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Articoli e note

n. 7-8/2006 - © copyright

LUIGI OLIVERI

Il superamento dell’istituzione
come forma innovativa di organizzazione

(commento a Corte dei Conti, Sez. reg. controllo
per l’Emilia Romagna, delib. 13 giugno 2006, n. 5)

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Oltre ad affermare che il costo del personale di Comuni e Province operante presso le istituzioni di cui all’articolo 114 del d.lgs 267/2000 non può essere sottratto dal computo delle spese di personale previsto dall’articolo 1, comma 198 [1], della legge 266/2005, la deliberazione 13 giugno 2006, n. 5/2006/parere n. 2 della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna (il cui testo è riportato in calce) è utile per rivedere criticamente la configurazione generalmente data a tali organismi.

Pare opportuno riportare alcuni stralci significativi della deliberazione citata, per impostare l’ordine logico del presente breve approfondimento.

Afferma la Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna che l’istituzione «si differenzia, pertanto, sia dagli enti strumentali ed ancora di più da quelli aventi autonomia funzionale, perché il rapporto di strumentalità e dipendenza con l’ente di riferimento è così stretto ed invasivo da limitarne l’autonomia alla pura e semplice gestione dei compiti affidati, con la ulteriore conseguenza che la disciplina giuridica del relativo personale, dal momento dell’assunzione fino ai successivi, conseguenti rapporti, non potrà essere considerata disgiunta da quella del personale proprio dell’ente locale. […] Si tratta di complessi organizzati, unità organizzative autonome che si distinguono dagli organi e dagli uffici dell’ente esclusivamente a causa dell’attribuita autonomia gestionale, realizzata […] mediante conferimento del capitale di dotazione e degli occorrenti mezzi finanziari nonché l’assegnazione, con procedure di mobilità interna, del relativo personale. Quanto detto comporta, non solo da un punto di vista contabile […] che non vi siano sostanziali differenziazioni tra il descritto sistema […] rispetto alle situazioni in cui sia l’ente stesso a gestire direttamente lo specifico servizio sociale servendosi dei propri uffici. Infatti, quale che sia in concreto, il sistema prescelto, è evidente che le risorse necessarie per la copertura degli oneri sociali in questione, sia in termini di finanziamenti che di personale, trovano riscontro e contabilizzazione principalmente nel bilancio dell’ente, posto che, in entrambi i casi, comunque, è, sempre, il comune che se ne assume i relativi oneri».

Pochi passaggi, utilissimi a meglio individuare, quanto meno sul piano funzionale, concreti ruolo, natura ed utilità dal punto di vista organizzativo delle istituzioni.

Occorre dare atto, tuttavia, che alcuni dei passaggi interpretativi proposti dalla deliberazione della Corte dei conti erano già stati evidenziati dalla sia pure poca letteratura in materia.

Si è già evidenziato [2], infatti, la dipendenza gerarchica dell’istituzione dall’ente di appartenenza, della quale è conseguenza una mancanza di potestà normativa, esercitata nei suoi confronti direttamente dal medesimo ente locale di appartenenza, tanto che le istituzioni sono rette dallo statuto e dai regolamenti.

Ancora in modo più approfondito [3], si è sostenuto che in quanto organismo dell’ente locale da cui dipende, l’istituzione fa parte della struttura dell’ente medesimo, dal quale si distingue per l’ampia autonomia gestionale che la legge le attribuisce, grazie alla quale dispone di autonomia negoziale (capacità di concludere direttamente i contratti ed amministrare beni), nonché finanziaria e contabile. Sempre conseguenza della stretta appartenenza dell’istituzione alla persona giuridica dell’ente dominus è stata considerata la non necessarietà di trasferire il capitale di dotazione dell’ente locale dominus, sicchè tale capitale rimane nel patrimonio dell’ente locale stesso e, con riferimento al personale «la mancanza di soggettività e la natura di organo dell’ente locale che la legge attribuisce all’istituzione escludono la possibilità di poter configurare il rapporto di lavoro dei suoi dipendenti in forma diversa da quella prevista per gli altri dipendenti comunali».

In sostanza, non era parso dubbio anche alle prime indagini dottrinali che l’istituzione non costituisse una vera e propria forma di esternalizzazione della gestione dei servizi sociali, ma un ibrido tra la forma della gestione diretta e quella dell’azienda speciale.

La novità dell’istituzione, all’epoca dell’entrata in vigore della legge 142/1990, stava soprattutto in un elemento: l’autonomia gestionale e, di conseguenza, gestionale.

Ciò che realmente tipizzava l’istituzione era la sua configurazione non tanto come soggetto giuridico, in quanto tale non poteva essere considerato, quanto come struttura organizzativamente autonoma, cioè non dipendente dai moduli organizzativi all’epoca vigenti. Bisogna ricordare che ancora all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, sebbene già in nuce la legge 142/1990 avesse posto il principio di separazione della gestione, rispetto alla funzione di indirizzo e controllo, gli organi di governo ancora detenevano di fatto, e in parte di diritto, la gestione. Atti di amministrazione attiva e diretta erano adottati dalla giunta. Non esisteva il piano esecutivo di gestione, dunque era il bilancio, direttamente amministrato con le delibere degli organi di governo, lo strumento gestionale finanziario dell’intero ente.

In quel quadro, l’istituzione rappresentava qualcosa di realmente originale. Infatti, l’assegnazione del capitale di dotazione le consentiva di perseguire obiettivi gestionali in via diretta. La gestione operativa era in capo al direttore dell’istituzione, il quale poteva operare con propri atti monocratici, autonomamente adottati sotto la propria responsabilità, per quanto nel rispetto degli indirizzi posti dall’ente locale di appartenenza mediante il piano programma ed il contratto di servizio.

Dunque, le decisioni operative, ma in parole povere la gestione dei servizi assegnati all’istituzione, non passavano per deliberazioni della giunta, non transitavano da strutture organizzative gerarchicamente e verticalmente dipendenti da organi di governo, ma derivavano da atti gestionali monocratici, nell’ambito di un’organizzazione orizzontalmente posta in relazione con l’ente dominus.

Tale impatto innovativo, tuttavia, oggi appare decisamente più sfumato. Il d.lgs 77/1995, la legge 127/1997, lo stesso d.lgs 267/2000, insieme con il maturare di una giurisprudenza e di una dottrina sempre più evolute, hanno determinato l’affermarsi ed il consolidarsi del principio di separazione tra gestione e funzione di indirizzo, da un lato; nonché, dall’altro, di modalità operative e finanziarie tali da:

1)  assegnare la funzione negoziale in via sostanzialmente esclusiva ad organi monocratici gestionali, come i dirigenti o i responsabili di servizio;

2) attribuire, con un vero atto di assegnazione di obiettivi e risorse quale è il Peg, una gestione autonoma e diretta di tipo finanziaria, alle strutture organizzative.

Nella sostanza, il tratto innovativo delle istituzioni, consistente nella gestione assegnata ad un organo tecnico e non politico, nonché nell’amministrazione di risorse specificamente connesse ad obiettivi indicati in un atto di conferimento (non il Peg, ma il contratto di servizio), coincide del tutto col sistema organizzativo oggi vigente negli enti locali.

Unica peculiarità vera e propria delle istituzioni resta «l’autonomia imprenditoriale», che indica una loro specializzazione nella produzione dei servizi sociali, con criteri non solo tipicamente pubblicistico-burocratici, ma anche aziendalistici, anche se, oggi, anche questi tratti organizzativi debbono essere patrimonio della gestione in forma diretta degli enti locali. Resta, ancora, come tratto particolare il sistema contabile specifico delle istituzioni, nonché la circostanza che la gestione delle funzioni dell’istituzione non avviene utilizzando competenze e strumenti ordinari dell’ente. Pertanto l’istituzione non risponde agli organi di governo e gestionali del comune o della provincia, ma ai propri organi di governo (consiglio di amministrazione, presidente e direttore), ancora, non gestisce in base al bilancio ed al piano esecutivo di gestione dell’ente, ma nel rispetto del piano-programma, del contratto di servizio, del proprio bilancio economico, della propria programmazione gestionale.

La spinta innovativa dell’istituzione, a seguito della riforma dell’ordinamento locale, si è sostanzialmente esaurita.

Se, in qualche misura, l’istituzione continua ad esercitare un limitato fascino per il tasso di specializzazione nella gestione dei servizi sociali, l’appeal organizzativo appare fortemente appannato.

Anche perché il giudice contabile ha dimostrato che le risorse dell’istituzione, sia finanziarie che umane, sono dell’ente locale di appartenenza, sicchè la creazione di istituzioni non dà luogo ad una vera e propria esternalizzazione. Le istituzioni non sono considerabili amministrazioni pubbliche ai sensi dell’articolo 1, comma 5, della legge 311/2004, sicchè i trasferimenti nei loro riguardi non possono scomputarsi dalle regole sul patto di stabilità. Altrettanto vale per quanto concerne i dipendenti delle istituzioni, le spese relative ai quali, essendo dipendenti dell’ente locale, come dice la Corte dei conti, assegnati per mobilità interna a detto organismo, non possono che gravare sul computo ai fini dell’articolo 1, comma 198, della legge 266/2005.

La creazione di istituzioni, dunque, a soli scopi elusivi delle regole sul patto di stabilità è strumento scopertamente inefficace, così come ridotta è la funzione innovativa dal punto di vista gestionale. Sicchè solo attente valutazioni di carattere organizzativo debbono essere alla base della scelta di creare le istituzioni, non certamente fascinose ma, oggettivamente troppo «facili», mire di «amministrazione creativa» tendenti a eludere i vincoli normativi in tema di patto di stabilità.

 

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[2] N. Fabiano, Testo unico degli enti locali, Vol. I, Tomo II, coll. Cosa&Come, ed. Giuffrè, Milano 2000, pagg. 1227-1228.

[3] G. Panassidi, Il nuovo modello organizzativo per la gestione dei servizi sociali di competenza dei Comuni e delle Province, in I T.A.R., ed. Italedi, Roma, n. 11/1992, pagg. 407-410.

 

 

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Deliberazione n.5/2006/Parere n.2

REPUBBLICA ITALIANA

La Corte dei conti

in

Sezione regionale di controllo per l’Emilia - Romagna

composta dai Magistrati

dr. Mario Donno

Presidente;

dr. Carlo Coscioni

Consigliere;

dr.ssa Rosa Fruguglietti Lomastro

Consigliere;

dr. Attilio Puglisi

Consigliere relatore;

dr.ssa Maria Teresa D’Urso

   Referendario.

Assiste con funzioni di segretario verbalizzante il funzionario dottoressa Lorenza Lanzoni

***

visto l’art. 100, comma 2, della Costituzione;

visto il T.U. delle leggi sull’ordinamento della Corte dei conti, approvato con R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 e le successive modificazioni ed integrazioni;

visti la legge 14 gennaio 1994 n. 20, il decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639 e l’art. 27 della legge 24 novembre 2000, n. 340;

visto il Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, deliberato dalle Sezioni riunite in data 16 giugno 2000 e successive modifiche;

vista la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;

vista la legge 5 giugno 2003, n. 131, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;

vista la richiesta di parere avanzata dal Sindaco del Comune di Sorbolo;

viste le considerazioni formulate in proposito dal Coordinamento delle Sezioni regionali di controllo, di cui alla nota del 9 giugno 2006 prot. 5067/C21 nonché quelle di alcune Sezioni regionali del controllo, già all’uopo direttamente interpellate;

