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Articoli e note

n. 7-8/2005 - © copyright

GIUSEPPE PANASSIDI*

La nuova dichiarazione di inizio di attività (DIA)

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L’istituto della denuncia di inizio di attività di cui all’art. 19 della L. n. 241 cambia denominazione e disciplina. Diventa, infatti, dichiarazione d’inizio di attività con nuove regole, forse più complesse di quelle precedenti.

La modifica è introdotta, a poco tempo di distanza dalla più ampia riforma della legge n. 241 operata con la L. 15, con un provvedimento d’urgenza e, in particolare, con l’art. 3 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale” (in G. U. 16 marzo 2005, n. 62), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 (in G.U n. 111 del 14 maggio 2005 - S.O. n. 91), che aggiunge altre modifiche alla legge n. 241, ridisciplinando, fra l’altro, i termini dei procedimenti (art. 2) e l’istituto del silenzio assenso (art. 20).

La nuova dichiarazione di inizio di attività - L’art. 3, c. 1, del D.L. n. 35 del 2005 riscrive, quindi, per la terza volta l’art. 19 della L. n. 241 sulla denuncia di inizio di attività.

Nella formulazione originaria del 1990, la disposizione rinviava ad un regolamento l’individuazione dei casi in cui si applicava la DIA. Sulla base di questa previsione, era stato emanato il D.P.R. 26 aprile 1992, n. 300, che nelle allegate tabelle A e B prevedeva le attività da avviare immediatamente dopo la presentazione della denuncia e quelle da iniziare solo dopo un certo termine dalla presentazione della denuncia stessa.

L’intermediazione regolamentare era stata eliminata con la modifica introdotta dall’art. 2, c. 10, della L n. 537 del 1993. Detta disposizione, infatti, fissava direttamente i criteri per l’applicazione dell’istituto, rimettendo di fatto all’interprete di individuare i casi in cui il procedimento autorizzatorio era sostituito da una informazione dell’interessato all’amministrazione competente, accompagnata da una autocertificazione sulla sussistenza dei requisiti e presupposti di legge per l’esercizio dell’attività finalizzata ad avviare una verifica da parte della stessa amministrazione.

La nuova formulazione dell’art. 19 introdotta dalla riforma del 2005 ricalca quella del 1993, ma amplia le ipotesi di attività liberalizzate e, nel contempo, aumenta le esclusioni, ma soprattutto modifica la procedura di applicazione.

L’istituto mantiene la sua sigla (DIA), ma modifica la denominazione da “denuncia di inizio di attività” in “dichiarazione di inizio di attività” e, soprattutto, cambia disciplina.

In particolare, aumentano le ipotesi in cui è possibile esercitare un’attività senza richiedere provvedimenti di natura abilitativa o, limitatamente all’attività imprenditoriale, provvedimenti d’iscrizione in albi o ruoli.

Una semplice dichiarazione del cittadino o dell’impresa sostituisce a tutti gli effetti il provvedimento amministrativo, se il suo rilascio è subordinato esclusivamente all’accertamento di requisiti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non è previsto alcun limite o contingentamento.

L’ampliamento dell’ambito delle attività liberalizzate è fortemente bilanciato dalla previsione di numerose esclusioni. L’istituto, infatti, non si applica per gli atti imposti dalla normativa comunitaria e per gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla tutela di interessi particolarmente sensibili (o forti), quali la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’amministrazione della giustizia, la tutela della salute e della pubblica incolumità, l’immigrazione, l’ambiente, il patrimonio culturale e paesaggistico e l’amministrazione delle finanze.

L’interessato può svolgere l’attività oggetto della dichiarazione decorsi trenta giorni dalla presentazione della denuncia, informandone contestualmente l’amministrazione competente, che dispone, come nel precedente ordinamento, di complessivi sessanta giorni per l’istruttoria e, specificatamente, per verificare la sussistenza delle “condizioni, modalità e fatti legittimanti” l’attività ed adottare, eventualmente, provvedimenti inibitori degli effetti.

Resta, comunque, salvo il potere dell’amministrazione di agire in via autotutela, in un termine ragionevole e tenuto conto degli interessi implicati nella fattispecie, al fine di vietare la prosecuzione dell’attività dichiarata (artt. 21 – quinquies e 21 – nonies).

