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Articoli e note

n. 2/2005 - © copyright

LUIGI OLIVERI

L’assoggettabilità dei piccoli comuni al “tetto” alle assunzioni nel 2005 -

La real politik del Ministero dell’Economia

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Non poche volte è accaduto che accanto al legislatore ufficiale (il Parlamento), il legislatore “ufficioso” intervenisse per attribuire in via interpretativa significati operativi alle norme, eccedendo la stessa ratio della norma.

Ciò è quanto pare sia accaduto in merito all’interpretazione fornita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, Ispettorato Generale per la Finanza delle Pubbliche Amministrazioni, Ufficio II, con circolare prot. n. 0012622 in data 8.2.2005, n. 4, in merito all’assoggettabilità dei comuni con meno di 3.000 abitanti al “blocco” delle assunzioni.

Recita il punto G.4 della circolare: “il comma 98 della legge finanziaria 2005 detta una specifica disciplina in materia di assunzioni a tempo indeterminato, individuando le economie lorde da realizzare da parte di regioni e autonomie locali e demandando ad apposito D.P.C.M. la normativa di dettaglio. Nelle more dell’emanazione di tale D.P.C.M. è fatto divieto a tutti gli enti del comparto regioni e autonomie locali, non solo a quelli sottoposti al rispetto del patto di stabilità interno, di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato”.

Esempio più fulgido di real politik sembra difficile reperirlo. Come avvenne con la legge 289/2002 in materia di controllo delle spese per forniture e servizi, sta accadendo oggi per le spese del personale: la legge finanziaria, più che porre concreti obiettivi di risparmio o taglio (chè, in realtà, si tratta di diminuire la crescita della spesa) mira soprattutto ad un obiettivo di cassa, cioè ritardare il più possibile l’erogazione delle spese.

L’interpretazione fornita dalla circolare va indubbiamente in questa direzione. Rinviare all’adozione dei D.P.C.M. anche le assunzioni nei comuni con meno di 3.000 abitanti (e degli altri enti non soggetti al patto) tutto sommato contribuisce non poco a ritardare l’effettuazione di spese e, dunque, a creare un elemento positivo per il rispetto del patto di stabilità nel suo complesso.

Le indicazioni della circolare, restrittive, in questa logica appaiono comprensibili, in qualche modo anche “dovute” da parte del soggetto che l’ha emessa.

Altro conto, però, è considerare sia legittime, sia condivisibili dal punto di vista interpretativo.

Quanto al primo aspetto, la legittimità, sono almeno due i dubbi che si possono sollevare. Il primo è sulla natura dell’atto adottato. Poiché è difficile ricavare dalla lettura dell’articolo 1, comma 98, della legge 311/2004 il divieto di assunzione rivolto ai comuni con meno di 3.000 abitanti, non sembra dubitabile che la circolare proponga un contenuto, sia pure in via interpretativa, innovativo della legge. Ma, questo, deve essere fatto con legge, non certo mediante una circolare.

E’, per altro, abbastanza “forte” la scelta di adottare un’interpretazione innovativa da parte di un soggetto che non solo si rivela autorevole, come autorevole è un Ministero, ma che anche ha il potere di effettuare verifiche ispettive sulla gestione delle risorse. La circolare pare una sorta di ammonimento: “la legge 311/2004 potrebbe essere interpretata in vario modo, ma io, comunque, propendo per la tesi restrittiva. Sappi cosa rischi, se la disattendi”.

Quanto al secondo aspetto, appare piuttosto facile rilevare che gli enti locali sono autonomi, per espressa disposizione dell’articolo 114 della Costituzione. Risulta davvero difficile ritenere che la circolare possa avere il valore cogente ed imperativo che assume nei suoi toni, nei confronti dei comuni con meno di 3.000 abitanti, e rimanere, al contempo, esente da una valutazione negativa dal punto di vista della legittimità costituzionale. Anche sul piano del principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo che compongono la Repubblica.

In ogni caso, la circolare si presta ad ancora più rilevanti critiche relative al merito di quanto afferma.

Sembra assolutamente chiara la contraddizione in termini contenuta nel punto G.4 della circolare, ove si afferma che il comma 98 della legge finanziaria, poiché individua economie lorde da realizzare da parte delle autonimie locali, il cui dettaglio è rimesso ai Dpcm, coinvolge tutti gli enti locali, anche quelli non soggetti al rispetto del patto di stabilità.

Leggendo, infatti, il comma 98, si nota che esso esordisce: “ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica […]”. Dunque, è evidente che il legislatore considera il comma 98 come strumento finalizzato a conseguire gli obiettivi di finanza pubblica.

Ma, se così è, allora il comma 98 è uno degli strumenti, che si affianca agli altri strumenti previsti dalla legge finanziaria, ed enunciati in particolare nei commi 21, 22, 23 e 24. Il comma 21, in particolare, precisa che “i comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nonchè le comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti concorrono, in armonia con i princìpi recati dai commi da 5 a 7, alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica”. Dunque, i comuni con meno di 3.000 abitanti, non concorrono agli obiettivi di finanza pubblica.

I commi 22 e 23 precisano qual è il complesso delle spese da considerare al fine del rispetto degli obiettivi di finanza pubblica. Ma, secondo il comma 24, tale complesso deve essere calcolato al netto, tra le altre, delle “spese di personale, cui si applica la specifica disciplina di settore”.

Pertanto, le spese del personale costituiscono un plafond che è rilevante ai fini del rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, ma la cui disciplina di “controllo” non è contenuta nei commi 22 e 23, bensì nel comma 98 dell’articolo 1 della legge finanziaria.

