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Articoli e note

n. 12/2006

LUIGI OLIVERI

La configurazione delle consulenze e delle prestazioni d'opera ai fini dell'applicazione del codice dei contratti - le procedure comparative per gli incarichi di collaborazione

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1. Posizione dei problemi.

 Le disposizioni contenute nel codice dei contratti pongono sempre più in evidenza il problema delle modalità di affidamento delle prestazioni tipicamente professionali. La questione, per altro, alla luce di un provvedimento tendente alla liberalizzazione dei mercati, comprendente proprio anche le professioni intellettuali, quale è il "pacchetto Bersani", assume ulteriori aspetti di delicatezza.

La questione da risolvere è se, e in che misura, sia ancora possibile procedere ad affidamenti “fiduciari”; o se, al contrario, occorra procedere mediante gara, ai sensi del d.lgs 163/2006, per qualsiasi affidamento di attività di lavoro autonomo.

In secondo luogo, occorre dare risposta ad un quesito correlato al primo, laddove sia necessaria una procedura comparativa per l’affidamento degli incarichi di collaborazione; tale procedura è regolata dal d.lgs 163/2006 o dall’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001, quale “norma speciale”, trattandosi di prestazioni, comunque, di lavoro.

Si tratta di problemi che riemergono, affrontati con esiti non concordi da parte dei primi commentatori [1]. Il precedente regime di recepimento delle direttive comunitarie in tema di appalti di servizi non consentiva di trarre conclusioni definitive, in tema di divisione tra prestazione di appalto vera e propria e prestazione professionale. Infatti, il riferimento al concetto di appalto, consentiva di connettere tale attività ad un soggetto dotato della qualità di imprenditore. E così, permettere di distinguere gli appalti veri e propri, dalle prestazioni professionali, rese da persone fisiche, dotate di una particolare qualificazione, spesso riconosciuta mediante un’abilitazione che consente l’iscrizione in particolari albi professionali.

2. Imprenditore e professionisti negli ordinamenti europeo e interno.

Tale ultimo assunto viene, però, oggi, messo fortemente in discussione dall’articolo 2, comma 19, del d.lgs 163/2006, il cui contenuto è il seguente: “I termini «imprenditore», «fornitore» e «prestatore di servizi» designano una persona fisica, o una persona giuridica, o un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi”.

Il legislatore attribuisce, dunque, rilevanza essenziale all’oggetto dell’attività. Se sul mercato un soggetto offra “prestazioni di servizi”, allora in generale tali attività, se oggetto di una “commessa” da parte di un’amministrazione pubblica, debbono essere acquisite previo esperimento delle procedure del codice. Non rilevando, dal punto di vista formale, se chi offra detti servizi sia persona fisica o persona giuridica, professionista o imprenditore. Infatti, il lemma “imprenditore” nel codice dei contratti, non assume lo stesso significato del termine che nell’ordinamento interno vi si attribuisce.

Imprenditore, dunque, per il codice, in termini generali è qualsiasi persona giuridica o fisica (non rilevando la sua iscrizione ad un ordine professionale) offra servizi sul mercato. Non è imprenditore chi offra servizi privi di un mercato.

E’ chiaro, comunque, il disallineamento esistente tra ordinamento italiano e ordinamento europeo, in merito alle prestazioni di lavoro autonomo di carattere professionale. Né dà espressamente atto anche la recente giurisprudenza [2], laddove rileva “la obiettiva difficoltà di ricondurre la fattispecie” di un incarico continuativo ad un legale, composto di attività di consulenza ed anche difese giudiziali – all’incarico professionale (estranea all’istituto dell’appalto, secondo il diritto nazionale)o all’ipotesi di un appalto di servizi”.

3. “Prestazioni intellettuali”.

In effetti, proprio l’assegnazione di incarichi ad avvocati, insieme con gli incarichi di “consulenza” rappresentano il cuore del problema.

Ciò perché ormai appare sufficientemente chiaro come siano certamente da affidare mediante procedure di gara prestazioni di servizi intellettuali quali:

-          servizi di ricerca e sviluppo (indicati al n. 8 nell’allegato IIA al d.lgs 163/2006);

-          servizi di contabilità, revisione dei conti e tenuta dei libri contabili (indicati al n. 9 nell’allegato IIA al d.lgs 163/2006);

-          servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria, anche integrata (indicati al n. 12 nell’allegato IIA al d.lgs 163/2006);

-          servizi attinenti all'urbanistica e alla paesaggistica; servizi affini di consulenza scientifica e tecnica (indicati al n. 12 nell’allegato IIA al d.lgs 163/2006);

-          servizi di sperimentazione tecnica e analisi (indicati al n. 12 nell’allegato IIA al d.lgs 163/2006) [3].

Ancora non sono state del tutto eliminate resistenze contrarie all’assegnazione di incarichi fiduciari negli ambiti di cui sopra.

