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Articoli e note

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LUIGI OLIVERI

L'accesso alla dirigenza nei comuni
appartenenti alle ex tipologie 3, 4 ed inferiori

L'articolo 13, comma 1, della legge 265/99 ha come è noto introdotto all'articolo 51 della legge 142/90 l comma "01", che ha abrogato l'articolo 2 del Dpr 347/83, consentendo, così, a tutti gli enti locali, anche di minori dimensioni, di istituire la dirigenza.

Si tratta di una norma che consente agli enti locali di organizzare in maniera finalmente flessibile la propria struttura. La presenza di una struttura diretta da una qualifica dirigenziale, infatti, non può dipendere esclusivamente dal criterio demografico, com'era previsto dall'abrogato articolo 2 del Dpr 347/83, visto che le implicazioni gestionali ed organizzative di ciascun ente impongono un'organizzazione peculiare e specifica per ciascun ente.

L'innovazione introdotta dalla legge 265/99 si scontra, però, con le difficoltà attuative derivanti sia dalla novità, sia dal corretto inquadramento della riforma nell'ambito del complesso normativo riguardante il personale dipendente da pubbliche amministrazioni.

Coloro che si sono sforzati di interpretare le norme per individuare le regole alla base dell'accesso alla dirigenza negli enti appartenenti agli ex tipi 3, 4 ed inferiori ai 3.000 abitanti, concordano sul presupposto necessario per accedere alla qualifica dirigenziale, concordemente individuato nel concorso.

Il problema, però, sta nel fatto che presso gli enti che eventualmente istituiscano la dirigenza operano già delle figure apicali, le quali a giusta ragione aspirano alla riqualificazione professionale ed alla collocazione nella qualifica dirigenziale.

La questione che si apre, allora, è la seguente: è possibile e legittimo ricorrere al sistema del concorso interno o interamente riservato a vantaggio di queste figure apicali, per portarle alla qualifica dirigenziale?

Quei pochi comuni che si stanno ponendo il problema sembrano orientati per la risposta positiva. Parte della dottrina (1) considera esistente un vero e proprio diritto dei dipendenti apicali al concorso interno per l'accesso alla dirigenza.

Questa interpretazione si basa sulle seguenti considerazioni.

1) La sussistenza a carico degli enti locali di un obbligo ad esperire le procedure dei concorsi interni prima di procedere al concorso pubblico. Questo obbligo sarebbe ricavabile dall'articolo 4, comma 4, del CCNL dell'ara del personale non dirigenziale, a mente del quale le selezioni che ammettano l'accesso dei posti dall'esterno sono possibili se le selezioni interne abbiano avuto esito negativo o se manchino del tutto nell'ambito dell'ente le professionalità da selezionare.

2) L'articolo 36-bis del D.lgs 29/93, che consente ai comuni di disciplinare autonomamente l'accesso agli impieghi, i requisiti d'accesso e le procedure concorsuali, pur nel rispetto dei principi contenuti nell'articolo 36 del medesimo decreto legislativo.

Ciò consentirebbe, allora, agli enti locali di regolamentare l'accesso alla dirigenza senza alcun vincolo del rispetto di norme relative ad altri ordinamenti. In particolare, senza tenere conto dell'articolo 28 del D.lgs 29/93, che stabilisce regole ben precise per l'accesso alla dirigenza, quali: l'accesso per concorso per soli esami; il possesso della laurea; il possesso dell'anzianità di almeno 5 anni quali dipendenti di ruolo di pubbliche amministrazioni svolti in posizioni per accedere alle quali è richiesta la laurea; per coloro che non dipendono da pubbliche amministrazioni, la laurea e diplomi di specializzazione o dottorati di ricerca o la qualifica dirigenziale ottenuta presso strutture private, con anzianità almeno quinquennale nelle funzioni dirigenziali.

3) Secondo chi ammette la possibilità per gli apicali degli enti locali nei quali venga istituita ex novo la dirigenza il rispetto dell'articolo 28 del D.lgs non è necessario, giacchè si può fare riferimento all'articolo 6, comma 12, della legge 127/97 a mente del quale "gli enti locali possono prevedere concorsi interamente riservati al personale dipendente, in relazione a particolari profili o figure professionali caratterizzati da una professionalità acquisita esclusivamente all'interno dell'ente". La dottrina che si riporta, sostiene che figure quali il ragioniere capo o il dirigente dell'ufficio tecnico non possano non aver già acquisito all'interno la professionalità dirigenziale che consenta loro di accedere alla qualifica dirigenziale attraverso un concorso interamente loro riservato. Del resto, l'articolo 6, comma 12, citato tace completamente del requisito del titolo di studio, mentre il personale apicale degli enti locali ai sensi del D.lgs 77/95 e delle riforme Bassanini esercita già le funzioni dirigenziali, sicchè è indubitabile che disponga di una professionalità acquisita e del diritto alla dirigenza, anche qualora non sia in possesso della laurea.

Non pare, però, che queste interpretazioni possano essere condivise. A ben guardare, infatti, si fondano su presupposti non del tutto corretti, che fanno mancare le basi alla conclusione dell'esistenza di un diritto al concorso riservato per l'accesso alla dirigenza.

Presunto obbligo ad esperire il concorso interno. Il primo presupposto che si contesta è l'esistenza dell'obbligo ad esperire preventivamente il concorso interno. A ben leggere la normativa vigente ed il CCNL in data 31.3.99, detto obbligo non pare sussistere, o, meglio, non riguarda sicuramente la totalità dei posti vacanti da coprire.

Infatti, in primo luogo l'articolo 36, comma 1, lettera a), dispone che l'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene tramite procedure selettive "che garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno". Questo è un principio che non può essere tradito ai sensi del successivo articolo 36-bis. E del resto detta disposizione è stata ripresa dall'articolo 4, comma 1, del CCNL in data 31.3.99 a mente del quale gli enti locali possono procedere alle procedure selettive per le progressioni verticali (gli ex concorsi interni) nei limiti dei posti vacanti della dotazione organica che non siano stati destinati all'accesso dall'esterno.

L'interpretazione sistematica, allora, rivela che gli enti sono tenuti a lasciare che l'accesso ad un numero adeguato di posti avvenga esclusivamente dall'esterno. Quindi, almeno per questi posti, l'obbligo alla selezione interna assolutamente non esiste.

Inoltre, poiché la valutazione dell'adeguatezza del reclutamento dall'esterno è lasciata all'ente, non si può certo ritenere adeguato l'accesso dall'esterno pari allo 0% dei posti da coprire.

Ciò che, semmai, è obbligatorio per gli enti locali è stabilire, attraverso la programmazione triennale delle assunzioni, quali siano i posti vacanti in dotazione organica potenzialmente da coprire attraverso la progressione verticale. Fermo restando che comunque di obbligo alla progressione verticale non si può parlare, visto che lo stesso CCNL in data 31.3.99all'articolo 4, comma 4, dispone espressamente che qualora le selezioni interne abbiano esito negativo, i posti destinati alla progressione verticale vanno coperti con concorsi pubblici.

I CCNL DI COMPARTO. Ma anche prescindendo dalle analisi fin qui svolte, l'operazione interpretativa che intenda evidenziare un diritto degli apicali all'accesso alla dirigenza pare mancare di una base fondamentale, la cui assenza fa cascare l'intera impalcatura. Infatti, non pare possibile applicare alla dirigenza istituti contrattuali e normativi che, invece, valgono per il personale non dirigenziale.

Gli articoli 36 e 36-bis del D.lgs 29/93, difatti, riguardano l'accesso agli impieghi del personale non dirigenziale, come meglio si specificherà di seguito.

Dal canto suo, l'articolo 4, comma 1, del CCNL in data 31.3.99 fa espresso riferimento alle "categorie" professionali. La dirigenza, come è noto, non è una categoria (ex profilo professionale) ma una qualifica specifica e a parte, il cui status giuridico, per altro, è regolamentato da specifici contratti riservati all'apposita area dirigenziale, che, pur appartenendo al medesimo comparto, è autonoma e distinta dall'area delle categorie non dirigenziali.

PROGRESSIONI VERTICALI E CONCORSI INTERNI. Quanto detto sopra porta ad escludere che si possa utilizzare l'istituto della progressione verticale per l'accesso dalla categoria D3 alla dirigenza. Le progressioni verticali, infatti, sono ammissibili solo nell'ambito delle categorie, il cui ultimo sviluppo è l'accesso alla categoria D. Da lì in poi è consentita la sola progressione orizzontale, non l'osmosi verso la qualifica dirigenziale.

Per quanto concerne i concorsi interni, essi sono ormai di fatto abrogati e sostituiti, appunto, dalle progressioni verticali. Residuano solo i concorsi riservati di cui all'articolo 6, comma 12, della legge 127/97, relativi a profili professionali o figure professionali caratterizzate da professionalità acquisita esclusivamente all'interno dell'ente.

E' facile, tuttavia, dimostrare come questa fattispecie non possa considerarsi estesa alla dirigenza. In primo luogo poiché la dirigenza non è un profilo professionale. In secondo luogo perché la specializzazione professionale dei dirigenti, per legge non può essere acquisita esclusivamente all'interno dell'ente: le regole per l'accesso alla dirigenza di cui all'articolo 28 del D.lgs 29/93 testimoniano bene che la professionalità considerata per i concorsi può anche essere acquisita dall'esterno.

Inoltre, non vale considerare che gli apicali svolgono già funzioni dirigenziali. L'istituzione della dirigenza negli enti locali privi, ai sensi della legge 265/99, comporta una riorganizzazione interna diversa, per qualità e quantità delle funzioni settoriali, implicando oggettivamente una diversa professionalità in capo agli apicali. Cade, pertanto, il presupposto stesso per l'applicazione dell'articolo 6, comma 12. E ciò anche senza volere considerare che il dirigente è un manager e non uno specialista settoriale. Il ragioniere capo può aver maturato un'enorme professionalità ed esperienza nel suo campo, ma essere carente delle capacità organizzative e della flessibilità gestionale che deve possedere il dirigente anche in conseguenza del principio della rotazione degli incarichi dirigenziali, inesistente per le figure apicali.

ACCESSO ALLA DIRIGENZA. L'accesso alla dirigenza è disciplinato e regolato dall'articolo 28 del D.lgs 29/93. Lo spazio di regolamentazione autonoma per gli enti locali è molto inferiore a quello che la dottrina favorevole ai concorsi riservati per gli apicali ritiene.

In primo luogo, l'articolo 36 del D.lgs 29/93 e l'articolo 6, comma 12, della legge 127/97 non parlano né di titolo di studio, né di dirigenza, in quanto non sono, come sopra si è cercato di evidenziare, destinati a disciplinare l'accesso alla dirigenza.

Ciò vale certamente per l'articolo 36 del D.lgs 29/93. L'intera disciplina della dirigenza nel D.lgs 29/93, infatti, è contenuta nel capo II del medesimo. Per interpretare le disposizioni sullo status dei dirigenti, allora, occorre guardare alle norme contenute in questo capo, e non al di fuori di esso: e l'articolo 36 è contenuto nel Capo III.

Inoltre, nel Capo II è collocato l'articolo 27-bis, a mente del quale gli enti locali nell'esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare adeguano i propri ordinamenti all'articolo 3 del D.lgs 29/93 ed alle norme contenute nel capo dedicato alla dirigenza. Dunque, lo spazio normativo assegnato ai regolamenti degli enti locali dall'articolo 36-bis del D.lgs 29/93 è ridotto, per quanto riguarda la dirigenza, al rispetto dei confini previsti dall'articolo 27-bis del medesimo decreto.

Inoltre, la giurisprudenza amministrativa concordemente ritiene che l'articolo 28 del D.lgs 29/93 sia applicabile agli enti locali (2). Pertanto, non possono essere ammessi concorsi negli enti locali per l'accesso alla dirigenza che non prevedano obbligatoriamente la laurea ed almeno i requisiti ulteriori disciplinati dall'articolo 28 medesimo.

CONCLUSIONI. Alla luce di queste argomentazioni, ci si sente di escludere radicalmente la possibilità che negli enti in cui la dirigenza sia istituita ex novo gli apicali possano vantare un diritto al concorso interamente riservato (essendo del tutto impossibile la progressione verticale) per accedere alla qualifica dirigenziale. L'unica strada legittimamente percorribile è quella del concorso pubblico, nel rispetto dei principi generali dell'articolo 28 del D.lgs 29/93.

Qualche notazione, infine, di merito. L'applicazione delle norme e dei contratti appare oggettivamente difficile e ostica, se è possibile per un identico problema suggerire soluzioni radicalmente opposte, ma entrambe solidamente argomentate come quelle esposte nel presente studio. Uno sforzo chiarificatore del legislatore diviene impellente e non più rinviabile.

Al di là di questo, considerato che la percentuale di laureati negli enti locali è bassissima, lasciare aperta la strada per riqualificare e promuovere ulteriormente figure la cui professionalità non è sufficientemente spiccata mediante i concorsi interni, sembra una via vecchia, un già visto all'indomani del Dpr 347/83.

Non si vorrebbe che questo "vento" liberalizzatore di carriere ed accessi alla dirigenza fosse da un lato il figlio, dall'altro uno strumento per legittimare (con un'operazione mal comune mezzo gaudio) accessi a carriere dirigenziali effettuati scavalcando il principio costituzionale dell'accesso alle carriere per concorsi (ci si riferisce alle promozioni sul campo dei segretari comunali).

E' vero che con i nuovi ordinamenti professionali e l'accorpamento dei livelli in categorie, determinate fasce di lavoratori hanno beneficiato di una sorta di promozione a quella superiore. Ciò, però, è connaturato ad un ridisegno così complessivo che la privatizzazione del rapporto di lavoro e la nuova stagione contrattuale hanno determinato.

Ma una cosa è il passaggio ad un livello diverso (maggiore) nell'ambito di una medesima carriera, cosa diversa è il passaggio dalla carriera professionale direttiva, a quella dirigenziale.

Almeno finchè sarà vigente l'articolo 97 della Costituzione manovre di questo genere se saranno estese alla totalità dei dipendenti pubblici, non per questo riceveranno legittimità: al contrario, saranno indice di maggiore censurabilità costituzionale.

 

1. Per tutti vedasi V. Papadia, "Art. 13 legge 265/99: enti locali senza tipologia. Lotta tra dirigenti e segretari per la supremazia gerarchica e contraddizioni per l'organizzazione delle strutture degli enti e diritto al concorso riservato", in Comuni d'Italia n. 2/2000, ed. Maggioli.

2. Vedansi Tar Calabria-Catanzaro, 7.6.1999, n. 29; Tar Toscana, II, 26.8.1998, n. 766; Tar Lazio, 22.10.1997, n. 1635, Tar Emilia Romagna, Bologna II, 20.11.1996, n. 371. Si tratta di decisioni riguardanti la precedente formulazione dell'articolo 28 ed in relazione all'abrogato articolo 13 del D.lgs 29/93, sostituito dall'articolo 27-bis. Ma nella sostanza chiariscono che l'articolo 28 è norma generale applicabile agli enti locali, il cui spazio di regolamentazione per l'accesso alla dirigenza è da essa condizionato.

 


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