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Articoli e note

n. 3/2005 - © copyright

GIUSEPPE PANASSIDI*

Modello di controlli e riforma degli enti locali

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Il nuovo modello dei controlli sugli enti locali si basa, in sintesi, su tre punti cardine: a) soppressione dei controlli esterni di tipo ispettivo; b) valorizzazione dei controlli interni secondo un modello direzionale; c) introduzione del controllo di gestione successivo della Corte dei conti.

Il nuovo sistema è coerente con i principi della riforma del sistema delle autonomie locali e della loro organizzazione.

Esso valorizza, infatti, l’autonomia decisionale dei comuni e delle province, chiamati, sulla base dei principi stabiliti dalla legge, a progettare, nell’ambito della loro potestà normativa, strumenti e metodi per introdurre nella loro organizzazione modelli di controllo adeguati alle loro dimensioni ed esigenze. E si sforza, poi, di coniugare razionalità giuridica e razionalità economica, legalità ed economicità, che sono valori propri di tutte le organizzazioni pubbliche.

1.  Il sistema dei controlli e la riforma costituzionale del 2001.

Come è noto, il graduale processo di abbandono delle tipologie tradizionali di controllo esterno, di stampo “burocratico, ha un punto di arrivo, dopo importanti tappe intermedie [1], nella riforma costituzionale del 2001. Il legislatore costituzionale, infatti, per valorizzare la responsabilità delle autonomie locali, fra l’altro, abroga l’articolo 130 della Costituzione [2], che disciplinava i controlli preventivi di legittimità sugli atti amministrativi degli enti locali.

Il processo di riforma raggiunge un altro importante traguardo con la legge n. 131 del 2003, di attuazione della suddetta riforma costituzionale, che introduce il controllo collaborativo della Corte dei conti, oggi sempre più organo ausiliare non solo del Governo [3] ma di tutta la Repubblica e, quindi, anche delle autonomie locali che ne sono componenti unitamente alle regioni e allo Stato [4].

In particolare, il legislatore ha coerentemente scelto, nella nuova e diversa configurazione dei rapporti fra “centro” e “periferia”, qualificata da un’accentuata valorizzazione delle autonomie locali, di svincolare i comuni e le province dai controlli preventivi di legittimità sugli atti[5] ed ha rimesso all’autonomia degli enti stessi la possibilità di individuare gli strumenti più idonei per recepire ed adeguare alla loro realtà il nuovo sistema dei controlli interni di cui alla riforma introdotta con il decreto legislativo n. 286 del 1999.

L’abrogazione dei controlli tradizionali impone, innanzitutto, che gli enti locali sviluppino i controlli interni di regolarità amministrativa e contabile [6], e, specificatamente, i “controlli di regolarità amministrativa”, resi, sotto forma di pareri [7], dai funzionari responsabili dei servizi sulle proposte deliberative e, in generale, dal segretario comunale e provinciale nell’esercizio della sua funzione di assistenza giuridico - amministrativa agli organi dell’ente  [8], e i controlli di regolarità contabile, svolti dal responsabile del servizio finanziario[9] e dell’organismo di revisione contabile [10], organo quest’ultimo sempre più utilizzato dallo stesso legislatore statale per verificare la regolarità delle scelte di spesa effettuate dagli enti locali [11].

 Vediamo, in particolare, qual è stata l’evoluzione del sistema e qual è oggi il nuovo modello.

2. Il sistema dei controlli e la riforma dell’organizzazione pubblica: dai controlli formali ai controlli interni, dall’organizzazione “burocratica” a quella “ manageriale”

L’esame del nuovo modello di organizzazione del potere pubblico, scelto dal legislatore per riformare la pubblica Amministrazione, fornisce una precisa chiave di lettura dell’evoluzione del sistema dei controlli e dei motivi che hanno spinto il legislatore ad abbandonare i controlli tradizionali ritenuti insufficienti, se non addirittura dannosi, nel nuovo modulo organizzativo.

La lettura di sintesi delle leggi succedutesi dagli anni ‘90 in poi evidenzia, infatti, che la riforma della pubblica amministrazione ha puntato essenzialmente sull’introduzione di due strumenti strettamente correlati:

a)                  un nuovo modello organizzativo “aziendalistico” o “manageriale”, che pone l’accento sui risultati, adotta un’organizzazione flessibile e privilegia un’attività decisionale del vertice burocratico da realizzare nel quadro di indirizzi generali degli organi politici[12];

b)                  un nuovo assetto dei rapporti fra politica ed azione, che si basa sulla distinzione collaborativa dei ruoli fra organi di governo e dirigenti e su un’accentuata autonomia gestionale di questi ultimi [13].

