LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

copyright

LUIGI OLIVERI

Ancora sulle leggi di principio e coordinamento della finanza pubblica - I limiti alla potestà legislativa delle Regioni e regolamentare degli Enti Locali derivanti dalla legge finanziaria 2003

Si è avuto modo di affermare, in un precedente contributo [1], che la legge finanziaria per il 2003 appare in chiara controtendenza, quando non in deciso contrasto, con il supposto federalismo introdotto dalla legge costituzionale 3/2001.

La formulazione finale della legge, come approvata dal Parlamento, conferma e rafforza l'opinione espressa.

La chiave utilizzata dal Parlamento nazionale per incidere in maniera estremamente pervasiva sulla potestà normativa degli altri enti territoriali, teoricamente equiordinati allo Stato a mente dell'articolo 114 della Costituzione, è costituita dal combinato disposto degli articoli 117, commi 2 e 3, 119, comma 2, e 120 della Costituzione stessa.

Per argomentare meglio l'osservazione così proposta, basta esaminare alcuni passaggi decisivi degli articoli che influenzano in maniera evidente la capacità di amministrare. Senza dimenticare di premettere che amministrare, in gran parte, significa spendere risorse ed avere capacità di reperirle. Sicchè se si limita la capacità della spesa e la possibilità di reperire risorse, di conseguenza si limita l'autonomia dell'ente soggetto a tali limitazioni, qualunque siano le enunciazioni autonomiste o federaliste delle leggi.

Ebbene, l'articolo 24 della legge finanziaria, che introduce forti vincoli procedurali alla potestà di acquisire beni e servizi esordisce al comma 1 con l'enunciazione che la disciplina in esso contenuta è stabilita “per ragioni di trasparenza e concorrenza”.

Appare assolutamente evidente che la legge dello Stato ricava la sua potestà ad intervenire sulla materia degli approvvigionamenti di beni e servizi dall'articolo 117, comma 2, lettera e), della Costituzione, che assegna alla potestà legislativa statale la “materia” della tutela della concorrenza.

Si è virgolettata la parola “materia”, perchè in realtà, secondo non pochi autori, questa fattispecie più che una materia, ovvero un ordinamento complesso ed omogeneo, è una “competenza” normativa, di per sé trasversale, capace, ovvero, di influenzare ogni vera e propria materia di normazione.

Sta di fatto che la disciplina delle acquisizione di beni e servizi non rientra tra le “materie” nelle quali lo Stato possa esercitare la propria potestà legislativa. Ma il ricorso alla competenza sulla tutela della concorrenza viene, in effetti, utilizzato per incidere su una materia per la verità estranea alla potestà legislativa statale. E, probabilmente, andando anche oltre gli stessi confini della materia trasversale della tutela della concorrenza.

In effetti, per dare vita ad un sistema maggiormente concorrenziale appare possibile ed opportuno che la legge dello Stato imponga modalità di espletamento delle gare pubbliche anche degli altri enti territoriali basate su sistemi di maggiore apertura e conoscibilità. Non è un mistero che le gare sotto la soglia comunitaria siano gestite, soprattutto dagli enti locali, non solo con le modalità più disparate (questa potrebbe essere una conseguenza dell'autonomia regolamentare), ma soprattutto con sistemi di gara, appunto di dubbia trasparenza. La pubblicità dei bandi è più formale che efficace, poiché spesso si limita al solo albo pretorio; i termini per la presentazione delle offerte si rivelano spesso irrisori; l'utilizzo ad albi di fornitori è molto frequente, anche se la normativa non lo consente.

Dunque, una regolamentazione generale, valevole per tutte le amministrazioni pubbliche che imponga maggiore trasparenza e concorrenza attiene, a ben vedere, ad una funzione di armonizzazione dell'ordinamento.