La norma in esame, devolve tutte le controversie che possono insorgere in materia di DIA, stante la commistione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Ambito di applicazione ed esclusioni - Le novità della nuova disciplina rispetto a quella vigente sono significative.

Innanzitutto, sono ampliate le ipotesi di attività liberalizzate. Il gruppo comprende, infatti, oltre alle attività soggette ad autorizzazioni, a licenze e permessi, anche quelle subordinate a concessione traslative e, soprattutto, le iscrizioni in albi e registri per l’esercizio di attività economiche (imprenditoriale, commerciale ed artigianale).

Il sistema della dichiarazione si applica, inoltre, non solo come avveniva in passato, nei casi in cui l’attività dipenda “esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo per il rilascio degli atti stessi”, ma anche in tutti i casi in cui il rilascio dell’atto di consenso dipenda dall’accertamento di requisiti e presupposti previsti da atti amministrativi a contenuto generale.

Le condizioni negative cui è subordinata l’applicazione della DIA sono elevate da due a tre. Il precedente testo dell’articolo 19 richiedeva soltanto che non fosse previsto: a) l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali; b) limite o contingente complessivo per il rilascio dei provvedimenti abilitativi. La nuova versione dell’art. 19 aggiunge anche la condizione che non devono essere previsti “specifici strumenti di programmazione settoriale”. L’aggiunta dell’assenza di specifichi strumenti di programmazione settoriale nell’ambito dell’attività liberalizzata, limita notevolmente l’applicazione di questo istituto.

Peraltro, non è agevole individuare le ipotesi in cui trova applicazione la DIA, diverse da quelle del settore edilizio, disciplinate dal relativo testo unico n. 380 del 2000, o da quelle specifiche previsioni disseminate in diverse disposizioni normative di settore. Sono, infatti, molte le esclusioni che la nuova disposizione collega alla tutela dell’ampia categoria dei cosiddetti “interessi sensibili (o forti).

Non è neppure chiaro se la condizione negativa della mancanza di “specifici strumenti di programmazione settoriale” si riferisca alla impossibilità di assoggettare alla DIA l’attività fintantoché non venga emanato lo strumento di programmazione, oppure significhi esclusione dalla DIA di tutte le attività che comunque sono soggette a strumenti di programmazione settoriale.

Non è chiaro neppure se l’esclusione riguardi tutti gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla tutela degli interessi individuati, oppure quelli soltanto che più direttamente si riferiscono agli interessi stessi. Stessa incertezza rimane per gli atti imposti dalla normativa comunitaria, il cui ambito non è di facile definizione.

Sarebbe stato forse preferibile individuare in positivo i provvedimenti abilitativi sostituiti dalla DIA, come avveniva con la formulazione originaria della disposizione, anziché introdurre un elenco ampio di esclusioni per fattispecie (attività contingentate o soggette a pianificazioni di settore) e per interessi tutelati (difesa nazionale, pubblica sicurezza, salute, ecc).

Il procedimento. Il procedimento nel nuovo art. 19 risulta aggravato dalla previsione di due comunicazioni, che l’interessato deve indirizzare alla pubblica amministrazione.

Nel precedente ordinamento, infatti, l’interessato doveva soltanto denunciare l’inizio dell’attività ed attendere sessanta giorni di tempo prima di avviarla. In questo periodo, l’amministrazione svolgeva l’istruttoria finalizzandola alla verifica d’ufficio della sussistenza dei requisiti e presupposti previsti dalla normativa di riferimento.

Nel nuovo schema previsto dall’arti. 19 novellato, il cittadino o l’impresa deve dichiarare l’intenzione di iniziare l’attività, attendere trenta giorni e, se l’amministrazione resta inerte, informarla che inizia effettivamente a svolgere l’attività.

Non solo. Nel precedente ordinamento, scaduto il termine a disposizione per l’istruttoria, l’interessato aveva, se non la certezza, almeno un’elevata probabilità che l’amministrazione avesse già controllato e che, pertanto, non esercitasse più il suo potere di verifica.

Nel nuovo ordinamento, il privato avvia l’attività, dopo i primi trenta giorni dalla dichiarazione, a suo esclusivo rischio, in quanto l’amministrazione mantiene il potere di verifica e controllo anche nei trenta giorni successivi allo stesso inizio dell’attività.

L’intervento dell’amministrazione può consistere in un provvedimento di divieto di prosecuzione, oppure in un provvedimento con cui impone al privato di conformare la sua attività alla normativa vigente.

In questa secondo caso, il privato ha la possibilità o di abbandonare l’esercizio dell’attività o di conformarsi alla legge entro il termine assegnatoli, che non può essere inferiore a trenta giorni. In altri termini, l’interessato può proseguire la sua attività ma deve conformarla alle indicazioni fornite dall’amministrazione stessa entro trenta giorni.

La nuova disposizione consente, in linea con i principi generali di semplificazione della documentazione amministrativa, di sostituire le certificazioni e le attestazioni richieste dalla normativa con un’autodichiarazione (artt. 46 e 47 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, e s.m.). Ed estende anche alla DIA le modalità di semplificazione disciplinati dall’articolo 18, commi 2 e 3, della stessa legge 241 in materia di accertamenti d’ufficio, per cui se l’interessato dichiara che fatti, stati, qualità sono attestati in documenti già in possesso della stessa amministrazione procedente o di altra pubblica amministrazione, il responsabile del procedimento deve procedere d’ufficio alla loro acquisizione. Allo stesso modo, il responsabile del procedimento deve accertare d’ufficio i fatti, gli stati, ecc. che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta ad accertare.

Il nuovo articolo 19 prevede, poi, la sospensione del termine per l’adozione dei provvedimenti inibitori, se l’istruttoria richiede l’acquisizione di pareri, stabilendo, però, che scaduti i 30 giorni dalla richiesta dell’atto consultivo, l’amministrazione può adottare i propri provvedimenti prescindendo dal parere. Anche il provvedimento di sospensione deve essere comunicato all’interessato.

Il provvedimento inibitorio e il potere di autotutela - L’amministrazione destinataria della DIA, a conclusione dell’istruttoria di “controllo”, deve effettuare, entro il termine prescritto dalla norma, una delle seguenti scelte:

a) non emettere alcun provvedimento, se sussistono i requisiti, i presupposti ed i fatti legittimanti l’esercizio dell’attività dichiarata;

b) emettere un provvedimento negativo, per vietare la prosecuzione dell’attività ed eliminare gli eventuali effetti prodotti, se manca qualcuno degli elementi che legittimano lo svolgimento dell’attività;

c) disporre l’adeguamento dell’attività a certe prescrizioni, se mancano elementi cui è possibile però rimediare.

Nel caso in cui l’attività di controllo si concluda in senso negativo, l’emanazione del provvedimento deve essere preceduta da un’apposita comunicazione in analogia a quanto previsto dall’art. 10 – bis della L. n. 241 sul preavviso di rigetto dell’istanza. Questo accorgimento deve essere adottato a prescindere dalla soluzione che si intende dare al problema sulla natura giuridica della DIA. L’esigenza di coinvolgere l’interessato, che può già avere avviato l’attività economica, è più forte in questa fattispecie che nelle altre ipotesi di rigetto.

Se l’amministrazione adotta un provvedimento motivato di adeguamento, deve evidenziare le irregolarità sanabili, evidenziare le prescrizioni normative, regolamentari ed amministrative alle quali conformarsi per regolarizzare l’attività e fissare un termine non inferiore a 30 giorni per provvedere alla loro regolarizzazione.

Nell’ipotesi di richiesta di conformazione, l’amministrazione dovrà porre in essere una seconda attività di controllo, finalizzata a verificare soltanto se il privato abbia effettivamente posto in essere le azioni richieste ed abbia adeguato l’esercizio della sua attività imprenditoriale alle prescrizioni imposte dall’amministrazione. In questa seconda verifica, l’amministrazione non potrebbe rilevare ulteriori elementi ostativi allo svolgimento dell’attività oltre alle irregolarità indicate con il provvedimento di conformazione.

Se è accertato il mancato adeguamento nel termine fissato, la pubblica amministrazione emette il provvedimento inibitorio, che prima aveva sospeso, ma sempre solo dopo averne dato preavviso ai sensi dell’art. 10-bis della stessa L. n 241.