Per l’attuazione del nuovo assetto dei rapporti fra organi politici e vertice burocratico, sono stati anche approntati dal legislatore efficaci strumenti operativi.

In particolare, è stato previsto un sistema di programmazione che permette, con il Piano esecutivo di gestione  [14]: a) la preventiva determinazione da parte degli organi politici dei programmi, degli obiettivi e delle priorità, da determinare anche attraverso una negoziazione con i dirigenti interessati; b) l’assegnazione ai dirigenti delle risorse finanziarie, strumentali ed umane adeguate agli obiettivi assegnati, parimenti da determinare attraverso una negoziazione con i dirigenti interessati; c) la predeterminazione di parametri di misurazione dell’azione con riferimento agli obiettivi programmati.

E’ stata prevista, in altri termini, una preventiva attività degli organi politici di fissazione degli obiettivi e di assegnazione delle risorse, nonché la determinazione, del pari preventiva, dei parametri di controllo dei risultati  [15].

Ancorando il controllo sui risultati a parametri di efficacia e di efficienza predeterminati da organismi tecnici, composti di esperti in tecniche di valutazione e nel controllo di gestione, si garantisce che la verifica sia effettuata da un organo competente e, in certa misura, autonomo e, in altri termini, che i dirigenti siano chiamati a rispondere dei risultati conseguiti secondo una valutazione improntata a criteri di obiettività, scevra da ipotetici giudizi personali, connotati da contingenti motivazioni soggettive dell’organo politico.

E’ del tutto evidente che è indispensabile introdurre nel nuovo modello di organizzazione amministrativa - caratterizzato da una diversa configurazione dei rapporti fra politica ed azione - un sistema di controlli “utili” alla stessa Amministrazione, che fornisca meccanismi e strumenti di costante monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta e che permetta soprattutto di approntare le eventuali azioni correttive tutte le volte che la verifica evidenzi uno scostamento fra quello che si sta realizzando con la gestione e quello che si è progettato in sede di programmazione.

La cultura del controllo, vissuta come controllo del processo [16] piuttosto che dei prodotti e dei risultati [17], ha prevalso, con qualche piccola crepa, fino ai giorni nostri.

Questa cultura, peraltro, del tutto coerente e funzionale al modello “burocratico” di organizzazione amministrativa, si è rilevata però non più adeguata alle esigenze di un’Amministrazione moderna e rinnovata.

Con il passaggio al nuovo modello, che pone l’accento sui risultati, si è avvertita l’esigenza di abbandonare i controlli tradizionali, che erano rilevati del tutto insufficienti ed inidonei a fornire risposte sul “contenuto” dell’attività amministrativa.

Nello stesso tempo, è emersa la necessità di inserire un nuovo sistema di controlli finalizzato a guidare gli amministratori e gli operatori nella loro azione e a permettere di individuare gli scostamenti che eventualmente dovessero verificarsi in corso d’opera e le relative cause, in modo da porre in essere tempestivamente gli accorgimenti per riportare l’azione pubblica nei binari degli obiettivi prefissati.

Il tentativo di introdurre un nuovo sistema di controlli interni negli enti locali è iniziato sin dalla legge n. 142 del 1990 di riforma dell’ordinamento delle autonomie locali.

La legge n. 142 aveva incluso, però, il controllo interno della gestione nella disposizione sulla revisione contabile, rendendolo facoltativo e rimettendo all’autonomia statutaria di ogni singolo ente non solo la decisione di introdurre il controllo della gestione, ma anche il modo come controllare e gestire la cosa pubblica [18].

Successivamente l’art. 20 del decreto legislativo n. 29 del 1993 aveva proposto a tutte le pubbliche amministrazioni un sistema di controlli interni da organizzare autonomamente da parte delle stesse amministrazioni e da attuare mediante l’istituzione di servizi di controllo interno, o nuclei di valutazione, cui affidare, in particolare, il “ … compito di verificare, mediante valutazione comparativa dei costi e dei rendimenti, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa”.

Con il decreto legislativo sul nuovo ordinamento contabile e finanziario degli enti locali n. 77 del 1995 era stato confermato il sistema di controlli disegnato dal decreto n. 29/1993, anche se ne era stato accentuato la componente della contabilità analitica e la sua strumentalità al servizio di ragioneria [19].

