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LUIGI OLIVERI

Il "galleggiamento" dei segretari comunali

Navigando sul sito dell'Aran, si trova il seguente quesito e conseguente risposta: "Quesito: SGR.10 - Oltre alla retribuzione di posizione e di risultato, possono essere corrisposti ulteriori compensi ai segretari per altri incarichi organizzativi conferiti nell'ente? Risposta: L'attuale CCNL relativo ai segretari comunali e provinciali prevede una organica ed esaustiva disciplina della retribuzione di posizione che assorbe ogni altro compenso connesso alle prestazioni di lavoro. Al di fuori delle disposizioni, anche di favore, contenute nell'art. 41 del citato CCNL, non riteniamo, pertanto, che possano essere posti in essere ulteriori incrementi dei compensi contrattualmente definiti, anche se correlati a specifici incarichi organizzativi o gestionali.

Coglie un po' di sorpresa l'affermazione, evidenziata in grassetto da chi scrive, secondo la quale le disposizioni contenute nel contratto dei segretari siano considerate da uno dei sottoscrittori, per altro quello di parte pubblica, "di favore". E' inevitabile porsi almeno due domande:

1) in base a quale ragionamento le disposizioni contrattuali possano essere definite di favore;

2) come mai l'agenzia per la contrattazione delle amministrazioni pubbliche, che pure deve garantire la stipulazione dei contratti nel rispetto delle disposizioni normative vigenti, sottoscriva norme di favore in un contratto collettivo pubblico.

Verificando, allora, quanto dispone l'articolo 41, comma 5, del CCNL dei segretari comunali, in data in data 16.5.2001, ci si imbatte nella seguente disposizione: "gli enti assicurano, altresì, nell'ambito delle risorse disponibili e nel rispetto della capacità di spesa, che la retribuzione di posizione del segretario non sia inferiore a quella stabilita per la funzione dirigenziale più elevata nell'ente in base al contratto collettivo dell'area della dirigenza o, in assenza di dirigenti, a quello del personale incaricato della più elevata posizione organizzativa".

La prima domanda trova, così, risposta. Ai segretari comunali è attribuito contrattualmente il beneficio del cosiddetto "galleggiamento", tecnicamente definito "allineamento stipendiale", che permette ad un dipendente di godere del trattamento economico eventualmente superiore in godimento ad altro dipendente.

Che si tratti di una disposizione di favore appare indubbio. Ampie critiche da sempre sono state sollevate nei confronti della magistratura amministrativa, proprio perché usufruisce dell'allineamento stipendiale, a differenza di ogni altra categoria di dipendenti pubblici. Con l'eccezione, però, dei segretari comunali. Il cui trattamento "di favore" trova, per altro, delle peculiarità davvero di rilievo.

In primo luogo, in relazione al meccanismo del tutto inusitato di applicazione del "galleggiamento". L'istituto, infatti, funziona garantendo ad un dipendente di una certa categoria di godere del trattamento economico eventualmente superiore in godimento di altro dipendente, appartenente alla medesima categoria, che ad essa sia acceduto con minore anzianità.

L'allineamento retributivo è stato utilizzato, dunque, nel passato, al fine di evitare sperequazioni economiche tra dipendenti del medesimo livello.

E' stato necessario utilizzare il passato prossimo, perché come dovrebbe essere noto a tutti, l'ordinamento giuridico italiano, con l'eccezione dei giudici amministrativi, ha eliminato l'istituto del galleggiamento. Vi ha provveduto con legge: esattamente l'articolo 2, comma 4, del decreto legge 333/1992, convertito nella legge 438/1992, interpretato autenticamente dall'articolo 7, comma 7 del decreto legge 384/1992, convertito in legge 438/92, a mente del quale "l'art. 2, comma 4, del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, va interpretato nel senso che dalla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge non possono essere più adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorché aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992."

La legge, pertanto, ha posto 10 anni fa un divieto assoluto di attivare provvedimenti di allineamento stipendiale nel pubblico impiego.

