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n. 3/2005 - ©
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LUIGI OLIVERI
Non più rinviabile un ripensamento
sulla figura ed utilità del direttore generale
Non si può non constatare, con favore, che sia pure a distanza di molti anni da analisi dello stesso tenore [1], la giurisprudenza comincia ad analizzare criticamente l’introduzione della figura del direttore generale, in particolare nei piccoli comuni.
Difficile non concordare con la ricostruzione offerta dal Tar Veneto, Sezione I, sentenza 21 febbraio 2005, secondo la quale le previsioni normative che prevedono l’attribuzione delle funzioni del direttore generale al segretario comunale destano perplessità e configgono col “senso comune, dal momento che le funzioni e i compiti propri del direttore generale, figura di nuovo conio introdotta nell’ordinamento degli enti locali dalla legge n. 127/97, segnatamente con riguardo ai piccoli comuni appare come una superfetazione superflua. L’avere, insomma, scorporato dalle funzioni che indubbiamente in precedenza appartenevano al segretario comunale quale capo del corpo burocratico del comune per farne oggetto di un nuovo centro di imputazione e, in mancanza di nomina, prevederne l’attribuzione di nuovo ad esso segretario, retribuendole a parte, pare davvero un non senso, per di più lesivo del principio di corretta gestione del pubblico denaro, specialmente, si ripete, nei comuni piccoli e piccolissimi, dove certamente l’articolazione di uffici e competenze è molto diversa in rapporto a comuni medi e medio- grandi”.
Ma, l’osservazione non vale solo ed esclusivamente per gli enti di piccole dimensioni. Sta di fatto che la figura del direttore generale è considerata dal legislatore solo come eventuale. Ed un altro fatto innegabile è che il legislatore ha inteso, con la legge 127/1997, coprire legislativamente una prassi già molto estesa presso alcune amministrazioni comunali, di assegnare funzioni analoghe a quelle del direttore generale a soggetti esterni all’ente, senza che sussistesse alcuna norma che lo consentisse.
E, sempre una copertura ad un sistema intricato (e di difficile districazione) è stata la previsione che ha consentito di estendere le funzioni del direttore generale anche al segretario comunale, innescando un processo di sdoppiamento di funzioni ed incremento dei costi.
Il fatto che nella maggior parte dei comuni le funzioni del direttore generale siano conferite al segretario, e che in moltissimi casi il conferimento di un incarico esterno è utilizzato come strumento per attribuire funzioni ad esponenti politici allargando, surrettiziamente, gli incarichi politici, dimostra che la figura deve essere ripensata, con una nuova normativa. Non influenzata dalla situazione di emergenza della legge 127/1997, dettata dall’esigenza di scongiurare il referendum sull’abrogazione dei segretari comunali, nonché dall’illusione, propria del 1997, di giungere entro breve ad una profonda riforma della Costituzione, mai giunta a causa dell’affondamento della Commissione Bicamerale.
La legge 127/1997 ha impostato in modo erroneo, dal punto di vista organizzativo, le funzioni del direttore, come funzioni da scomputare da quelle assegnate al segretario comunale, al chiaro scopo di rafforzare lo spoil system operato nei confronti della figura del segretario. Si è fornita, infatti, ai sindaci una duplice possibilità di incidere profondamente sull’autonomia e l’appartenenza del segretario: in primo luogo, mediante una più facile amovibilità dall’incarico; in secondo luogo, potendo comunque scorporare le funzioni di coordinamento generale dell’apparato, assegnandole ad un altro soggetto, individuabile quasi completamente per via fiduciaria, dal momento che la legge non prevede alcun particolare requisito, nemmeno quelli necessari per l’accesso alla dirigenza.
E’ in questo quadro, allora, che alcune affermazioni della sentenza, che ancora risentono di un atteggiamento quasi acriticamente favorevole allo spoil system non sembrano del tutto persuasivi.
Ritenere, in primo luogo, che la figura del direttore generale sia necessaria nei comuni di dimensioni medio grandi non appare corretto, a meno di non rilevare che prima della previsione del direttore generale la gestione di tali enti fosse in rotta, del tutto inefficiente e priva di risultati. Poiché non è dato dimostrare che le cose, dal 1997 ad oggi, siano radicalmente cambiate, affermare l’opportunità di una figura altamente specializzata nella gestione di stampo aziendalistico è corretto, anche perché il processo di privatizzazione dei servizi è sempre più forte ed aperto. Ma, la creazione di simile figura, non necessariamente doveva comportare una sovrapposizione con quella del segretario comunale.
Sarebbe stato più appropriato puntare su una riqualificazione del segretario, in modo da non sdoppiare competenze (e costi) e consentire espressamente la creazione di un soggetto con qualifica dirigenziale dotato di specifica autonomia nella direzione dell’organizzazione, della contabilità economica e delle politiche industriali.
Non appare, ancora, corretto sostenere che il compenso aggiuntivo al segretario incaricato delle funzioni di direttore generale sia né dovuto, né obbligatorio, specie in assenza della previsione contrattuale.
E’ opportuno precisare, prima di proseguire l’argomentazione, che chi scrive sostiene che la riqualificazione del segretario avrebbe dovuto portare ad una rivalutazione del ruolo e della remunerazione del segretario in quanto tale, senza lasciare competenze, funzioni, autorevolezza ed anche prestigio sotto l’alea del conferimento o meno delle funzioni di direttore generale, creando i segretari di serie A e di serie B.
Tornando alla questione della remunerabilità, poiché il Tar ammette che le funzioni del direttore sono scorporate da quelle già spettanti al segretario, una maggiorazione può spettare solo laddove il conferimento delle funzioni di direttore implichi assegnazione di funzioni e responsabilità ulteriori a quelle già proprie del profilo del segretario comunale.
Non corretta è un’applicazione generica ed acritica dell’articolo 36 della Costituzione. Il principio della sufficienza e proporzionalità della retribuzione deve necessariamente partire dalla rilevazione dei livelli contrattuali minimi, passando, poi, per il confronto di tali livelli con le prestazioni lavorative stabilite tra le parti, concludendosi con un giudizio del giudice di corrispondenza o meno della retribuzione ad una serie di indici giurisprudenzialmente fissati dai quali desumere la sufficienza retributiva.
Ora, se le funzioni del direttore generale sono scorporate da quelle già proprie del profilo del segretario comunale, non si vede come la riassegnazione delle medesime funzioni alla medesima persona, sotto forma di incarico aggiuntivo, possa far scattare l’operazione applicativa dell’articolo 36 della Costituzione. A meno di non ritenere anche il minimo contrattuale spettante al segretario inadeguato; o, a meno di non ritenere necessario ridurre proporzionalmente il compenso del segretario, al quale siano state scorporate le funzioni assegnate al direttore generale.
La possibilità di una remunerazione ulteriore dovrebbe essere strettamente connessa alla valutazione di un effettivo carico di responsabilità ulteriori e diverse. Ed è questa rilevazione che, negli enti di piccole dimensioni, appare particolarmente difficile, visto che si tratta di enti nei quali risulta complicata anche la sola gestione ordinaria.
Ancora, non sembra completa l’affermazione secondo la quale le funzioni del direttore generale sono da considerare naturalmente come dirigenziali (ed in relazione a ciò, al direttore il Tar ritiene non possano spettare remunerazioni particolari per l’espletamento delle funzioni dirigenziali).
Nell’attuale configurazione normativa, la figura del direttore generale, sebbene assimilabile a quella dei dirigenti, assolve a funzioni proprie ed esclusive, non connesse direttamente allo svolgimento delle concrete attività gestionali, che l’articolo 107 del d.lgs 267/2000 riserva in via esclusiva ai dirigenti e ciò non rilevando la circostanza che il direttore generale non sia considerato organo di governo, come del resto altra giurisprudenza ha rilevato di recente[2].
Occorrerebbe, in conclusione, un complessivo ripensamento delle figure dirigenziali degli enti locali, finalizzato a ridare razionalità all’organizzazione ed agli incarichi, per evitare sovrapposizioni, incremento dei costi o penalizzazione delle professionalità già esistenti.
Come è corretto puntare su professionalità innovative, altrettanto corretto pare valorizzare l’importantissimo patrimonio di professionalità rappresentato dai segretari comunali, nonché dalla dirigenza locale di ruolo.
Un coordinamento generale di carattere amministrativo pare più appropriato se allocato in capo al segretario comunale. Nulla vieta, allora, di configurare ciò che oggi è il direttore generale non come alternativa al segretario, ma come risorsa operativa dell’ente specializzata nella conduzione verticale di specifiche esigenze organizzative (privatizzazioni, modifiche agli assetti organizzativi, applicazioni di significative innovazioni tecnologiche ed operative), da inquadrare come dirigente, anche non di ruolo.
E, probabilmente, come suggeriva un esperto di organizzazione ed amministrazione pubblica, quale Pietro Virga, ripensare ad una distribuzione degli incarichi dirigenziali su più di un livello operativo, allo scopo di evidenziare meglio la portata delle competenze e responsabilità di ciascuno.
Occorre, però, prendere atto che ciò implica l’abbandono dello spoil system come logica organizzativa. Tuttavia, i segnali che giungono sono tuttaffatto diversi. La legge finanziaria, infatti, mentre blocca le assunzioni dei segretari comunali, fa salva, invece, la possibilità di attribuire incarichi di direttore generale esterni anche per gli enti non in regola col patto di stabilità.
Il testo, estremamente provvisorio, di riforma del d.lgs 267/2000 ventila un nuovo riordino della disciplina dei segretari comunali, consente la nomina del direttore esterno tra comuni convenzionati eliminando la soglia dei 15.000 abitanti complessivi, consente di assegnare le funzioni del direttore generale sia al segretario, sia, in alternativa, ad un dirigente in servizio presso l’ente (e, contestualmente, legifica la possibilità di attribuire incarichi dirigenziali senza concorso a dipendenti privi della qualifica dirigenziale, consentendone l’aspettativa). Il tutto pare ancora pesantemente influenzato da una logica di appartenenza a schieramenti, da un criterio di spoil system che non ha molto a che vedere con le dinamiche organizzative e di razionalizzazione che, pure, il Tar Veneto, sia pure timidamente, ha iniziato a voler considerare come obbligatorie.
In effetti, leggendo l’articolo 97, comma 1, della Costituzione, si scopre che l’organizzazione pubblica deve essere improntata al principio di buon andamento (e dunque, di logica, razionalità, economicità e trasparenza), prima che di autonomia. Allora, bisogna concludere che è necessario ripensare profondamente riforme operate a Costituzione invariata, nella convinzione che la Costituzione sarebbe stata adeguata alle riforme. Oppure, modificare effettivamente la Costituzione, così eliminando gli attriti e le tensioni esistenti tra la carta costituzionale e norme di legge che forzano non poco le geometrie istituzionali.
[1] L. Oliveri, Della retribuibilità dell'incarico di direttore generale affidato ai segretari comunali, in www.lexitalia.it, 1999.
[2] Tar Sardegna, Sezione I, 23 marzo 2004, con commento di L. Oliveri L’esclusività delle competenze dei dirigenti locali, in www.lexitalia.it, 2004.