I contratti collettivi nazionali di lavoro dei dipendenti appartenenti al comparto regioni – autonomie locali del 1995 e del 1999 hanno imposto il controllo interno da parte dei nuclei di valutazione come condizione essenziale per l’erogazione al personale dei compensi incentivanti.

In attuazione della delega conferita con la legge n. 59 del 1997 e successive modificazioni, il Governo ha emanato il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, con il quale ha formulato una nuova progettazione d’insieme del sistema dei controlli interni delle pubbliche amministrazioni [20].

Da ultimo, l’articolo 147 del testo unico degli enti locali del 2000 ha disegnato, in via definitiva, le linee guida per il sistema dei controlli interni negli enti locali.

 

3. Le quattro tipologie di controlli interni: regolarità, gestione, strategico e di valutazione delle prestazioni

Il testo unico degli enti locali, in particolare, ha rafforzato la scelta già effettuata con l’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo n. 286/1999, sulla riforma generale dei controlli interni, di non obbligare comuni e province ad omologare il loro sistema di controlli a quello delle amministrazioni statali e si è limitato opportunamente a disegnare le “linee guida” del sistema, lasciando a ciascun ente la scelta di organizzare i controlli autonomamente, con il solo obbligo di rispettare il principio generale della distinzione fra funzioni di indirizzo, affidate alla responsabilità politica, e compiti di gestione, di competenza degli organi burocratici.

Il testo unico n. 267 ha affidato, quindi, agli enti locali, nell’esercizio dell’autonomia normativa ed organizzativa costituzionalmente garantita [21], il compito di individuare gli strumenti e le metodologie per le diverse tipologie di controllo interno, adeguando i propri ordinamenti alla disciplina generale dei controlli interni stabilita dal decreto 286/1999 [22].

Gli enti locali, quindi, nell’esercizio della loro autonomia normativa ed organizzativa devono individuare, o in un capo del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, oppure in un apposito regolamento sui controlli interni, le regole e le metodologie che intendono adottare per assicurare:

a) il controllo di regolarità amministrativa e contabile, che è la forma di controllo tradizionale a disposizione di ciascun ente per garantire la razionalità giuridica dell’azione amministrativa, e cioè la sua legittimità, regolarità e correttezza, da affidare al segretario comunale o provinciale, cui l’articolo 97 del testo unico assegna compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico – amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti, al responsabile del servizio finanziario e al collegio dei revisori, definendone, per evitare contrapposizioni, i diversi distinti ambiti di competenza;

b) il controllo di gestione, per verificare l’efficacia, l’efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, con la finalità di migliorare, anche attraverso tempestivi interventi correttivi, il rapporto risorse-obiettivi ed aumentare la razionalità economica dell’organizzazione;

c)  il sistema di valutazione delle prestazioni del personale con qualifica dirigenziale, che ciascun ente locale deve attivare, come, peraltro, previsto dai contratti di lavoro per l’area della dirigenza, per misurare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale, sia ai fini dell’attribuzione di una componente significativa della retribuzione (retribuzione di risultato), sia ai fini della conferma o revoca dell’incarico conferito, rendendo così effettiva la responsabilità dei funzionari in ordine alla realizzazione degli obiettivi fissati dagli organi di governo;

d)  il controllo strategico, ideato come strumento a supporto degli organi di governo e finalizzato a verificare l’adeguatezza del programma operativo rispetto a quello strategico progettato dagli stessi organi di governo.

L’articolo 147 del decreto n. 267 del 2000 opportunamente precisa, al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, che gli enti locali, nell’organizzazione del sistema dei controlli interni, possono derogare ai principi fissati dall’articolo 1, comma 2, del decreto 286/99.

Gli enti locali possono decidere, ad esempio, di affidare il controllo strategico, il controllo di gestione e la valutazione delle prestazioni dei dirigenti ad un unico organo o struttura, oppure scegliere di non attivare un controllo strategico separato dal controllo di gestione, o, ancora, di ancorare la valutazione delle prestazioni dei dirigenti al controllo di gestione, utilizzando le informazioni che questa tipologia di controllo fornisce per verificare e lo stato di attuazione delle linee programmatiche di governo e la qualità dell’azione amministrativa e dei suoi risultati.

Il comma 4 dello stesso articolo 147 ricorda, infine, che gli enti locali hanno facoltà di convenzionarsi fra loro e costituire uffici unici per l’effettuazione dei controlli interni. La disposizione, come altre norme del testo unico, individua, quindi, nell’ “associazionismo” lo strumento per assicurare il principio di adeguatezza nell’esercizio anche di questa funzione. Prevede, infine, che comuni e province possano avvalersi anche delle strutture di consulenza e di supporto istituite, d’intesa con la Provincia, nell’ambito dei comitati provinciali per la pubblica amministrazione (comma 5).

4. Il controllo della Corte dei conti    

Da ultimo, la cosiddetta “legge La Loggia” [23] ha affidato alla Corte dei conti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, ai fini del patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.

La stessa legge ha introdotto il controllo collaborativo della Corte dei Conti sul perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi, statali o regionali, sia di principio che di programma, nonchè sulla sana gestione finanziaria degli enti locali ed sul funzionamento del sistema dei controlli interni.

Sugli esiti delle verifiche le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti devono riferire esclusivamente ai consigli degli enti controllati. Questa disposizione qualifica il controllo della Corte dei conti come “controllo collaborativo”. Ciò non esclude che, se in sede di controllo successivo le Sezioni dovessero venire a conoscenza di ipotesi d’illecito contabile, dovrebbero segnalarlo alla competente Procura regionale della Corte dei conti, come hanno recentemente ricordato le Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei Conti con la deliberazione n. 6/2005 [24].

E’ da ricordare il controllo successivo di gestione della Corte dei conti è previsto anche dalla legge n. 20 del 1994, e, per quanto riguarda gli enti locali, dall’articolo 148 del testo unico del 2000.

Il nuovo istituto del “controllo collaborativo” della Corte dei conti, introdotto dalla legge n. 131 del 2003 e potenziato con il decreto legge n. 168 del 2004 e con la legge finanziaria del 2005, rafforza la previsione del controllo esterno sulla gestione, già contenuta nel testo unico degli enti locali [25].

Coerente con le finalità del controllo successivo sulla gestione sono, quindi, le disposizioni del decreto “taglia spese” del 2004 e della legge finanziaria 2005, che prevedono la comunicazione alla Corte di conti del referto sul controllo di gestione[26], completo con le valutazioni sugli acquisti autonomi di beni e servizi, nonché degli atti di affidamento degli incarichi di studio, di ricerca e di consulenza [27].

E’ verosimile che la previsione di un controllo, seppure in veste collaborativa, della Corte dei conti spingerà gli enti locali ancora inadempienti a introdurre nelle loro organizzazioni il controllo di gestione. E’ però possibile che la previsione di un controllo esterno induca, in generale, gli enti a maggiore prudenza nella compilazione dei referti.

L’istituto del controllo collaborativo della Corte dei conti presenta, quindi, aspetti positivi e punti critici. Comporta anche il rischio che si traduca esclusivamente in uno strumento a disposizione dei gruppi di minoranza dei consigli degli enti destinatari delle risultanze del controllo stesso.

5. Il controllo del Prefetto

Per completezza, è opportuno ricordare che avendo solo finalità di lotta alla delinquenza mafiosa, non è stato travolto dalle riforme il controllo che il prefetto può attivare sui provvedimenti relativi ad appalti, concessioni, subappalti, cottimi per la realizzazione di opere e di lavori pubblici, oppure nei casi in cui sia necessario assicurare il regolare svolgimento delle attività delle pubbliche amministrazioni statali e regionali, previsto dall’articolo 135 del testo unico degli enti locali n. 267 del 2000.

6. Conclusioni

Riassumendo, l’abrogazione, con la riforma costituzionale del 2001, dei controlli di legittimità sugli atti impone, innanzitutto, che gli enti locali sviluppino i controlli interni di regolarità amministrativa e contabile, al fine di evitare che l’attività amministrativa rimanga sprovvista di qualsiasi verifica sulla sua razionalità giuridica.

La preferenza per un modello di organizzazione amministrativa incentrato su criteri di gestione per obiettivi e la previsione della distinzione di ruoli fra vertice politico e vertice burocratico richiedono, poi, che gli enti locali realizzino un funzionale sistema di controlli “interni” per verificare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa (controllo di gestione) [28] e la sua adeguatezza con il programma di governo (controllo strategico) [29], da attivarsi con il supporto tecnico di organismi specializzati.

Le finalità sono evidenti: mantenere l’azione pubblica all’interno dei confini della regolarità e correttezza e, nello stesso tempo, indirizzarla verso obiettivi di efficacia e di efficienza; ed, ancora, indicare strumenti e meccanismi per valutare le prestazioni degli operatori e la congruità delle scelte strategiche decise dagli organi politici.