Il "favore" che il CCNL ha attribuito ai segretari, appare sempre più evidente. Anche perché il "galleggiamento" per la prima volta non ha operato tra dipendenti della medesima categoria, ma tra dipendenti non solo di categorie differenti, ma espletanti funzioni assolutamente autonome, il cui status giuridico è disciplinato da contratti collettivi di lavoro a loro volta assolutamente indipendenti. Appare realmente ben strano che da un lato alcuni interpreti e giudici (1) ritengano che il segretario comunale sia da considerare quanto meno funzionalmente sovraordinato ai dirigenti o responsabili di servizio, e d'altro lato si preveda un galleggiamento stipendiale verso categorie lavorative diverse e, tra virgolette, "sotto ordinate". Ma, allora, posto che per effetto del D.lgs 267/2000 il segretario non è più qualificato né funzionario, né dirigente pubblico, come deve essere collocato funzionalmente?

Le riflessioni sin qui svolte, tuttavia, non centrano il vero problema del trattamento "di favore", che è, invece, un altro. Quello, cioè, della legittimità della clausola di galleggiamento prevista dal contratto.

Dalla disamina della normativa vigente, appare con la sua eclatante evidenza il contrasto tra l'articolo 41, comma 5, del contratto ed il divieto normativo di introdurre "allineamenti stipendiali". Evidentemente detto divieto alle parti contraenti è, almeno in parte sfuggito, altrimenti non avrebbero certo sottoscritto la clausola, salvo dopo constatare l'esistenza di una disposizione di favore, a contratto già stipulato. Appare, tuttavia, necessario porsi e risolvere il problema della legittimità di simile clausola.

Una soluzione potrebbe essere rinvenuta nell'articolo 2, comma 2, del D.lgs 165/2001, che consente alla contrattazione collettiva di derogare le leggi vigenti in materia di trattamento economico e giuridico del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche. Poiché i contratti dispongono di detto potere, le parti possono, allora, applicare una disciplina negoziale rispetto alla quale quella normativa è da considerare solo suppletiva: applicabile finchè le parti non abbiano stabilito diversamente.

A ben guardare, tuttavia, le cose non stanno esattamente così. L'articolo 2, comma 2, citato stabilisce che <<i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario>>. Detta norma, correttamente, nel prevedere un potere di deroga ai contratti, determina contemporaneamente i limiti e l'oggetto della deroga stessa.

Affinchè una deroga sia valida, occorre che la norma derogata o che preveda la deroga definisca le modalità ed i limiti della stessa, i quali sono requisiti indispensabili se si tratta di deroga tra fonti poste in posizione gerarchica differente. Il contratto, infatti, è fonte evidentemente subordinata alla legge e, pertanto, può derogarvi solo in quanto la legge lo consenta e nel rispetto dei limiti e criteri da essa previsti. Altrimenti, più che deroga sarebbe disapplicazione: ma la disapplicazione è la conseguenza dell'abrogazione, istituto operante tra norme poste sullo stesso livello nella gerarchia delle fonti o tra norme poste su livelli diversi, una delle quali abbia, però, il potere di espandere la propria forza normativa anche nelle materie disciplinata dall'altra (classico rapporto intercorrente tra le leggi ed i regolamenti).

Allora, il contratto collettivo di lavoro per superare il divieto di reintrodurre il "galleggiamento" dovrebbe essere autorizzato dalla legge ad introdurre una deroga specificamente rivolta ad ovviare ad eventuali divieti normativi.

Ma l'articolo 2, comma 2, del D.lgs 165/2001 prevede tutt'altro. Infatti, non autorizza i contratti a superare, attraverso la disciplina pattizia, le previsioni vigenti dell'ordinamento. La disposizione individua il corpus normativo fondamentale che regola il rapporto di lavoro di dipendenti delle amministrazioni pubbliche, formato in generale dalle medesime leggi disciplinanti il rapporto di lavoro privato, salve le speciali disposizioni contenute nel D.lgs 165/2001. Tale corpo normativo è lo <<zoccolo duro>> della disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

Questo corpus normativo può, evidentemente, essere completato ed integrato da ulteriori disposizioni di legge, statuto o regolamenti (questi ultimi nel rispetto delle leggi). Anche i contratti collettivi di lavoro sono configurati come fonti di disciplina del rapporto di lavoro con amministrazioni pubbliche, tanto che possono derogare anche norme di legge, statuti o regolamenti. Però, la possibilità di tale deroga è limitata alle sole disposizioni di legge, statuto o regolamento che introducano discipline ulteriori rispetto al corpus normativo cristallizzato dalla norma.