Se l’amministrazione competente non fa seguire all’attività istruttoria alcun provvedimento di divieto dell’attività o di rimozione degli effetti, oppure di prescrizione conformativa entro i 30 giorni dalla comunicazione dell’effettivo inizio, il potere di emettere atti inibitori previsto dalla prima parte del comma 3 dell’art. 19 della L. 241/1990 si estingue (contra, TAR Veneto, Sez. III, 4760/2002).

L’amministrazione, pertanto, perde il potere di agire “in termine”, esercitando le potestà che l’ordinamento le assegna, allo scopo di garantire il corretto e lecito esercizio delle attività economiche.

Ciò non esclude che possa inibire successivamente l’attività, ma solo nell’esercizio del potere di autotutela, che è diverso per regole e limiti. La previsione in questa fattispecie di un espresso potere di annullamento o revoca in capo alla pubblica amministrazione necessità di una precisazione. In realtà, l’amministrazione può soltanto procedere all’annullamento, se riscontra che l’attività è esercitata in carenza delle condizioni e delle modalità legittimanti. Non potrebbe, invece, revocare, nonostante la diversa previsione normativa, in quanto la revoca, basandosi su una valutazione dell’interesse pubblico, può avere ad oggetto soltanto atti discrezionali e non attività vincolate come sono quelle cui si applica l’istituto della DIA.

Le questioni interpretative - La nuova disciplina generale della DIA pone almeno tre ordini di problemi, che riguardano l’ambito soggettivo di applicazione dell’istituto, la natura giuridica dell’istituto e il rapporto di questa disciplina generale con quelle speciali di settore che regolano la materia in modo diverso, in particolare per quanto riguarda i termini e per l’inizio dell’attività e per l’esercizio del controllo da parte dell’amministrazione.

1. Ambito soggettivo di applicazione.

Occorre verificare, in particolare, se la nuova disciplina trova applicazione anche nei confronti delle Regioni e degli enti locali.

Questo problema deve essere risolto in base alle stesse regole che disciplinano l’ambito di applicazione, in generale, di tutta la legge n. 241. E, quindi, secondo quanto previsto dall’art. 29 della stessa L. n. 241, come modificato dall’art. 19 della L. n. 15, e dall’art. 22 della L n 15.

Applicando le suddette regole, la disposizione sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie in materia di DIA trova applicazione nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni, in quanto attiene all’ambito della giustizia amministrativa, che è materia di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, c. 2, lett. l, Cost.; art. 29, c. 1, L. 241).

Le restanti disposizioni sull’istituto, come le altre della L. 241 sul procedimento, si applicano, invece, alle Regioni se ed in quanto sprovviste di una propria normativa e finché non abbiano regolato la materia, in base allo schema previsto dall’art. 22 della L. 15 (principio di cedevolezza). Si applicano, invece, agli Enti locali, ma solo fino a quando comuni e province non abbiano emanato i propri regolamenti o non abbiano aggiornato quelli in vigore, nel rispetto del sistema di garanzie dei cittadini quali definiti dai principi stabiliti dalla stesa legge n. 241.

Le Regioni e gli enti locali possono disciplinare autonomamente l’istituto della DIA, nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla L. n. 241 (art. 29, c. 2, L. 241). In altri termini, le Regioni e gli enti locali possono regolarne diversamente la procedura, come peraltro aveva già ritenuto, con riferimento alle Regioni, la giurisprudenza formatasi sull’originaria versione dell’articolo 19, mentre non possono escludere dalla loro normativa l’istituto, in quanto la DIA costituisce un principio (o, meglio uno strumento essenziale di applicazione di un principio) di semplificazione dell’attività amministrativa e, quindi, attiene alle garanzie dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione.