In altri termini, verificare che l’organizzazione rispetti i due valori comuni a tutte le democrazie occidentali della legalità e dell’economicità.

Infine, il nuovo istituto del “controllo collaborativo” della Corte dei conti risponde all’esigenza di contenimento della spesa pubblica, in un momento in cui anche gli enti locali sono chiamati, con l’imposizione del rispetto del patto di stabilità interno, ad effettuare scelte coerenti con i vincoli imposti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea.

 

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(*) Segretario e direttore generale della Provincia di Verona.

*[1] Cfr la riforma del sistema dei controlli attuata dall’articolo 17 della legge n. 127 del 997 (cosiddetta riforma Bassanini).

[2] Art. 9 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, in G. U. del 24 ottobre 2001.

[3] Art. 100, secondo comma, Costituzione.

[4] Art 7, commi 7 e ss, L. 5 giugno 2003, n.. 131, in G.U. n.132 del 2003.

[5] In ossequio al nuovo dettato costituzionale, dall’8 novembre del 2001, le regioni, i comuni e le province non sono più soggetti, al controllo preventivo di legittimità in ordine ai propri atti amministrativi. Nel senso dell’immediata abrogazione dei controlli si è espresso il Ministro per gli Affari regionali con nota in data 5 dicembre 2001 diretta alle Associazioni degli enti locali.

[6] Art. 147, c 1, lett. a),  D.Lgs 18 agosto 2000, n. 267.

[7] Art. 49  D.Lgs n. 267/2000.

[8] Art. 97, co 2,  D.Lgs n. 267/2000.

[9] Art 153 D.Lgs n. 267/2000

[10] Art 234  D.Lgs n. 267/2000.

[11] Si veda., da ultimo, l’art. 1, commi 31 e 32 della L 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), che affidano a questo organismo compiti di verifica del rispetto degli obiettivi trimestrali ed annuali del patto di stabilità interna, nonché, il comma 42 dello stesso articolo, che richiede la valutazione sempre da parte del collegio degli atti di affidamento degli incarichi di studio, ricerca e consulenza.  Importanti compiti erano stati affidati all’organo di revisione economico – finanziaria dall’art. 1, commi  9 e 11 del D.L. 12 luglio 2004, n. 168, convertito nella L. 30 luglio 2004, n. 191. Il “collegato“ alla legge finanziaria 2002, ha affidato al collegio di revisione di fornire informazioni sui costi della contrattazione integrativa per il personale dipendente (art. 17, c.2, che aggiunge l’art. 40-bis al D.Lgs. sul pubblico impiego n. 165/2001) e sui contratti per l’acquisto di beni e servizi (art. 24, c. 6).

[12] Artt. 1 e 2 del D.Lgs n. 165 / 2001.

[13] Art 4 del d.Lgs n. 165/2001 e successive modificazioni e art. 107 del D.Lgs n. 267/2000.

[14] Art 169 D.Lgv n. 267/2000.

[15] Secondo  la Corte dei Conti (Sez. Contr., 28 luglio 1995, n. 94), la mancata determinazione dei programmi, degli obiettivi, delle priorità e l’assenza delle conseguenti direttive generali , nonché la mancata assegnazione delle risorse preclude l’attività dei dirigenti ed impedisce di imputare in capo agli stessi la relativa responsabilità.

[16] E’ opportuno, innanzitutto, ricordare che l’espressione “controllo” nella sua accezione tradizionale assume diversi significati e classificazioni. I controlli si distinguono in interni, esterni o misti, secondo l’autorità o organismo che li pone in essere. Sono interni i controlli posti in essere dallo stesso Ente per verificare la conformità dei suoi atti alle esigenze di diritto e agli interessi affidati alle sue cure, in modo da eliminare autonomamente, in sede di esercizio del potere di autotutela, quelli illegittimi (autoannullamento)  o inopportuni (revoca). Sono esterni, invece, i controlli posti in essere da organi di altre Amministrazioni, statali o regionali, per sindacare gli atti e l’attività di altre amministrazioni, che l’ordinamento reputa necessitano di “tutela” o, comunque , di una pluralità di attenzioni. Possono qualificarsi misti quei particolari controlli che sono attivati attraverso gli istituti di partecipazione popolare e di democrazia diretta, quali il referendum e l’azione popolare, che l’ordinamento, seppure con alcune cautele, ha introdotto (anche) nell’ordinamento delle autonomie locali. Un’altra distinzione è quella fra controlli che si riferiscono agli atti (controlli sugli atti) e quelle che colpiscono le persone degli stessi amministratori (controlli sugli organi). I controlli sugli atti, a loro volta, si distinguono in controlli diretti a verificarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento (controllo di legittimità) e quelli  che si interessano della loro opportunità e congruità (controlli di merito).Con riferimento al momento in cui il controllo è effettuato, si distinguono i controlli che intervengono prima che l’atto produca i suoi  effetti (controlli preventivi) da quelli che sono posti in essere ad effetti già prodotti (controlli successivi). Una particolare modalità dei controlli sugli atti è quella diretta a sostituire, eccezionalmente e in casi tassativamente previsti, l’azione mancante dell’Ente con quella di altri organi che agiscono per suo conto (controllo sostitutivo). Il controllo sugli organi,  a differenza di quello sugli atti, non si limita al sindacato sui singoli provvedimenti viziati, oppure all’emanazione di atti obbligatori omessi dagli organi normali, ma si spinge fino a colpire gli stessi amministratori, i quali, al verificarsi delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, sono sospesi o addirittura rimossi dalle loro funzioni. I controlli sugli atti, di legittimità e di merito, preventivi o successivi, ed i controlli sostitutivi e sugli organi appartengono alla categoria dei controlli tradizionali,  “formali” o “ burocratici”, diretti ad occuparsi della forma degli atti e dei procedimenti, ma che non considerano l’attività posta in essere ed i risultati ottenuti in termini di efficienza nell’impiego delle risorse pubbliche e di efficacia nella risposta ai bisogni dei cittadini.

[17] CASSESE, nella Relazione all’inaugurazione del 1° corso di formazione su “Costi e rendimenti delle pubbliche amministrazioni”, organizzato nel 1993 dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione;” GALEOTTI, I contratti dirigenziali: come perno della riforma delle amministrazioni: una riflessione giuseconomica, in Rivista. Arannewsletter, n. 6/1999, pag. 4 e ss; SCOGNAMIGLIO, Valutazioni, controlli interni nella pubblica amministrazione locale, Gorle (Bergamo), 1998.

[18] L’art. 51 della L. n. 142/90 prevede al comma 9 : “Lo statuto può prevedere forme di controllo economico interno della gestione”.

[19] Non può essere inserito nel sistema dei controlli interni, anche se tale è qualificato, quello affidato dalla legge n. 20/1994 alla Corte dei Conti.

[20] In G.U. 18 agosto 1999, n. 193.

[21] Artt. 114, 117, comma 6, e 118 Cost.

[22] Il decreto n. 286 del 1999, come è noto, individua quattro tipologie di controllo (di regolarità, di gestione, strategico e per la valutazione delle prestazione dei dirigenti)  e ne affida le relative attività a strutture diverse, in modo da assicurare la distinzione fra controlli di tipo collaborativi e controlli di tipo repressivo e fra attività di supporto a quelle di indirizzo politico (controllo strategico) e attività finalizzate al miglioramento della gestione (controllo di gestione).

[23] Art. 7, comma 7, L  n. 131/2003

[24] Deliberazione n. 6/CONTR/05 del 15 febbraio 2005 della Corte dei conti, Sez. riunite in sede di controllo.

[25] Art. 148 D.Lgs n. 267/2000

[26] L’art. 1, c 5 , D.L 12 luglio 2004, n. 168, convertito con modificazioni, nella L. 30 luglio 2004, n. 191, ha aggiunto l’articolo 198 – bis  al testo unico degli enti locali  n. 267 del 2000,  così concepito “Nell’ambito dei sistemi di controllo di gestione di cui agli articoli 196, 197, 198, la struttura operativa alla quale è assegnata la funzione del controllo di gestione fornisce la conclusione del predetto controllo, oltre che agli amministratori ed ai responsabili dei servizi ai sensi di quanto previsto .dall’articolo 198, anche alla Corte dei conti”. Cfr. deliberazione  16/aut/04 del 22 ottobre 2004della Sezione dell’autonomie della Corte dei conti, ad oggetto “Atto di indirizzo per la prima attuazione del decreto legge 12 luglio 2004, n. 168 (convertito in legge 30 luglio 2004, n. 191.)

[27] Art. 1, commi 11 e 42 , l. 30 dicembre 2004, n. 350. Cfr deliberazione n. 6/05 del 15 febbraio 2005delle sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti, ad oggetto “ Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 131 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42).

[28] Art. 147, co 1, lett. b e artt. 196 – 198 –bis  D.Lgs n. 267/2000.

[29] Art. 147, co 1, lett. d)  D.Lgs n. 267/2000.


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