Consiglio di Stato, sez. IV, 4 settembre 2002, n. 4453; Tar Piemonte, sez. I, 4 maggio 2005, n. 1367; Tar Marche, 7 maggio 2003, n. 315; sia pur in termini non espliciti, Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 3916 del 22 luglio 2005; F.CARINGELLA, cit., pag. 1413; R.GIOVAGNOLI, I silenzi della pubblica amministrazione dopo la legge n. 80/2005, 2005; R.DE NICTOLIS, Natura giuridica della denuncia di inizio attività in materia edilizia e tutela del terzo, in Urbanistica e Appalti, 2003, pag. 1376; E. CASETTA, cit., pag. 487; G. PANASSIDI, La nuova dichiarazione di inizio attività, in lexitalia.it, luglio-agosto 2005; L.OLIVERI, La natura giuridica della denuncia di inizio attività nella legge 241/1990 novellata, in lexitalia.it, maggio 2005.

Sulla natura provvedimentale della d.i.a. alla luce della legge n. 80/2005: A. MORBIDELLI, In tema di d.i.a. vecchia e nuova (spunti tratti da Cons. Stato sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916), in giustamm.it; nello stesso senso, Tar Abruzzo, Pescara, 1 settembre 2005, n. 494, in C. FERRAZZI, cit.

[6] Schematizzando, si è voluta così definire quella tesi, ampiamente seguita in dottrina e giurisprudenza (v. nota precedente), che non intende ravvisare altro elemento pubblicistico nella d.i.a. se non il suo eventuale annullamento d’ufficio o la sua revoca. Prima di allora non vi sarebbe alcun provvedimento; non vi sarebbe alcunché di appartenente alla volontà della P.A., sicché anche parlare di autotutela come fa chiaramente la l. n. 80/2005 sarebbe improprio. L.OLIVERI, cit., arriva a sostenere che mancando un  provvedimento da riesaminare non si può parlare di autotutela; ad avviso di questo Autore, deve ritenersi si sia dinanzi ad una fictio iuris, volta a garantire il perseguimento dell’interesse pubblico anche successivamente al termine nel quale, con immediatezza, l’amministrazione dovrebbe ordinariamente adottare provvedimenti repressivi.

Sul presupposto che ci si trovi dinanzi ad un atto avente natura privatistico, si è ritenuto, inoltre, che il terzo che si duole dell’illegittimità dell’attività iniziata dal dichiarante (ante L. n. 80 del 2005: denunciante) debba richiedere un intervento “repressivo-sanzionatorio” alla P.A. attraverso l’esperimento di un’azione di adempimento o di accertamento. Nell’ipotesi in cui, poi, la P.A. dovesse restare silente dinanzi ad una simile istanza, al terzo non resterebbe che esperire la procedura avverso il silenzio rifiuto così come disciplinato dall’art. 21 bis della L.Tar.

Insomma, per restare coerenti all’affermata natura privatistica, si introducono nel sistema una serie di variabili innovative con l’effetto ultimo di penalizzare in modo irragionevole le istanze di tutela del terzo e la stessa sistematicità della disciplina.

Infine, insistendo forzatamente, su una liberalizzazione in senso stretto, attesa la giurisdizione esclusiva introdotta dall’art. 19, comma V, della l. n. 80/2005, si finisce per ingenerare fondati sospetti di incostituzionalità

[7] In senso diametralmente opposto: E. RAGANELLA, La natura giuridica della d.i.a. e la via della sanatoria, commento a Tar Abruzzo-Pescara, sentenza 30 maggio 2006, in lexitalia.it, luglio 2006;

[8] F. CARINGELLA, cit., pag. 1406: “E’, pertanto, da ritenere che nella fattispecie in esame coesistano un diritto soggettivo del privato all’intrapresa attività edilizia, ed un potere amministrativo di controllo di natura vincolata, ma nondimeno riservato ed autoritativo, di fronte al cui esercizio la posizione del denunciante si atteggia come interesse legittimo”. Sembra ricondurre il potere della P.A. nell’ambito della funzione di controllo, altresì, L.OLIVERI, cit.

[9] Chi scrive condivide l’opinione di E. CASETTA, cit., pag. 486: “(La P.A., in materia di d.i.a.) è chiamata a svolgere una funzione di amministrazione attiva di controllo successivo, ossia in un momento in cui l’attività comunque già si svolge lecitamente”.