Alle suddette considerazioni, si può aggiungere che l’applicazione delle norme sulla giustizia amministrativa - prevista dalla legge n. 241 per tutte le pubbliche amministrazioni (art. 29, c. 1) - presuppone necessariamente che si impieghi anche l’istituto cui la norma processuale si riferisce. Se si ritenesse, invece, che alcuni istituti, quali quello in esame (e il silenzio – assenso), trovino applicazione soltanto nei confronti dello Stato, si dovrebbe sostenere che anche le norme sulla giustizia amministrativa relative a quelle discipline potrebbero trovare applicazione soltanto nei confronti dei procedimenti che si svolgono nell’ambito dello Stato (e degli enti pubblici nazionali) e non delle altre pubbliche amministrazione locali, diversamente da quanto sostenuto nell’ultimo periodo del 1° comma dell’art. 29 della L. 241 e in violazione degli art. 24 e 113 della Cost. In altri termini, per quanto attiene alla fattispecie in esame l’applicazione a tutte le pubbliche amministrazioni della disposizione del 5° comma dell’art. 19, secondo cui “Ogni controversia relativa all'applicazione dei commi 1, 2 e 3 e' devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”, richiede che l’ambito soggettivo della DIA interessi anche le Regioni e gli enti locali, oltre che lo Stato. Diversamente, anche la disposizione sulla giustizia amministrativa si applicherebbe di fatto solo per le attività liberalizzate oggetto di provvedimenti autorizzativi di competenza statale.

2. La natura giuridica.

Il secondo problema riguarda la natura dell’istituto. Come è noto, la questione sulla natura giuridica della DIA ha trovato soluzioni differenti sia nella dottrina, che nella giurisprudenza (riassume le tesi L. Oliveri, La natura giuridica della denuncia di inizio attività nella legge n. 241/1990 novellata, in www.LexItalia.it, 2005).

Dopo la modifica introdotta dal D.L. n. 35, è aumentato il dubbio sulla natura giuridica della DIA, ossia se essa comporti la formazione di un atto amministrativo positivo, seppure virtuale (Cons. St. Sez. VI, 6910/2004), o se, al contrario, questo istituto continui ad essere inidoneo ad avviare una sequenza procedimentale assoggettata alla disciplina della legge n. 241/90 (TAR Piemonte, Sez. I, 4 maggio 2005, 1359, in www.LexItalia.it, 5/2005), trattandosi di un atto oggettivamente e soggettivamente privato (fra le altre, T.A.R. Veneto Sezione II, 20 giugno 2003, n. 3405, che richiama anche Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 2002, n. 4453; T.A.R. Liguria 22 gennaio 2003, n. 113, e T.A.R. Abruzzo, Sez. Pescara, 23 gennaio 2003 n. 197). Per il TAR Piemonte la DIA costituisce un atto soggettivamente e oggettivamente privato, come tale insuscettibile di impugnazione innanzi al giudice amministrativo; ha, in altri termini, solamente il valore di una comunicazione fatta dal privato all’Amministrazione circa la propria intenzione di realizzare un’attività direttamente conformata dalla legge e non necessita di titoli provvedimentali (TAR Piemonte, sez. I, 4 maggio 2005 n. 1367: fattispecie relativa alla denuncia di inizio attività edilizia ex articolo 22 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380).

Alla costruzione della DIA come istanza autorizzatoria che, per effetto del decorso del tempo, provoca la formazione di un provvedimento tacito di accoglimento farebbe pensare l’espressa previsione del potere dell’amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela e la devoluzione della materia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

La previsione di un potere di emettere un provvedimento di annullamento o di revoca e della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo presuppongono, infatti, che la dichiarazione di inizio di attività dia luogo ad un atto amministrativo, come rilevato in sede di esame al Senato dell’articolo 3 del D:L. n. 35, dalla 1° Commissione Affari Costituzionali.

La I Commissione ha avuto modo di sottolineare “l’inopportunità del rinvio operato dal comma 3 del novellato articolo 19 al potere dell’amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21 – quinquies e 21 – nonies della legge 241 del 1990 (annullamento e revoca dell’atto amministrativo), in quanto la dichiarazione di inizio di attività non dà luogo ad un atto amministrativo” ed ha manifestato perplessità anche “sulla compatibilità con l’articolo 103 della Costituzione, dell’articolo 19, comma 5, della legge n. 241, come risulterebbe modificato dall’articolo 3 del decreto legge in esame, che devolve ogni controversia relativa all’applicazione delle disposizioni sulla dichiarazione di inizio attività alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”, in quanto “non costituendosi alcun atto amministrativo, la tutela avrebbe ad oggetto diritti soggettivi e non interessi legittimi” e, dunque, la norma non sembrerebbe coerente con i principi, ribaditi anche in recenti decisioni della Corte costituzionale, in tema di riparto di competenze tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa (Relazione Pastore alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, il 22 marzo 2005, 498° seduta antimeridiana).

