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Articoli e note

n. 3/2007 - © copyright

LUIGI OLIVERI

Natura del provvedimento che individua oggetto e limiti di importo
delle singole voci di spesa per le acquisizioni di beni e servizi in economia

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Vi è la diffusa convinzione che il provvedimento al quale si riferisce l’articolo 125, comma 10, del d.lgs 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) in materia di acquisizione di beni e servizi in economia corrisponda ad un atto regolamentare.

Secondo alcuni autori «Il “provvedimento” dell’Amministrazione, a cui fa riferimento il citato comma 10 dell’art. 125, con cui individuare gli oggetti e i limiti di importo delle singole voci di spesa con riguardo alle proprie specifiche esigenze, ed in relazione alle quali acquisire in economia beni e servizi, sembra debba essere, al di là della specifica indicazione in tal senso, e dell’utilizzo di un termine che potrebbe far pensare ad un atto da emanare di volta in volta, un vero e proprio atto normativo di carattere regolamentare, atteso che, comunque, la disposizione prevede che l’individuazione di tali fattispecie debba avvenire “preventivamente”» [1].

Tale tesi, tuttavia, non appare condivisibile e bisogna, invece, concludere esattamente all’opposto: il provvedimento di cui all’articolo 125, comma 10, del Codice dei contratti pubblici è un vero e proprio provvedimento amministrativo, non avente natura normativa.

Vi sono molteplici elementi che supportano la conclusione che qui si trae. In primo luogo, l’interpretazione letterale. Se il legislatore avesse voluto attribuire alla potestà regolamentare delle amministrazioni pubbliche la determinazione degli oggetti e degli importi delle voci di spesa di forniture e servizi acquisibili in economia, lo avrebbe certamente stabilito in modo espresso. Invece, in modo esplicito, il legislatore prevede che la determinazione di dette voci sia adottata con “provvedimento”.

Risulta da escludere la tesi di una coincidenza tra provvedimento e regolamento. Il secondo è un atto normativo, per sua natura, dunque, generale ed astratto, idoneo ad esplicare la sua efficacia per ogni fattispecie concreta, che ricada nelle sue previsioni generali. Il provvedimento, invece, è il risultato dell’agire concreto, per un singolo caso, dell’autorità amministrativa, che applicando norme generali adotta un atto che incide sulla posizione giuridica di terzi, esaurendo così l’esercizio del potere.

I provvedimenti amministrativi, però, se non possono mai caratterizzati dall’astrattezza, possono anche essere generali, rivolti, cioè, ad una serie indeterminata di soggetti, finchè perduri la loro efficacia. L’esempio classico è dato dalle ordinanze sulla circolazione stradale: non sono atti aventi valore normativo, ma provvedimenti amministrativi di carattere generale.

In quanto tali, i provvedimenti amministrativi generali debbono certamente essere adottati in via preventiva, rispetto alla fattispecie che essi disciplinano: altrimenti, mancherebbe la conoscibilità del precetto.

Si può, dunque, concludere che gli elementi della generalità e della preventiva adozione, come caratteristica di un provvedimento, non sono sufficienti per affermare che esso abbia natura normativa e regolamentare.

Perché un provvedimento disponga di natura normativa, occorre soprattutto e sempre che contenga una regola di comportamento. Deve, cioè, consentire o vietare, stabilire, determinare, fissare l’ambito di applicazione.

Nel caso del provvedimento di cui all’articolo 125, comma 10, mancano del tutto questi elementi. Il provvedimento non contiene un precetto, una regola e la fissazione del caso astratto al quale si applica. E’ null’altro che un elenco di possibili prestazioni contrattuali, cui si affiancano limiti finanziari.

Le regole, i precetti, gli ambiti di applicazione e le modalità procedurali stanno da un’altra parte: si trovano nello stesso codice dei contratti, proprio all’articolo 125, e, a completamento della disciplina, nel D.P.R. 384/2001.

C’è da prendere atto che la disciplina normativa ed astratta della fattispecie delle acquisizioni in economia è, dunque, direttamente regolata. Sicchè, le amministrazioni non debbono, ma soprattutto non possono, a loro volta intervenire per via regolamentare. Esse non debbono fare altro che applicare la fattispecie normativa come composta dalle fonti indicate prima. Pertanto, il provvedimento di cui all’articolo 125, comma 10, essendo un’attuazione concreta, sia pure di carattere generale, di una disciplina normativa, si caratterizza per avere piena ed esclusiva natura di provvedimento amministrativo e non normativo.

L’ulteriore conferma a queste considerazioni si reperiscono leggendo i lavori preparatori al Dor 384/2001, norma della quale l’articolo 125 del codice dei contratti, per la parte relativa a forniture e servizi, è diretta derivazione.