Detto questo, nell'articolo 24 della legge vi sono alcune disposizioni il cui fondamento costituzionale appare quanto meno dubbio. In base a quale competenza la legge dello Stato può prevedere, infatti, la nullità dei contratti stipulati in violazione del comma 1? Si potrebbe ritenere che tale potestà derivi allo Stato dalla competenza in materia di “ordinamento civile”. Ma è altrettanto possibile argomentare che la disciplina delle acquisizioni di prestazioni contrattuali da parte delle amministrazioni pubbliche non appartiene certo all'ordinamento civile, che nella disciplina contrattuale subentra solo nella fase esecutiva ed in quanto non derogato dall'ordinamento speciale amministrativo.

Ora, la nullità dei contratti di acquisizione di forniture e servizi non è, con ogni evidenza, causata da categorie proprie dell'ordinamento civile, ma dalla violazione di regole pubblicistiche: il non aver proceduto secondo le discipline dei decreti legislativi 358/1992 o 157/1995, o il non aver effettuato l'acquisizione presso la Consip.

Non pare di riscontrare, però, nella Costituzione un fondamento alla potestà della legge dello Stato di prevedere una sanzione che, oltre tutto, incide certamente sull'autonomia contrattuale degli enti e sulla sfera giuridica dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

V'è anche, infatti, la previsione della responsabilità amministrativa nei riguardi del dipendente che sottoscrive il contratto, cui si accompagna la responsabilità civile nei confronti del terzo contraente, che può rivalersi sul dipendente per l'adempimento alle obbligazioni contratte, a questo punto, non in nome e per conto dell'ente, ma a titolo personale. Anche in questo caso, l'enunciazione delle materie di competenza della potestà legislativa dello Stato contenuta nella Costituzione non contiene in via espressa una potestà chiara in tema di previsioni di sanzioni di responsabilità amministrativa, mentre per la responsabilità civile possono valere i ragionamenti fatti prima sulla nullità dei contratti. Né si potrebbe fare riferimento alla competenza sull'ordinamento ed organizzazione amministrativa, che l'articolo 117, comma 2, lettera g), della carta costituzionale riferisce solo all'amministrazione statale ed agli enti pubblici nazionali.

Certo, l'articolo 28 della Costituzione dispone espressamente che i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative. Ma se appare chiaro che le leggi penali e civili sono statali, si può certo dubitare che le leggi “amministrative” siano competenza esclusiva dello Stato, proprio perchè la già citata lettera g) dell'articolo 117, comma 2, della Costituzione delimita la potestà normativa statale all'organizzazione amministrativa dello Stato. Comunque, la materia appare avvolta da un cono d'ombra.

Sullo stesso versante è anche la previsione relativa alla trattativa privata, contenuta 5 dell'articolo 24 della legge finanziaria: può farsi rientrare nella competenza legislativa statale relativa alla tutela della concorrenza l'inasprimento dei presupposti alla base del ricorso a tale procedura. Ma insorgono maggiori difficoltà nell'individuare la potestà della legge dello Stato di prevedere l'obbligo della comunicazione (che non si capisce se preventiva o successiva) alla Corte dei conti. Non pare, infatti, che tale obbligo attenga alla tutela della concorrenza.

Qui subentra la vera chiave dell'ingerenza normativa dello Stato su materie che la Costituzione non attribuisce, in verità, alla sua potestà normativa: si tratta della materia del “coordinamento della finanza pubblica”.

Tale espressione, non a caso, è richiamata testualmente nell'attuale versione del disegno di legge cosiddetto “La Loggia” per l'attuazione della riforma della Costituzione, quando attribuisce alla Corte dei conti la verifica del rispetto degli equilibri di bilancio degli enti locali anche in relazione al patto di stabilità interno. Il comma 4 dell'articolo 5 del disegno di legge citato, inoltre, assegna alla Corte dei conti “secondo il i principi del controllo successivo sulla gestione”, la verifica della “sana gestione finanziaria degli enti locali”.

Il legislatore statale, pertanto, connette direttamente il coordinamento della finanza pubblica ad un potere di controllo, che però deve ritenersi successivo e non preventivo, della Corte dei conti, individuata come organo garante di tale coordinamento.