Pertanto, i contratti collettivi, sempre che possano introdurre deroghe a divieti posti dalla legge, comunque possono derogare esclusivamente le leggi, gli statuti ed i regolamenti entrati in vigore successivamente al corpus normativo fondamentale che disciplina il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

Indubbiamente, l'articolo 2, comma 4, del decreto legge 333/1992 fa parte del nocciolo essenziale della normativa speciale di disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Dunque, il contratto non è abilitato dal D.lgs 165/2001 a porre deroghe a questa disposizione.

In ogni caso, la fattispecie del "galleggiamento" è regolata da un divieto normativo. Bisognerebbe dimostrare che i contratti, fonte, lo si ripete, subordinata alla legge, abbiano la possibilità di derogare a divieti posti dalla legge. Il che significherebbe ammettere che all'autonomia privata è attribuito il potere di innovare l'ordinamento giuridico, tanto da eliminare per via pattizia divieti posti dal legislatore. L'operazione appare abbastanza ardita, soprattutto perché una simile deroga, che è una vera e propria disapplicazione (abrogazione) del divieto dovrebbe essere esplicitamente consentita dalla legge, cosa che non è.

L'inconciliabilità tra l'articolo 41, comma 5, del CCNL dei segretari ed il divieto, generale, di introdurre il "galleggiamento" non appare, allora, risolvibile. I dubbi di legittimità della clausola "di favore" si manifestano in modo evidente e pesante.

Ma, tornando alla seconda domanda, come è stata possibile la sottoscrizione di una clausola di favore posta in deroga (o in violazione) di un divieto chiaramente posto dalla legge, da parte del soggetto cui è demandata la rappresentanza negoziale delle amministrazioni pubbliche, soggetto che non ha remore nell'ammettere la sussistenza di un trattamento di "favore"?

Che le organizzazioni sindacali, nell'ambito di una contrattazione, chiedano (ed ottengano) clausole favorevoli alle categorie rappresentata appare lecito e connaturato allo scopo delle organizzazioni medesime. Lascia qualche perplessità il fatto che la controparte accetti, però, proposte rispetto alle quali occorrerebbe verificare a fondo l'esistenza di presupposti di legittimità che, quanto meno, evitino trattamenti di favore, in quanto lo scopo della contrattazione è garantire un trattamento economico e giuridico dei lavoratori consono al ruolo ed alle funzioni rivestite, non certo a creare situazioni di favore, le quali, inevitabilmente creano sperequazioni. Che, evidentemente, si riverberano in prima battuta nei riguardi della stessa categoria dei segretari comunali. I quali si distingueranno, pur svolgendo funzioni analoghe, in un reticolo di situazioni di disparità di trattamento economico realmente inestricabile ed ingiustificato.

Vi saranno i segretari generali acceduti a tale qualifica per concorso, cui sia stato conferito l'incarico retribuito di direzione generale e che abbiano goduto del "galleggiamento", in quanto l'indennità di posizione in godimento alla dirigenza sia superiore a quella di posizione dei segretari. Ma vi saranno quelli che non si avvantaggeranno del "galleggiamento", in quanto l'indennità di posizione dei dirigenti sia inferiore a quella contrattualmente prevista per i segretari (2).

Poi, vi saranno i segretari acceduti a sedi superiori in base al declassamento della sede di segreteria, che, incaricati anche della direzione generale e beneficiando del galleggiamento di eventuali indennità di posizioni dirigenziali potranno, godere di trattamento economico anche migliore di quello di colleghi titolari di sedi più elevate e di una collocazione a sua volta più alta nelle fasce professionali. E così via.

Quale sia, allora, il beneficio della clausola di "galleggiamento" dei segretari, ai fini della limitazione di eventuali sperequazioni nel trattamento economico degli appartenenti alla categoria, non è dato rilevare. Al contrario, la clausola sembra garantire un'ulteriore forte disparità di trattamento, anche a parità di condizioni lavorative.

Lo scopo, comunque, di detta clausola di "galleggiamento" in realtà appare un altro: quello di affermare la necessità che l'indennità di posizione del segretario non possa in ogni caso essere inferiore a quella di qualunque altro dirigente, stante la funzione di coordinamento che per legge spetta al segretario medesimo.

Il principio, in linea di massima, può essere considerato accettabile, visto che chi coordina assume un'indubbia funzione di rilevanza strategica all'interno di un ente.

L'applicazione concreta di detto principio sembra meno coerente. In primo luogo perché l'articolo 41, comma 5, del CCNL dei segretari ignora completamente l'ipotesi che a fianco del segretario operi un direttore generale. In questo caso, come è noto, la funzione di coordinamento è esercitata dal direttore e non dal segretario. Tuttavia, la formulazione della clausola sembrerebbe permettere ugualmente il galleggiamento, il cui titolo, a questo punto, appare poco individuabile.