Il D.P.R. 384/2001 venne accompagnato da una relazione tecnica ed una relazione illustrativa. Entrambe sottolineano l’innovatività del D.P.R. 384/2001, che è il regolamento generale per le acquisizioni di beni e servizi in economia per le amministrazioni dello Stato, caratterizzato dalla natura di fonte di semplificazione dell’ordinamento. Infatti, alla miriade di regolamenti che ciascuna singola amministrazione aveva adottato per la disciplina delle acquisizioni in economia, si sostituiva un regolamento unico valevole per tutti, che così disboscava dall’ordinamento una quantità enorme di fonti, simili tra loro, ma tra loro diversa, svolgendo così una funzione di semplificazione e razionalizzazione dell’ordinamento. Operazione completata proprio dalla sottrazione alla potestà regolamentare di un elemento importante della disciplina delle acquisizioni in economia: l’individuazione delle voci di spesa e dei loro limiti finanziari. Tale fissazione, infatti, è demandata dall’articolo 2 del D.P.R. 384/2001 proprio ad un provvedimento. Non occorre, ovviamente, alcun regolamento, perché il regolamento è il D.P.R. 384/2001, fonte di semplificazione in applicazione dell’articolo 20, comma 8, della legge 59/1997.

A proposito del provvedimento, nella relazione tecnica si legge che uno dei punti rilevanti del D.P.R. 384/2001 è la “chiarificazione degli ambiti di gestione amministrativa con affidamento alle singole amministrazioni della competenza ad individuare, con provvedimento non normativo, in relazione alle rispettive, specifiche esigenze, gli importi relativi alle singole voci di spesa per le quali ricorrere al sistema di spese in economia, nel rispetto dei limiti e dei criteri organicamente definiti dal regolamento”.

La relazione illustrativa evidenzia come il regolamento abbia inteso affidare “alle singole amministrazioni della competenza ad individuare, con provvedimento non normativo, in relazione alle rispettive, specifiche esigenze, gli importi relativi alle singole voci di spesa per le quali ricorrere al sistema di spese in economia, nel rispetto dei limiti e dei criteri organicamente definiti dal regolamento”.

La semplificazione, dunque, passa anche attraverso la flessibilizzazione del sistema. Un’elencazione delle voci di spesa in una fonte regolamentare normativa costituirebbe un vincolo operativo rilevante, perché l’aggiornamento delle voci e, soprattutto, dei limiti di spesa, dovrebbe avvenire sempre esercitando nuovamente il potere regolamentare, soggetto a procedure complesse, che nelle amministrazioni dello stato sono regolate dalla legge 400/1988.

Ma, per sua natura, l’elencazione delle voci di spesa è dinamica, deve essere aggiornata per stare al passo col mercato. La sua determinazione ed il suo aggiornamento, dunque, con provvedimenti amministrativi non normativi veri e propri, risulta più immediata e veloce. E legittima, in un sistema di semplificazione che, comunque, lascia alla fonte regolamentare la disciplina della fattispecie e limita al provvedimento amministrativo la sola individuazione operativa delle voci.

D’altra parte, le amministrazioni dello Stato hanno dato corretta attuazione alle previsioni del D.P.R. 384/2001. Infatti, gli elenchi delle voci di spesa sono stati adottati con Decreti Ministeriali, non aventi forza regolamentare: si tratta di provvedimenti amministrativi adottati dai vertici dirigenziali dei ministeri, dunque nemmeno dai ministri [2].

Ai sensi dell’articolo 253, comma 22, del codice, recante norme transitorie in merito alle acquisizioni in economa, la lettera b) dispone che “le forniture e i servizi in economia sono disciplinati dal d.P.R. 20 agosto 2001, n. 384, nei limiti di compatibilità con le disposizioni del presente codice. Restano altresì in vigore, fino al loro aggiornamento, i provvedimenti emessi dalle singole amministrazioni aggiudicatrici in esecuzione dell'articolo 2 del citato d.P.R. n. 384 del 2001”.

La disciplina transitoria, dunque, confermando la validità dei provvedimenti amministrativi emessi dalle amministrazioni ai sensi dell’articolo 2 del D.P.R. 384/2001, conferma la loro natura giuridica e rafforza il convincimento che non si tratti di atti regolamentari. Infatti, si prevede anche l’aggiornamento di detti provvedimenti, da effettuare, ovviamente, sempre mediante altrettanti provvedimenti amministrativi.

Si potrebbe osservare, tuttavia, che l’articolo 2 del D.P.R. 384/2001 risulta abrogato dall’articolo 255 del Codice. Ma il rilievo risulta inconferente. Infatti, il contenuto dell’articolo 2 abrogato è sostanzialmente identico a quello dell’articolo 125, comma 10, del Codice. Sicchè rimane pienamente valido il sistema secondo il quale la disciplina generale delle acquisizioni in economia è contenuta in atti normativi (codice, attualmente D.P.R. 384/2001, che verrà poi sostituito dal regolamento di attuazione del codice), mentre sono provvedimenti amministrativi a dettare quali servizi e quali beni acquisire e per quali valori economici.

Un’altra osservazione proponibile riguarda le amministrazioni diverse da quelle statali. Nei loro confronti, infatti, non si applica direttamente il D.P.R. 384/2001. Sicchè esse sono comunque tenute ad adottare regolamenti di disciplina delle acquisizioni in economia, nei quali debbono necessariamente confluire anche le voci di spesa.

E’ un’osservazione solo parzialmente corretta. In primo luogo, occorre tenere presente che ai sensi dell’articolo 12 del D.P.R. 384/2001 “Le disposizioni del presente regolamento possono applicarsi anche alle amministrazioni pubbliche non statali che così dispongano nell'àmbito della propria autonomia”.

Pertanto, anche le amministrazioni non statali, con propria espresso provvedimento in tal senso, possono (potevano, come si vedrà meglio dopo) autovincolarsi alle disposizioni del D.P.R. 384/2001. In questo caso, allora, applicando direttamente la regolamentazione statale, non hanno alcuna necessità di adottare un proprio regolamento. Pertanto, per individuare le voci di spesa ed i relativi limiti, possono certamente operare adottando provvedimenti amministrativi non normativi: sono sufficienti determine dei dirigenti competenti, secondo la loro organizzazione.

Solo le amministrazioni non statali che non abbiano stabilito di applicare il D.P.R. 384/2001, ma di regolamentare con propri regolamenti le acquisizioni in economia, dunque, hanno l’onere di determinare con il regolamento anche le voci di spesa.

Ma, il codice dei contratti interviene in maniera rilevante anche in questo ambito e cambia le cose in modo radicale. Infatti, la disciplina dell’articolo 125 è, in questo campo, notevolmente diversa.

Il codice dei contratti, in primo luogo, nel rango delle fonti è legge e non regolamento. E si applica indistintamente a tutte le amministrazioni, ivi comprese quelle non statali, tenute fuori dal proprio campo di applicazione diretto, dal D.P.R. 384/2001.

La conseguenza, allora, è che la disciplina delle acquisizioni di beni e servizi in economia, stabilita dall’articolo 125 del codice si applica in via immediata e diretta anche alle amministrazioni non statali: si applica, invero, in modo uniforme a tutte le amministrazioni.

Pertanto, per quanto attiene proprio al problema della fonte giuridica mediante la quale determinare le voci di spesa ed i limiti finanziari, non si applicano più le regole del D.P.R. 384/2001 (il cui articolo 2, come visto sopra, risulta abrogato), ma direttamente l’articolo 125, comma 10, del d.lgs 163/2006, il quale, dunque, stabilisce con forza normativa cogente per tutte le amministrazioni che “l'acquisizione in economia di beni e servizi è ammessa in relazione all'oggetto e ai limiti di importo delle singole voci di spesa, preventivamente individuate con provvedimento di ciascuna stazione appaltante, con riguardo alle proprie specifiche esigenze”.

Dunque, tutte le amministrazioni, anche quelle regionali e locali, sono tenute ad individuare le voci di spesa non mediante regolamenti, ma attraverso provvedimenti amministrativi. Infatti, la disciplina del codice si applica direttamente a tutte le amministrazioni. Non vale più, per questa parte, il meccanismo di cui all’articolo 12 del D.P.R. 384/2001: la disposizione dell’articolo 125, comma 10, infatti, si applica automaticamente a tutte le amministrazioni.

Per altro, l’approvazione delle voci di spesa mediante atti regolamentari, nel nuovo regime normativo, si rivelerebbe come violazione del principio di separazione delle competenze degli organi gestionali, rispetto a quelli di governo, chiamati a svolgere funzioni di indirizzo e controllo generale. La specificazione di voci di spesa non ha correlazioni con funzioni di governo.


 

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[1] Così D. F. G. Trebastoni “Servizi e forniture in economia nel codice dei contratti” in http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/Trebastoni_Servizi_in_economia.htm; nello stesso senso M. L. Beccarla, “Gli acquisti in economia negli enti locali dopo il Codice dei contratti pubblici”, in Urbanistica e appalti 3/2007.

[2] Si vedano, ad esempio, il Decreto 10 gennaio 2002 (GU n. 18 del 22 Gennaio 2002) del Ministero dell’economia e delle finanze o Decreto o il Decreto 17 novembre 2005 del Ministero delle Comunicazioni (GU n. 295 del 20 dicembre 2005).


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