Chiudendo, allora, il ragionamento, non si può che concludere che le spese del personale sono una delle “leve” per raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica, ma disciplinate a parte rispetto alla regolamentazione generale delle altre spese.

Dunque, la limitazione alle spese del personale è parte integrante della manovra di conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, pur nella sua specificità dispositiva.

Allora, i commi 21, 22, 23, 24 e 98 costituiscono un tutt’uno. Il comma 98 non è una disciplina “speciale” delle spese del personale, disconnessa dalla disciplina generale delle spese; è, invece, una disciplina “particolare” una specifica misura di contenimento della crescita, che è parte della manovra complessiva rivolta agli enti tenuti al rispetto del patto di stabilità.

Così stando le cose, allora, non può reggere la tesi secondo la quale il divieto di assumere fino alla vigenza dei Dpcm coinvolga anche gli enti non tenuti al rispetto del patto di stabilità interno.

Infatti, questi enti non debbono applicare i commi 21, 22, 23 e 24, ma dovrebbero, però, applicare il comma 98 che altro non rappresenta se non un completamento, una specificità dell’applicazione proprio di quegli altri commi.

D’altra parte, lo si ribadisce, è proprio il comma 98, dunque il legislatore a disporre esplicitamente che i contenuti del comma 98 sono finalizzati al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica. Sicchè, gli enti che non sono tenuti a rispettare tali fini, come non sono obbligati ad applicare i commi 21, 22, 23 e 24, non possono che essere esentati anche dall’applicazione del comma 98.

In effetti, le economie lorde individuate dal comma 98 non possono che essere un obiettivo riferito al sistema delle autonomie locali, ma con esclusione degli enti non tenuti al rispetto del patto. Sono gli enti soggetti al patto che, applicando la disciplina dei Dpcm, dovranno assicurare una politica di restrizione delle assunzioni, tale da conseguire i risparmi previsti dal comma 98, perché sono questi enti, e non quelli esclusi dal patto, che debbono ottenere gli obiettivi di finanza pubblica.

Sarebbe veramente strano se i Dpcm rivolgessero la loro disciplina autorizzativa per le assunzioni anche ai comuni non tenti al rispetto del patto di stabilità.

Inoltre, se si ritenesse corretta ed applicabile l’interpretazione suggerita dalla circolare, avverrebbe un fatto piuttosto strano: mentre gli enti tenuti al rispetto del patto di stabilità, se non lo rispettano non possono procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo l’anno successivo, gli enti non tenuti al rispetto del patto di stabilità non sono certamente soggetti a tale divieto, che, pure, costituisce un elemento portante del comma 98.

In sostanza, il precetto del tetto delle assunzioni rimarrebbe privo della sanzione. Gli enti non tenuti al patto di stabilità, proprio perché fuori dal patto potranno sempre assumere. E, per altro, non potranno mai certificare il rispetto del delle disposizioni del patto, come richiesto sempre dal comma 98, quale presupposto di legittimità delle assunzioni.

Come si nota, manca del tutto qualsiasi base, che non sia “l’imposizione dall’alto” per sostenere che la disciplina del comma 98 riguardi anche gli enti non soggetti al patto di stabilità. Il meccanismo è con ogni evidenza ritagliato esclusivamente per gli altri enti. Unico sistema per sostenere questa tesi è rilevare che la legge 311/2004, a differenza della legge 350/2003, non esenta espressamente i piccoli comuni dal tetto alle assunzioni. Ma, l’interpretazione sistematica della legge finanziaria per il 2005 rivela che limitarsi alla mera osservazione dell’assenza di un’esenzione espressa non ha alcun concreto rilievo. Il fatto che la legge finanziaria, quest’anno, non contenga una clausola esplicita di esenzione dal blocco delle assunzioni degli enti non soggetti al patto non autorizza, perciò solo, a ritenerli compresi nel blocco delle assunzioni.

L’interpretazione sistematica, non condizionata dalla necessità di garantire un risultato di “ritardo” nelle spese, rivela che la tesi più restrittiva, portata alle sue conseguenze, determina esiti aberranti e, dunque, risulta debole.

Se si vuole ottenere il risultato che la circolare ricerca, appare necessario, inevitabile intervenire con una legge.

Come, pure, con legge si potrebbe e, a questo punto appare necessario che si provveda, precisare esattamente il contrario, così come avvenne nel 2003, con il d.l. 50/2003, convertito in legge 116/2003.

Resta da chiedersi cosa fare operativamente. Non si può non prendere atto che l’interpretazione restrittiva appaia poco fondata e meno convincente di quella estensiva, che si fonda una lettura complessiva della legge.

E’, allora, corretto in astratto affermare che i comuni non tenuti al rispetto del patto di stabilità, perché la circolare non può essere vincolante, perché la circolare è in contrasto con la Costituzione, perché la circolare ha un contenuto diverso da quello della legge possano non tenerne alcun conto.

Però, operativamente, ciò comporta il rischio che le ispezioni della Ragioneria Generale dello Stato, in assenza di una disciplina espressa da parte del legislatore, mettano in difficoltà gli enti che, giustamente, affermino la propria autonomia.

Allora, dal punto di vista pratico, sembra opportuno attendere l’emanazione del Dpcm, auspicando che, nel frattempo, intervenga un decreto legge che chiarisca con urgenza la questione, sia in un senso, sia nell’altro.

In tal modo la real politik prevale comunque. Ma, probabilmente in tempi di scelte forti di politica economica, un sano cinismo machiavellico finisce sempre per prevalere nei fatti, anche se non risulti pienamente conforme al diritto.


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