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Articoli e note

n. 6/2004  - © copyright

LUIGI OLIVERI

 Chiarita la giurisdizione sulle progressioni verticali, resta da individuare correttamente la fattispecie

Le Sezioni Unite della Cassazione, con l’ordinanza 26 maggio 2004, n. 10183 (in questa Rivista, n. 6/2004, pag. http://www.lexitalia.it/p/corte/casssu_2004-05-26.htm), tornano in modo convincente e definitivo sulla questione della giurisdizione riguardante le progressioni verticali.

L’ordinanza fornisce elementi ancora più completi del percorso interpretativo che ha portato al revirement della sentenza delle medesime Sezioni Unite 15 ottobre 2003, n. 15403 (in questa Rivista, n. 10/2003, pag. http://www.lexitalia.it/p/ago/casssu_2003-1543.htm), ricostruendo con esemplare sintesi, chiarezza e distacco le ragioni alla base del precedente orientamento interpretativo, utilizzate come base critica ai fini della nuova configurazione della giurisdizione sulle controversie concernenti le progressioni verticali.

Giurisdizione che appartiene sempre al giudice amministrativo, il quale, in generale interviene sempre e comunque in presenza del fenomeno dell’assunzione, intesa, secondo l’accezione compiutamente tratteggiata dalle Sezioni Unite, come “copertura di posti vacanti”.

Ogni procedura, dunque, dalla quale deriva una modifica della dotazione organica di fatto, per effetto della copertura dei ruoli è, per ciò stesso, concorsuale, anche se regolamentata dai contratti collettivi e se riservata a soli interni. Infatti, trattandosi di una nuova assunzione, dal momento che il dipendente interessato va a svolgere un nuovo lavoro, non può sfuggire all’applicazione dei principi di cui all’articolo 97 della Costituzione. Dai quali, come riconoscono le Sezioni Unite, armonizzando la propria giurisprudenza a quella della Corte Costituzionale, si deve ricavare l’assenza nel rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche il sistema delle carriere o dell’inquadramento unico, proprio, al contrario, del rapporto di lavoro privatistico.

L’ordinanza elimina, dunque, ogni eventuale residuo dubbio sulla necessità della giurisdizione amministrativa in presenza di progressioni verticali. Il revirement appare definitivo e non più discutibile.

La Cassazione ha portato avanti un complesso e difficile passaggio interpretativo, mirante a riconoscere al sistema del lavoro pubblico quelle peculiarità che la contrattualizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche non ha eliminato, contrariamente a quanto ancora oggi molti interpreti giuslavoristi sostengono.

Il difficile percorso, tuttavia, non appare ancora completo. L’ordinanza contiene due passaggi che meritano approfondimento ed ulteriore esame critico, affinché il riesame della normativa possa portare alla corretta armonizzazione delle disposizioni e delineare in modo coerente io sistema delle progressioni verticali e dei concorsi.

La Cassazione nell’affermare che al giudice ordinario resti la limitata e residuale giurisdizione sulle controversie attinenti ai dipendenti interni che comportino passaggio da una qualifica ad un’altra “ma nell’ambito della medesima area” si è espressa in modo eccessivamente sintetico, in modo da poter favorire interpretazioni che chi è intento a sostenere ad ogni costo la totale equiparazione tra lavoro pubblico e privato potrebbe utilizzare per dare corpo ai propri ragionamenti.

Poiché i contratti sono distinti per comparti e per aree e visto che le aree sono, in ogni comparto, ad oggi due, quella dirigenziale e quella non dirigenziale, si potrebbe ricavare dall’enunciato della Cassazione una contraddizione, in quanto le progressioni all’interno di un’area possono anche determinare la progressione verticale.

Ovviamente, tale tipo di lettura appare inconciliabile con le chiarissime espressioni della Cassazione, risoluta nel considerare che le progressioni verticali mediante le quali si coprano posti vacanti nella dotazione organica appartengano alla giurisdizione ordinaria.

La Cassazione, così come i giudici del lavoro, dimostrano di avere ancora una comprensibile difficoltà ad adottare in modo coerente il linguaggio lavoristico pubblico.

E’ chiaro che il riferimento della Cassazione alla giurisdizione ordinaria si riferisce alle progressioni orizzontali. Le quali, tuttavia, se certamente avvengono all’interno di una certa area, si distinguono da quelle verticali perché non comportano l’accesso ad un diverso lavoro e, dunque, il cambio da una categoria (ex qualifica funzionale) ad una superiore.

Probabilmente, la Cassazione ha parlato di area, volendosi invece riferire alla categoria. Ed ha parlato del passaggio da una qualifica all’altra, in quanto confusa dal sistema dei contratti collettivi pubblici, che trattano nei diversi comparti in modo purtroppo incoerente e caotico il sistema delle progressioni.

Nel comparto regioni-enti locali v’è una chiara differenza tra progressioni verticali e progressioni orizzontali. Queste ultime sono selezioni non finalizzate alla copertura di posti vacanti in dotazioni organica, ma a premiare in modo selettivo la maggiore qualità del lavoro prodotto dai lavoratori, permettendo loro una più elevata remunerazione, nell’ambito della medesima categoria di inquadramento e del medesimo profilo posseduto, nella corretta applicazione dell’esigibilità di tutte le mansioni professionalmente equivalenti.

Non è così nel comparto dei ministeri, nel quale, invece, l’accesso ad una posizione economica di sviluppo più elevata, anche nell’ambito della medesima categoria di inquadramento, è considerata dai contratti collettivi riqualificazione professionale e determina l’attribuzione anche di profili e mansioni più elevate.

L’ordinamento del personale locale è apparso una reale profonda modifica dell’assetto del lavoro subordinato alle dipendenze delle amministrazioni ed un concreto superamento del sistema delle qualifiche funzionali, a differenza di quanto avvenuto in altri comparti, rimasti saldamente legati al precedente sistema, che è sopravvissuto in larga parte nella sostanza, anche se la forma si è profondamente modificata.

Dunque, mentre la progressione orizzontale negli enti locali non implica affatto passaggio da una qualifica all’altra, ciò accade in comparti come quello dei ministeri. Da qui la difficoltà della Cassazione a dettare una definizione corretta ed onnicomprensiva della progressione orizzontale, e l’equivoco tra categorie ed aree.

Equivoco che ha ingenerato il secondo, più grave, elemento di criticità dell’ordinanza, che ha ritenuto di inquadrare una procedura concorsuale per l’accesso alla dirigenza come procedura per soli interni comportanti passaggio da un’area all’altra, configurando il caso esaminato in specie come progressione verticale.

Questa svista della Cassazione conferma come le Sezioni Unite abbiano confuso le aree con le qualifiche.

L’accesso alla dirigenza è evidentemente impossibile per progressione orizzontale, dal momento che essa permette, come visto sopra, comunque una progressione solo economica o anche di profilo (a seconda dei comparti) nell’ambito della medesima categoria di inquadramento.

Ma l’accesso alla dirigenza è anche impensabile per progressione verticale, istituto che permette l’accesso da una categoria all’altra, ma all’interno della medesima area contrattuale.

Tanto è vero che l’Aran in una serie di quesiti ha sempre e coerentemente affermato che l’istituto della progressione verticale non è applicabile per l’accesso alla dirigenza.

D’altra parte, la sentenza della Corte Costituzionale 274/2003 fornisce elementi chiarissimi per concludere che alla dirigenza non possa che accedersi per concorso e, in particolare, per concorso pubblico.

I concorsi interni, così come i concorsi riservati alla dirigenza, pur essendo non infrequenti, sono un chiarissimo vulnus all’articolo 97 della Costituzione ed all’articolo 28 del d.lgs 165/2001. Il quale nel prevedere tra i requisiti per l’accesso alla dirigenza il possesso di una certa anzianità di servizio presso le amministrazioni pubbliche non ha certo stabilito il principio della riserva dell’accesso ai dipendenti dell’amministrazione che indice il concorso, ma, al contrario, disposto un condivisibile orientamento: la valutazione dell’opportunità che ai vertici del lavoro pubblico acceda chi abbia sviluppato un’esperienza sufficientemente lunga in qualifiche predirigenziali, ma assunte non necessariamente nell’ente che indice il concorso, bensì tra tutti gli enti dei vari comparti.

Che il concorso per dirigenti debba essere pubblico e, dunque, né interno, né con riserva per interni, pena la sua illegittimità per violazione diretta della Costituzione, lo conferma il fatto che i contratti collettivi nel disciplinare la progressione verticale lo fanno solo con riferimento all’area di appartenenza e non contemplano assolutamente la progressione come strumento per passaggio di area; che l’articolo 28 si riferisca espressamente alla fattispecie del concorso, senza parlare si selezione, come invece l’articolo 35 del d.lgs 165/2001, del quale rappresenta con ogni evidenza una specifica attuazione, destinata alla disciplina dell’accesso alla dirigenza; che l’articolo 28 utilizzi l’indicativo presente, sinonimo di imperativo nel gergo del legislatore, quando prevede l’accesso ai concorsi anche (necessariamente) di persone qualificate, ma estranee all’amministrazione pubblica, il che esclude radicalmente la possibilità del concorso interno o del concorso riservato.

Per giungere, dunque, ad una completa rivisitazione della disciplina della giurisdizione sulle vertenze, ormai correttamente impostata dalla Cassazione, occorre un ulteriore passo in avanti, verso la corretta configurazione delle fattispecie concorsuali, prendendo atto che l’accesso da un’area all’altra oggi è ammesso solo per concorso pubblico, mentre le progressioni orizzontali e verticali sono modalità di accesso l’una ad un più elevato stipendio all’interno di una medesima categoria, l’altra ad una più elevata categoria di inquadramento, entrambe però all’interno in via esclusiva di una certa area contrattuale.


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