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Articoli e note

n. 7-8/2005 - © copyright

LUIGI OLIVERI

Non chiamatelo spoil system, ma paracadutismo

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Finalmente, dopo innumerevoli tentativi risalenti all’autunno del 2004, il Parlamento ha approvato, con la conversione del d.l. 115/2005, la mini-riforma della dirigenza, che prevede due punti fondamentali: in primo luogo, la riduzione da 5 a 3 anni del periodo di servizio trascorso il quale i dirigenti statali di seconda fascia possono consolidare gli incarichi in prima fascia e divenire direttori generali a titolo definitivo; in secondo luogo, la codificazione della possibilità per le amministrazioni statali di conferire incarichi dirigenziali a dipendenti privi di tale qualifica, ponendoli in aspettativa, anche si tratti di dipendenti appartenenti ala medesima amministrazione conferente l’incarico.

Nessuno, a parte ovviamente il Parlamento, sentiva la necessità di questa riforma, che però fornisce un’importante conferma dell’esistenza di una via tutta italiana allo spoil system.

Tutti i detrattori di questo sistema di gestione degli incarichi di vertice nelle pubbliche amministrazioni, improntato sul principio che gli organi di governo attualmente in carica possono piazzare ai vertici amministrativi dirigenti di propria fiducia ad ogni cambio di mandato, debbono ricredersi.

Lo spoil system è tutt’altro che quel sistema “mangia-dirigenti” che si era preconizzato. Al contrario, lo spoil system all’italiana altro non è che una modalità per promuovere a titolo definitivo, e senza concorso, alle sfere più alte dell’amministrazione.

In effetti, il sistema delle spoglie prevederebbe una sorta di “moto ondoso” della dirigenza di vertice, che dovrebbe andare e venire, a seconda della compagine politica di volta in volta al governo.

E così, in effetti, è in parte avvenuto negli scorsi anni. Nelle due passate legislature parlamentari e, in misura molto più accentuata presso regioni ed enti locali, all’alternanza delle forze di governo ha fatto effettivamente riscontro un rilevante e costante rinnovo di direttori generali, dirigenti, segretari comunali, dirigenti comunque posti ai vertici amministrativi. Rinnovi spesso basati sul “rapporto fiduciario” stretto tra dirigente ed organo di governo.

Molto si è discusso sulla reale possibilità di configurare gli incarichi dirigenziali come frutto di una scelta esclusivamente fiduciaria da parte dei politici. Chi propende per il sì, rileva che gli organi di governo democraticamente eletti, hanno la responsabilità di governare e, dunque, il diritto di scegliere i principali collaboratori amministrativi che debbono realizzare i programmi politici, una volta che gli organi di governo sono stati estromessi dalla diretta gestione. Chi propende per il no, fa rilevare che vecchie e desuete norme, come gli articoli 97 e 98 della Costituzione (che fastidiosamente sono ancora vigenti) prevedendo i principi dell’imparzialità dell’azione amministrativa e la soggezione dei dipendenti pubblici non ad una parte politica, bensì all’ordinamento repubblicano nel suo insieme, in effetti sono del tutto incompatibili col principio della fiduciarietà.

Sta di fatto, tuttavia, che la convulsione delle riforme sulla dirigenza pubblica di questi ultimi anni hanno permesso interpretazioni estensive del rapporto di fiducia e molti incarichi dirigenziali, in effetti, su questo rapporto si sono basati.

Ma, qui, il problema. L’organo di governo sa bene che per “aggirare” il principio di separazione delle funzioni politiche da quelle gestionali, spettanti alla dirigenza, uno dei possibili rimedi è coinvolgere politicamente, ci si corregge “fiduciariamente”, i dirigenti. Se il politico non può fare il dirigente, non è male avere un dirigente che risponda in primis agli input di partito, allo scopo di fornire una garanzia reale di perseguimento degli obiettivi prima politici che amministrativi previsti dalla compagine di governo. Cosa che un dirigente “solo tecnico”, per quanto eventualmente capace (possibilità, ovviamente remota, per chi viene selezionato semplicemente in base ad un concorso pubblico), non è pienamente garantita.

L’organo di governo, tuttavia, sa essere generoso. E allora, si pone il problema della possibilità di far permanere gli incaricati (i direttori generali esterni degli enti locali, i dirigenti di seconda fascia dello Stato, i funzionari con incarichi dirigenziali), quella possibilità che l’applicazione pedissequa dello spoil system potrebbe non consentire, qualora malauguratamente l’avversa compagine politica dovesse andare al potere.

Allora, ecco la funzione della mini riforma, dalla quale si evince un chiarissimo principio: qualsiasi incarico dirigenziale superiore alla qualifica professionale effettiva del destinatario, è destinato a divenire a titolo definitivo e qualsiasi posizione lavorativa predirigenziale può essere trasformata in posizione dirigenziale.

