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n. 4/2005 - ©
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LUIGI OLIVERI
L’irregolarità
del provvedimento amministrativo
nell’articolo 21-octies, comma 2, della legge 241/1990, novellata.
Rilevanti elementi di novità si riscontrano nel comma 2 dell’articolo 21-octies della legge 241/1990. La nuova disposizione mira a dare ruolo di precetto giuridico soprattutto alle posizioni giurisprudenziali favorevoli al principio processualistico del “raggiungimento dello scopo” [1], nonché alle tesi sia dottrinali, sia giurisprudenziali che configurano l’irregolarità quale autonoma fattispecie di “vizio minore” del provvedimento amministrativo.
Di conseguenza, la norma in esame considera non annullabile i provvedimenti amministrativi al ricorrere di due diverse ipotesi di vizio non sostanziale:
1) provvedimento a natura vincolata, adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma;
2) provvedimento, anche non a natura vincolata, per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, quando in giudizio si dimostri che il contenuto concretamente adottato non è influenzato dall’adempimento all’onere della comunicazione.
Andando all’analisi della prima fattispecie, il primo periodo dell’articolo 21-octies, comma 2, richiama con ogni evidenza la categoria giuridica dell’irregolarità. Secondo la giurisprudenza, si ha atto amministrativo irregolare nei casi in cui si riscontra il difetto di elementi formali marginali, tali da non comportare quell’illegittimità, che, per il caso di violazione di legge, consegue alla violazione di norme giuridiche che, nel diritto pubblico, sono di regola imperative [2].
In particolare, si ritiene che l’irregolarità è un vizio marginale e non rilevante allorchè la diversità della forma o la non perfetta osservanza di un qualche adempimento endoprocedimentale, oltre a non essere esplicitamente sanzionati con la comminatoria dell'invalidità, non impediscono in concreto il raggiungimento dell'interesse pubblico al quale la specifica azione amministrativa è preordinata. In questo caso, dunque, si è in presenza di una mera irregolarità che non vizia il provvedimento finale e, pertanto, non lo rende annullabile neppure in sede giurisdizionale [3].
Così come emerge dalla giurisprudenza, i vizi che costituiscono la fattispecie presa in considerazione della norma sono:
3) violazione delle norme sul procedimento;
4) violazione delle norme sulla forma degli atti,
ma purchè:
a) si tratti di provvedimenti a natura vincolata;
b) sia palese che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Si nota che, a ben vedere, la ricostruzione della fattispecie proposta dal legislatore stia ai confini tra l’irregolarità ed il raggiungimento dello scopo.
Infatti, il riferimento alla violazione di norme procedimentali o relative alla forma è, implicitamente, rivolto a vizi certamente di portata marginale; ma in ogni caso deve risultare comunque evidente a tutti che anche se l’atto non fosse stato affetto da tale vizio, la decisione in esso trasfusa sarebbe stata comunque la medesima, sicchè il provvedimento considerato risulta pur sempre in grado di raggiungere lo scopo prefissato dalla legge. Pertanto, l’annullamento del provvedimento si rivelerebbe inutile, sia nei confronti del soggetto eventualmente interessato, in quanto nei suoi confronti in ogni caso sarebbe da adottare un provvedimento avente il medesimo contenuto di quello da annullare, sia nei confronti dell’ordinamento, poiché l’interesse pubblico da perseguire rimane sempre il medesimo.
In particolare, la teoria dell’irregolarità si fonda sul principio della strumentalità delle forme, secondo il quale allorchè non si siano verificate in concreto conseguenze pregiudizievoli per i destinatari ed impedimenti al raggiungimento dello scopo cui è preordinata la prevista formalità, l’irregolarità che inficia il vizio non ne costituisce motivo di illegittimità [4], ma semplice anomalia.
Al contrario, la regola del raggiungimento dello scopo non esclude che il provvedimento sia affetto da un vizio derivante dalla sua difformità rispetto allo schema normativo che lo regola; sicchè l’atto è e rimane invalido, ma la sua invalidità viene considerata irrilevante, perché nel caso concreto si riesce a dimostrare in giudizio o, comunque, successivamente all’adozione del provvedimento, che il provvedimento ha raggiunto il suo scopo, pur in presenza del vizio.
In dottrina non è mancato chi abbia proposto una sintesi tra irregolarità e regola del raggiungimento dello scopo, definendo l’irregolarità come quella situazione del provvedimento amministrativo affetto da illegittimità ma idoneo a raggiungere lo scopo voluto dalla norma violata, sicchè tale capacità di raggiungere lo scopo dà luogo implicitamente ad una sanatoria [5], pur sottolineanche che appaia insuperabile l’osservazione che secondo la giurisprudenza gli atti irregolari, ma non illegittimi, sono qualificati come validi, cioè privi di vizi rilevanti, sin dalla loro adozione, sicchè la sanatoria implicita non avrebbe spazio.
Sta di fatto che la teoria dell’irregolarità del provvedimento tende a dare maggiore risalto alla sostanza, rispetto alla forma. Quando, dunque, l’atto pur essendo difforme dallo schema disposto dalla legge, è efficace e non affetto da un vizio tale da farlo considerare illegittimo, è opportuno evitare che simili violazioni sostanzialmente irrilevanti possano determinare l’annullamento del provvedimento finale. E’, dunque, più opportuno applicare il principio della conservazione degli effetti del provvedimento, se ciò non sia incompatibile con il perseguimento dell’interesse pubblico e non determini un’eccessiva compressione della posizione giuridica dei privati.
Si può sostenere che il legislatore italiano si sia rifatto, applicando la regola della prevalenza della sostanza sulla forma, alla disposizione contenuta nei primi due commi dell’articolo 230 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, a mente del quale “la Corte di giustizia esercita un controllo di legittimità sugli atti adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della BCE che non siano raccomandazioni o pareri, nonchè sugli atti del Parlamento europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi.
A tal fine, la Corte è competente a pronunciarsi sui ricorsi per incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione del presente trattato o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione, ovvero per sviamento di potere, proposti da uno Stato membro, dal Consiglio o dalla Commissione”. Si nota che la citata disposizione nel disciplinare il controllo di legittimità della Corte di giustizia definisce indirettamente come vizi dei provvedimenti soggetti a detto controllo la violazione delle forme sostanziali, con chiaro riferimento, appunto, all’irrilevanza, al contrario, di vizi di forma che non influiscono sul rapporto sostanziale sottostante al provvedimento.
Si può, invero, osservare che l’articolo 21-octies, comma 2, pur riferendosi alla teoria dell’irregolarità, in realtà pare costruire la fattispecie della non annullabilità avendo presente la capacità concreta del provvedimento di raggiungere lo scopo, visto che presupposto fondamentale della norma è la verifica che il provvedimento non avrebbe potuto comunque essere diverso anche se mondo dal vizio. Anzi, si può affermare che il legislatore prenda decisamente atto che il provvedimento non annullabile sia viziato, poiché parla apertamente di “violazione di norme”. Dunque, è giustificabile la tesi secondo la quale, in realtà, l’articolo 21-octies, comma 2, abbia disciplinato più che l’irregolarità, il principio del raggiungimento dello scopo, anche e soprattutto perché non ha né definito l’irregolarità, né individuato nemmeno per grandi aggregati le possibili ipotesi.
Il problema della qualificazione dell’articolo 21-octies, comma 2, come disciplina dell’irregolarità, piuttosto che come disciplina del principio del raggiungimento dello scopo, pur meritevole di ulteriori approfondimenti dottrinali, pare debba essere risolto proprio nel senso di una sintesi nuova e originale tra le due teorie, entrambe rivolte a considerare non annullabile il provvedimento.
Sembra opportuno riferirsi alla giurisprudenza, per provare ad evidenziare alcune tra le principali ipotesi di vizi non rilevanti ai fini della validità del provvedimento.
Con riguardo ai vizi sulla forma, ovviamente la norma non può che riferirsi alla forma non intesa come requisito sostanziale del provvedimento, perché la mancanza della forma prevista dalla legge, in particolare della forma scritta, dà luogo direttamente a nullità, perché nell’ordinamento amministrativo non si applica il principio della libertà delle forme del provvedimento. Si dà, dunque, il caso dell’irregolarità quando il provvedimento non rispetti le regole poste dalla legge sul contenuto esteriore del provvedimento medesimo, in quanto manchino alcune parti o elementi o, comunque, risultino incompleti.
E’ un caso di mera irregolarità l'omissione del numero di protocollo, la quale non esplica alcuna incidenza sulla validità ed efficacia del provvedimento amministrativo, allorchè sia certa la sua provenienza e da tale omissione non derivi alcun pregiudizio all'autorità emanante ed al destinatario [6].
In merito alla sottoscrizione, se la copia ne risulti priva ciò non determina invalidità: infatti, la sottoscrizione autografa è richiesta, come condizione di validità dell'atto, solo per l'originale, e non anche per le "copie conformi"[7]. Inoltre, secondo parte della giurisprudenza la mancata apposizione della firma non può considerarsi causa di invalidità dell'atto, qualora questo contenga gli elementi sufficienti (quali, ad esempio, la qualifica del funzionario) idonei ad individuare l'autore del provvedimento e a consentire, in ogni caso, l'imputabilità della determinazione stessa ad un soggetto ben preciso dell'Amministrazione procedente [8]. In merito al requisito della firma, è tuttavia prevalente in giurisprudenza la tesi secondo la quale il segno autografo nel documento amministrativo non debba comunque mancare, anche se illeggibile. Infatti, L'autografia della sottoscrizione non è configurabile come requisito di esistenza giuridica dell'atto amministrativo notificato allorchè, dallo stesso contesto dell'atto, sia possibile accertare l'attribuibilità dell'atto stesso a chi deve esserne l'autore, salva la facoltà dell'interessato di chiedere al giudice l'accertamento in ordine alla sussistenza, sull'originale del documento notificato, della sottoscrizione del soggetto autorizzato a formare l'atto amministrativo [9].
In quanto alla data, si è ritenuto che la mancanza della data nella copia del provvedimento notificato all'interessato costituisce mera irregolarità, priva di un effetto invalidante [10].
Ancora, la mancata o erronea indicazione delle norme di legge su cui si fonda il provvedimento amministrativo, nella cosiddetta parte “narrativa” e precisamente nel preambolo del provvedimento, secondo la giurisprudenza non costituisce "ex se" ragione di invalidità dell'atto amministrativo [11].
Vi sono, poi, situazioni derivanti da errori di trascrizione. Eventuali abrasioni e cancellazioni riscontrate su un provvedimento amministrativo, con riferimento ad aspetti rilevanti dello stesso, quali l'indicazione del prezzo da corrispondere, non rappresentano, tuttavia, motivi di vera e propria illegittimità, ma solamente sintomi di carenza della dovuta cura nella predisposizione degli atti, allorchè comunque l'amministrazione dimostri che quanto disposto nel provvedimento a seguito delle correzioni corrisponda alla realtà dei fatti [12]. Bisogna precisare, però, che per errore materiale si deve intendere l'errore che non opera sulla formazione della volontà dell’autorità competente, ma provoca una divergenza fra la dichiarazione e la volontà medesima, sicchè la dichiarazione manifesta non la volontà effettiva, bensì una volontà diversa ma inesistente [13]. Fermo restando che, in questo caso, occorrono le prove documentali per dimostrare l’effettività dell’errore meramente materiale.
Dal punto di vista formale, la giurisprudenza ha spesso considerato la carenza o incompletezza degli elementi previsti dall’articolo 3, comma 4, della legge 241/1990 come causa di irregolarità e non di invalidità, in quanto l'omessa indicazione nell'atto amministrativo del termine e dell'autorità cui è possibile ricorrere integra una incompletezza che non determina di per sè alcuna lesione nei confronti del ricorrente, che abbia comunque prodotto rituale ricorso al giudice competente [14]: è evidente che, nel caso di specie, il vizio derivante dalla non conformità dell’atto al precetto normativo non costituisce causa di annullabilità per la sua idoneità a raggiungere lo scopo prefisso di permettere al destinatario di chiedere tutela giurisdizionale. D’altra parte, nel caso in cui, nel provvedimento amministrativo impugnato, venga erroneamente indicata un'autorità non competente a decidere il gravame, la parte deve essere rimessa in termini al fine di rivolgersi all'organo competente [15].
Per quanto riguarda la qualificazione di un provvedimento, esso non è annullabile per il fatto di non essere adottato in forma di decreto, purché in esso siano individuabili l'autorità emanante, l'oggetto, il contenuto dispositivo e la sottoscrizione [16].
Per quanto concerne i vizi del procedimento, l’irregolarità non deve, ovviamente arrecare alcun nocumento in particolare ai diritti di partecipazione e accesso al destinatario, né impedire il corretto fluire dell’istruttoria. Se un vizio del procedimento impedisse, infatti, la completa valutazione degli elementi di fatto e diritto, comprometterebbe le modalità di formazione della volontà, inficiando, dunque, la validità del provvedimento.
Si è in presenza, allora, di un mero vizio di irregolarità nel caso di mancata comunicazione di un provvedimento al suo destinatario: essa, infatti, non rileva ai fini della sua legittimità, ma interessa semmai soltanto sotto il profilo della decorrenza del termine per ricorrere[17]. Il principio del raggiungimento dello scopo si può applicare anche per gli atti recettizi, se, nonostante la mancata comunicazione al destinatario questo ne sia venuto comunque a conoscenza [18].
Il principio del raggiungimento dello scopo è particolarmente rilevante proprio nei casi di violazione delle norme sul procedimento amministrativo e, specificamente per quanto riguarda la non necessarietà di emanare l’avviso di avvio del procedimento, quando l’autorità amministrativa rivolga al destinatario un provvedimento formalmente diverso, che, tuttavia, consenta nella sostanza di dare tempestivo avviso dell’avvio dell’iter amministrativo [19].
Ancora, il giusto procedimento non è pregiudicato dal mancato rispetto pedissequo e “formale” delle disposizioni precettive contenute nell’articolo 7 della legge 241/1990, qualora, ancora una volta, lo scopo sostanziale di assicurare le garanzie procedurali sia conseguito. Pertanto, si deve ritenere che non sussiste l'obbligo di dare avviso dell'avvio del procedimento quando la decisione in autotutela è stata adottata dall'amministrazione a seguito di un esposto presentato all'amministrazione dallo stesso soggetto [20]. In questo caso, infatti, colui che presenta l’esposto non solo è consapevole dell’avvio del procedimento in autotutela, ma ne è volutamente cagione. Infatti, l'obbligo d'avviso d'avvio del procedimento di revoca o decadenza del precedente provvedimento, deve rispondere ad un fine preciso: che, attraverso la partecipazione del privato al procedimento, dalla comunicazione possa derivare una qualche utilità all'azione amministrativa, ed in particolare l'arricchimento del contenuto conoscitivo, delle fonti di prova o di diverse prospettazioni e gli interessi coinvolti [21].
In alcune circostanze, la giurisprudenza ha inteso dare prevalenza alle garanzie sostanziali previste dalla legge 241/1990, piuttosto che al mero rispetto della forma, sottolineando che l’obbligo di informazione prescritto dall'articolo 7 della legge 241/1990 non sussiste quando la comunicazione risulterebbe del tutto inidonea a consentire al cittadino di influire sull'azione amministrativa; pertanto, il mancato avviso di avvio del procedimento non vizia l'attività amministrativa qualora il contenuto del provvedimento sia interamente vincolato, anche con riferimento ai presupposti di fatto, nonchè tutte le volte in cui la conoscenza sia intervenuta, sì da ritenere comunque raggiunto in concreto lo scopo cui tende la comunicazione [22].
D’altra parte, il carattere vincolato del provvedimento è considerato proprio dal legislatore della legge 15/2005 condizione necessaria ed imprescindibile, affinché si applichi il principio della non annullabilità stabilito dal primo periodo dell’articolo 21-octies, comma 2. Ciò, in quanto il legislatore ha, evidentemente, ritenuto che esclusivamente nei riguardi dei provvedimenti vincolati è possibile un riscontro ex post tra contenuto prescritto dalla legge, e contenuto in concreto stabilito col provvedimento amministrativo. Bisogna, infatti, ricordare che secondo la pacifica dottrina il provvedimento vincolato è il provvedimento non negoziale, mediante il quale l’amministrazione si limita a volere la dichiarazione, senza, tuttavia, precisarne i contenuti e gli effetti, che sono prestabiliti dalla legge.