vista l’ordinanza presidenziale del 23 maggio 2006 n. 5/2006 con la quale la questione è stata deferita all’esame collegiale della Sezione;

ritenuto in

FATTO

Il Sindaco del Comune di Sorbolo (Parma) ha avanzato, con nota prot. 3357 del 4 maggio 2006, la seguente richiesta di parere, ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131: “se, qualora i Comuni decidano di attivare un’istituzione, ai sensi dell’art.114 del testo unico delle leggi sull’ordinamento delle autonomie locali approvato con d.lgs. 18 agosto 2000 n.267, affidandole la gestione di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale, la spesa del personale assegnato a tale organismo concorra meno alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica di cui all’art.1, commi 198 e seguenti della legge 23 dicembre 2005, n.266”.

DIRITTO

In via preliminare, si deve osservare che nel caso di specie ricorrono le condizioni, sia soggettive che oggettive, per l’attivazione della richiesta funzione consultiva, di cui al richiamato art. 7, comma 8, della legge n. 131/2003, stante che il parere risulta avanzato dall’organo rappresentativo dell’Ente a livello politico-istituzionale, e che trattasi di questione di carattere generale incentrata sulla interpretazione di una norma di legge, avente, tra l’altro, riflessi sul piano contabile e finanziario.

Ciò, tra l’altro, in conformità ai criteri già fissati dalla Sezione delle Autonomie, con documento approvato nell’adunanza del 27 aprile 2004, per garantire l’uniformità d’indirizzo in materia, evitare il rischio di una disorganica proliferazione di richieste di pareri e soprattutto di soluzioni non conciliabili con successive pronunce specifiche delle sezioni giurisdizionali o di controllo o con indirizzi di coordinamento.

Nel merito si precisa quanto segue:

com’è noto, la legge finanziaria per il 2006, ai fini del concorso delle amministrazioni regionali e degli enti locali di cui all’art.2, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18.8.2000 n.267 al conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, ha stabilito, ai commi 142 e 198, rispettivamente, che il complesso della spesa corrente, al netto di alcune esclusioni, sia soggetta al patto di stabilità interno e che le spese di personale non superino, per ciascuno degli anni 2006, 2007, 2008 il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1 per cento”.

Ora, le norme in questione, in quanto di natura prescrittiva-programmatica, indicano dei risultati da raggiungere, lasciando, però, liberi i soggetti destinatari di valutare, nei singoli casi, i criteri più opportuni, utili e convenienti per conseguire al meglio gli obiettivi prefissati.

Tra le indicate modalità, certamente, è da ricomprendere, anche, l’eventuale ricorso al meccanismo della esternalizzazione dei servizi, attuabile mediante la creazione di apposita istituzione, così come prospettato nel quesito, trattandosi di soluzione, peraltro, espressamente contemplata alla lettera d) dell’art.113 del decreto legislativo n.267/2000 (ordinamento degli enti locali).

L’istituzione in questione, che in alternativa alle tradizionali forme di gestione dei servizi pubblici viene introdotta nell’ordinamento già con la legge n.142/90, viene definita, dall’art.114 del decreto legislativo n.267/2000, come organo strumentale dotato di autonomia gestionale, privo di personalità giuridica, avente il compito di erogare servizi sociali, senza alcuna rilevanza imprenditoriale.

Essa si differenzia, pertanto, sia dagli enti strumentali ed ancora di più da quelli aventi autonomia funzionale, perché il rapporto di strumentalità e dipendenza con l’ente di riferimento è così stretto ed invasivo da limitarne l’autonomia alla pura e semplice gestione dei compiti avuti affidati, con la ulteriore conseguenza che la disciplina giuridica del relativo personale, dal momento dell’assunzione fino ai successivi, conseguenti rapporti, non potrà essere considerata disgiunta da quella del personale proprio dell’ente locale.

Si tratta, in sostanza, di complessi organizzati, unità organizzative autonome che si distinguono dagli organi e dagli uffici dell’Ente esclusivamente a causa dell’attribuita autonomia gestionale, realizzata in concreto, secondo quanto stabiliscono gli appositi statuti e regolamenti, mediante conferimento del capitale di dotazione e degli occorrenti mezzi finanziari nonché l’assegnazione, con procedure di mobilità interna, del relativo personale.

Quanto detto comporta, non solo da un punto di vista contabile ma anche e soprattutto in relazione alle introdotte disposizioni della già citata legge finanziaria, che non vi siano sostanziali differenziazioni tra il descritto sistema, in cui particolari servizi ed attività sociali vengono estrapolati dalle aree di pertinenza per essere ricondotte alla sfera gestionale di unità organizzative autonome, al fine del miglioramento del servizio secondo gli usuali criteri di economicità, efficacia ed efficienza, rispetto alle situazioni in cui sia l’Ente stesso a gestire direttamente lo specifico servizio sociale servendosi dei propri uffici.

Infatti, quale che sia, in concreto, il sistema prescelto, è evidente che le risorse necessarie per la copertura degli oneri sociali in questione, sia in termini di finanziamenti che di personale, trovano riscontro e contabilizzazione principalmente nel bilancio dell’Ente, posto che, in entrambi i casi, comunque, è, sempre, il Comune che se ne assume i relativi oneri, mentre la rendicontazione richiesta alle istituzioni, operanti in gestione autonoma, è finalizzata a consentire la verifica annuale, in termini di efficienza e di economicità, del servizio sociale prestato, in relazione al programma di bilancio annuale dell’Ente.

Sarebbe quanto mai opportuno, quindi, come ha bene evidenziato la Ragioneria generale dello Stato, nella circolare n.8 del 17.2.06, che, nei limiti del possibile, in questi casi, nelle scritture contabili e di bilancio, le spese in questione fossero allocate e mantenute nei rispettivi codici di appartenenza, seguendo la classificazione per funzioni prevista dal D.P.R. n.194 del 1996, per evitare il rischio di un eventuale doppio conteggio e che dunque una spesa possa essere contemporaneamente considerata sia ai fini delle regole sul patto sia ai fini delle regole sul personale.

In tal modo, sarebbe subito chiaro che l’intera spesa afferente il personale in forza all’Ente interessato debba essere sottoposta alle prescrizioni di cui al richiamato art. 1, comma 198, della legge n.266/2005, a prescindere, poi, dal modo in cui venga realizzato il riparto del personale stesso tra le varie Aree di servizi, Unità organizzative ed Istituzioni per i servizi sociali.

Va ricordato, altresì, giusto quanto rilevato in sede di Coordinamento del controllo, come la finanziaria 2002, art.24, integrata dal d.l. 13/2002, convertito con legge 24 aprile 2002 n. 75 con riferimento al patto di stabilità interno ed agli obiettivi con esso perseguiti, abbia espressamente disciplinato la questione relativa al computo del costo del personale nelle ipotesi di esternalizzazione dei servizi, prevedendo che la spesa corrente attinente a tali servizi fosse convenzionalmente commisurata alla spesa corrente sostenuta nell’anno precedente l’esternalizzazione, qualora d’importo superiore.

L’intento di tale disposizione, messo in chiaro dalla circolare esplicativa del Ministero dell’Economia n. 11/2002 è stato di non penalizzare gli Enti che, sulla base di autonoma determinazione non fossero ricorsi a tale soluzione organizzativa.

Tale esigenza, di garantire cioè pari trattamento a fronte di differenti scelte di autonomia, ricorre anche nel caso in esame, nonostante la specifica regolamentazione a partire dal 2005, nell’ambito del patto di stabilità interno dei vincoli attinenti la spesa del personale, intesi anch’essi al perseguimento dei medesimi obiettivi di finanza pubblica.

