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n. 6/2008 - © copyright

LUIGI OLIVERI

L'incostituzionalità delle stabilizzazioni

horizontal rule

E' la mancanza di una espressa sanzione contro le stabilizzazioni illegittime uno dei problemi maggiori posti dalle ultime due finanziarie e dalle norme, ivi previste, per assorbire nei ruoli delle pubbliche amministrazioni i "precari".

La dimostrazione è data in questi giorni dalla stabilizzazione decisa dal Consiglio regionale del Veneto di circa 50 precari, che hanno lavorato nei ranghi del consiglio regionale a seguito di incarichi fiduciari dei gruppi politici.

In gergo, si chiamano "portaborse". Nella sostanza, sono lavoratori chiamati a lavorare (non sempre è corretto parlare di assunzione, perchè i contratti attivati sono spesso della natura più disparata) direttamente dai gruppi consiliari, per attività di supporto ai politici: segreteria particolare, addetti stampa, portavoce e altre mansioni, le più varie. Lavoratori che, per il legame fiduciario e diretto con il politico che li chiama, tecnicamente non potrebbero rientrare nel novero dei precari da satabilizzare. Ciò per il semplice fatto che il presupposto della stabilizzazione consiste nell'abuso, da parte dell'amministrazione pubblica, di contratti flessibili, impropriamente attivati su fabbisogni stabili. Il rapporto di lavoro diviene precario, perchè viene utilizzata una modalità di impiego scorretta, che non consente al lavoratore di essere correttamente inquadrato come lavoratore a tempo indeterminato, nonostante l'attività richiestagli risulti indispensabile e continuativa. Sicchè, non sussistono i presupposti per l'attivazione di lavori flessibili, cioè esigenze una tantum, connesse a picchi di lavoro, sostituzioni, carichi produttivi, ragioni tecniche.

Queste condizioni non possono essere presenti, nel caso di lavoratori assunti da organi politici, senza concorso sulla base esclusiva di rapporti di fiducia.

Lo ha spiegato a più riprese la Funzione Pubblica, da ultimo nella circolare 5/2008, ove si sostiene che "le norme sulla stabilizzazione non si applicano ai contratti a termine sorti per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro di cui all’art. 14, comma 2, del d.lgs 165/2001, per gli uffici posti alle dirette dipendenze del Sindaco, del presidente della Provincia, della Giunta o degli assessori (articolo 90 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267)".

La legge 244/2007, che ha esteso il regime delle stabilizzazioni avviato l'anno precedente con la legge 296/2006, nel modificare il testo dell'articolo 36 del d.lgs 165/2001 fornisce un argomento interpretativo molto preciso, sul quale appoggiarsi per condividere la tesi di Palazzo Vidoni. Si tratta del comma 7 dell'articolo 36, a mente del quale "le disposizioni di cui al presente articolo (che limitano e vincolano il lavoro flessibile nella p.a. Nda) non si applicano agli uffici di cui all'articolo 14, comma 2, del presente decreto, nonché agli uffici di cui all'articolo 90 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267".

In altre parole, la legge 244/2007, che ha ad un tempo esteso le stabilizzazioni e dato una stretta fortissima al ricorso del lavoro flessibile per evitare il riprodursi del precariato, dunque rivelandosi come norma di particolare tutela per i "precari pubblici", quella stessa legge dimostra di non voler considerare come "precari" i dipendenti degli staff politici. Tanto che esclude gli incarichi negli staff degli organi di governo dalle restrizioni al lavoro flessibile, fornendo, sia pure indirettamente, la chiara indicazione che tali contratti sono per loro natura temporanei, non destinati a nessuna possibile stabilizzazione, in quanto la loro durata è limitata necessariamente da quella del mandato legislativo del soggetto politico che li attiva.

Non vale osservare che la disposizione riguarda direttamente solo gli uffici di staff dei ministeri e degli enti locali, e non le regioni. L'articolo 36, comma 7, pone un principio chiarissimo, al quale le regioni non possono sottrarsi. In primo luogo, per la presenza di una norma di legge ordinaria, l'articolo 27 sempre del d.lgs 165/2001, che obbliga le regioni ad adeguare il proprio ordinamento ai principi enunciati del medesimo d.lgs 165/2001, ivi compresa, dunque, l'esclusione dei lavoratori a termine assunti in qualsiasi tipo di staff politico da procedure di stabilizzazione.

In secondo luogo, dall'articolo 97, comma 3, della Costituzione che impone l'accesso alla pubblica amministrazione mediante concorso pubblico. Tale disposizione ammette anche eccezioni, espressamente disposte dalla legge; nel caso di specie, però, il legislatore che ha introdotto le stabilizzazioni esclude da tali procedure i lavoratori di staff negli organi di governo. Risulta, dunque, evidente come qualsiasi legge regionale che prevedesse la stabilizzazione di tali soggetti violerebbe irrimediabilmente la Costituzione.

Ma, il difetto vero e grave della disciplina delle stabilizzazioni è la mancanza assoluta di qualsiasi sanzione espressa, laddove pubbliche amministrazioni procedano ad effettuare stabilizzazioni al di là dei limiti previsti dalle norme che le regolano.

Il Consiglio regionale del Veneto è in ottima compagnia. Sono tante le amministrazioni, infatti, che hanno già stabilizzato dirigenti, lavoratori in staff agli organi di governo, lavoratori anche privi dei requisiti di "anzianità" di servizio e di altri presupposti richiesti.

Manca qualsiasi tipo di controllo preventivo sulle procedure di stabilizzazione. Né, come rilevato prima, è prevista una sanzione espressa per le amministrazioni che violino le disposizioni sulle stabilizzazioni.

Si potrebbe ritenere che le stabilizzazioni di lavoratori flessibili al di fuori delle regole poste dalla legge siano nulle, per contrasto con norme imperative di legge. E' una tesi convincente, supportabile, per altro, con la previsione contenuta nell'articolo 36, comma 6, primo periodo, del d.lgs 165/2001, ai sensi del quale "in ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione". Ma, la nullità andrebbe accertata da qualcuno. Mancando, come rilevato prima, un controllo preventivo o, quanti meno, successivo, potrebbe essere solo il giudice ad accertare tale nullità.

Dunque, occorrerà che qualcuno attivi un contenzioso, in mancanza del quale stabilizzazioni nulle rimarranno non sanzionate.

E', questo, uno degli elementi maggiormente gravi dell'intera disciplina sulle stabilizzazioni dei "precari pubblici", che conferma l'impressione della sua sostanziale incostituzionalità.

Infatti, è una normativa che si presta ad applicazioni distorte, proprio per la mancanza di qualsiasi verifica di una sua applicazione quanto meno costituzionalmente orientata.

E', ancora, una normativa che crea oggettivamente illogiche conseguenze e disparità di trattamento. Alcuni Tar (T.A.R. Puglia - Bari, Sez. II 28 maggio 2008 n. 1307; T.A.R. Puglia - Lecce, 19 gennaio 2008 n. 125) hanno sostenuto che la stabilizzazione di lavoratori precari non sia di per sé irragionevole, dato che essa è il frutto di una ponderazione fra molteplici interessi, aventi tutti rilevanza costituzionale, né è contraria ai principi di cui all’art. 97 della Costitizione, visto che la regola del concorso non è assoluta e può essere derogata in presenza di situazioni particolari fra cui ben può essere ricompresa l’esigenza di ridurre il fenomeno del precariato.

Ma, tale visione non tiene conto di una circostanza fondamentale: la normativa sulle stabilizzazioni apre, come dimostrano i fatti, spazi ad evidenti abusi nelle stabilizzazioni stesse, o storture, come la precedenza, accordata da parte di alcuni enti, alle stabilizzazioni, invece che allo scorrimento di graduatorie per assunzioni a tempo indeterminato, per la copertura di posti vacanti della dotazione organica.

La distorsione, inconciliabile con l'articolo 97 della Costituzione, sta proprio qui. Nel consentire, ovvero, che persone partecipanti a bandi di concorso (o, addirittura, selezionate a monte senza nemmeno selezioni concorsuali) a tempo determinato, si trovino nella condizione privilegiata di essere, poi, stabilizzati. Privilegiata perchè è chiaro a tutti come la partecipazione a concorsi a tempo determinato sia meno selettiva, rispetto a quelli a tempo indeterminato, per la semplice ragione che si presentano meno concorrenti e la maggior parte dei candidati è residente nelle vicinanze della sede dell'ente. Non vi è, dunque, quella garanzia di selezione ampia ed aperta dei migliori, propria dei concorsi pubblici veri e propri.

Le procedure selettive previste per i precari assunti con le "forme diverse da quelle concorsuali" o, anche, come nel caso della legge della regione Veneto, direttamente dai politici negli organi di governo, sono solo pura forma. Si tratta, infatti, di selezioni interamente riservate, non selettive, dall'esito scontato.

Vi sono argomenti concreti per un serio e urgente ripensamento sulle stabilizzazioni, anche se è chiara la difficoltà a fermare un treno in corsa.

La strada maestra appare quella di eliminare le stabilizzazioni e mantenere le riserve di posti nei concorsi pubblici a tempo indeterminato per chi ha avuto esperienze di lavoro flessibile con la pubblica amministrazione, accanto ad una preferenza nell'assegnazione nei punteggi, nel caso di concorsi per titoli. Accanto a queste misure, adeguati risarcimenti del danno, per chi sia stato vittima di evidenti inanellamenti di contratti flessibili su fabbisogni continuativi. Nonché, l'introduzione di una norma con cui prevedere una funzione di controllo ispettivo sulle procedure di stabilizzazione fin qui gestite, per evidenziare i casi di chiara nullità.

In mancanza di ciò, il vulnus all'ordinamento non potrà che continuare ad estendersi.


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