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Articoli e note

n. 4/2006 - © copyright

LUIGI OLIVERI

La sanatoria degli atti notarili

di trasferimento dei terreni nulli

Il legislatore italiano sempre più spesso nel cercare di “semplificare” cade nella tentazione di sovvertire principi giuridici acclarati, così da trasformare la semplificazione in un’operazione di banalizzazione del diritto.

Ne è un esempio evidente l’articolo 12, comma 4, della legge 246/2005, legge, appunto, di semplificazione amministrativa.

Tale disposizione, nell’intento di rendere maggiormente certi gli atti di disposizione dei terreni ha introdotto nell’articolo 30 del D.P.R. 380/2001, il comma 4-bis, a mente del quale “gli atti di cui al comma 2, ai quali non siano stati allegati certificati di destinazione urbanistica, o che non contengano la dichiarazione di cui al comma 3, possono essere confermati o integrati anche da una sola delle parti o dai suoi aventi causa, mediante atto pubblico o autenticato, al quale sia allegato un certificato contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti le aree interessate al giorno in cui è stato stipulato l’atto da confermare o contenente la dichiarazione omessa”.

E’ noto che a mente del comma 2 del medesimo articolo 30 “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati nè trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l'area interessata”.

La disposizione introdotta dalla legge 246/2005, in sostanza, intenderebbe estendere anche agli atti di disposizione dei terreni la conferma unilaterale una volta prevista, per i fabbricati, dall’articolo 40 della legge 47/1985 ed oggi regolata dall’articolo 47, comma 4, del D.P.R. 380/2001.

Le due fattispecie, tuttavia, sono sostanzialmente differenti tra loro. Infatti, la conferma unilaterale di cui all’articolo 47, comma 4, del D.P.R. 380/2001 è stata prevista come rimedio giuridico ad una nullità ope legis considerata ingiusta, perché non scaturente dalla mancanza del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, quanto piuttosto dalla mancata indicazione in atto degli estremi del permesso stesso. Pertanto, nel caso dell’articolo 47, comma 4, la conferma è stata prevista per fare avere prevalenza alla situazione sostanziale della legalità della costruzione, rispetto alla carenza formale della citazione degli estremi del permesso di costruire.

Nel caso, invece, della conferma per la nullità della cessione dei terreni ci si trova di fronte ad una norma di pura e semplice sanatoria, che finisce puramente e semplicemente di privare di senso la sanzione di nullità degli atti che non alleghino i certificati di destinazione urbanistica. Infatti, la possibilità di confermare detti atti non è basata sulla necessità di privilegiare una situazione sostanziale, ma puramente e semplicemente sulla possibilità di ottenere, ora per allora, un certificato di destinazione urbanistica che ricostruisca favorevolmente la destinazione del terreno al momento della cessione.

Nella sostanza, appare una norma foriera di un forte ridimensionamento, di fatto, delle funzioni di controllo dei comuni sulla destinazione urbanistica dei terreni.

Tra l’altro, occorre ricordare che proprio in merito alla questione della sanabilità degli atti di cessione dei terreni, la Corte costituzionale si era pronunciata molto di recente, con la sentenza 26 gennaio 2004, n. 38, la quale ha stabilito che non era fondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 18 della legge 47/1985, nella parte in cui non prevede la possibilità di conferma di un precedente atto di compravendita di terreni, nullo per omessa allegazione di certificato di destinazione urbanistica, attraverso un atto redatto nella stessa forma del precedente, cui allegare un certificato contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti le aree, relativamente al giorno in cui è stato stipulato l'atto da confermare.

La Consulta ebbe a sottolineare che poiché le misure predisposte dalla legge per il trasferimento dei terreni non sono comparabili con quelle relative agli edifici, in quanto ispirate ad un diverso sistema di accertamento e di contrasto all'abusivismo, la mancata previsione legislativa di conferma di un atto non assistito da certificato di destinazione urbanistica non era da considerare di per sè irragionevole. Infatti, la sua espressa previsione, postulando un obbligo di verifica sostanziale di conformità alla normativa urbanistica da parte del notaio, da un lato si sarebbe posta in contrasto con l'intento legislativo di ridefinizione dei compiti del pubblico ufficiale e di delimitazione delle ipotesi di responsabilità, dall'altro non sarebbe apparsa di per sè attendibile e concludente, non disponendo il notaio di quel complesso di indici di valutazione indicati dal comma dai quali è possibile ravvisare l'illecito e dei quali solo il sindaco può disporre.

La legge 246/2005 ha inteso rimediare ai problemi posti dalla Consulta, prevedendo che la sanatoria dipenda non da una valutazione del notaio, ma dalla ricostruzione, si ribadisce “ora per allora” della situazione urbanistica del terreno, da parte del comune, da trasfondere in un “certificato di destinazione urbanistica postumo”, allegabile all’atto di conferma.

A questo punto, visto che la sanzione della nullità prevista dalla legge diviene, nei fatti, solo teorica (il tempo darà ragione a chi, intanto, acquista prescindendo dall’allegazione del Cdu), non si capisce perché non si sia compiuta la scelta maggiormente lineare, di trasformare l’ipotesi di mancata allegazione del Cdu in vera e propria annullabilità e non nullità dell’atto.

Probabilmente, si è mantenuta in piedi l’ipotesi della nullità, per confermare in capo al notaio le responsabilità derivanti dal rogito di un atto di trasferimento del terreno, privo del Cdu.

Il prezzo pagato per questa scelta, però, è la trasformazione della nullità, limitatamente alla fattispecie considerata, in una fattispecie del tutto diversa da quella situazione di contrarietà al diritto insuscettibile di sanatoria e rilevabile in ogni tempo.

A rendere la fattispecie ancora più originale, poi, è il comma 5 dell’articolo 12 della legge 246/2005, il quale prevede che “possono essere confermati, ai sensi delle disposizioni introdotte dal comma 4, anche gli atti redatti prima della data di entrata in vigore della presente legge, purchè la nullità non sia stata accertata con sentenza divenuta definitiva prima di tale data”.

Tale disposizione, in un colpo solo:

1)                          introduce un’ipotesi davvero molto originale di retroattività della norma, forzando non poco il principio contenuto nell’articolo 11 delle pre leggi e, soprattutto, rendendo ancora meno forte l’istituto della nullità come rimedio a situazioni giuridiche ritenute dall’ordinamento non meritevoli di disciplina e tutela;

2)                          mostra un’evidente consapevolezza delle forzature introdotte: infatti, in sostanza cerca di trasformare la nullità non tanto in una situazione di diritto che i giudici possono solo limitarsi ad accertare e dichiarare, quanto in un effetto costitutivo di sentenze, ma a condizione che esse siano passate in giudicato. Come se la nullità, in sostanza, fosse effetto della sentenza, e non della violazione della norma che la prevede come sanzione.

Resta da chiedersi cosa, in effetti, la disposizione abbia semplificato. Non certo la disciplina generale del rogito degli atti di disposizione dei terreni, perché comunque i notai ed i pubblici ufficiali incorrono in responsabilità per la nullità derivante dalla mancata allegazione del Cdu.

Risulta, allora, più semplice la compravendita di terreni? Probabilmente. Ma rimane aperto il quesito se non risulti affievolita anche e soprattutto la già non brillante per efficienza funzione di governo e controllo del territorio dalle lottizzazioni abusive.


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