Pertanto, il principio della non annullabilità non potrebbe utilmente applicarsi nei riguardi dei provvedimenti discrezionali, i quali si caratterizzano per il fatto che la volontà espressa dall’amministrazione riguarda non solo l’intenzione di esternare la dichiarazione, ma anche la volontà di determinarne il contenuto, entro gli ambiti di apprezzamento lasciati aperti dalla legge. Nei confronti dei provvedimenti discrezionali, pertanto, sarebbe impossibile procedere ad un riscontro successivo sul contenuto, per verificare se quello concretamente trasfuso nel provvedimento non sarebbe stato, comunque, diverso da quello in concreto adottato; diversamente opinando, si consentirebbe al giudice di estendere il proprio sindacato fino al merito.
La natura vincolata dei provvedimenti amministrativi, alla luce dell’articolo 21-octies, comma 2, primo periodo, nonché di cospicua pregressa giurisprudenza, può anche portare a considerare mera irregolarità la carenza o incompletezza della motivazione, negli atti, appunto, vincolati. Infatti,
La motivazione degli atti amministrativi costituisce uno strumento di verifica del rispetto dei limiti della loro discrezionalità, anche allo scopo, garantito dall’articolo 113 della Costituzione, di far conoscere agli interessati le ragioni che impongono la restrizione delle rispettive sfere giuridiche o che ne impediscano l'ampliamento, nonchè di consentire il sindacato di legittimità sia da parte del giudice amministrativo che degli organi di controllo [23]. Per questa ragione, iI provvedimenti che non costituiscono espressione di un potere discrezionale ma che sono il risultato di una mera applicazione di norme legislative non necessitano di una particolare motivazione, essendo sufficiente il richiamo alle circostanze di fatto sul presupposto delle quali la norma deve trovare applicazione [24].
Il secondo principio posto dall’articolo 21-octies, comma 2, secondo periodo è quello della non annullabilità del provvedimento per mancata comunicazione di avvio del procedimento a condizione che si dimostri, in giudizio, che anche in questo caso il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato in concreto.
Sembra chiaro che questa seconda fattispecie faccia più propriamente capo al principio del raggiungimento del risultato e non alla fattispecie dell’irregolarità.
Infatti, il secondo periodo del comma 2 non si applica, a differenza del primo, ai soli provvedimenti amministrativi a natura vincolata, ma a tutti i provvedimenti amministrativi, compresi quelli discrezionali. Sicchè solo la verifica del raggiungimento dello scopo può, concretamente, permettere l’applicazione del principio della conservazione degli atti.
In effetti, anche in questo caso la disposizione ha l’intento di portare a livello di norma sostanziale un filone giurisprudenziale piuttosto consistente, secondo il quale dell’adempimento della comunicazione di avvio del procedimento occorre dare una lettura non formalistica, ma attenta al conseguimento del fine cui l’obbligo tende. Sicchè, la comunicazione di avvio del procedimento è da considerare obbligatoria dovuta - anche nel caso in cui debbano essere adottati provvedimenti vincolati - a meno che non risultino pacifici e incontestati i stessi fatti che ne costituiscono i presupposti [25].
Per analoghe ragioni, si è ritenuto [26] che non sia dovuta la comunicazione di avvio del procedimento in caso di revoca dell'autorizzazione all'esercizio di commercio al minuto. Infatti, l'attività che l'amministrazione è tenuta a svolgere, in caso di sussistenza del presupposto della revoca della licenza di commercio si esaurisce nell'accertamento dell'esistenza o meno degli adempimenti derivanti "ex lege", senza alcuna possibilità di sottrarsi, per ragioni di opportunità o di convenienza, all'esercizio di tale potere sanzionatorio, una volta che l'accertamento si sia risolto in senso sfavorevole al privato interessato. Sicchè la sua partecipazione eventuale al procedimento non sarebbe di alcuna utilità.
Più in generale, parte della giurisprudenza ritiene che l'articolo 7 della legge 241/1990, nella parte in cui prevede l'obbligo per l'amministrazione di dare avviso agli interessati dell'avvio del procedimento, non riguarda tutti i procedimenti amministrativi ma solo quelli che presuppongono una complessa attività istruttoria volta alla valutazione comparativa dei confliggenti interessi coinvolti [27]. Del resto, l'avviso d'avvio del procedimento amministrativo serve essenzialmente a consentire al destinatario dell'atto conclusivo la partecipazione alla procedura stessa, attraverso la presentazione di difese, deduzioni e documenti, di cui la p.a. deve tener conto in sede istruttoria e nella statuizione finale, sicchè tale formalità è superflua quando l'interessato consegua "aliunde" la conoscenza del procedimento e vi possa partecipare [28]. Non mancano, tuttavia, in giurisprudenza, visioni più rigorose, secondo le quali ogni volta che l'amministrazione intenda emanare un atto di secondo grado, ovvero di annullamento, di revoca o di sospensione di un proprio precedente provvedimento, è tenuta a dare avviso del relativo procedimento ai soggetti interessati, pur in presenza della natura vincolata del provvedimento [29].
Sembra necessario osservare che l’intento del legislatore, di per sé lodevole, di trasformare in sistema normativo le teorie giurisprudenziali e dottrinali in materia, non sembra sia stato colto in pieno.
Infatti, il precetto normativo contenuto nell’articolo 21-octies, comma 2, finisce per essere eccessivamente generale, tale, dunque, da non poter fornire indicazioni concrete alle amministrazioni sulla fattispecie dell’irregolarità. D’altra parte, non si riesce a definire concretamente quando l’irregolarità si determini (i vizi procedimentali, soprattutto, e della forma sono una congerie indeterminabile), né si fissa una regola precisa, per quanto riguarda lo specifico vizio della mancanza della comunicazione di avvio del procedimento. Sicchè, nonostante il legislatore abbia tradotto in disposizione legislativa le teorie giurisprudenziali e dottrinali sul principio del raggiungimento dello scopo, l’eccessiva genericità della norma rimette pur sempre al giudice il compito di valutare, caso per caso, se si siano verificati i presupposti per l’applicazione delle regole di cui all’articolo 21-octies, comma 2, della legge 241/1990, esattamente come era chiamato a fare anche nel precedente regime normativo. Il che vale, soprattutto, per il vizio di carenza della comunicazione di avvio del procedimento, dal momento che la citata norma rimette in maniera espressa proprio alla valutazione del giudice la dimostrazione che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere che quello in concreto adottato.
Si deve, dunque, ritenere che l’effetto concreto dell’articolo 21-octies consista esclusivamente nel dare una base legislativa alle teorie riguardanti l’irregolarità ed il raggiungimento dello scopo, ma che rimanga sempre a carico della giurisprudenza e della dottrina il compito di specificare i confini piuttosto complessi della fattispecie.
Non si può, per altro, non sottolineare come l’enfatizzazione della teoria dell’irregolarità e del principio del raggiungimento dello scopo si pongano in chiara antitesi con lo scopo concreto della legge 241/1990, di porsi come norma di garanzia del giusto procedimento.
Soprattutto la declaratoria di non annullabilità del vizio di mancato avvio del procedimento, particolarmente incidente sulla possibilità concreta del destinatario dell’attività amministrativa di partecipare attivamente all’iter procedurale, appare contrastare con la funzione garantista della legge.
Inoltre, appare realmente una contraddizione in termini il fatto che per un verso, la legge 15/2005 novellando l’articolo 8 della legge 241/1990 abbia aggravato, proprio a scopi garantisti, il contenuto tipico della comunicazione di avvio del procedimento, mentre, dall’altro lato, tende a privare di rilevanza l’avviso stesso. Anche se, come rilevato sopra, la disposizione appare più una petizione di principio, poiché dovrà comunque essere sempre il giudice a valutare se e quando ricorra realmente il caso di una carente comunicazione di avvio del procedimento che non concreti un vizio rilevante.
[1] G. Bacosi – F. Lemetre, La legge n. 15 del 2005: ecco il nuovo volto della “241”, in www.giustizia-amministrativa.it.
[2] Consiglio Stato Sezione IV, 17 febbraio 1997, n. 123.
[3] T.A.R. Lazio Latina, 6 marzo 1995, n. 225: il caso preso in esame dalla sentenza concerne un preavviso di nomina relativo ad una supplenza temporanea di durata superiore a trenta giorni in una scuola secondaria, effettuato dal preside con "fonogramma" e non con "telegramma" come prevede l'ordinanza ministeriale 3 ottobre 1991 n. 331.
[4] T.A.R. Campania Sezione IV, Napoli, 25 febbraio 1998, n. 707, secondo il quale in base ai principi generali di conservazione degli atti giuridici e di strumentalità delle forme, l'omessa indicazione in calce al provvedimento dell'autorità alla quale è possibile ricorrere contro di esso, come prescritto dall'articolo 3 comma 4, della legge 241/1990, non determina nè l'invalidità nè l'inefficacia del provvedimento stesso, ma costituisce mera irregolarità improduttiva di effetti.
[5] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2004, pag. 499.
[6] T.A.R. Lazio Latina, 2 dicembre 1989 n. 998.
[7] Consiglio Stato Sezione IV, 26 maggio 1994, n. 444.
[8] T.A.R. Toscana Sezione III, 21 novembre 2000, n. 2346.
[9] Cassazione civile Sezione I, 12 luglio 2001, n. 9441.
[10] T.A.R. Basilicata 29 dicembre 1982 n. 204
[11] T.A.R. Emilia R. Sezione Parma, 27 aprile 1999, n. 229.
[12] Corte Conti Sezione Controllo, 21 maggio 1998, n. 56.
[13] T.A.R. Sicilia Sezione I, Palermo, 2 novembre 1991 n. 566.
[14] T.A.R. Valle Aosta 22 gennaio 1999, n. 6.
[15] Consiglio Stato Sezione II, 5 febbraio 1997, n. 1235; vedi, tuttavia, T.A.R. Sardegna 19 febbraio 1998, n. 137, secondo il quale l'articolo 3, comma 4, della legge 241/1990 nel prevedere testualmente che "in ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere" - ha evidente carattere precettivo volto a delineare e fissare nuove regole di comportamento fra p.a. e destinatari dell'azione amministrativa; la carenza di detti elementi pertanto, vizia sul piano formale la validità ed operatività dell'atto.
[16] Consiglio Stato Sezione IV, 16 febbraio 1998, n. 300.
[17] Consiglio Stato Sezione IV 12 novembre 1991 n. 910.
[18] Consiglio Stato Sezione V, 7 maggio 2001, n. 2551.
[19] T.A.R. Lazio. Latina, 23 maggio 2001, n. 527: alla luce della giurisprudenza secondo cui l'avviso del procedimento non deve essere inteso in modo formalistico e letterale, essendo, al contrario, rilevante la sussistenza di atti inequivoci che dimostrino la conoscenza sostanziale, da parte di una persona di normale diligenza, dell'attivazione del procedimento che lo riguarda, può ragionevolmente considerarsi equivalente alla comunicazione ex art. 7 l'ordinanza di sospensione dei lavori abusivi, la quale costituisce il primo atto ufficiale del procedimento sanzionatorio, di norma prodromico alla successiva sanzione ripristinatoria, non potendo disconoscersi che il destinatario, pur in assenza di un avviso formale qual è prefigurato dall'art. 8, sia sostanzialmente edotto dell'avvio del procedimento ed abbia quindi tutto il tempo e il modo di intervenirvi e di sostenere le proprie ragioni, con possibilità di far eventualmente desistere l'Amministrazione dall'ulteriore prosecuzione dell'azione repressiva. Correlativamente, non può ritenersi assolta tale funzione, qualora la sospensione venga adottata contestualmente alla demolizione, restando in tal modo preclusa all'interessato la possibilità di scongiurare, per quanto possibile, l'adozione di quest'ultima.
[20] Consiglio Stato Sezione IV, 1 febbraio 2001, n. 399.
[21] T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 12 ottobre 2000, n. 1662.
[22] Consiglio Stato Sezione V, 23 febbraio 2000, n. 956.
[23] T.A.R. Sicilia Sezione II, Palermo, 15 marzo 2001, n. 416.
[24] Consiglio Stato Sezione IV, 15 febbraio 2001, n. 721.
[25] T.A.R. Campania Sezione IV, Napoli, 28 maggio 1996, n. 346.
[26] T.A.R. Campania Sezione IV, Napoli, 8 gennaio 1996, n. 10.
[27] Consiglio Stato Sezione VI, 28 settembre 2001, n. 5144.
[28] Consiglio Stato Sezione V, 28 maggio 2001, n. 2884.
[29] T.A.R. Sicilia Sezione II, Palermo, 21 agosto 2001, n. 1149.