LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

n. 5/2004 - © copyright

ALESSANDRO PAGANO
(Consigliere del T.A.R. Campania - Napoli)

Meditando sul condono: approcci giurisprudenziali in tema di sanatoria edilizia

 

Come è stato notato da acuta dottrina, sussistono "placche" sotterranee presenti da tempo nel campo del diritto amministrativo: almeno due faglie opposte, ad esempio, con riferimento alla tematica dell’avviso dell’avvio del procedimento amministrativo (G. Virga, L’inutilità della partecipazione al procedimento, commento a T.A.R. Puglia Bari, sez. I – sent. 26 ottobre 2002 n. 4676, in questa Rivista n. 10/2002).

I concetti propri della tettonica a zolle sembrano ancor più opportunamente richiamabili in tema di condono edilizio che proprio il territorio, nella sua materialità, va a governare.

Le faglie qui riscontrabili sono emblematicamente, ad avviso di chi scrive, sintetizzabili nelle posizioni assunte in apicibus dalla Cassazione penale e dal Consiglio di Stato in ordine ai poteri del giudice nell’applicare la legge n. 326/2003.

Mentre, infatti, per il Consiglio di Stato (Sez. V, 3 marzo 2004 n. 1037, in questa Rivista n. 3/2004), spetterà all’interessato decidere se attivare o meno il procedimento di condono introdotto dalla legge statale e, soprattutto, all’amministrazione competerà la determinazione di stabilire se l’opera sia o meno sanabile, sicché in questa sede [processuale] non è consentito al giudice di affermare, nemmeno in via incidentale, che non si deve sospendere il giudizio perché l’opera non è sanabile, secondo la Cassazione penale (Cass. III sez. pen. 3 febbraio 2004 n. 3992, ivi, n. 2/2004), per contro, spetta al giudice penale verificare la sussistenza dei presupposti affinchè detta normativa [artt. 35 e seg. L. 47/1985] possa essere applicata.

*

Trattasi di due impostazioni autorevoli che sollecitano l’indagine circa la faglia concettuale che sottendono.

In particolare, la posizione "non interventista" del Consiglio di Stato pare sottendere una affermazione di apprezzabile profilo, espressiva del rispetto del principio della "riserva di amministrazione".

Si aggancia, in altri termini, alla ritenuta sussistente riserva di funzione amministrativa (cfr. Alb. Romano, Le fonti del diritto amministrativo, in AA.VV. Diritto amministrativo, 2001, pg. 134 e ss., Monduzzi ed., amplius D. Vaiano, La riserva di funzione amministrativa, Giuffrè ed., 1996).

Secondo Romano, sicuramente la riserva di attività giurisdizionale agli organi giurisdizionali che la Costituzione istituisce o riconosce, deve essere osservata anche dall’amministrazione; che, anzi, le è anche subordinata: in quanto soggetto dell’ordinamento generale, come tutti i soggetti di questo.

Adesso, però, è venuta a porsi la questione che da questo punto di vista opposta: se gli organi giurisdizionali, nell’esercizio della loro funzione istituzionale, debbano osservare a loro volta, ed entro quali limiti, una riserva di amministrazione.

Per la giurisdizione civile, secondo il predetto autore, non pare sussista alcun dubbio, dovendosi affermare che il giudice ordinario debba rispettare l’autonomia della pubblica amministrazione: né più o nemmeno di quanto debba rispettare l’autonomia di ogni altro soggetto dell’ordinamento generale medesimo, ossia di quelli privati, o di diritto comune.

Nei confronti del giudice amministrativo, seguendo il ragionamento della predetta dottrina, la questione si rende tuttavia di maggiore complessità, nel senso che la risposta positiva esprime anche una storica acquisizione espressiva del graduale estraniarsi del giudice amministrativo dall’amministrazione.

Si supera dunque l’impostazione originaria del 1889 che non poneva, in chiave giustiziale, un organo estraneo alla p.A., e si culmina con la legge TAR del 1971 che, istituendo i Tribunali Amministrativi, nega in radice qualsiasi nesso strutturale intrinseco fra G.A. ed amministrazione.