In effetti, l'articolo 100, comma 2, della Costituzione stabilisce che la Corte dei conti partecipa nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria.

Il fondamento, dunque, della normativa statale che attribuisce funzioni di controllo sugli enti locali, ai quali indubbiamente lo Stato contribuisce in via ordinaria, sta nella Costituzione, anche se tale competenza normativa non è elencata dall'articolo 117 della carta costituzionale.

Lo Stato, dunque, interpreta la funzione di coordinamento della finanza pubblica sia come fissazione di modalità ed indirizzi generali da rispettare nella gestione delle risorse pubbliche, sia come potere di intervento, successivo, per rimediare a comportamenti devianti ed, eventualmente, provvedere.

Ma, a ben vedere, ciò che confligge col supposto rapporto di “equiordinazione” stabilito dall'articolo 114 della Costituzione è proprio il potere “sanzionatorio” dello Stato sugli altri enti.

Oltre tutto, la funzione di coordinamento della finanza pubblica non potrebbe essere svolta, dalla legge dello Stato, con norme di puntuale e dettagliata determinazione, come quelle contenute nella legge finanziaria.

Infatti, la materia del coordinamento della finanza pubblica è citata all'articolo 119, comma 2, come specificazione del disposto dell'articolo 117, comma 3, ove la materia del coordinamento della finanza pubblica è menzionata tra le materie di legislazione concorrente. Ma se così stanno le cose, allora la legge dello Stato dovrebbe limitarsi a determinare solo i principi fondamentali, dal momento che la potestà legislativa puntuale e di completamento è delle regioni.

E', tuttavia, piuttosto evidente che gli articoli 24 e 29 della legge finanziaria non contengono principi fondamentali, ma disposizioni che esauriscono completamente la materia trattata.

Tanto che un effetto indiretto, ma a sua volta piuttosto evidente, consiste in una forte compressione della potestà normativa degli enti locali.

Infatti, per effetto delle previsioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 5 dell'articolo 24 della legge finanziaria, tutti i regolamenti per la disciplina dei contratti degli enti locali debbono ritenersi abrogati, almeno per la parte che disciplina in modo difforme le gare per le acquisizioni di beni e servizi sotto soglia di importo superiore a 50.000 euro, nonché per la disciplina procedurale della trattativa privata[2].

Si nota, dunque, che la legge dello Stato influisce in modo assolutamente pervasivo sulla potestà normativa locale, in aperto contrasto con ogni enunciazione che vorrebbe addirittura un rapporto di competenza tra regolamenti locali e legge.

Ma tale pervasività agisce anche nei confronti della potestà legislativa delle regioni, dal momento che il comma 9 dell'articolo 24 della legge finanziaria qualifica i suoi commi 1,2, e 5 come “norme di principio e di coordinamento”. Per altro con un ossimoro anche qui piuttosto evidente, dal momento che il comma letteralmente prevede che “le disposizioni [...] costituiscono [...] norme di principio”: occorre, in effetti, comprendere come una norma possa avere allo stesso tempo natura di principio e di disposizione concreta. La realtà è che i commi 1, 2 e 5 dell'articolo 24 sono vere e proprie disposizioni di dettaglio, che vengono solo qualificate con un'operazione nominalistica come principi, poiché, nella sostanza, principi certamente non sono.

E la configurazione di disposizioni come principi si ripete nell'articolo 29, comma 1, della legge finanziaria, il quale appunto definisce le disposizioni sul patto di stabilità per gli enti territoriali (che comprendono anche le regioni) “disposizioni [...] che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117 e 119, secondo comma, della Costituzione”.

Ma l'articolo 29 sorregge la chiara volontà del legislatore statale di estendere lo spettro della propria potestà legislativa anche al di là dei limiti previsti dall'articolo 117 della Costituzione o, forse, di interpretare tali limiti in modo estremamente estensivo, non solo con la qualificazione delle norme come principi di coordinamento della finanza pubblica. Infatti, il patto di stabilità è introdotto e normato “ai fini della tutela dell'unità economica della Repubblica”.

