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Articoli e note

n. 6/2004  - © copyright

LUIGI OLIVERI

La natura giuridica di provvedimenti amministrativi propria delle sanzioni amministrative
 

 

La sentenza della Corte di cassazione, Sez. I civile, 1 aprile 2004, n. 6362 (in questa Rivista, n. 5/2004, pag. http://www.lexitalia.it/p/corte/cassciv1_2004-04-01.htm) riconosce la sussistenza della competenza dei dirigenti, anziché del sindaco, per l’adozione delle ordinanze ingiunzione che comminano le sanzioni amministrative degli enti locali [1].

Si tratta di una decisione di estremo rilievo, perché fa luce dall’alto della forza interpretativa propria delle sentenze della Cassazione su una questione ancora aperta, nonostante l’evidenza giuridica e dei fatti, che avrebbe dovuto condurre senza soverchi problemi alla conclusione correttamente fatta propria dalla suprema Corte.

Nonostante, infatti, la piana lettura delle norme invocate dalla Cassazione per rinvenire la competenza dei dirigenti, non è mancato chi in dottrina [2] e giurisprudenza [3] ha, invece, ritenuto di individuare come organo competente all’adozione delle ordinanze-ingiunzione il sindaco.

La tesi della competenza del sindaco. I sostenitori del permanere della competenza del sindaco si basano per lo più su due diverse argomentazioni.

La prima parte da un’analisi dell’articolo 107, comma 3, lettera g), del d.lgs 267/2000 basata esclusivamente sul criterio dell’interpretazione letterale.

Si sostiene che la norma citata attribuisce espressamente al dirigente solo poteri di vigilanza e potestà sanzionatorie nella materia della prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio.

Dunque, la legge assegnerebbe ai dirigenti una limitata competenza all’irrogazione delle sanzioni amministrative, la cui estensione imporrebbe l’intermediazione di una norma statutaria che preveda in via esplicita l’attribuzione in capo al dirigente della competenza all’adozione delle sanzioni amministrative in materie ulteriori e diverse da quelle contemplate dall’articolo 107, comma 3, lettera g), del testo unico sull’ordinamento locale. In mancanza, dunque, rimane competente il sindaco o il presidente della provincia.

Una seconda motivazione adotta criteri interpretativi sistematici, afferenti alla natura giuridica del provvedimento sanzionatorio.

Si sostiene, da questo punto di vista, che l’ordinanza-ingiunzione non sia un atto gestionale: infatti, pur trattandosi di un atto amministrativo è un provvedimento da adottare nel rispetto dei principi generali disposti dalla legislazione processuale penale. D’altra parte, la legge 689/1981 è norma proprio di depenalizzazione di alcune sanzioni, sicchè i principi processuali debbono continuare a pervadere anche la gestione delle ordinanze che applicano le sanzioni amministrative.

Ebbene, detti principi prevedono molto chiaramente la demarcazione netta tra l'organo che rileva l’infrazione e l'organo che, invece, applica definitivamente la sanzione amministrativa.

Si mette in evidenza la circostanza che l’articolo 18 assegni il potere di adottare l’ordinanza ingiunzione alla “autorità competente”, da considerare diversa dall’autorità procedente.

Il procedimento di irrogazione delle sanzioni, del resto si suddivide in due fasi. La prima è gestita dagli organi cui siano assegnate funzioni di polizia, che si chiude con la contestazione o notifica dell'accertamento della violazione e l'inoltro del rapporto contenente tutti gli elementi essenziali previsti dalla legge, in caso di mancato pagamento della sanzione pecuniaria, all'autorità competente ad adottare l'ordinanza.

La seconda fase, scaturente dal mancato pagamento della sanzione e/o dalla presentazione degli scritti difensivi (con possibile richiesta di audizione) si conclude con l'emissione dell'ordinanza ingiunzione di pagamento, ovvero con un'ordinanza motivata di archiviazione, qualora l'autorità competente non condivida la sussistenza della violazione contestata.

Pertanto, l'estensione alla procedura di irrogazione delle sanzioni amministrative dei principi che governano il processo penale e l'esplicita differenziazione tra un'autorità che accerta l'infrazione e quella che adotta l'ordinanza, implicherebbe che gli organi interessati nelle due fasi siano distinti, allo scopo di evitare conflitti di competenza o la commistione tra autorità che accerta l'infrazione e che irroga la sanzione. L'assegnazione, per legge, di tale ultima competenza al sindaco, dunque, garantirebbe il rispetto di questo principio.

Ancora, si mette in luce come a ben vedere, proprio la natura para giurisdizionale del procedimento di irrogazione delle sanzioni le priva della configurabilità di atti gestionali, perché la potestà che viene in gioco, essendo funzionale al riesame dell’attività dell’organo di vigilanza, non può rinvenirsi nella dirigenza.

La tesi della competenza dirigenziale. La tesi della competenza del sindaco, tuttavia, non risulta accettabile, in quanto si poggia su presupposti non corretti e si presta a facili osservazioni.

In quanto al primo elemento interpretativo, l’interpretazione letterale dell’articolo 107, comma 3, lettera g), del d.lgs 267/2000 è molto semplice osservarne la debolezza argomentativa. La quale deriva dall’eccessiva superficialità della lettura della norma, operata attraverso la decontestualizzazione della lettera g), del comma 3, rispetto al contenuto complessivo del comma medesimo, il quale individua le competenze dirigenziali non attraverso un’elencazione considerata limitata e tassativa, ma mediante un’elencazione solo esemplificativa.

D’altra parte, il comma 3 dell’articolo 107 va messo in relazione anche con i successivi commi 4 e 5, i quali disponendo che le competenze dirigenziali possono essere derogate solo espressamente ad opera della legge e che tutte le disposizioni legislative, anche antecedenti, che assegnino competenze gestionali agli organi di governo debbono essere lette nel senso che siano attribuite ai dirigenti confermano il carattere solo esemplificativo della lettera g), sì da privare di ogni pregio la tesi contraria.

La giurisprudenza [4], del resto, è assolutamente univoca nel ritenere che la necessità che un provvedimento gestionale debba essere adottato dalla dirigenza, ancorché “non risulti specificamente tra quelli enumerati dallo stesso art. 107, al comma 3, del D.Lgs. n. 267 del 2000 è dovuta alla  natura esemplificativa dell’elenco  contenuto in tale disposizione, come emerge chiaramente dal testo di questa, che espressamente dichiara di segnalare solo alcuni atti «in particolare»”.

Inoltre, la giurisprudenza largamente maggioritaria del Consiglio di stato[5] ha chiarito come non occorra affatto alcun provvedimento statutario per rendere effettive le competenze che il d.lgs 267/2000 rimette immediatamente e direttamente alla sfera giuridica dei dirigenti.

In quanto alla seconda argomentazione fornita dalla tesi favorevole alla competenza del sindaco, in contrario, si deve osservare che lo spartiacque tra politica e gestione non è costituito dalla natura dell'atto, ma dalla funzione esercitata[6].

Il principio della separazione delle competenze spettanti da un lato agli organi di governo e, dall'altro, alla dirigenza, si fonda in particolare sull'esercizio di funzioni: quelle di governo sono riservate agli organi di governo e consistono, in sostanza, nella fissazione di programmi ed indirizzi generali, nonché nel controllo della gestione[7].

E’ assolutamente chiaro che l'emanazione dell'ordinanza ingiunzione di cui all'articolo 18 della legge 689/1981 non rientri in alcun modo nella funzione di programmazione ed indirizzo, poichè tale ordinanza non indirizza e programma assolutamente nulla. Anzi, sembra evidentissima la natura di atto di amministrazione attiva e diretta connessa a tale ordinanza, connessa alla funzione di amministrazione e non di programmazione che gli è propria.

Nel tentativo di escludere la competenza dirigenziale, si potrebbe sostenere che l'ordinanza ingiunzione sia di competenza del sindaco o del presidente della provincia, in quanto tale atto presuppone appunto una valutazione, assimilabile ad un controllo, sull'accertamento dell'infrazione, che, infatti, impone al soggetto accertatore l'obbligo di rimettere all'organo decidente un rapporto di servizio.

Ma questa soluzione non appare corretta, perchè di per sé la funzione di valutazione o controllo non implica necessariamente la sua appartenenza al genere degli atti di governo.

In effetti, attività di valutazione e controllo di atti amministrativi possono certamente farsi rientrare sia nelle competenze degli organi di governo, sia in quelle della dirigenza. Ciò è previsto, espressamente, dall'articolo 107, comma 3, del testo unico, con riferimento alle sanzioni in materia di edilizia.

Non resta che escludere, allora, che l'ordinanza-ingiunzione possa considerarsi esplicazione di funzioni di governo. Infatti, la funzione di controllo politico-amministrativo cui fa riferimento la normativa non riguarda un controllo puntuale sugli atti, né valutazioni o controlli procedurali su atti amministrativi, perchè se così fosse vi sarebbe un evidente coinvolgimento degli organi di governo nelle procedure amministrative ed un'inammissibile commistione di competenze.

Il controllo politico amministrativo va effettuato sui risultati complessivi della gestione, pertanto non può essere un puntuale riscontro dei singoli provvedimenti amministrativi. Soprattutto se da tale controllo derivi l'adozione di un vero e proprio atto di amministrazione attiva, qual è senza alcuna ombra di dubbio l'ordinanza ingiunzione.

Se, d’altra parte, si configura l'emanazione dell'ordinanza ingiunzione come procedimento amministrativo (quale, in effetti, è, come dichiara anche la tesi favorevole alla competenza sindacale) il fatto che vi sia una scissione dell'iter di emanazione in due fasi, quella dell'accertamento e dell'elaborazione e remissione del rapporto, distinta da quella dell'emanazione dell'ordinanza, non pone alcun problema all'ascrizione dell'ordinanza alla competenza dirigenziale, ed in particolare dello stesso dirigente che dirige la struttura dalla quale dipende l'agente accertatore.

La legge 689/1981, proprio perchè in larga parte è ispirata ai principi del processo penale, è l'archetipo della procedimentalizzazione dell'attività amministrativa, come poi fissata successivamente dalla legge 241/1990.

Il procedimento amministrativo è, come noto, distinto nelle seguenti fasi:

1) iniziativa;

2) istruttoria;

3) decisoria;

4) integrativa dell'efficacia.

Trascurando l'analisi della prima fase, la legge 241/1990 prevede in via generale che la fase istruttoria sia gestita da un soggetto in linea di principio differente dall'organo competente alla fase decisoria.

Dominus dell'istruttoria è, infatti, il responsabile del procedimento, quel soggetto pubblico che accerta i fatti, valuta i presupposti di diritto, conclude per l'ammissibilità o meno di deduzioni, documenti, audizioni e, soprattutto, rimette all'organo competente la proposta dell'adozione del provvedimento finale. Tale rimessione dovrebbe essere formalizzata (anche se quasi nessun ente lo fa) in una scheda procedimentale o relazione istruttoria, in tutto analoga al rapporto di cui all'articolo 17 della legge 689/1981. Infatti, a mente dell'articolo 3, comma 1, della legge 241/1990, il provvedimento amministrativo adottato dall'organo competente deve essere motivato e la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e di diritto che determinano la decisione “in relazione alle risultanze dell'istruttoria”. Tali risultanze, dunque, dovrebbero essere formalizzate in un “rapporto” o relazione che accompagni la proposta. Il provvedimento finale, dunque – esattamente come avviene per le ordinanze ingiunzione – dovrebbe basarsi sulle valutazioni istruttorie, al fine di specificare che la decisione adottata vi si conforma o se ne distacca, in base ad ulteriori e diversi elementi considerati dall'autorità decidente, che, per altro, così facendo si assume l'intera responsabilità decisionale, che verrebbe meglio distinta da quella istruttoria.

In ogni caso la gestione del procedimento amministrativo non prevede assolutamente che la decisione finale sia adottata da un'autorità diversa da quella preposta a dirigere le strutture amministrative cui appartenga il responsabile del provvedimento. Non si è in presenza, infatti, come nel processo penale di una funzione inquirente ed una giudicante: si rimane sempre all’interno di una funzione amministrativa, concretamente svolta in fasi distinte, ma ascritta sempre alla responsabilità dell’organo di vertice dell’unità organizzativa responsabile.

La legge 241/1990, anzi, prevede esplicitamente che vi possa essere piena coincidenza tra soggetto che gestisce la fase istruttoria e soggetto decisore. Infatti, responsabile del procedimento è, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, della legge 241/1990, proprio il dirigente finchè non abbia nominato altro dipendente. Dunque, l'iter amministrativo contempla espressamente la possibilità di una coincidenza tra dirigente e responsabile del procedimento.

