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Articoli e note

n. 4/2005 - © copyright

LUIGI OLIVERI

Le incoerenze della riforma delle competenze consiliari

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Sta divenendo, ormai, una (perversa) consuetudine per il legislatore quella di effettuare interventi “spot” su materie omogenee, del tutto contrari agli enunciati intenti di riforma e razionalizzazione.

Non bastando l'esempio della l. n. 241/90 (che è stata recentemente modificata, dopo circa 4 anni e due legislature, dalla legge 15/2005 e che è stata ulteriormente modificata - per ciò che concerne le norme in materia di d.i.a. - con il decreto legge 35/2005, decreto quest’ultimo che - per ciò che concerne la disciplina sul silenzio-assenso - sarà ulteriormente modificato in sede di conversione), altrettanto sta avvenendo col testo unico degli enti locali.

Mentre da oltre un anno è insediata la commissione per la riforma del d.lgs 267/2000, in adempimento alla delega legislativa contenuta nell’articolo 2 della legge 131/2003, ed è stato anche presentato un primo testo di riforma, il Parlamento, contrastando anche con la sua stessa delega, accelera i tempi, proponendo col disegno di legge di conversione del decreto legge 44/2005, una revisione delle competenze dei consigli che considerare frettolosa è fin troppo generoso.

La riforma è ispirata all’esigenza di ridare forza ai consigli comunali, facendoli riappropriare di alcune competenze che le riforme degli anni ’90 del secolo scorso avevano loro tolto.

L’esito è una proposta di modifica dell’articolo 42, comma 2 [1], del d.lgs 267/2000, che prevede l’attribuzione al consiglio:

1.      dell’assunzione di mutui;

2.      dell’approvazione di progetti di opere pubbliche di importo superiore a 250.000 euro per i comuni sotto i 3.000 abitanti, a 500.000 euro per gli altri, emissione di prestiti obbligazionari;

3.      degli acquisti;

4.      delle alienazioni immobiliari;

5.      delle permute;

6.      degli appalti e concessioni, superiori a 250.000 euro per i comuni sotto i 3.000 abitanti, a 500.000 euro per gli altri.

Il tutto, frutto di una revisione delle lettere h) e l) dell’attuale testo del citato articolo 42, comma 2, avente il chiaro scopo di modificare la funzione del consiglio da quella di organo di programmazione generale a quello di soggetto gestore.

E qui sta il punto fortemente debole della riforma proposta. E’, ovviamente, legittimo che il legislatore, nell’esercizio della sua potestà, ripensi l’assetto delle competenze degli organi di governo delle amministrazioni locali. Forse, meno opportuno è perseverare in continue modifiche dell’ordinamento locale, come accaduto con la legge 142/1990 e le innumerevoli successive riforme, tra le quali, solo per ricordare le principali, la legge 81/1993, il d.lgs 77/1995, la legge 127/1997, la legge 401/1998 (proprio sulle competenze consiliari in tema di approvazione dei progetti), la legge 265/1999, il d.lgs 267/2000, il Dpr 327/2001 (sempre sulle competenze consiliari in tema di approvazione dei progetti).

Ma, al di là dell’opera di tessitura e disfacimento della trama normativa da parte del Parlamento-Penelope, si deve segnalare che la proposta di riforma degli assetti delle competenze non incide, a ben vedere, nelle relazioni tra organi di governo riequlibrando le competenze del consiglio rispetto a quelle della giunta e del sindaco. L’effetto concreto della riforma, invece, è di incidere sulle competenze gestionali attribuite alla dirigenza, creando, comunque, al contempo, inestricabili problemi interpretativi ed operativi.

Come si nota, la riforma agisce prevalentemente sulle competenze connesse ai contratti pubblici (il disegno di legge, per la verità, tende a rassegnare al consiglio anche la competenza all’approvazione dei piani urbanistici attuativi).

Rilevanti sono i problemi connessi all’approvazione dei progetti relativi alle opere pubbliche. Il legislatore, infatti, nel caso di specie dimentica del tutto che i livelli di progettazione sono tre. Quale livello progettuale, allora, spetta alla competenza consiliare, nel testo riformato, quello preliminare, quello definitivo o quello esecutivo? Uno tra essi, due o tutti e tre? Non è dato comprenderlo dal testo.

Si potrebbe sostenere che il criterio normativo di attribuzione delle competenze è per valore. Sicchè, è possibile ammettere che vadano al consiglio le competenze oggi della giunta ogni qualvolta l’importo del progetto superi la soglia individuata dalla legge. Se così fosse, allora il consiglio (ri)acquisirebbe la competenza all’approvazione della progettazione preliminare anche in assenza della necessità di approvare le varianti in via d’urgenza, ai sensi dell’articolo 19, comma 2, del Dpr 327/2000. Se questa ipotesi risulta, in linea teorica ammissibile, non si può non sottolineare come la sua influenza sulla procedura di approvazione del programma delle opere pubbliche finisca per essere indubbiamente negativa, sul piano dell’efficienza. Poiché per le opere pubbliche di valore superiore al milione di euro è sempre necessario adottare il progetto preliminare, il consiglio dovrebbe essere coinvolto nella serrata fase di approvazione del pacchetto di progetti obbligatori ai fini della programmazione. Il rischio di uno slittamento dei tempi dei programmi appare evidente.

Più razionale apparirebbe attribuire al consiglio la competenza ad approvare il progetto definitivo. Anche se, in realtà, data la funzione di attuazione concreta della programmazione generale che ha il progetto definitivo, non si coglie la concreta utilità di allocare al livello consiliare tale competenza.

Ancora più criticabili sono le restanti previsioni, in merito all’assunzione dei mutui e soprattutto dell’indeterminata competenza in tema di acquisti, appalti e concessioni.

Dalla lettera l) del vigente testo dell’articolo 42, comma 2, sparisce, infatti, la previsione che la competenza consiliare subentra quando tali contratti non sono previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o quando rientrano nell’ordinaria amministrazione delle funzioni e dei servizi.

Pertanto, si potrebbe concludere che il criterio di valore previsto dalla riforma attribuisca di per sé al consiglio la competenza in merito a tutte le procedure di appalto e concessione.

Ma, in questo caso, lo si ripete, non v’è alcun riequilibrio tra consiglio giunta e sindaco. La norma, infatti, parrebbe esplicare i suoi effetti nei riguardi delle competenze dirigenziali. Infatti, nell’attuale ordinamento, gli appalti e le concessioni finalizzati all’acquisizione di beni e servizi, seguono un iter logico che parte dall’atto di programmazione generale di competenza consiliare, il bilancio di previsione e relative variazioni, passa dall’atto di programmazione esecutiva di competenza della giunta, il piano esecutivo di gestione, e si chiude con la determinazione a contrattare e la gestione concreta dell’acquisizione.

Ora, l’interpretazione letterale della riforma sembra deporre nel senso che il consiglio diviene competente a decidere in merito alla stipulazione di tutti i mutui, di tutte le concessioni, ed, ancora, delle acquisizioni di beni e servizi superiori ai limiti di valore indicati.

Se così fosse, si porrebbe un problema di compatibilità con il d.lgs 267/2000 che ha abolito la deliberazione a contrattare e che assegna all’esclusiva competenza dirigenziale l’adozione del provvedimento a contrattare, ai sensi dell’articolo 192 del testo unico. E’ obbligatorio concludere, difatti, che se l’interpretazione letterale della riforma è da intendere nel senso che il consiglio gestisca gli appalti, si ritorna addirittura alla deliberazione a contrattare.

Tale interpretazione letterale appare giustificata dall’eliminazione dalla lettera l) dell’articolo 42, comma 2, del testo unico della previsione della competenza consiliare in mancanza di atti di programmazione. Il nuovo testo, in altre parole, nega al consiglio una competenza programmatoria generale in tema di appalti, in presenza della quale si possa giungere alla determinazione a contrattare, passando per il Peg. E attribuisce direttamente al consiglio la funzione gestionale.

Ma allora, la ridefinizione delle competenze consiliari finisce per essere una deroga implicita alla competenza dirigenziale. E, come tale, una violazione al combinato disposto dell’articolo 107, comma 4, e 1, comma 4, del d.lgsd 267/2000, i quali impongono che le deroghe alle competenze dirigenziali possano essere disposte dal legislatore esclusivamente in modo esplicito.