Due sono le implicazioni di questa mini-riforma. Quella immediata riguarda i dirigenti di seconda fascia che transitano direttamente nella prima, non dopo 5 anni di permanenza senza aver subito valutazioni negative, ma solo dopo tre anni.

Nel corso della polemica che ha accompagnato questa norma che abbrevia la “promozione” dei dirigenti dello Stato, a chi ha obiettato che la disposizione ha avuto lo scopo di consolidare in incarichi dirigenziali fissi la “fiducia” ben riposta nei dirigenti interessati da parte dell’attuale compagine di governo, i presentatori della riforma hanno contrapposto due obiezioni.

La prima, ineccepibile: il provvedimento interessa una compagine di dirigenti assolutamente di primo piano, valida e preparata, ed ha solo anticipato di due anni un lasso di tempo per la valutazione della capacità professionale, adeguando proprio il termine di verifica della preparazione dei dirigenti ai mutati e più veloci ritmi di gestione ed aggiornamento delle attività (malignamente, si potrebbe osservare che questa abbreviazione dei termini da 5 a 3 anni a poco meno di 9 mesi dalla scadenza del mandato elettorale desta qualche sospetto, ma, trattandosi di pura malignità, ovviamente non se ne fa menzione).

La seconda, un po’ meno convincente: in ogni caso, il provvedimento non comporta forti squilibri nella compagine dirigenziale statale nel suo complesso, composta di 4.500 dirigenti di seconda fascia circa e 450 dirigenti di prima fascia, dal momento che solo 80 circa sono i dirigenti che beneficeranno della mini-riforma: dunque, non vi è uno stravolgimento nelle proporzioni tra dirigenza di prima e di seconda fascia. Il ragionamento convince un po’ meno, perché non ci si rende conto che proprio norme come questa, rivolte ad hoc ad un numero ristretto di persone sono quelle che meno risultano compatibili con i principi della generalità, dell’astrattezza, del buon andamento dell’amministrazione.

Sanno tanto, norme simili, della volontà di cambiare in corsa le regole del gioco proprio a beneficio di pochi, mentre gli altri comuni mortali debbono passare per meccanismi e strumenti che non prevedono “sconti”.

Il tutto, comunque, come si vede è l’esatto contrario dello spoil system; i dirigenti di seconda fascia incaricati nella prima, tutto al contrario che rischiare di tornare nei ranghi, ottengono ben prima del previsto il consolidarsi della propria posizione.

Del tutto equivalente, anche se in apparenza opposta, è la norma che permette l’attribuzione di incarichi dirigenziali a funzionari privi della qualifica, prevedendone la collocazione in aspettativa senza assegni anche qualora l’incarico sia conferito nell’ambito della medesima amministrazione da cui dipende il destinatario, con ciò prevedendo un inedito caso di cumulo di due diversi rapporti di lavoro presso il medesimo datore.

Anche in questo caso, la norma non appare del tutto limpida. Da un lato, infatti, essa conferma l’assoluta illegittimità dei precedenti (e non sono pochi) incarichi conferiti a tale titolo, con contestuale posizione in aspettativa. Se, infatti, tali incarichi fossero stati legittimi anche prima della conversione del d.l. 15/2005, per quale ragione il legislatore avrebbe sentito il bisogno di intervenire, soprattutto visto che alcune pronunce delle Sezioni di controllo della Corte dei conti avevano ritenuto ammissibili tali incarichi?

Certo, c’era da controbattere al pesantissimo, e motivatissimo, avviso contrario in merito espresso dalla commissione speciale pubblico impiego del Consiglio di stato con parere prot. 514/2003.

Ma, il legislatore non ha configurato la modifica dell’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 come norma di interpretazione autentica. Allora, poiché le leggi non hanno portata retroattiva, a meno che non lo dispongano espressamente, gli incarichi ai funzionari fin qui assegnati non possono che considerarsi illegittimi. L’ombrello di copertura “sana” oggi le possibili questioni, ma il risultato di una norma non valevole proprio per ogni homo sapiens sapiens, ma per qualche specifico ed individuabile dipendente, appare abbastanza chiaro.

Anche qui, il sapore di “sanatoria” è forte ed innegabile. E non resta altro che aspettare il prossimo, sicuro passaggio. Quale? Naturalmente la sanatoria degli incarichi dirigenziali conferiti ai funzionari, ai sensi dell’articolo 19, comma 6, in applicazione della via italiana allo spoil system. Infatti, l’incarico dirigenziale ai funzionari è, ad un livello più basso, il pendant dell’incarico di prima fascia ad un dirigente di seconda. Manca ancora la norma che autorizzi, dopo un certo periodo di tempo, a consolidare la qualifica dirigenziale nel funzionario incaricato. Non v’è ragione alcuna di dubitare, tuttavia, che al prossimo giro favorevole, il funzionario “di fiducia” sarà certamente tutelato nel suo diritto a vedersi costituito un rapporto di lavoro dirigenziale indeterminato, una volta che siano state fatte le necessarie pressioni da forme organizzate dei “beneficiati” e che la “fiducia” in loro riposta si sia dimostrata fondata e fruttuosa.

E’, insomma, il principio del “paracadute”, che si applica agli incarichi di fiducia: a tempo determinato sì, ma solo all’inizio. L’apertura per tempo del paracadute consentirà sempre atterraggi morbidi: anzi, al contrario, si tratta di paracadute che non solo proteggono dalla forza di gravità, ma consentono di andare verso l’alto, e rimanerci.

Già un esempio emblematico esiste: la preintesa del Ccnl dell’area dirigenza del comparto regioni autonomie locali contiene due disposizioni (del tutto nulle per violazione di una serie di norme imperative di legge) finalizzate a coprire di legittimità anche negli enti locali incarichi dirigenziali a funzionari interni. Tra queste, spicca quella dedicata agli effetti degli accertamenti negativi sulle capacità gestionali. Mentre i dirigenti di ruolo possono incorrere fino al recesso dal rapporto di lavoro, per violazioni di particolare gravità (come in fondo appare giusto), i funzionari incaricati (e paracadutati) anche nel caso di ipotesi di particolare gravità, tutt’al più potranno essere rassegnati “alle funzioni della categoria di provenienza”. Nessun recesso, nessuna sospensione di incarichi. Il paracadute già esiste, contrattualmente.

E allora, perché espletare concorsi? Meglio conquistare la “fiducia”, nell’organo di governo che ha il diritto di incaricare la sua dirigenza ed aspettare, come il cinese, sulla sponda del fiume che arrivi la sanatoria dell’incarico dirigenziale.

Chi è acceduto alla dirigenza per concorso, si adegui. Lo spoil system all’italiana è generoso verso gli incarichi fiduciari, molto meno nei riguardi della dirigenza di ruolo, troppo asettica, troppo neutra. Occorre uscire dalla neutralità e dimostrare di meritare la fiducia.

Tutto ciò è costituzionale? Il cumulo di due lavori presso il medesimo datore appare sicuramente un ossimoro. E’ pur vero che l’articolo 65, comma 1, del Dpr 3/1957 stabilisce che “gli impieghi pubblici non sono cumulabili, salvo le eccezioni stabilite da leggi speciali” e che tale norma non vieta espressamente il cumulo di impieghi presso lo stesso datore, mentre prevede a leggi speciali di ovviare al principio generale del divieto di cumulo.

E’, tuttavia, altrettanto vero che la modifica apportata all’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 dalla conversione del d.l. 115/2005 non dispone un’eccezione espressa al principio del divieto di cumulo, come pur avrebbe dovuto stabilire per superarlo; d’altra parte, la conduzione di due rapporti di lavoro (uno non dirigenziale, l’altro dirigenziale) presso il medesimo datore, appare sin troppo evidentemente un aggiramento del principio di accesso per concorso agli impieghi posto dall’articolo 97 della Costituzione ed attuato, per la dirigenza, dall’articolo 28 del d.lgs 165/2001.

Sono, inoltre, rispettati gli articoli 3 e, soprattutto, 51, della Costituzione secondo cui tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza? Sottilizzando, e molto, si può affermare di sì: Bisanzio è sempre tra noi ed il legislatore lo sa.

Ma, allora, una riflessione si impone. La questione della dirigenza, insieme con altre (si pensi all’ordinamento giudiziario) è continuamente all’ordine del giorno del legislatore e di ciascuna amministrazione autonoma, tutti impegnati nel flessibilizzare gli accessi, radicare la fiduciarietà e l’appartenenza, marginalizzare il sistema di accesso per concorso e la dirigenza di ruolo, con modalità più o meno sofisticate tendenti a slalomeggiare tra le norme costituzionali. Non sarebbe, in questo quadro, più trasparente modificare gli articoli 97 e 98 della Costituzione, abolire i concorsi, prevedere senza falsi pudori una compagine amministrativa non “di parte”, non “schierata”, ma reclutata, premiata e con possibilità di carriera legate al mandato politico? Manca, comunque, così tanto, ormai, a questo approdo?

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Documenti correlati:

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante disposizioni urgenti per assicurare la funzionalita' di settori della pubblica amministrazione. Disposizioni in materia di organico del personale della carriera diplomatica, delega al Governo per l' attuazione della direttiva 2000/53/CE in materia di veicoli fuori uso e proroghe di termini per l' esercizio di deleghe legislative
(Testo definitivamente approvato dalla Camera il 30 Luglio 2005 - link a Parlamentoitaliano.it)


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