*

Del tutto differente è, come sopra indicato, l’approccio della Corte Suprema penale.

Del resto, la magistratura penale, non da ora, si referenzia quale interprete diretto del dato normativo in subiecta materia, ritenendo la spettanza del giudice penale a valutare la tempestività della domanda di concessione edilizia in sanatoria ex art. 38 L. 47/1985; la assenza di dolosa infedeltà della relativa domanda e la tempestività della stessa (Cass. sez. III, pen. 2 maggio 1998 n. 3425), ovvero, la improcedibilità della domanda di sanatoria, ove l’interessato non abbia adempiuto tempestivamente alla richiesta di integrazione documentale avanzata dall’amministrazione nei suoi confronti (Cass. sez. III, pen. 3 febbraio 1998 n. 3277).

Soprattutto in relazione alla quaestio facti della data di perpetrazione dell’abuso edilizio, la S.C. ha affermato (Cass. sez. III, pen. 5 agosto 1999 n. 10313) che deve escludersi la operatività dell’art. 44 L. 47/1985 per abusi compiuti dopo la data legislativamente fissata.

Ancora, la stessa Corte ha affermato (Cass. pen. sez. III, 5 marzo 2002 n. 14625) che il giudice, nel pronunciarsi sulla sospensione della demolizione, per avvenuta presentazione della domanda di condono, debba accertare la sussistenza di tutte le condizioni richieste dalla legge.

Secondo tale sentenza (n. 14625/2002) è uniforme giurisprudenza della Corte (cfr. fra tante Cass. sez. III, 15 gennaio 1997 n. 4065) l’affermazione che la necessità di sospendere l'esecuzione dell’ordine di demolizione si avveri una volta accertata la regolare proposizione della domanda di condono edilizio, sia in relazione ai requisiti, compreso quello temporale dell'ultimazione dell'opera sia in riferimento alla sua procedibilità ed alla riferibilità all'immobile.

Ed invero, ha proseguito la Corte, l'obbligo di sospensione della procedura esecutiva relativa all'ordine di demolizione ex art. 7 ultimo comma L. n. 47 del 1985 riguarda, un'istanza di condono edilizio di cui sussistano tutti i presupposti per l'applicazione dell'istituto "de quo", dovendo il giudice penale effettuare una serie di accertamenti prima di dichiarare la sussistenza della causa estintiva (cfr., Cass. sez. III, 1 marzo 1996 n. 2251) ovvero il formarsi del silenzio-assenso (Cass. sez. III, 7 agosto 1996 n. 2885 e Cass. sez. III, 29 dicembre 2000 n. 3489, proprio in tema di concessione in sanatoria rilasciata in seguito ad istanza di condono edilizio).

Ne consegue la precisa perimetrazione dei compiti del giudice di rinvio cui è demandato di accertare, fra l’altro, la proposizione dell'istanza da parte di soggetto legittimato; la procedibilità e proponibilità della domanda (es., rituale allegazione della documentazione richiesta); l'insussistenza di cause di non condonabilità assoluta dell'opera e la pendenza dell'istanza di condono e la sua validità, efficacia e proponibilità.

Ancora in modo più analitico, si afferma, con riferimento al silenzio assenso, che i presupposti di doveroso accertamento del giudice penale, per ritenere perfezionato il rilascio della concessione in sanatoria per silentium sono: a) il pagamento integrale dell'oblazione determinata in modo veritiero; b) il pagamento degli oneri di concessione; c) la presentazione della documentazione sulle opere abusive o della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà da parte del richiedente, fatta salva la documentazione fotografica e, ove prescritte, la perizia giurata e la certificazione tecnica sull'idoneità statica delle opere; d) la denuncia tempestiva ai fini dell'accatastamento (così Cassazione penale, sez. III, 13 febbraio 2001, n. 13896; in tema di concessione edilizia macroscopicamente illegittima da ritenere tamquam non esset, cfr., Cassazione penale, sez. III, 28 giugno 2000, n. 10960).

Cassazione penale, sez. III, 30 maggio 2000 n. 10601 contiene poi una importante precisazione che coinvolge l’art. 13, L. 47/1985 (ora art. 36 T.U. edilizia).

Afferma la Cassazione che secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, gli artt. 22 e 13 della legge n. 47-1985 vanno interpretati in stretta connessione ai fini della declaratoria di estinzione dei "reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti" e il giudice penale, pertanto, ha il potere - dovere di verificare la legittimità della concessione edilizia rilasciata "in sanatoria" e di accertare che l'opera realizzata sia conforme alla normativa urbanistica.

In mancanza di tale conformità, infatti, la concessione non estingue i reati ed il mancato effetto estintivo non si ricollega ad una valutazione di illegittimità del provvedimento della P.A. cui consegua la disapplicazione dello stesso ex art. 5 della legge 20.3.1865, n. 2248, all. E), bensì alla effettuata verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell'estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo incidente sulla fattispecie tipica penale (vedi Cass., Sez. III,: 7.3.1997, n.2256, ric. Tessari e altro; 24.5.1996, ric. Buratti e altro).

Tali affermazioni si susseguono, con varie formule motivazionali.

Così Cass. pen. III, sez. 8 marzo 2000 n. 5031 asserisce che In tema di condono edilizio, i controlli demandati all'autorità giudiziaria, ai fini della declaratoria di estinzione dei reati per intervenuto versamento dell'integrale oblazione dovuta, riguardano: l'ultimazione dell'opera [nel termine previsto dalla legge] - le modalità di determinazione dell'oblazione dovuta (per verificare se si sia operato in modo non veritiero e palesemente doloso) e l'integrale versamento da parte di un soggetto legittimato, - l'accertamento della dolosa infedeltà della domanda in relazione ad altri elementi (la sussistenza di vincoli di inedificabilità assoluta o relativa taciuti dall'istante), - l'accertamento dell'eventuale insanabilità assoluta dell'opera abusiva per carenza dì alcuni presupposti, quali la volumetria, - l'effettuazione nei termini di tutti gli adempimenti ed integrazioni previsti dalla legge [di sanatoria], - la verifica della sottoposizione a Vincoli della zona o dell'opera dovendosi attendere il conseguimento dell'autorizzazione dell'ente preposto alla tutela del vincolo per dichiarare estinto anche il reato paesaggistico o ambientale al sensi [della normativa di settore].

Compete, quindi, al giudice penale, nel pensiero della Corte, il potere di accertamento di tutti gli elementi della fattispecie estintiva, fra i quali vi è l'osservanza del limite temporale e di quello volumetrico costituenti parametri stabiliti dal legislatore per la definizione dell'ambito di operatività del condono edilizio.

Il controllo sulla loro ricorrenza –si afferma– non costituisce esercizio di una potestà riservata alla P.A., cui competono tutti gli accertamenti relativi alla sanatoria amministrativa, spettando al giudice penale il potere - dovere di espletare ogni accertamento per stabilire l'applicabilità della causa di estinzione del reato, sicché, quando risulti che le opere edilizie abusive non siano state ultimate entro il termine stabilito ovvero che l'immobile superi la volumetria di settecentocinquanta metri cubi, l'imputato non può beneficiare del condono edilizio (Cass. Sez. 111 30.06.1995, Volpetti , n. 10262, Sez, 111 15.10.1996, Nocera RV. 206.471).

Lapidarie sono poi le affermazioni in tema di lottizzazione abusiva: al giudice ordinario, a prescindere dall’atto autorizzatorio amministrativo e senza lo svolgimento di alcun controllo su tale atto, viene demandata la verifica diretta della trasformazione territoriale realizzata alla stregua delle prescrizioni di legge e di qualsiasi strumento urbanistico di carattere generale, anche soltanto adottato, ed una verifica siffatta, lungi dall’interferire in qualsiasi modo sull’attività della pubblica amministrazione, costituisce riscontro di elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa. (Così Cass. Sez. Un. Penali 28 novembre 2001 ric. S.)

*

Posto che, come sopra evidenziato, si tratta di scelta di politica giudiziaria non contingente, si deve ritenere che la stessa debba radicarsi su meditate architetture giuridiche.