Anche questa espressione, utilizzata nell'incipit dell'articolo 29, comma 1, non è casuale, ma trova il suo preciso fondamento nell'articolo 120 della Costituzione, il cui comma 2 prevede che “il Governo può sostituirsi ad organi delle regioni, dei comuni, delle province e delle città metropolitane nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica [...]”.

Anche in questo caso si riscontra che un fondamento costituzionale alla normazione statale esiste in nuce, anche se appare problematica la modalità con la quale viene attuato il principio costituzionale.

In effetti, l'articolo 120 della Costituzione fonda un potere sostitutivo, che appare esercitabile, in base all'interpretazione letterale della norma, in via successiva ed in presenza di presupposti o cause che dovrebbero essere fissati da una legge, che definisca anche procedure a garanzia che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione.

Appare, invece, che il legislatore statale abbia interpretato la norma in modo diverso, tale da estendere la portata e la legittimazione costituzionale di una normativa statale che tuteli l'unità economica della Repubblica. Si può, infatti, ritenere che il Parlamento consideri il potere sostitutivo non solo esercitabile in via successiva, allo scopo di eliminare atti o comportamenti lesivi dei valori garantiti, ma anche in via preventiva, allo scopo, dunque, di evitare che gli altri enti territoriali possano con la loro attività porre in essere le condizioni per compromettere l'unità economica della Repubblica.

In sostanza, l'articolo 120 viene inteso in senso largo, non solo come norma che fonda il vero e proprio potere sostitutivo/sanzionatorio del Governo, ma una potestà normativa esclusiva dello Stato come ente di massima aggregazione della società, in grado, dunque, di intervenire a monte di possibili crepe nell'unità giuridica, economica e sociale dell'intero ordinamento.

Ora, le interpretazioni della Costituzione che probabilmente stanno alla base della formulazione della legge finanziaria sono da considerare di pregio e, per altro, già alcune di esse sono state enunciate da parte della dottrina [3].

Oggettivamente si tratta, comunque, di letture del testo costituzionale certamente non in linea con un filone interpretativo incline a ritenere che dall'equiordinazione scaturente dall'articolo 114 della Costituzione gli enti locali avrebbero tratto una potestà normativa garantita, di livello pari a quello legislativo. Ma la legge finanziaria 2003 appare ben più limitativa dei poteri normativi delle regioni e degli enti locali anche in raffronto alle più prudenti posizioni dottrinali, che nella legge costituzionale 3/2001 hanno visto non una vera e propria equiordinazione tra enti territoriali, ma l'enunciazione di un principio di pari dignità, rispetto al quale lo Stato ha l'onere di lasciar esplicare l'autonomia normativa degli altri enti, legiferando solo con principi generali e non intervenendo con norme puntuali.

La strada intrapresa dal legislatore statale, comunque, appare finalizzata ad estendere quanto possibile la potestà normativa statale, a detrimento di quella degli altri enti territoriali. La legge finanziaria ha fatto ricorso a sottili e pregevoli sistemi per ottenere questo fine. Si vedrà quanto le interpretazioni potranno resistere alle probabili tutele che le regioni potrebbero proporre alla Consulta.

Sta di fatto che fino ad un assestamento del significato e della portata della riforma costituzionale, cui certo gioveranno le pronunce della Corte costituzionale, la legge finanziaria appare una tra le tante altre leggi dello Stato che della riforma costituzionale forniscono una lettura molto limitativa.

[2] A proposito della quale, pare, alla luce delle considerazioni espresse sopra, di poter affermare che il controllo della Corte dei conti debba considerarsi successivo e non preventivo.

[3] M. Luciani, Le nuove competenze legislative delle regioni a statuto ordinario. Prime osservazioni sui principali nodi problematici della l. cost. n. 3 del 2001, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, ad esempio, ritiene ammissibile l'intervento della legge statale anche al di là dell'elencazione delle materie contenuta nell'articolo 117 della Costituzione in base all'interesse nazionale


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico