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LUIGI OLIVERI
I CONTROLLI AMMINISTRATIVI DEGLI ENTI LOCALI – RUOLO DEL CONSIGLIO COMUNALE ALLA LUCE DELLA RIFORMA DEGLI ENTI LOCALI E DEL D.LGS 286/99.
L'entrata in vigore della legge 265/99 e del D.lgs 286/99 ha introdotto un interessante tema di analisi da parte della dottrina, relativamente ai controlli amministrativi interni negli enti locali.
Molti studiosi si sono posti il problema di come mettere in relazione le disposizioni del D.lgs 286/99 con gli articoli 34, comma 2-bis, e 4, comma 2, della legge 142/90, così come modificati dalla legge 265/99.
Queste ultime disposizioni, come è noto, prevedono che il consiglio comunale, sulla base delle norme statutarie, partecipi alla definizione ed anche al controllo delle linee del programma amministrativo, mentre, sempre attraverso lo statuto, è possibile istituire commissioni di garanzia e controllo la cui presidenza deve essere affidata alle opposizioni.
Sulla scorta delle citate norme, parte della dottrina (1) ha ritenuto in sostanza ammissibile un sistema di controlli amministrativi condotto direttamente dal consiglio comunale, attraverso apposite commissioni di controllo.
Si tratta di ipotesi che giudicano in maniera positiva la nuova luce nella quale è stato messo il consiglio comunale a seguito della legge 265/99 e, forse per questo motivo, hanno probabilmente sopravvalutato la portata del controllo da essa previsto in capo all'organo assembleare, assegnando al consiglio funzioni che ad un esame più disincantato non possono considerarsi di sua competenza.
Controlli amministrativi. Occorre considerare, infatti, che del tutto diverse appaiono le fattispecie di controllo descritte dal D.lgs 286/99, da un lato, e dalla legge 265/99, dall'altro.
Il primo, infatti, si occupa dei controlli di regolarità amministrativa e contabile, i quali debbono rispettare i principi generali della revisione aziendale, asseverati dagli ordini e collegi professionali operanti nel settore.
Questo tipo di controllo interno di regolarità amministrativa, per la verità, non è affatto innovativo per gli enti locali. Infatti, sin dall'entrata in vigore della legge 142/90 è stato introdotto l'organo di revisione, allo scopo proprio di garantire il controllo interno di regolarità contabile.
D'altro lato, il segretario comunale mediante il parere preventivo di legittimità sulle proposte di deliberazioni, pur non svolgendo un'attività di controllo vera e propria, (giacchè i controlli si svolgono su provvedimenti già perfetti, mentre il parere riguardava la proposta) esercitava comunque una forte azione di verifica della legittimità dell'azione amministrativa. Per altro, tale funzione del segretario, anche se non correttamente, veniva percepita come azione di forte controllo interno.
Gli stessi responsabili degli uffici, mediante l'apposizione del parere di regolarità sia tecnica che contabile sulle proposte di deliberazione, hanno sempre dovuto attivamente partecipare ad una funzione di servizio verso gli organi di governo, nei confronti dei quali detti pareri hanno la funzione di meglio illuminarli nell'esercizio delle loro potestà. Ma tali pareri hanno avuto anche lo scopo di rendere i dirigenti responsabili, in via diretta, dell'istruttoria e della proposta: sicchè anche nei loro confronti il parere di regolarità tecnica e contabile ha svolto e svolge una funzione anche di "controllo interno".
Pertanto, l'articolo 2 del D.lgs 286/99, lungi dal costituire una novità per gli enti locali, può essere utile, semmai, a mettere nuovamente in evidenza che l'azione amministrativa deve rispettare il principio di legalità, oltre ad essere improntata ai criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Ciò significa che un'azione efficiente, efficace ed economica non può legittimamente essere svolta in violazione delle norme poste a regolamentare l'attività degli organi amministrativi. Lo si sapeva già da tempo: tuttavia negli ultimi tempi sembrava divenuta prevalente la sola ricerca del perseguimento degli obiettivi a qualunque costo. Il D.lgs 286/99 ha avuto quanto meno il merito di ricordare che l'azione amministrativa deve qualificarsi rispetto all'attività dei privati proprio per il rispetto della normativa che ne sta alla base, emanata per garantire l'interesse pubblico e l'imparzialità della gestione.
Essendo questi i contenuti essenziali del D.lgs 286/99, pare che il controllo amministrativo-contabile da esso previsto sia del tutto differente dai controlli normati dalla legge 142/90, come modificata dalla legge 265/99.
Infatti, in primo luogo le commissioni di garanzia e controllo considerate nell'articolo 4, comma 2, novellato della legge 142/90 hanno certamente una funzione di controllo di tipo politico-istituzionale e non amministrativo.
Del resto, la non coincidenza tra quanto prevede l'articolo 2 del D.lgs 286/99 e l'articolo 4 della legge 142/90 è attestata proprio dalla prima disposizione, a mente della quale ai controlli di regolarità amministrativa e contabile <<provvedono gli organi appositamente previsti dalle disposizioni vigenti nei diversi comparti della pubblica amministrazione, e, in particolare, gli organi di revisione, ovvero gli uffici di ragioneria, nonché i servizi ispettivi […]>>. Appare, quindi, del tutto chiaro che il D.lgs 286/99 si riferisce a controlli svolti da organismi tecnici e non politici.
Lo stesso, a ben guardare, vale anche per l'articolo 34, comma 2-bis, della legge 142/90. Infatti, la partecipazione da esso prevista del consiglio alla verifica periodica dell'attuazione delle linee programmatiche può determinare solo un controllo di natura politico-amministrativo e non certo amministrativo-contabile, assimilabile a quello disciplinato dal D.lgs 286/99.
Oggetto e fini del controllo. Infatti, i controlli amministrativi previsti dal decreto legislativo hanno ad oggetto i singoli atti amministrativi. Lo si comprende con chiarezza, esaminando il contenuto dell'articolo 2, comma 3, che fa espresso riferimento all'atto amministrativo. Inoltre, lo scopo del controllo ex D.lgs 286/99 è la verifica del rispetto delle regole amministrative, tecniche e contabili da parte dei dirigenti e degli uffici, sia per l'esercizio di eventuali poteri di autotutela, sia per la valutazione complessiva della gestione.
Al contrario, il controllo consiliare previsto dall'articolo 34, comma 2-bis, della legge 142/90 non riguarda i singoli atti, bensì l'andamento del complessivo programma politico amministrativo. Per cui gli stessi contenuti di questo controllo (anche se indirettamente possono riguardare singoli provvedimenti o procedimenti amministrativi) sono completamente differenti.
Soggetti. Inoltre, anche i soggetti del controllo sono non coincidenti. Infatti, i controlli ex D.lgs 286/99 sono svolti nei riguardi (e a beneficio) dei dirigenti e comunque dell'apparato burocratico.
Quelli ex art. 34, comma 2-bis, della legge 142/90 sono rivolti al sindaco o presidente della giunta e ai singoli assessori. Ecco la specifica connotazione politica di questo tipo di controlli: i componenti della giunta debbono rendere conto al consiglio della loro azione - non gestionale ma di indirizzo - e della capacità di ottenere, mediante la loro guida strategica, gli obiettivi previsti dal programma, rispondendo all'organo assembleare sul piano strettamente politico, anche se nello svolgere le relazioni consuntive con cui illustrare ai consiglieri l'andamento del programma non potranno evidentemente fare a meno di utilizzare gli esiti delle azioni di controllo (reports, scadenzari, ecc…) da essi svolti, a loro volta, nei confronti della dirigenza.
Possibilità di controlli amministrativi esercitati dal consiglio. Al di là delle considerazioni sin qui svolte, la tesi che considera possibile l'esercizio da parte del consiglio di controlli amministrativo-contabili, riguardanti anche la legittimità dei provvedimenti amministrativi mediante apposite commissioni consiliari, non pare comunque in linea con il vigente ordinamento.
Se, infatti, come sembra, la citata dottrina considera possibile che il consiglio, attraverso proprie articolazioni, controlli gli atti amministrativi comunali (comprendendo anche quelli dei dirigenti), tale scelta, anche se esercitata in via statutaria, apparirebbe non conforme a legge sotto molteplici punti di vista.
In primo luogo, per violazione dell'articolo 130 della Costituzione, ai sensi del quale il controllo di legittimità sugli atti degli enti locali è esercitato da un organo della regione.
Accorta dottrina (2) ha già sottolineato l'incostituzionalità dell'articolo 55, comma 5, della legge 142/90, così come sostituito dall'articolo 6, comma 11, della legge 127/97, poiché prevede che l'esecutività delle determinazioni dei dirigenti sia subordinata all'apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria, da parte del responsabile del servizio finanziario, che, pertanto, viene trasformato in organo di controllo in aperta violazione del dettato costituzionale. Detta dottrina ha argutamente osservato, inoltre, che anche l'esercizio del controllo sulle deliberazioni esercitabile dal difensore civico, ai sensi dell'articolo 17, comma 38, della legge 127/97 sarebbe a sua volta incostituzionale, sia perché il difensore civico non è organo regionale, sia – e a maggior ragione – perché il difensore civico è espressione del consiglio che lo nomina e sul quale dovrebbe esercitare il controllo, con la tutt'altro che teorica conseguenza di una carente o assente serenità di giudizio.
Le considerazioni svolte sopra valgono, con tutta evidenza, ancora di più nei riguardi della prospettata ipotesi del controllo sugli atti comunali, da parte del consiglio o di sue articolazioni.
E' lampante che ai sensi del disposto costituzionale un organismo interno al consiglio non può in alcun modo esercitare un controllo di legittimità sugli atti amministrativi.
E' altrettanto chiaro che, soprattutto per quanto concerne gli atti del consiglio, non è lontanamente ipotizzabile un controllo del consiglio su se stesso.
Mentre, un controllo di legittimità o di merito di una commissione consiliare sugli atti della giunta non pare assolutamente conforme all'ordinamento degli enti locali, vigendo il principio della rigida ripartizione delle competenze tra consiglio e giunta, che sembra antitetico alla possibilità di controlli (soprattutto di merito) sugli atti.
Ancor di più non conforme all'ordinamento pare un controllo consiliare sulla legittimità sugli atti gestionali dei dirigenti. Occorre tenere presente che la legge 127/97 ha escluso in radice - ferma restando evidentemente la possibilità di tutela giudiziaria, ricorrendone i presupposti - ogni tipo di influenza sugli atti degli organi gestionali da parte dei consiglieri. Infatti, questi non hanno diritto a chiedere su detti atti nemmeno il controllo del Co.Re.Co., essendo questo limitato ai soli atti del consiglio della giunta elencati nell'articolo 17, commi 33 e 38, della legge 127/97. Non si vede, quindi, come sia possibile, alla luce dell'articolo 130 della Costituzione e delle altre norme sin qui citate, assegnare legittimamente a commissioni consiliari la competenza all'esercizio di un controllo di legittimità sugli atti comunali.
Né, in contrario, è possibile fare riferimento all'articolo 3 del D.lgs 29/93, che assegna agli organi di governo le note funzioni di programmazione e controllo, il quale letteralmente, al comma 1, prevede che gli organi di governo <<verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti>>. Appare, dunque, chiaro che i controlli degli organi politici non possono in alcun modo concernere i singoli atti, ma solo i risultati complessivi dell'azione amministrativa agli indirizzi. E' bene ricordare che le disposizioni contenute nel citato articolo 3, per espressa previsione dell'articolo 27-bis del medesimo D.lgs 29/93, costituiscono principio al quale gli ordinamenti locali devono adeguarsi.
Ancora, l'articolo 32, comma 1, della legge 142/90 dispone espressamente che il consiglio <<è l'organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo>> non organo con competenze di controllo sulla regolarità amministrativa e contabile, né tanto meno sulla legittimità.
Non è da nascondere, infine, il rischio di commistione tra politica e gestione che potrebbe derivare dall'assegnazione di funzioni di controllo amministrativo-contabile al consiglio comunale o a sue articolazioni, determinandosi inevitabilmente un'ingerenza degli organi di governo sulla dirigenza, considerata dalla stessa legge 265/99, all'articolo 19, comma 3, comportamento illegittimo.
Per altro, un controllo di legittimità e di merito da parte di una commissione consiliare, anche se non configurabile come fase integrativa dell'efficacia delle deliberazioni o delle determinazioni, finirebbe con molta probabilità per determinarne, sul piano fattuale, gli stessi effetti. Ben difficilmente l'apparato amministrativo sarebbe propenso a dare esecuzione a provvedimenti amministrativi subordinati al vaglio di un organismo politico.
Se ciò si verificasse, inoltre, sarebbe di tutta evidenza l'aperta violazione del divieto di aggravamento del procedimento amministrativo contenuto nell'articolo 1, comma 2, della legge 241/90.
Conclusioni. Le considerazioni sin qui esposte non possono che portare alla conclusione dell'impossibilità di assegnare al consiglio o a commissioni consiliari le funzioni di controllo amministrativo-contabile previste dall'articolo 2 del D.lgs 286/99.
Occorre ribadire qui che l'intero sistema dei controlli del citato D.lgs è posto in attuazione dei principi previsti dal D.lgs 29/93, sicchè ha sostanzialmente due funzioni: la prima, mettere a disposizione degli organi di governo gli elementi di valutazione per le verifiche di cui al già citato articolo 3 del medesimo D.lgs 29/93, anche al fine di valutare i dirigenti.
La seconda funzione consiste nel fornire agli stessi organi gestionali il mezzo per controllare nel corso della gestione l'andamento della medesima, i livelli di scostamento rispetto alle previsioni, per chiedere eventualmente la modifica degli obiettivi o delle risorse necessarie a perseguirli.
I controlli di regolarità amministrativo-contabile sono solo un elemento del complesso sistema di programmazione e valutazione.
Per altro, perché non si vada contro il disposto dell'articolo 130 della Costituzione, gli organi tecnici preposti a tali controlli (nell'ente locale – ferme restando le attribuzioni dei revisori dei conti – potrebbe essere il segretario comunale il soggetto maggiormente indicato) non possono svolgere controlli intesi come atto integrativo dell'efficacia dei provvedimenti comunali. Sibbene, controlli volti a garantire a posteriori la certezza della legittimità dell'azione amministrativa, esercitabili, pertanto, con un esame a mente fredda finalizzato all'eventuale esercizio del potere di revoca o annullamento in via di autotutela, ricorrendone i presupposti.
1 P. Bevilacqua, <<Comuni con il bilancio di mandato>> in Italia Oggi del 10.12.1999, pagg. 41-42 sostiene che l'applicazione della legge 265/99 prevedendo la necessaria partecipazione del consiglio sia alla definizione delle linee programmatiche di governo, sia alla verifica, può essere statutariamente attuata può consentire di configurare le commissioni di controllo e garanzia come organismi attraverso i quali applicare i sistemi di controllo previsti dal D.lgs 286/99. Nello stesso senso, V. Italia, <<Lo statuto dell'ente locale>>, ed. Giuffrè, coll. Cosa e come, 1999, pagg. 119-120, sostiene che le commissioni di controllo previste dalla legge 265/99 possono svolgere un controllo sia sulla legittimità degli atti, sia sul merito, anche alla luce dell'eliminazione del parere preventivo di legittimità da parte del segretario comunale ed alla sostanziale eliminazione dei controlli del Co.Re.Co. Secondo l'Autore, <<una forma di controllo "interno" su questi atti potrebbe consentire un vaglio critico, sia pure interno e con la partecipazione delle opposizioni, sulla legittimità ed opportunità degli atti>>, sottolineando che tali aspetti del controllo appaiono di competenza del consiglio.
2 E. Barusso, <<Dirigenti e responsabili di servizio>> ed. Giuffrè, coll. Cosa e come, 1997, pag. 197.