[10] Si confronti tale ricostruzione con quella, molto meno garantista per le ragioni dei terzi, fatta propria dal Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 3916 del 22 luglio 2005, sia pur in una fattispecie alla quale non era applicabile la nuova disciplina della d.i.a. ex L. n. 80/2005. Nella nota a detta sentenza di C. FERRAZZI, cit., pag. 5 e ss., si riporta il ragionamento dei Giudici di Palazzo Spada: “Una volta decorso il termine senza che l’Amministrazione abbia esercitato il potere inibitorio, al terzo viene riconosciuta la possibilità di far valere le proprie ragioni. Non già attivandosi immediatamente in sede giudiziaria, ma – sul presupposto della persistenza in capo all’Amministrazione del potere di repressione dell’abusivismo edilizio (potere distinto da quello inibitorio ormai esauritosi per il decorso del termine) – chiedendo che vengano adottati i provvedimenti sanzionatori previsti: e nel caso di inerzia dell’Amministrazione, il terzo potrà far ricorso alla ordinaria azione contro il silenzio……(quindi) Così inquadrata la fattispecie, la Quarta Sezione dichiara inammissibile l’impugnazione proposta in primo grado poiché l’azione volta a far dichiarare l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Milano in ordine alla realizzazione dell’intervento edilizio non è stata preceduta da rituale diffida che mirasse a stimolare i poteri repressivi dell’Amministrazione”. La poca considerazione della posizione giuridica dei terzi che detta sentenza mostra di avere è segnalata dallo stesso Autore che l’annota: “Meno ragionevole è…intendere che anche la segnalazione che il terzo rivolge all’Amministrazione per evidenziare l’illegittimità dell’attività denunciata debba essere proposta alla scadenza del termine di legge, che risulterebbe per questa via al contempo perentorio per la P.A. e dilatorio per il terzo…….. Posto che in tal caso, infatti, la tutela del terzo passa attraverso la necessaria intermediazione della stessa Amministrazione, cui il terzo si deve rivolgere per fare constare l’illegittimità della denuncia (nei termini sopra precisati), ne consegue che imporre l’attesa del decorso del termine significherebbe in  altre parole pretendere che il terzo non possa segnalare alla P.A. i profili per i quali egli ritiene che la denuncia sia contra legem – e chiedere il conseguente intervento – fino a quando la stessa Amministrazione non abbia essa stessa verificato autonomamente se la denuncia sia contra legem………Da un lato, verrebbe (così) pregiudicata la cura dell’interesse pubblico…….Dall’altro, il terzo vedrebbe allungarsi senza ragione i tempi della propria tutela: che non potrebbe iniziare a percorrere il proprio articolato cammino se non dopo la scadenza del termine.”

[11] Pur sempre da collocare, tuttavia nell’ambito dei poteri di amministrazione attiva della P.A.

[12] Pur parlando di “comportamento”, espressione di omesso esercizio di un potere amministrativo (comunque esistente), sembra pervenire alle medesime conclusioni: A. GRAZIANO, La denuncia di inizio attività nella L. 80/2005 secondo l’ultima giurisprudenza. Natura giuridica dell’istituto, autotutela della P.A. e tutela giurisdizionale del controinteressato, in giurisprudenza-amministrativa.it, pag.20.

[13] Tra gli altri: F. CARINGELLA, cit., pag. 1414; R. GIOVAGNOLI, cit.  

[14] Ad avviso di C. FERRAZZI, cit., il nuovo art. 2, comma V, della legge n. 241/1990, superando la posizione espressa dall’Adunanza Plenaria n. 1 del 2002 ed ammettendo che il giudice in sede di rito sul silenzio ex art. 21bis L. Tar possa conoscere della fondatezza dell’istanza, favorisce la tesi che ritiene il rito del silenzio adatto a fondare la tutela dei terzi avverso la d.i.a..

[15] con tutti i limiti che tale giudizio comporta ancora oggi, secondo la ricostruzione prevalente, pur dopo il nuovo art. 2, comma V, della L. n. 241/1990: si veda il pregevole lavoro di A. GRAZIANO, op. loc. cit.

[16] così ritengono Consiglio di Stato, IV sez., n. 3916/2005 e Tar Campania – Napoli, n. 1131/2006.

[17] E’ l’esplicita ammissione di uno dei sostenitori di questa tesi: C. FERRAZZI, cit., pag.9. Si veda la nota 7 del presente articolo nel quale si dà conto della simile posizione di L. OLIVERI, cit.

[18] così, invece, Tar Campania – Napoli, n. 1131/2006 e n. 3200/2006.

