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Articoli e note

n. 6/2007 - © copyright

GIUSEPPE PALMA
(Ordinario di diritto amministrativo
nell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”)

Valutazione delle prove scritte di concorso
ed obbligo di motivazione

In tema di esclusione dai concorsi pubblici e particolarmente sulla ormai rivendicata motivazione dell’esclusione degli elaborati scritti, si registrano da ultimo una pletora di sentenze le quali, in verità, non sembrano ancora focalizzare nei termini tecnico-giuridici l’annoso problema.

Al fine di partecipare al dibattito in corso, mi determino a pubblicare una mia memoria difensiva, nella quale sono delineate le coordinate concettuali della tematica, nonché alcune mie considerazioni stese, per così dire, a caldo e mi auguro che esse possano contribuire ad ampliare il discorso tra i cultori della materia.

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MEMORIA DIFENSIVA

DIRITTO

1)  VIOLAZIONE ART. 3 COMMA 1 L. 718/90 N. 241 – ASSOLUTO DIFETTO DI MOTIVAZIONE – ECCESSO DI POTERE.

Alla stregua della disposizione, richiamata in rubrica, ogni provvedimento amministrativo, compresi gli atti inerenti allo svolgimento di pubblici concorsi, deve essere motivato, si è ben consapevoli che nella specie trattasi di valutazioni tecnico-amministrativo, e quindi il sindacato non può assumere le dimensioni del sindacato tipico della sfera di discrezionalità amministrativa pura, pur tuttavia, come affermava alcuni decenni fa il Sandulli, la discrezionalità tecnico-amministrativa non può giammai sottrarsi ad un pur minimo sindacato di legittimità! Ne consegue che il richiamo alla necessità che anche le valutazioni tecnico-amministrative (come per gli atti del concorso in questione) abbiano, pur se ristretta e filiforme, una motivazione (che non sia solo formale, come l’apposizione di una cifra numerica) debba necessariamente assolvere allo scopo che non vi siano “zone franche” sottratte al sindacato di legittimità da parte del G.A., il che per altro verso finirebbe per violare il dettato costituzionale, artt. 24., 113, 97, ecc.!

Si evita in questa sede di inoltrarsi argomentativamente nelle numerose questioni di rilievo costituzionale addensatesi contro l’attuale orientamento giurisprudenziale e debitamente ritenute irrilevanti dal Giudice delle Leggi. Anche perché va ricordato che, tra differenti interpretazioni di cui può essere suscettibile una disposizione normativa, il giudice de quo è tenuto ad orientarsi a favore di quella interpretazione che più aderisca ai principi della nostra carta costituzionale!

Invero, in questa sede conviene ribadire un altro ordine argomentativo: la giurisprudenza consolidata del G.A. fa leva sostanzialmente su due momenti logico-ricostruttivi:

a) che l’indicazione del numero di punti dato può ben assolvere all’obbligo di motivazione (cfr. fra tante, Cons. di Stato IV sez. 25 settembre 1990 n. 706; Cons. Giust. Amm. 3 giugno 1994 n. 237);

b) trattandosi nella specie, nella correzione dei compiti scritti, un mero giudizio (e non un provvedimento), esso non richiederebbe una motivazione conforme al disposto dell’art. 3 citato in rubrica (cfr. fra tante Cons. di Stato IV sez. 5 agosto 2005 n. 4165; 17 settembre 2004 n. 6155; 19 luglio 2004 n. 5175).

A)In ordine all’argomentazione di cui alla lettera a) va subito posto in evidenza che la valutazione numerica, al massimo, garantisce che il compito relativo sia stato letto dai commissari. Ma come si faceva rilevare, soprattutto all’udienza di trattazione della sospensiva, il numero e la votazione numerica non serve a garantire la commissione d’esame nella sua globalità e soprattutto il presidente di detta commissione sul fatto ineludibile che siano stati rispettati i criteri generali prefissati nella prima seduta (prima delle prove scritte) e che per ciò devono inderogabilmente guidare la correzione dei relativi compiti (altrimenti perché imporne la formulazione ai sensi dell’art. 12, 1°, DPR n. 487/94?). Si intenda bene non garantisce la globalità della Commissione dappoichè, per ragioni pratiche, essa può e viene articolata in più sotto-commissioni per volontà di legge.

Riassumendo: se la commissione nella sua globalità fosse preposta alla correzione di ogni singolo compito, essa sarebbe anche in grado di garantire da sé i criteri generali impostisi alla valutazione dei compiti stessi; ma dal momento che, per ragioni d’opportunità pratica, la Commissione può affidare la correzione dei compiti ad alcune sue articolazioni, peraltro non sempre presiedute dal Presidente la garanzia del rispetto dei suddetti criteri non è in alcun modo raggiungibile.

Infatti anche la giurisprudenza (TAR Lazio, sez. I 27.7.2001 n. 6825) avverte la necessità che le sotto-commissioni dovrebbero essere effettivamente presiedute dal Presidente titolare della Commissione.

Cosicché, per quanto si è premesso, la garanzia del rispetto di tali criteri valutativi non può non riposare su di una sintetica motivazione, che richiami i vari criteri valutativi che sarebbero stati violati dal compito negativamente valutato in concreto, a meno che la Commissione, nella sua globalità, non si determini a legittime deroghe; ma se ciò fosse lecito e legittimo lo dovrebbe deliberare l’intera commissione; in contrario avviso non si rilevi che ciò comporterebbe un aggravio nell’attività della commissione esaminatrice (a parte il fatto che far parte di una commissione esaminatrice non equivale ad una chiamata alle armi!) poichè, in forza di esperienze già vissute, sarebbe in proposito sufficiente attribuire una lettera alfabetica (ad esempio) ad ogni criterio generale e valutativo prefissato e la motivazione potrebbe consistere nel segnalare, dopo la correzione, la rilevata violazione dei criteri di cui alle Lett. A, B, C, ecc.!

B) Per quanto riguarda l’argomentazione o il sillogismo di cui alla lett. B, in forza della quale si ritiene che soltanto i provvedimenti debbono essere motivati a termini della L. 241/90, e pertanto, trattandosi nella specie di un mero giudizio, questo si sottrae alla normativa richiamata, resterebbe da chiedersi: siamo veramente sicuri che nella specie non vi sia una manifestazione di volontà dell’Amministrazione che ha bandito il concorso, sia pure, per così dire, implicita?

Ovvero, in altri termini, l’equipollenza nella specie di una manifestazione di potere amministrativo che risulti, per volontà di legge, connesso intimamente, sul piano della presupposizione giuridica, al giudizio valutativo espresso dalla Commissione tecnica esaminatrice, per di più quest’ultima non inquadrata istituzionalmente nell’articolazione amministrativa del Ministero che bandisce, non può disconoscersi.

L’itinerario concettuale andrebbe così impostato (evito di citare le numerose leggi che sembrano dare ragione ad un tale itinerario, poiché esse nonché la relativa dottrina è ben nota a quest’autorevolissimo Collegio): il cittadino con determinata requisiti ha la pretesa giuridica garantita di partecipare e concorrere fisiologicamente (starei per dire) al procedimento (=funzione) concorsuale; se per incidente di percorso, come nel caso di specie, essendo stati i compiti scritti valutati insufficienti si deve determinare l’espulsione del candidato dalla prosecuzione dell’iter procedimentale del concorso, occorre che sia determinata amministrativamente (Amministrazione attiva) la cessazione (dell’esercizio) della funzione (procedimento) iniziato nei suoi confronti.

La mera commissione tecnica, che, come si è visto, non fa parte dell’apparato amministrativo burocratico e non è, quindi, titolare del relativo potere di ammettere i candidati al concorso e di assumerli al fine del procedimento concorsuale, non può con un mero giudizio valutativo tecnico determinare gli effetti giuridici conseguenti attribuiti dalla legge agli organi dell’apparato amministrativo (chi nomina i vincitori al termine del concorso? La Commissione tecnica, o, chi, sul presupposto dal lavoro esplicato da quest’ultima approva la graduatoria?).

La diversità, consiste in ciò che nel caso dell’approvazione finale della graduatoria si rinviene un provvedimento formale, nel caso invece, dell’espulsione dalla prosecuzione procedimentale ricorre l’ipotesi di una dichiarazione di volontà implicita, comunque di carattere provvedimentale, che si riconnette in concreto al giudizio valutativo compiuto dalla Commissione!

Ed allora, in conclusione, se l’impostazione, tutt’altro che singolare, stante molti altri casi analoghi, la volontà dell’Amministrazione deve pur trovare nel giudizio valutativo, presupposto logico della volontà amministrativa, esercizio del relativo potere, deve pur riconoscersi la necessità ordinamentale di una motivazione, sia pure scheletrica e filiforme, sia pure ob relationem, ai fini e scopi di cui all’art. 3 L. 241/90 cit. (se l’Amministrazione, che ha bandito il concorso, si accorgesse che i voti non fossero stati attribuiti dalla Commissione tecnica esaminatrice preposta, che questa, ad esempio, non avesse aperto le buste dei candidati e quindi non avesse proceduto alla lettura, si orienterebbe lo stesso per l’esclusione dei candidati?)