Ma un'altra osservazione pare esprimibile. Se si ritiene che la funzione del segretario comunale sia, come detto sopra, di rilievo strategico, sarebbe apparso logico determinare a livello della contrattazione collettiva la retribuzione di posizione di per sé adeguata a compensare simile funzione.

Connettere, invece, un compenso non inferiore a quello della dirigenza ad una clausola di galleggiamento appare ben strano, sia perché si viola un divieto normativo espresso, sia perché, come rilevato sopra, il galleggiamento a questo punto non opera tra categorie equiordinate, ma addirittura a beneficio della categoria almeno funzionalmente sovraordinata.

La clausola del "galleggiamento" lascia ulteriori dubbi di legittimità con riferimento al principio di buon andamento dell'amministrazione, sotto un altro profilo, che è quello della terzietà ed imparzialità dei segretari comunali nel condurre le trattative per i contratti decentrati aziendali della dirigenza, laddove si verta nella definizione dei livelli massimi della retribuzione di posizione dei dirigenti, se dall'esito di simile contrattazione dipenda l'incremento anche della propria indennità di posizione. E' noto, infatti, che nella stragrande maggioranza dei casi il segretario fa parte della delegazione trattante di parte pubblica. Nessun altro componente di parte pubblica, nell'attuale regime normativo, si ritrova in simile posizione di commistione di interessi. Gli apicali posizioni organizzative degli enti locali privi di dirigenti, infatti, se componenti delle delegazioni di parte pubblica non traggono alcun vantaggio o svantaggio dalla contrattazione del personale dei livelli, giacchè il loro trattamento economico, compresa l'indennità di posizione, è indipendente da quello degli altri dipendenti.

Lo stesso avviene per i dirigenti, negli enti in cui siano presenti, in quanto non si verifica alcuna osmosi tra i fondi della dirigenza e quelli del personale dei livelli, né le indennità di detto personale condizionano gli emolumenti della dirigenza.

Colui che, invece, dovrebbe essere chiamato in posizione di assoluta terzietà nella condizione delle trattative, si trova integralmente coinvolto personalmente negli esiti della trattativa, o comunque nella condizione di essere ritenuto "interessato".

Insomma, il "favore" reso alla categoria dei segretari comunali ancora una volta appare un beneficio discutibile. Considerando, soprattutto, che in generale i favori debbono essere resi. Ma il vero favore alla categoria consisterebbe nel tornare a renderla realmente indipendente e adeguatamente compensata, senza il ricorso a sistemi quanto meno poco persuasivi di incremento degli emolumenti, come quelli escogitati dal CCNL del 16.5.2001.

 

(1) T.A.R. Sardegna, 10 febbraio - 12 maggio 1999, n. 593.

(2) In merito, l'Aran rispetto alla possibilità di applicare il galleggiamento comunque all'importo massimo contrattuale previsto per i dirigenti o responsabili di servizio si è pronunciata con la seguente risposta al quesito: SGR.14 - Con quali criteri deve essere applicata la disciplina dell'art. 41, comma 5, del CCNL dei Segretari per la 'parificazione' con la retribuzione di posizione della posizione dirigenziale più elevata dell'ente? Si deve tener conto del valore effettivo o di quello massimo teorico (L. 82.000.000)? Risposta: La disciplina dell'art. 41, comma 5, del CCNL dei segretari comunali e provinciali, sottoscritto il 16.5.2001, debba essere correttamente interpretata e applicata nel senso che il confronto tra la retribuzione di posizione del segretario e quella della posizione dirigenziale più elevata dell'ente, deve essere effettuata sulla base dell'effettivo valore "stabilito" per detta ultima posizione ed effettivamente corrisposto al dirigente titolare della posizione medesima. In altri termini non deve farsi riferimento ad un dato teorico, meno che mai al valore teorico massimo di L. 82.000.000, ma all'importo reale che la singola amministrazione ha determinato per la posizione dirigenziale al massimo livello di responsabilità. Più banalmente possiamo convenire che il termine "stabilito" debba essere inteso come equivalente di "percepito". Naturalmente la citata disciplina dell'art. 41, comma 5, può trovare applicazione solo dal giorno successiva alla data di definitiva sottoscrizione del CCNL.


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