Per questo aggiungasi, inoltre, che non sembra condivisibile il tentativo di cercare di variare, a mezzo di espedienti tecnico-contabili, l’iscrizione in bilancio di tale spesa, in modo da farla rientrare al punto c) del comma 142 del citato art.1, tra le spese per trasferimenti destinati alle Amministrazioni pubbliche, perché ciò comporterebbe una effettiva elusione sia delle prescrizioni di cui al comma 142, riguardante le spese correnti soggette al patto di stabilità interno, sia le prescrizioni di cui al comma 198, riguardanti il contenimento della spesa del personale, stante che sussistono regole precise, rispettivamente, per le spese correnti e per quelle riguardanti il personale.

Infatti, si consideri, al riguardo, che l ’art. 1, comma 142, lettera c) della legge n. 266/2005 precisa che non incidono sui limiti di spesa corrente, imposti dal patto di stabilità interno, tra le altre spese, quelle relative al personale, cui si applica la specifica disciplina di settore; quelle di carattere sociale quali risultano dalla classificazione per funzioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996 n. 194; le spese correnti destinate alle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato e individuate dall’ISTAT nell’elenco annualmente pubblicato in applicazione di quanto stabilito dall’art.1, comma 5, della legge 30 dicembre 2004, n.311.

Trattasi di spese, è bene sottolinearlo, che, per intrinseche caratteristiche e finalità, come, peraltro, le altre spese indicate nel citato comma 142, devono essere prese in esame e conteggiate singolarmente, voce per voce, in modo da evitare una indebita commistione tra di esse (codice 01 + codice 05) ma soprattutto di inglobarle tra le spese per trasferimenti correnti, riportate alla lett.c) del comma stesso, spese che sembrano avere, in sostanza, caratteristiche diverse e residuali rispetto a quelle descritte nelle restanti lettere.

Tanto meno è condivisibile, infine, l’orientamento espresso dalla Ragioneria Generale dello Stato, con la circolare n.8 del 17.2.2006, di considerare le spese afferenti il personale assegnato alle istituzioni nonché quelle afferenti i finanziamenti occorrenti per il funzionamento delle Istituzioni stesse e l’erogazioni dei relativi servizi sociali come trasferimenti rientranti nella tipologia descritta alla lettera c) del citato comma 142, stante che questo tipo di istituzioni non possono farsi rientrare tra le Amministrazioni di cui all’art.1, comma 5, della legge 30.12.2004 n.311.

Infatti, in occasione di altra, analoga circostanza, questa Sezione ha espresso il parere che non sia condivisibile la tesi tendente a dare una lettura estensiva dell’elencazione delle Amministrazioni pubbliche riportata nella G.U. n.175 del 29 luglio 2005, stante che tale elencazione sembra avere i connotati della tassatività perché non finalizzata a dare una rappresentazione fine a se stessa delle varie realtà che compongono, in generale, la pubblica amministrazione, ma, al contrario, finalizzata a tracciare al meglio le linee guida degli annuali bilanci preventivi, tant’è che le amministrazioni riportate in tabella vengono inserite nel conto economico consolidato e la tabella stessa è poi soggetta, per espressa dichiarazione di legge, a periodica revisione, a cura dell’ISTAT e secondo parametri della classificazione del Sistema economico europeo.

P.Q.M.

Nelle sopra esposte considerazioni è il parere della Sezione sulla richiesta avanzata dal Sindaco del Comune di Sorbolo, cui sarà trasmessa copia della presente deliberazione, a cura della Segreteria.

Così deliberato in Bologna nell’adunanza del 13 giugno 2006.

 

IL PRESIDENTE

 

(Dott. Mario Donno)

 

 

IL RELATORE

 

(Dott. Attilio Puglisi)

 

 

 

   

Depositata in segreteria il 13 giugno 2006.


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