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Articoli e note

n. 11/2005 - © copyright

LUIGI OLIVERI

Brevissime note sulla costituzionalità del tetto
alle collaborazioni esterne nelle amministrazioni locali

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Si legge su Italia Oggi del 26 novembre scorso che il nuovo emendamento al disegno di legge finanziaria intende produrre una limitazione alle co.co.co. ed alle consulenze pubbliche non più ponendo limiti quantitativi, bensì prevedendo l’autorizzazione preventiva del Governo.

Stando a quanto emerge dalle informazioni della stampa, gli enti dovranno aver dimostrato l’impossibilità di procedere preventivamente all’utilizzo della somministrazione di lavoro o all’esternalizzazione in outsourcing del servizio, oltre a dimostrare l’assoluta carenza quali-quantitativa del personale in servizio e l’attinenza della collaborazione con le competenze dell’ente stesso.

In astratto, si tratta di una norma anche coerente, nell’ambito del comparto regioni-autonomie locali, con il Ccnl 14.9.2000, il quale ha introdotto proprio modalità flessibili di assunzione, quali soprattutto il lavoro somministrato (ex lavoro interinale) ed il contratto di formazione e lavoro all’esplicito fine di ridurre il ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative.

Tuttavia, è facile predire che se questo rimarrà il testo della legge, potrebbero scaricarsi su di esso gli strali di un ricorso alla Corte costituzionale da parte delle regioni, con buone probabilità che la Consulta lo accolga.

Appare, infatti, troppo evidente che una simile forma di controllo operata dal Governo sull’operato degli enti locali configura una compressione fortissima della loro autonomia normativa, non minore delle compressioni già giudicate negativamente dalla Consulta con le sentenze 390/2004 e 417/2005.

Insomma, si ha la sensazione che ancora una volta ci si trovi in presenza di una norma di legge “a tempo determinato”, utile per disincentivare (anche meritoriamente, perché no?) l’eccessivo ricorso alle collaborazioni e consulenze esterne per un anno, poco più, poco meno, finché una pronuncia della Consulta non la estirpi dall’ordinamento.

Certo, nel momento in cui occorre prevedere manovre che assicurino il rispetto degli obiettivi della finanza pubblica, appare corretto muovere nella direzione del contenimento delle spese per incarichi esterni.

Pare, però, contrastare con la Costituzione che un ente, lo Stato, si erga a controllore dell’attività di altri enti, comuni, province e regioni, che con lo Stato in posizione di pari dignità costituiscono la Repubblica. Infatti, proprio tale posizione di pari dignità esclude che un ente possa svolgere funzioni di controllo sull’attività dell’altro: non a caso, per questa ragione la legge costituzionale 3/2001 ha abrogato l’articolo 130 della Costituzione e, con esso, il controllo preventivo di legittimità che le regioni, attraverso i Co.re.co., esercitavano sugli atti degli enti locali.

Forse è il caso di affrontare definitivamente il toro per le corna e decidere, una volta per tutte, se le amministrazioni possono, o meno, utilizzare le collaborazioni e le consulenze esterne. Se la risposta è no, si faccia finalmente chiarezza. Se la risposta è sì, allora il contenimento della spesa non può che essere frutto dell’imposizione di obiettivi di contenimento della spesa corrente in generale, in attuazione della sentenza della Consulta 417/2005, ma non certo dell’introduzione di nuove forme di subordinazione gerarchica degli enti locali, nei confronti dello Stato.


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