Per sostenere, allora, che l'ordinanza ingiunzione imponga una differenziazione tra chi accerta i fatti e chi decida, tale da comportare un intervento – in quest’ultima fase – di un organo dotato di competenze funzionali del tutto distinte (l’organo di governo), occorrerebbe rinvenire nella legge 689/1981 una norma speciale, che prevalga sulla legge 241/1990 e sul principio di separazione, che contempli un principio o una disposizione contraria.

Ma tale ricerca è vana. Anzi, la configurazione del procedimento di emanazione dell'ordinanza ingiunzione è assolutamente compatibile con la legge 241/1990. Infatti, la fase istruttoria è gestita dall'agente accertatore, che assume la funzione di responsabile del procedimento. In quanto e se diverso dal soggetto competente ad adottare l'ordinanza, è tenuto a trasmettere a questo il rapporto (comunque obbligatorio), sulla base del quale l'organo decide di emanare l'ordinanza ingiunzione o di archiviazione.

La circostanza che il combinato disposto degli articoli 17, comma 4, e 18, comma 1, della legge 689/1981 indichi nel sindaco o presidente della provincia l'organo competente ad adottare l'ordinanza ingiunzione non rappresenta alcun ostacolo all'individuazione della competenza dirigenziale.

Anche a voler tacere dell'articolo 45 del D.lgs 80/1998, che ha risolto già da tempo la questione, comunque l'articolo 117, comma 5, del D.lgs 267/2000 dispone che “a decorrere dall'entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I, titolo III l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'articolo 50, comma 3, e dall'articolo 54”.

L'ordinanza ingiunzione è certamente un provvedimento amministrativo, ma anche gestionale, in quanto volto ad attuare previsioni generali, quali regolamenti o norme che prevedono precetto (comando) e sanzione (nel caso di violazione del precetto) e si tratta anche di atto vincolato, quando da essi derivi un introito per le casse dell'ente.

Pertanto, in via generale, l'ordinanza ingiunzione non può non spettare alla competenza dei dirigenti, posto che gli articoli 50 e 54 del testo unico si riferiscono solo alle ordinanze contingibili ed urgenti e ai provvedimenti in materia di salvaguardia dall'inquinamento, non alle ordinanze normali o gestionali.

Quanto alla natura dell'ordinanza ingiunzione, si è detto sopra che si tratti di un atto amministrativo e gestionale. Il fatto che si tratti di un provvedimento che inerisce ad un iter sanzionatorio, disegnato dalla legge in analogia al procedimento penale non ne modifica la natura. Anche il procedimento amministrativo, per unanime considerazione della dottrina, è strutturato in modo analogo al procedimento giurisdizionale[8].

La legge 689/1981, agli articoli 16, 17 e 18, non disciplina un procedimento giurisdizionale. La fase pretoria si apre solo con l'opposizione all'ordinanza ingiunzione, conosciuta dal giudice ordinario. Ma fino all'emanazione di tale ordinanza, si svolge un procedimento amministrativo, dal quale scaturisce un atto amministrativo secondo la sequenza disciplinata dalla legge stessa, che, come visto sopra, è del tutto compatibile con quella stabilita dalla legge 241/1990.

L'ordinanza ingiunzione è considerata pacificamente un atto amministrativo. E non è un atto di controllo sulle attività svolte da un organo da parte di un altro organo, bensì l'atto tipico della fase decisoria del procedimento di irrogazione della sanzione, che si caratterizza per il fatto che tale fase decisoria è condizionata all'iniziativa del cittadino.

Infatti, il destinatario dell'accertamento della violazione può evitare che si apra questa fase, eseguendo il pagamento sulla sola base dell'accertamento dell'organo che ha rilevato l'infrazione. In questo caso, sostanzialmente, la legge ammette una conclusione del procedimento in base ad una posizione di pati del cittadino, che accetta senza doglianza l'attività istruttoria e di accertamento dell'agente, sicchè tale accettazione trasforma tale atto in un provvedimento finale a contenuto decisorio. L'iniziativa del cittadino di pagare la sanzione, dunque, chiude il procedimento, sicchè non occorre alcuna ingiunzione di pagamento e, di conseguenza, nessun ordine (ordinanza) dell'autorità pubblica a tale scopo.

Nella maggior parte dei casi, l'accertamento delle violazioni comportanti sanzioni amministrative dai dipendenti pubblici cui siano attribuite le funzioni di vigilanza. Poiché l'accertamento dell'infrazione non è altro che il frutto di un procedimento volto alla verifica della violazione di un precetto normativo o regolamentare coperto dalla previsione di una sanzione correlata, si tratta di procedimenti amministrativi indubbiamente gestionali che si concludono con una dichiarazione di scienza, compiuta dall'accertatore, con la quale si attesta che il precetto è stato violato e si invita l'autore dell'infrazione ad effettuare il pagamento, avvisandolo che può presentare gli scritti difensivi, entro 30 giorni.

Pertanto, il dirigente o responsabile di servizio può incaricare i propri dipendenti come responsabili del procedimento sanzionatorio. Sicchè l'accertamento dell'infrazione e la compilazione del rapporto obbligatorio saranno, comunque, competenza di soggetto ed organo diverso da quello che emana l'ordinanza ingiunzione: per questa strada, dunque, è possibile garantire la, comunque, non necessaria – alla luce della legge 241/1990 – diversità tra accertatore ed autorità che emana l'ordinanza.

La posizione della Cassazione. La recente sentenza della suprema Corte non fa che confermare il quadro interpretativo favorevole alla competenza dirigenziale, anche se per brevi accenni, la cui laconicità è dovuta alla circostanza che la Cassazione dà assolutamente per scontate le sue considerazioni, contraddicendo del tutto le posizioni del giudice di pace di Venezia.

La Cassazione conferma che la piena attribuzione ai dirigenti di tutte le competenze gestionali deriva direttamente dall’articolo 107 del d.lgs 267/2000, senza alcuna necessità di un recepimento o di una specificazione statutaria.

Inoltre, la Cassazione si limita a constatare che le sanzioni amministrative sono “tipici provvedimenti amministrativi” devolute come tali alla competenza dirigenziale, descritta dall’articolo 107, comma 3, del testo unico attraverso quella che viene espressamente definita “esemplificazione” delle competenze, a conferma di quanto visto in precedenza.

Il difetto, allora, della sentenza del giudice di pace, oggetto della decisione della Cassazione, sta nel non aver tenuto in alcuna considerazione la normativa vigente.

La cassazione con rinvio della sentenza è un passo decisivo, per far sì che i giudici di pace analizzino con maggiore profondità la questione delle competenze dirigenziali degli enti locali, consentendo senza ostacoli la loro piena esplicazione, funzionale alla corretta gestione anche delle risorse finanziarie locali.


 

[1] Sull’argomento in generale, T. Tessaro, in Commento al T. U. sull'ordinamento delle autonomie locali, vol. 2., Organi e sistema elettorale, pag. 513 e segg.

[2] L’esperto risponde,  Il Sole 24 Ore N. 3767 del 23/9/02, citato nel forum di Lexitalia.it.

[3] In particolare, larga parte dei giudici di pace. Proprio una sentenza del giudice di pace di Venezia è oggetto della decisione della Cassazione, che ha rinviato al giudice di prime cure la sentenza cassata.

[4] Consiglio di stato, Sezione V, 14 maggio 2004, n. 3143, secondo il quale è illegittima l’ordinanza con la quale il sSindaco aveva irrogata la chiusura per dieci giorni dell’esercizio commerciale di una macelleria in applicazione degli artt. 14 della legge 30.4.1962, n. 283, e 21, u.c., della legge 24.11.1981, n. 689.

[5] Consiglio di Stato, Sezione V, 4 maggio 2004, n. 2694.

[6] Si veda Adunanza Generale del Consiglio di Stato, parere in data 10 giugno 1999; in merito, L. Oliveri, L’individuazione dei confini che separano la funzione di indirizzo e controllo, spettante agli organi di governo, e la funzione gestionale, spettante alla dirigenza, in www.lexitalia.it.

[7] Le funzioni di governo sono definite dall'articolo 4, comma 1, del D.lgs 165/2001, a mente del quale:

“Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare:

a) le decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo;

b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l'azione amministrativa e per la gestione;

c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale;

d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;

e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni;

f) le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato;

g) gli altri atti indicati dal presente decreto”.

[8] Per tutti, G. Morbidelli, in Diritto amministrativo, ed. Monduzzi, Bologna, 1998, tomo II, pag. 1194.


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