[19] Si analizzi ad esempio il nuovo capo IV bis della legge citata.

[20] Si è acutamente osservato che i profili di discrezionalità nell’an del potere di autotutela esclude che il terzo possa vantare una pretesa qualificata al suo esercizio. Così, A. TRAVI, La d.i.a. e la tutela del terzo: fra pronunce del g.a. e riforme legislative del 2005, in Urbanistica e Appalti, 2005, 11, pag. 1336.

[21] Anche sul punto si richiama l’ammissione di C. FERRAZZI, cit., pag. 11, per il quale ritenere che il terzo abbia la sola possibilità di chiedere l’accertamento dell’illegittimità della d.i.a. per poi sollecitare l’intervento in autotutela della P.A. vuol significare indebolire la pretesa del terzo stesso.

[22] Ad avviso di chi scrive non è accettabile la tesi di A. TRAVI, Silenzio assenso, denuncia di inizio attività e tutela dei terzi controinteressati, in Dir. Proc. amm., 2002, pag. 26 e ss., per il quale la tutela del terzo può essere limitata allo strumento risarcitorio.

[23] Altri pregiudizi alla posizione dei terzi controinteressati vengono individuati dalla giurisprudenza di 1° grado: così, Tar Abruzzo – Pescara, 1 settembre 2005, n. 494.

[24] Superano, invece, agevolmente tale obiezione: Tar Abruzzo, – Pescara, 1 settembre 2005, n. 494; Tar Piemonte, sez. I, 4 maggio 2005, n. 1359 e 1367; Tar Puglia – Bari, sez. II, 29 ottobre 2004, n. 4882.

[25] Nonostante il rispetto che l’autorevolezza dell’Autore impone, non può non evidenziarsi l’equilibrismo esasperato che accompagna le argomentazioni poste a supporto della tesi volta a sostenere la legittimità dell’attribuzione al g.a della giurisdizione pur in presenza di un asserito comportamento: si veda F.CARINGELLA, cit., pag.1414. Coerentemente con le premesse fatte proprie dalla tesi maggioritaria sostenuta anche dall’Autore appena citato, infatti, il Tar Lombardia , Milano, 6 luglio 2005, n. 3230, riconduce la materia alla giurisdizione del G.O.

[26] In ambito negoziale, F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2003, pag 891.

[27] Per la riconduzione nell’ambito operativo della d.i.a. anche delle autorizzazioni espressioni di discrezionalità tecnica, si veda: F.CARINGELLA, cit., pag. 1397; R.GIOVAGNOLI, DIA e silenzio assenso dopo la legge 80/2005, in Urbanistica e Appalti n. 9/2005, pag. 1001 e ss.

[28] A. BIANCHI, La denuncia di inizio di attività in materia edilizia. Profili ricostruttivi dell’istituto con particolare riferimento alla tutela giurisdizionale del terzo, in Riv. Giur. edil., 1998, pag. 173 e ss.; G.P. CIRILLO,  Considerazioni intorno alla natura giuridica della denuncia di inizio di attività in materia edilizia, in Cons. St., 2003, II, pag. 2464.

[29] CARINGELLA, cit., pag.1413.

[30] A livello metodologico, chi scrive ritiene di optare per un metodo che sembra guidare altresì R.CHIEPPA, La natura della responsabilità della P.A. nelle diverse fattispecie di danni causati nell’esercizio di attività amministrativa illegittima, pag.6, in lexfor.it, Rivista giuridica on line, del 06.03.2006. Ivi si fa un cenno alle metodologie usate in altri ordinamenti: “Nell’analisi comparata si va al di là delle ricostruzioni teoriche dei vari istituti e ci si sofferma piuttosto sui casi concreti e sulle soluzioni ad essi offerte: così, ad esempio, l’assenza del concetto di aspettativa legittima in alcuni sistemi continentali non significa che in essi le corrispondenti situazioni non abbiano tutela, ma semplicemente che tale tutela viene perseguita per altra via”.

[31] Si è fedelmente ripercorso l’iter espositivo di F. CARINGELLA, cit., pag. 1418.

[32] Si rinvia, ancora, a F.CARINGELLA, cit., pag. 1397; R. GIOVAGNOLI, DIA e silenzio assenso dopo la legge 80/2005, in Urbanistica e Appalti n. 9/2005, pag. 1001 e ss.

[33] Nella stessa ottica si inserisce la disciplina della conferenza dei servizi di cui all’art. 14 e ss. della stessa Legge 241/1990.


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