In realtà, il problema della natura della DIA sembrerebbe risolto definitivamente dalla stessa nuova L. n. 241, che all’art. 21, c. 2-bis, assimila la DIA (oltre che il silenzio assenso) agli altri atti di assenso, stabilendo che “Restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all'attività ai sensi degli articoli 19 e 20”.

Sotto l’aspetto operativo, l’accoglimento dell’una o dell’altra impostazione non è senza conseguenze. Se si ritiene, infatti, che dalla dichiarazione di inizio dell’attività nasca un atto amministrativo, anche a questa fattispecie sono da applicare le regole del procedimento e, specificatamente, quelle sulla comunicazione di avvio ex artt. 7 e 8 e sul preavviso di rigetto dell’istanza ex art. 10-bis. Se, al contrario, la DIA non dà luogo ad un procedimento, allora non è necessario la comunicazione di avvio, salvo che l’amministrazione non intervenga, in sede di autotutela, a vietare la prosecuzione dell’attività per motivi di interesse pubblico.

3. Il rapporto con le discipline di settore.

Il terzo problema riguarda l’operatività o meno delle nuove disposizioni sulla DIA anche nei settori in cui l’istituto è già disciplinato da apposita normativa, come quello edilizio, commerciale, della gestione dei rifiuti, ecc.

Si ricorda, infatti, che diverse leggi di settore hanno utilizzato la DIA, regolando l’istituto a volte in modo differente dalla disciplina dell’art. 19 della L. 241.

Come è noto, la DIA è stata utilizzata specialmente nel campo edilizio, anche come alternativa al permesso di costruire (T.U. 6 giugno 2001, n. 380); in materia di commercio per l’apertura, l’ampliamento ed il trasferimento dei cosiddetti esercizi di vicinato o per alcune forme speciali di vendita al dettaglio (D.Lgs 31 marzo 1998, n. 114); nel settore dello smaltimento e trattamento dei rifiuti per alcune procedure semplificate (D.Lgs 5 febbraio 1997, n. 22, e s.m.); nell’ambito della comunicazione elettronica (D.Lgs n. 259 del 2003) ed in altri regolamenti di semplificazione (ad esempio il D.P.R. 4 aprile 2001, n. 235, in materia di somministrazione di alimenti e bevande da parte di circolai privati).

E’ preferibile sostenere, considerata la valenza di norma generale dell’art. 19 della L. n. 241, che in questi settori si continui a fare riferimento alle norme contenute nella disciplina di settore.

Questa tesi è rafforzata dal comma 4 dell’art. 19 novellato, che fa salve le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi sia per l’inizio dell’attività che per l’adozione da parte dell’amministrazione competente del provvedimento di divieto di prosecuzione.

Gli elementi essenziali dell’istanza. Una delle domande che si pongono gli operatori riguarda se e quali elementi essenziali devono avere le istanze per essere idonee ad avviare la DIA (o, più in generale, il procedimento).

Una prima risposta a questa domanda è fornita direttamente dalla stessa L. n. 241, che all’art. 21, c. 1, prevede che nell’istanza presentata ai sensi degli articoli 19 e 20, l’interessato deve dichiarare di essere in possesso dei requisiti e presupposti prescritti dalla legge. Ciò significa che l’istanza deve contenere almeno questo elemento per essere idonea ad avviare il procedimento. Questa sola indicazione non è però sufficiente. E’ necessario anche che l’istanza permetta, non solo di identificare il richiedente, ma anche di individuare l’oggetto dell’attività liberalizzata che si intende iniziare, come opportunamente prevedeva il D.P.R. 26 aprile 1992, n. 300, “Regolamento concernente le attività private sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241”.

Riassumendo, non tutte le istanze sono idonee ad avviare la procedura della DIA, ma soltanto quelle complete dei suddetti elementi essenziali, e cioè delle generalità del richiedente, dell’oggetto dell’attività da avviare e dell’autocertificazione sul possesso dei requisiti e presupposti previsti dalla legge o dall’atto amministrativo generale per la fattispecie. Questo comporta che, in presenza di una istanza priva di uno dei suddetti elementi essenziali, il responsabile del procedimento può richiederne, ove possibile, l’integrazione senza che decorri il termine del procedimento di verifica.

 

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(*) Segretario e direttore generale della Provincia di Verona.


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