Riassumendo: i criteri generali deliberati dalla Commissione Esaminatrice nel suo complesso devono essere rispettati da tutti i commissari senza deroga alcuna (salva una rimeditazione dell’intera Commissione) ed allora si deve pur sancire un modo secondo cui, anche nel rispetto dell’art. 97 Cost., si possa verificare che i singoli giudizi abbiano rispettato i criteri suddetti, anche al fine della conseguente attività della P.A.

Nel determinare l’espulsione la P.A. deve pur anche radicarsi nella correttezza di tale giudizio di cui la motivazione ne attribuisce significazione e rilevanza giuridica. (In fin dei conti un ragionamento di tal fatta è già consacrato e sanzionato nella nuova disciplina legislativa che regola il concorso di idoneità a notaio).

2)  VIOLAZIONE ART. 12 E 18 RD 1860/1925 – VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO – ECCESSO DI POTERE

Alla stregua dell’art. 12 u.c. richiamato in rubrica, “nel caso che la Commissione sia divisa in sottocommissioni, queste nella medesima seduta, procedono all’esame dei tre lavori di ciascun candidato e, ultimata la lettura degli elaborati, si riuniscono per la comunicazione delle rispettive valutazioni. Subito dopo ogni sottocommissione assegna ai lavori da essa esaminati il punteggio secondo le norme indicate nel precedente comma”.

Orbene, alla lettura del verbale n. 113 del 24.06.2003 e dei relativi allegati, non si rinviene traccia di deliberazione collegiale della commissione, né è dato evincere il giudizio attribuito da ciascun commissario al singolo elaborato, così da avere contezza del giudizio di non idoneità in ultimo formulato.

Ed invero nel verb. n. 113 la collegialità è solo rappresentata, tralasciandosi integralmente la verbalizzazione del momento valutativo e tralasciandosi anche la dimostrazione – eventualmente anche solo numerica (essendo l’inidoneità pur sempre raggiunta con il conseguimento del punteggio numerico di 12/20) – del formulato giudizio di inidoneità.

Ne consegue, anche per i profili indicati in rubrica, la illegittimità degli atti impugnati e la fondatezza del ricorso.

3) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT. 12 E 16 R.D. N. 1860/1925 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 123 BIS R.D. N. 12/41 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 14 D.LGS. N. 398/97 – ECCESSO DI POTERE SOTTO ALTRO PROFILO

L’art. 12 III co. del R.D. n. 1860/1925 prevede che la Commissione assegna ai temi di ciascun candidato il relativo punteggio secondo le norme indicate dall’art. 16 del R.D. e dall’art. 1 del D.Lgs. CPS n. 974/47 (di modifica dell’art. 123 R.D. n. 12/41).

L’art. 16 succitato prevede che “ciascun commissario dispone di dieci punti per ogni prova scritta ed orale”.

La disposizione in parola è stata mantenuta ferma dal D.Lgs. n. 398/97 che all’art. 14 co. 2 espressamente richiama le disposizioni del Regio decreto 15 ottobre 1925 n. 1860.

L’art. 123 bis del R.D. n. 12/41 u.c. introdotto dall’art. 2 del D.Lgs. 398/97, dispone poi che sono ammessi alla prova orale i candidati che ottengono non meno di 12/20 di punti in ciascuna delle materie della prova scritta, e conseguono la idoneità i candidati che ottengono non meno di 6/10 in ciascuna materia della prova orale e comunque una votazione complessiva nelle due prove non inferiore a novantotto punti.

Nel caso di specie, ferme restando le censure rese sub motivo 2, non risulta in alcun modo espressa l’avvenuta valutazione di ciascun elaborato alla luce dei criteri di massima dalla commissione stessa fissati, tanto meno risulta evidenziato sotto quale profilo ed in relazione a quale di quei criteri ciascun compito andava reputato carente. La commissione, con evidente violazione della normativa di riferimento, si è in sostanza limitata ad esprimere apoditticamente il giudizio “non idoneità”, tralasciando di rendere ragione della conformità del giudizio a quei criteri di massima.

Anche dalle considerazioni che precedono emerge dunque la dedotta illegittimità degli atti impugnati.