Si è, insomma, in presenza di un colpo molto forte al principio della separazione delle funzioni di indirizzo e controllo, proprie degli organi di governo, da quelle gestionali, proprie della dirigenza. Una resa alle pressioni degli organi di governo locali, che non hanno mai accettato fino in fondo la regola della separazione. Un vero e proprio ritorno ad un passato nel quale gli organi politici gestivano, più che programmare. Un’abdicazione all’importanza della funzione programmatoria e di controllo.

Certo, si potrebbe interpretare la norma in altro modo, nel senso che le competenze del consiglio in materia di contratti pubblici, come ridisegnate dalla riforma, non incidano le funzioni dirigenziali, sì da concludere che la competenza consiliare rimanga ferma alla programmazione. Ma, in questo caso, la riforma non avrebbe alcun senso o, comunque, non sarebbe di nessuna utilità pratica, soprattutto perché tale lettura difficilmente risulterebbe unanime e, forse, maggioritaria. La confusione operativa ed interpretativa appare dietro l’angolo, con l’inevitabile conseguenza della remissione alla magistratura amministrativa della risoluzione dei problemi posti dalla riforma.

Si potrebbe, ancora, sostenere una tesi intermedia e sostenere che il consiglio, comunque, interviene, in analogia con la disciplina dell’approvazione dei progetti delle opere pubbliche, per approvare i capitolati di gara, lasciando alla dirigenza la determinazione a contrattare.

Quest’ultima interpretazione appare in grado di contemplare nel migliore dei modi la forma, ma nella sostanza il vulnus al principio di separazione rimane evidente.

Visto che la funzione gestionale della dirigenza consiste nel dare attuazione concreta alla programmazione generale del consiglio ed esecutiva della giunta, la determinazione dei capitolati di gara per l’acquisizione degli appalti diversi da quelli per l’acquisizione di opere pubbliche, appare connaturata proprio alla responsabilità dirigenziale. A meno di ritenere che la funzione gestionale consista in una mera attuazione di scelte adottate dagli organi di governo, equivocando così tra gestire e ed esplicitare la volontà del gestore. Gestire significa rispettare indirizzi generali ed il budget, per porre in essere scelte discrezionali di carattere operativo e contrattuale ed acquisire l’oggetto dell’appalto. La sola pubblicazione del bando di gara e della gara stessa, appare qualcosa di molto meno e ben diverso dalla funzione gestionale: del resto, il segretario comunale ha sempre svolto tale funzione nel regime precedente, quando il principio di separazione non era vigente.

Inoltre, rimarrebbe in piedi il problema dell’adozione del provvedimento di aggiudicazione: anche questo rientrerebbe nelle competenze consiliari così come riformate? Oppure, rimarrebbe in capo alla dirigenza. Anche in questo caso, l’interpretazione meramente letterale lascerebbe propendere per l’ascrizione della competenza in capo al consiglio, con un passo indietro di oltre 10 anni.

Forse, un ripensamento più meditato della riforma, nella sede propria della revisione generale del d.lgs 267/2000, sarebbe più opportuna.

 

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[1] Ecco il testo provvisorio dell’emendamento al ddl di conversione del d.l. 44/2005 che prevede la riforma:

Art. 1-bis.

1. All’articolo 42, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267, sono apportate le seguenti modifiche:

1.1) l’alinea è sostituito dal seguente: "Il consiglio ha competenza sui seguenti atti";

1.2) alla lettera b) dopo la parola: "urbanistici", sono inserite le seguenti: "ivi compresi quelli attuativi";

1.3) la lettera h) è sostituita dalla seguente: "h) assunzione di mutui, approvazione di progetti di opere pubbliche di importo superiore a 250.000 euro per i comuni sotto i 3.000 abitanti, a 500.000 euro per gli altri, emissione di prestiti obbligazionari";

1.4) la lettera l) è sostituita dalla seguente: "l) acquisti, alienazioni immobiliari, permute, appalti e concessioni, superiori a 250.000 euro per i comuni sotto i 3.000 abitanti, a 500.000 euro per gli altri".

Dopo il comma 2 è inserito il seguente:

"2-bis. Le competenze del consiglio di cui al presente articolo non possono essere derogate, né delegate neppure in forza dello statuto o di altri atti dello stesso consiglio.

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Documenti correlati:

SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO contenente modifiche ed integrazioni al T.U. enti locali* (.pdf); per un primo commento v. L. OLIVERI, Primi rilievi critici alla bozza di riforma del testo unico sull’ordinamento locale, con particolare riferimento alla disciplina del personale*.


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