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n. 7-8/2008 - © copyright

LUIGI OLIVERI

Effetti dell’abrogazione di norme che prevedono benefici:
il caso delle indennità degli amministratori locali

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L’intervento di A. Scarascia [1] sulle conseguenze delle recenti riforme agli articoli 82 e 83 del d.lgs 267/2000 pone il problema della corretta valutazione degli effetti abrogativi di norme che contengono espressi benefici.

L’Autore affronta le modifiche disposte prima dalla legge 244/2007 e, oggi, dal d.l. 112/2008, rinvenendo argomentazioni per:

a) ritenere che la parametrazione delle indennità a quella effettivamente percepita, in applicazione degli incrementi obbligatori e facoltativi, consentiti dal DM 119/2000;

b) sostenere che continui ad applicarsi il cumulo tra indennità e gettoni per mandati elettivi presso enti diversi.

Le conclusioni cui perviene l’Autore si prestano a considerazioni di diverso tenore, a partire, in particolare, dalla verifica degli effetti concreti che una legislazione modificativa ed abrogativa di disposizioni precedenti pone in essere.

Occorre soffermarsi brevemente sull’istituto dell’abrogazione. Come noto, essa “consiste in nuova valutazione del legislatore della fattispecie e quindi in una nuova disciplina del caso, ritenuta oggi più opportuna. L'abrogazione dunque di per sé (e salvo un'espressa previsione contraria) opera ex nunc, circoscrivendo nel tempo la vigenza della norma abrogata e in ogni modo non ne disconosce il valido operare per il tempo in cui era applicabile. Talché, restando ancora valida e vigente (sebbene abrogata) la norma precedente per il tempo anteriore all'abrogazione, l'effetto naturale è che le norme sopravvissute, per così dire "compresse" dalla legge non più operante, restano tali per quel medesimo tempo ed è perciò fuori del sistema considerarne ampliato - oggi per allora - il raggio di azione, quale effetto di questa forma di caducazione”[2].

Diversa dall’abrogazione è la dichiarazione di illegittimità costituzionale, che ha un effetto radicalmente invalidante e, dunque, opera ex tunc.

E’ ulteriormente noto che l’abrogazione può essere espressa o tacita. Nel primo caso, è il legislatore che individua direttamente la norma o la disposizione abrogata. Nel secondo, occorre una valutazione di compatibilità tra la norma più recente e quella meno recente: applicandosi il principio della prevalenza della norma più recente, se questa risulti incompatibile con quella meno recente, questa si intende abrogata.

E’ compresa nel fenomeno dell’abrogazione tacita l’abrogazione “per nuova disciplina”, che si verifica quando entri in vigore una serie di disposizioni che regolamenta ex novo nel suo complesso una materia, modificando l’assetto fissato da disposizioni cronologicamente antecedenti.

In ogni caso, laddove il legislatore ponga in essere un effetto abrogativo, insorge il divieto di applicare le disposizioni abrogate a casi che non siano sorti prima dell'abrogazione stessa. La reiterazione dell’applicazione di norme abrogate a fattispecie successive al nuovo intervento normativo, infatti, costituirebbe una violazione della attuale e nuova volontà espressa dal legislatore.

In conclusione, si deve affermare che in presenza di un’innovazione dell’assetto normativo ogni interpretazione ed applicazione delle nuove disposizioni deve osservare il divieto di mantenere in piedi l’applicazione delle norme superate da quelle ad effetto abrogativo, espresso o tacito. Se così non fosse, evidentemente per via interpretativa si vanificherebbe il potere legislativo di fissare gli assetti dell’ordinamento.

Ora, se queste premesse sono accettate e condivise, la soluzione alle questioni poste in merito alle indennità pare debba essere rinvenuta con un approccio diverso.

Con riferimento all’indennità massima, correttamente si è rilevato che essa deve essere riferita a quella effettivamente percepita.

C’è, tuttavia, una novità normativa, della quale tenere necessariamente conto, ed è rappresentata dall’articolo 76, comma 3, del d.l. 112/2008 che modifica radicalmente l’articolo 82, comma 11, del d.lgs 267/2000.

E’, probabilmente, utile mettere in raffronto la nuova e la vecchia disposizione:

Nuovo testo

Vecchio testo

La corresponsione dei gettoni di presenza e' comunque subordinata alla effettiva partecipazione del consigliere a consigli e commissioni; il regolamento ne stabilisce termini e modalità.

Le indennità di funzione e i gettoni di presenza, determinati ai sensi del comma 8, possono essere incrementati o diminuiti con delibera di giunta e di consiglio per i rispettivi componenti. Nel caso di incremento la spesa complessiva risultante non deve superare una quota predeterminata dello stanziamento di bilancio per le spese correnti, fissata, in rapporto alla dimensione demografica degli enti, dal decreto di cui al comma 8. Sono esclusi dalla possibilità di incremento gli enti locali in condizioni di dissesto finanziario.

Si nota l’eliminazione della facoltà, riconosciuta agli enti locali ed esercitabile in attuazione del DN 119/2000, di incrementare o diminuire le indennità ed i gettoni di presenza.

Tale modifica normativa non può essere priva di conseguenze. La prima e fondamentale, consiste nella disapplicazione delle disposizioni contenute nel DM 119/2000, tese a disciplinare le modalità per procedere all’incremento facoltativo dell’indennità del sindaco, dal quale deriva, poi, la parametrazione sulla base dell’indennità effettivamente percepita.

Il d.l. 112/2008 ha il difetto di non dettare una disciplina di diritto transitorio, che espliciti le conseguenze della cancellazione della facoltà di incrementare le indennità. Sicchè, si pone il problema della sorte delle indennità già incrementate, nell’esercizio di tale facoltà.

Si può sostenere, allora, che il d.l. 112/2008 abbia “congelato” la situazione quo ante: gli enti non possono certo più incrementare le indennità, ma non sarebbero tenuti nemmeno a rivedere l’ammontare definito, legittimamente, in precedenza.

Al contrario, però, si può anche affermare che l’eliminazione della possibilità di incrementare le indennità non solo pone nel nulla le norme attuative del DM 119/2000, ma anche i provvedimenti concretamente adottati dagli enti, quanto meno per i futuri esercizi finanziari.

Il principio tempus regit actum consente di considerare ancora legittimi ed operanti gli aumenti facoltativi, adottati quando era vigente la facoltà concessa dal legislatore: poiché il d.l. 112/2008 è intervenuto ad esercizio finanziario si può arrivare a sostenere che per il 2008 le cose non debbano cambiare.

Tuttavia, ai fini del futuro assetto gli enti locali non possono esentarsi dal prendere atto che il sistema normativo è cambiato, sì da non permettere più un aumento delle indennità, rispetto a quanto definito edittalmente.

Pertanto, quanto meno dal 2009 è possibile, probabilmente consigliabile, rivedere l’ammontare delle indennità, riportandolo ai valori edittali determinati dal DM 119/2000 (ovviamente, calcolando gli incrementi automatici), non reperendosi più coerenza tra una norma di legge che non consente più l’incremento facoltativo ed il perdurare degli effetti di provvedimenti amministrativi che tale incremento avevano previsto, ma operante una norma ormai abrogata.

In realtà, le medesime argomentazioni potrebbero essere applicate, per sostenere che il dovere di rivedere l’ammontare delle indennità decorra dal 25 giugno 2008, data di entrata in vigore del d.l. 112/2008. Sarebbe necessario che il legislatore, nella legge di conversione del decreto, introducesse la norma di diritto transitorio oggi carente, per evitare il perpetuarsi di una questione interpretativa piuttosto delicata.

Prevalendo, comunque, come sembra, la fissazione per legge e decreto delle indennità, una volta cancellato l’incremento facoltativo, la parametrazione sarà sempre riferita all’indennità effettivamente percepita dal sindaco, la quale, però, non potrà che coincidere con quella edittalmente fissata dalle norme.

Con riferimento, ancora, al secondo problema dell’incremento delle indennità alle figure esterne alla giunta e al consiglio, la soluzione non può che essere la medesima illustrata prima. L’eliminazione della facoltà di incremento risolve alla radice la questione: nei confronti del presidente della comunità montana, dei presidenti dei consigli circoscrizionali (per altro, limitatamente ai comuni capoluogo di provincia, come ha disposto la legge 244/2007), i componenti degli organi esecutivi delle comunità montane, delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, non possono trasferirsi gli effetti di incrementi facoltativi, che sono stati eliminati.

Resta la questione del cumulo tra indennità e gettoni, per mandati elettivi presso enti diversi. E’ in particolare a questa fattispecie che occorre applicare le considerazioni in merito agli effetti dell’abrogazione delle norme.

Secondo lo Scarascia, l’abrogazione dell’articolo 82, comma 6, del d.lgs 267/2000 ad opera della legge 244/2008 non comporta di per sé il venir meno del cumulo. In particolare, ciò perché:

a) non si desume dalla normativa vigente un espresso divieto di cumulo;

b) l’articolo 83, rubricato divieto di cumulo, non si riferisce alla fattispecie del cumulo tra indennità e gettoni per due mandati amministrativi presso enti locali, bensì al divieto di cumulo cagionato da mandati parlamentari e locali;

c) in applicazione dei principi che vietano l’applicazione di disposizioni restrittive per via analogica, se incidono su diritti soggettivi.

Il testo dell’articolo 82, comma 6, oggi abolito, prevedeva: “Le indennità di funzione sono cumulabili con i gettoni di presenza quando siano dovuti per mandati elettivi presso enti diversi, ricoperti dalla stessa persona”.

Non è chi non veda come, nel precedente assetto normativo, il legislatore avesse espressamente consentito la cumulabilità di indennità e gettoni in capo ad una stessa persona che ricoprisse, presso enti (locali) diversi cariche remunerabili a tali titoli.

Per effetto dell’abolizione della norma, tale facoltà espressamente consentita non c’è più. Il legislatore, con un’abolizione per altro esplicita, l’ha estirpata dall’ordinamento.

Allora, il problema che si pone è se operi, o meno, l’effetto tipico dell’abrogazione, consistente nel citato divieto di applicare le disposizioni abrogate a casi sorti o, comunque, da regolare, successivamente all'abrogazione stessa, sapendo che se il divieto si ritiene non operante è come se l’abrogazione non fosse stata disposta.

Non si può pretendere che quando il legislatore abroghi una disposizione contenente una facoltà espressa, la soppressione di tale facoltà sia effettivamente operante se corroborata da un’ulteriore previsione espressa che faccia divieto di avvalersi della facoltà medesima.

Se non vi fosse stata la disposizione dell’abrogato comma 6 dell’articolo 82 del d.lgs 267/2000, il cumulo ivi previsto non sarebbe stato evidentemente possibile, non essendo affatto corretta l’opinione secondo la quale ciò che l’ordinamento non vieta è, allora, consentito. L’ordinamento giuridico è costruito sulla base di norme che disciplinano in maniera esplicita e diretta una serie di materie. In carena di tali regolamentazioni, non essendo ricavabili discipline in base all’analogia legis, allora la fattispecie non si può considerare normata: dunque, l’assenza di una norma non consente per nulla di attuare ciò che non sia espressamente vietato.

Ma, tornando alla questione del comma 6 dell’articolo 82, se in un primo momento il legislatore consente espressamente il cumulo, e in un secondo momento cancella quella sua previsione, ciò non può significare altro che il cumulo, una volta previsto, oggi sia vietato. E’ la conseguenza unica, diretta e coerente, dell’abrogazione. Altrimenti, non si capirebbe perché il legislatore avrebbe posto in essere la norma abrogativa.

A nulla valgono i ragionamenti tendenti a ricavare da altre norme o da principi dell’ordinamento la conservazione di una norma abrogata. Il fatto che il legislatore non accompagni la cancellazione di una facoltà col divieto di avvalersene ulteriormente è irrilevante, visto che il divieto di dare attuazione a norme abrogate è effetto tipico dell’abrogazione.

La constatazione che l’articolo 82 del d.lgs 267/2000 al comma 7 vieti il cumulo tra indennità e gettoni nel medesimo ente non può essere elemento per argomentare che, allora, tale cumulo possa considerarsi operante tra enti diversi. In primo luogo, perché la seconda questione non è oggetto preso in considerazione dal comma 7. In secondo luogo, perché l’interpretazione dell’articolo 82, nel suo complesso, non può non tenere conto dell’evoluzione del suo testo, determinata dagli interventi modificativi del legislatore: si torna a considerare che se il comma 6 prima prevedeva il cumulo e, oggi, tale comma è stato abolito, il cumulo tra enti diversi è semplicemente abolito, senza che norme di diverso tenore (seppur di analogo contenuto) possano modificare l’effetto dell’abrogazione disposta dal legislatore.

Né vale riferirsi al principio del divieto di estendere analogicamente restrizioni: l’abolizione espressa del comma 6 dell’articolo 82 è una norma dispositiva, la cui attuazione doverosa implica l’osservanza del divieto di darvi ulteriormente corso, non certo l’estensione analogica di altre disposizioni.

 

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[1] A. Scarascia, “Il sistema delle indennità e dei gettoni negli enti locali. Tre questioni aperte”, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/scarascia_gettoni.htm

[2] Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, Sentenza 28 gennaio - 10 febbraio 2000, n. 518.


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