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CONSIDERAZIONI A CALDO

Nella mia lunga esperienza di cultore di diritto amministrativo ed anche nella più breve esperienza professionale ho sempre evitato di redigere note a sentenze, per escludere maliziosi giudizi. Tuttavia nel caso presente nasce in me l’esigenza di sottoporre al giudizio dei cultori della materia il caso giurisprudenziale che mi riguarda, in qualità di difensore (naturalmente evito di indicare i nomi delle parti per il ben noto valore della privacy).

Come si può leggere nella documentazione premessa, si tratta ancora una volta del caso di esclusione dai concorsi pubblici, in modo specifico dal concorso in Magistratura, conseguente alla valutazione di insufficienza che la commissione concorsuale ha, nella specie, decretato per alcuni compiti.

Come si legge nella memoria difensiva, presentata in occasione dell’udienza di merito, approfondivo ed ampliavo una tematica tecnico-giuridica particolarmente delicata, non avendo avuto la possibilità di illustrarla adeguatamente nella precedente udienza di sospensiva (nell’aula di consiglio erano presenti i difensori di tutti i ricorsi pendenti – così che sembrava una contrattazione sindacale- ognuno dei quali in modo confusionario ha espresso le sue ragioni). Per tal motivo ho pensato di illustrare adeguatamente il corredo motivazionale nella memoria difensiva di merito, con la profonda consapevolezza che il principio di legalità vada realizzato nel modo più assoluto anche in ragione del fatto che - è mio profondo convincimento – la Giustizia Amministrativa abbia anche il ruolo (come lo ha avuto storicamente) di imprimere un tale valore nell’esplicazione dell’attività Amministrativa e quindi della Pubblica Amministrazione.

La tesi difensiva proposta e che avrebbe meritato sinceramente una più approfondita attenzione e meditazione era tesa a dar valore ad una prescrizione legislativa, in forza della quale la Commissione, preposta all’esame degli elaborati, deve prefissare i criteri secondo cui i singoli commissari o le sottocommissioni devono orientarsi nella correzione degli elaborati medesimi.

D’altro canto se è un obbligo imposto per legge, si deve pur tuttavia ricavarne qualche conseguenza, sempre giuridica, di una loro possibile violazione.

Tralascio una ulteriore considerazione circa il II punto, rilevato sempre nella memoria difensiva, che, invero è di più difficile comprensione, pur tuttavia è da fissare l’attenzione sul fatto che se il procedimento concorsuale è tale (e non vedrei cos’altro sia) da rientrare pienamente nella categoria dei procedimenti amministrativi, sarebbe stata fondata la speranza che mi facessero capire come può interrompersi un procedimento di tal fatta senza un provvedimento, ancorché implicito, di interruzione.

E’ vero, nei miei lunghi studi ebbi il privilegio di leggere una nota a sentenza (quando la dottrina faceva sul serio) del Maestro De Valles (Foro Amministrativo 1938): scriveva il Maestro che aveva adito un giudice per vedersi riconoscere proprietario di un immobile, non solo rimaneva eluso il suo desiderio, però veniva a conoscenza di uno zio con un ombrello di seta verde.

Con questo non voglio dire che ci troviamo in un caso analogo, tuttavia avrei auspicato che il giudice avesse proceduto ad un esame approfondito del problema sollevato e non si fosse limitato a seguire la stanca via dei precedenti giurisprudenziali.

Invero non commenterò ulteriormente, ma prego il lettore di raffrontare le argomentazioni tecnico giuridiche difensive ed i “lievi” riferimenti contenuti nella decisione, tutt’altro che esaustivi, al fine di definitivamente configurare se i criteri preliminari che la commissione di esame deve deliberare abbiano o meno nel nostro ordinamento un qualche rilievo.

In conclusione, mi limito solo a suggerire una lettura tesa a comprendere se i criteri, come sembra desumersi dalla decisione, hanno un valore giuridico ed in conseguenza come il “cittadino” possa controllare il loro rispetto se da nessun atto di approvazione o disapprovazione si possa ricavare una loro avvenuta violazione. È chiaro in definitiva che non mi avvio, né ho consigliato di proporre appello, dal momento che lo stanco richiamo da parte del TAR della giurisprudenza del Supremo Consesso non fa intravedere orientamenti risolutori differenti.

Tanto mi constava far notare ai miei colleghi cultori della materia e tanto con molta sincerità sottopongo alla loro attenzione.

(Invero alcune decisioni del TAR da ultimo, che evito di citare perché penso conosciute, sembrano più sensibili alle argomentazioni premesse ancorché in termini non del tutto analoghi).


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