In via di prima approssimazione, può escludersi che il diverso ambito di sindacato sia da connettere al canone della dominanza del fatto, da parte del giudice penale: basterebbe, in argomento, richiamarsi al progressivo spostamento dell’oggetto del giudizio amministrativo dall’atto al rapporto controverso, predicato dal Consiglio di Stato (CdS V, 23 aprile 2002 nr. 2199).

L’orientamento espresso dal giudice penale sembra meglio connettersi, innanzitutto, al principio che iura novit curia.

Con tale brocardo si esprime la regola, in base alla quale, anche nei processi ispirati al principio dispositivo, il giudice ha il potere-dovere di individuare, anche di sua iniziativa, e di applicare ai fatti dedotti ed accertati le norme giuridiche che, secondo il diritto vigente ed in base alle regole sulla efficacia della legge nello spazio e nel tempo, debbano disciplinare i fatti stessi (Pizzorusso A., voce Iura novit curia, Enc. Giur. Treccani, 1991, pg. 1; altresì, in generale, Satta S., «Iura novi curia», Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1955, 380 ss.; altresì, Galgano F., Dizionario enciclopedico del diritto, Cedam 1999, ad vocem).

Non sembra quindi che il principio investigato si limiti al punto che le parti non debbano provare l’esistenza della norma giuridica (Patti S., voce Prova, par. 2.4., Enc. Giuridica Treccani, 1991).

In altri termini, la portata del principio iura novit curia si applaesa nell’escludere ogni limitazione al potere del giudice di accertare d’ufficio l’esistenza dei fatti che comunque possano influire sulla vigenza, validità, applicabilità ecc., di una disposizione di legge (Pizzorusso A., Fonti del Diritto in Comm. C.C. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1977, pg. 87 ss.).

Deve allora ritenersi che fra l’esistenza dei fatti da accertare vi sia anche quella del dato temporale, ogni qual volta lo stesso renda o meno applicabile una norma, così come avviene nella legislazione condonistica.

Analogo governo del dato temporale, da cui far scaturire differenti conseguenze in tema di normativa da applicare, si coglie in ambito del tutto diverso, in cui le Sezioni Unite Civili della Cassazione, dirimendo un conflitto giurisprudenziale in atto, hanno affermato (Cass. Sez. Un. Civ. 27 luglio 2002 n. 10955) che In tema di prescrizione estintiva, elemento costitutivo della relativa eccezione è l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di questa, necessaria per il verificarsi dell’effetto estintivo, si configura come una quaestio iuris concernente l’identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge. Ne consegue che la riserva alla parte del potere di sollevare l’eccezione implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie, l’identificazione delle quali spetta al potere-dovere del giudice, di guisa che, da un lato, non incorre nelle preclusioni di cui agli art. 416 e 437 c.p.c., la parte che, proposta originariamente un’eccezione di prescrizione quinquennale, invochi nel successivo corso del giudizio la prescrizione ordinaria decennale, o viceversa; e dall’altro lato, il riferimento della parte ad uno di tali termini, non priva il giudice del potere officioso di applicazione (previa attivazione del contraddittorio sulla relativa questione) di una norma di previsione di un termine diverso.

*

L’orientamento della Corte Suprema Penale sembra, infine, ancorarsi ad un più rilevante dato normativo.

Si potrebbe ritenere, infatti, che il potere giurisdizionale, attribuito alla Magistratura costituisca un correttivo degli istituti di democrazia, attuativo di una "razionalizzazione del regime parlamentare" e capace di frustrare eventuali spinte di esigenze contingenti, espresse nella legislazione, idonee a travolgere princìpi fondamentali della società e le garanzie dei singoli (Pizzorusso A. richiamato in Crisafulli V., Paladin L., Commentario breve alla Costituzione, ed. Cedam, 1990, sub art. 111 Cost.).

Il controllo diretto sui meccanismi legislativi costituirebbe dunque una riserva di giurisdizione, affermabile anche nei confronti della pubblica amministrazione.


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico