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n. 9/2007 - ©
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LUIGI OLIVERI
Brevi annotazioni sulla riforma della dirigenza
Il disegno di legge sulla riforma della dirigenza, ammesso che venga mai approvato, trova la sua ragion d’essere non su meri esercizi retorici, né scaturisce da un vento reazionario e conservatore da Concilio di Trento o Congresso di Vienna.
Cerca, invece, di risolvere il problema della rispondenza dello spoil system a due disposizioni dell’ordinamento giuridico italiano:
a) articolo 97, commi 1 e 2 della Costituzione: I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione; agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge;
b) articolo 98, comma 1, della Costituzione: I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.
All’epoca dell’introduzione dei sistemi di flessibilizzazione, che avrebbero dovuto dare la famosa spinta verso un’efficienza e capacità di rispondere ai problemi della pubblica amministrazione che, se vi è stata, non pare, tuttavia, derivi da quelle riforme, è bene ricordare che vennero messe in discussione proprio le due citate norme costituzionali [1].
L’errore grave dell’epoca consistette nell’anticipare alcuni interventi normativi fortemente incidenti sull’organizzazione generale dello Stato “a Costituzione invariata”, come piaceva specificare, fidando nell’ineluttabilità della “grande riforma costituzionale”, che avrebbe dovuto scaturire dalla Commissione Bicamerale.
La fine di quella “grande riforma” è nota a tutti. Non se ne fece nulla, se non per quella quota-parte di modifiche al Titolo V, causa ancora oggi di infinite questioni di legittimità costituzionale, cagionate dall’oscura modalità di ripartire il potere normativo. Tuttavia, le riforme a Costituzione invariata rimasero.
Ora, è ben evidente che lo spoil system, in un assetto costituzionale nel quale siano assenti le citate disposizioni degli articoli 97 e 98 si innesta e funzioni, come regola. In presenza, invece, dell’operatività di tali disposizioni, non può non costituire l’eccezione.
Se l’eccezione, però, comincia a costituire la regola, il sistema derivante non è frutto di una patologia scaturente dall’azione di pochi soggetti, ma causa di una normativa oggettivamente incompatibile con un assetto costituzionale diverso.
Lo spoil system di per sé potrebbe non essere considerato un fattore di crisi, laddove la sua finalità, accrescere le competenze ed i risultati delle pubbliche amministrazioni, fosse realmente perseguita ed ottenuta.
Proprio per questo, la legislazione prevede, comunque, limiti quantitativi e qualitativi al ricorso a forze e competenze esterne.
Tuttavia, la cronaca ci ricorda che:
1) enti, come ad esempio il comune di Milano, hanno attinto a mani basse ad incarichi esterni fiduciari, “estinguendo” decine e decine di dirigenti di ruolo, partendo dal postulato opposto, secondo il quale la dirigenza di ruolo costruisca essa di per sé ostacolo all’efficienza e alla flessibilità;
2) moltissimi enti, come il libro di Rizzo e Stella comprova, utilizzano lo spoil system come strumento per assicurare potere e reddito a politici candidati ma non eletti, oppure attualmente non previsti negli organici di partito ad occupare posti di governo;
3) la sussistenza in capo ai dirigenti fiduciari delle competenze di eccezionale rilievo postulata dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, al fine di attribuire incarichi esterni è del tutto eventuale;
4) la previsione di incarichi dirigenziali come “promozione” a funzionari privi della qualifica è la dimostrazione che la ricerca dell’arricchimento delle professionalità è passata decisamente sullo sfondo;
5) l’attuazione di misure di spoil system, quali il sistema degli incarichi ai segretari comunali e/o direttori generali, costituisce fonte di ingiustificata inflazione dei costi, attestata, tra le altre, dalla vicenda del comune di Dongo, nel quale il segretario a scavalco, per due giorni lavorativi settimanali, viene remunerato con 156.000 euro al mese.
Inoltre, le sentenze 103/2007 e 104/2007 della Corte costituzionale hanno aspramente criticato la fiduciarietà, quale elemento fondante della costituzione di un rapporto di lavoro tra dirigenza ed apparati pubblici.
Se il disegno di legge, dunque, dovesse riportare equilibrio tra misure generali organizzative, previste dalla Costituzione, e sistemi di dinamismo e flessibilità, non farebbe altro che rimediare a situazioni di patologia non rare o connesse all’iniziativa personale di pochi, bensì sistematiche e diretta conseguenza di un sistema normativo, attualmente ostile alla Costituzione.
[1] Al posto degli articoli 97 e 98, la riforma costituzionale avrebbe dovuto introdurre la seguente disciplina: I dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono al servizio della Repubblica. È garantita la pari opportunità tra donne e uomini.
I funzionari pubblici sono responsabili degli uffici cui sono preposti e rendono conto dei risultati della loro attività. Le pubbliche amministrazioni provvedono alla rilevazione dei costi e dei rendimenti dell'attività amministrativa.
Agli impieghi si accede mediante concorsi o altre procedure selettive, nel rispetto dei principi di pubblicità, imparzialità ed efficienza.
Ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni si applicano, salvo che per determinate categorie indicate dalla legge, le leggi generali sul rapporto di lavoro, sulla rappresentanza sindacale e la contrattazione collettiva e sulla tutela giurisdizionale. Promozioni e retribuzioni sono stabilite anche in base al merito e alla produttività individuali.