Molto maggiori sono le remore specificamente riferite agli incarichi da affidare ad avvocati e consulenti in generale. Si ritiene che detti incarichi richiedano, necessariamente, un rapporto di particolare coordinamento funzionale tra l’opera del professionista incaricato e l’attività del committente. La condivisione dei fini e il ruolo di guida che l’amministrazione committente deve conservare, pur intrattenendo con l’avvocato o il consulente un rapporto di prestazione professionale che esclude ogni supremazia gerarchica, sarebbero talmente intensi, da rendere necessitato un rapporto di particolare fiducia. Sicchè, incarichi ad avvocati ed a consulenti dovrebbero necessariamente essere affidati intuitu personae, in via diretta, tenendo conto di una soglia di professionalità, ma soprattutto delle caratteristiche personali dell’incaricato e della fiducia che il committente ripone in lui.

Tuttavia, alla luce del codice dei contratti e del “pacchetto-Bersani” le argomentazioni alla base degli affidamenti diretti e fiduciari si annullano radicalmente per il caso degli affidamenti di incarichi di consulenza. E si restringono moltissimo anche nei confronti degli affidamenti di incarichi ai legali.

La prevalenza dell’intellettualità della prestazione o, in ogni caso, la prestazione unicamente personale, non è più sufficiente per ritenere operante un “mercato riservato” ai soli titolari della capacità giuridica di rendere detti servizi, laddove dette prestazioni siano regolate da ordini ed albi professionali. Poichè la disciplina della professione non è più obbligatoria e vincolante ai fini della determinazione del costo della prestazione professionale, in quanto eliminata la vincolatività delle tariffe, si deve, di conseguenza, ritenere che:

a)                         anche i professionisti agiscono sul mercato e, dunque, debbono soggiacere alle regole della concorrenza;

b)                         il costo della prestazione perde la sua tendenziale fissità (sia pure entro limiti minimi e massimi) e, dunque, indifferenza rispetto ai criteri di affidamento dell’incarico;

c)                         un confronto concorrenziale basato sia su elementi personali (professionalità curriculare), sia sulla determinazione del compenso, senza vincoli tariffari, risulta sempre possibile.

4. La disciplina del codice degli appalti, riferita alle prestazioni intellettuali. Consulenze.

Posto che anche le prestazioni dei professionisti, in prima battuta, sono da considerare poste in essere da “imprenditori”, nell’accezione fornita dal codice, allora tali prestazioni non possono che essere attratte nella disciplina del codice dei contratti, ai fini dell’individuazione del contraente.

Per semplificare, il professionista o, comunque, il contraente chiamato ad espletare consulenze e servizi relativi a professioni intellettuali, deve essere selezionato in attuazione delle previsioni del d.lgs 163/2006.

Il tutto, però, a patto che la prestazione di servizio richiesta rientri nel novero dei servizi presi in considerazione dal codice.

Risulta fondamentale, allora, il riferimento all’allegato IIA e IIB, che contengono l’elencazione delle prestazioni di servizi, prese in considerazione dal codice dei contratti.

Le consulenze sono menzionate nel punto 11 dell’allegato IIA, che parla di servizi di “consulenza gestionale”.

A mente dell’articolo 20, comma 2, del codice, “gli appalti di servizi elencati nell'allegato II A sono soggetti alle disposizioni del presente codice”. Pertanto, le “consulenze gestionali” sono soggette alla disciplina del codice, sia sopra, sia sotto la soglia di applicazione comunitaria, visto che le regole dettate dal codice sono comuni. Per le procedure sotto soglia vi sono pochissime eccezioni, previste nell’articolo 124, concernenti, per lo più, solo i termini procedimentali e le modalità per dare pubblicità ai documenti di gara.

Nessuna disposizione del codice permette, in generale, di affidare le prestazioni d’opera intellettuale che abbiano per oggetto la consulenza in via diretta, intuitu personae.

L’articolo 56, comma 1, lettera c), tuttavia, permette l’utilizzo della procedura negoziata, previa pubblicazione del bando, “limitatamente ai servizi, nel caso di servizi rientranti nella categoria 6 dell'allegato II A e di prestazioni di natura intellettuale, quali la progettazione di opere, se la natura della prestazione da fornire renda impossibile stabilire le specifiche del contratto con la precisione sufficiente per poter aggiudicare l'appalto selezionando l'offerta migliore secondo le norme della procedura aperta o della procedura ristretta”.

Dunque, il ricorso alla procedura negoziata è ammesso, proprio nel caso delle prestazioni di natura intellettuale se risulti impossibile determinare con precisione le specifiche del contratto. In altre parole, se il risultato della prestazione non possa essere ricondotto a precise “unità di misura”, si scarta a priori la possibilità di utilizzare la procedura negoziata o la procedura ristretta, dal momento che esse per loro natura debbono svolgersi con sistemi il più possibile automatici di determinazione dell’aggiudicatario.

Sussistendo margini ampi di discrezionalità nella determinazione della prestazione, si deve, invece, dare spazio alla negoziazione del contenuto stesso della prestazione. Ecco perché si ammette la procedura negoziata, sia pure preceduta dal bando.

Pertanto, si possono trarre alcune prime conclusioni:

1)     le consulenze gestionali sono certamente prestazioni di servizio, da affidare ai sensi del codice dei contratti;

2)     il sistema della procedura negoziata è sempre applicabile, laddove sia impossibile stabilire in modo sufficientemente preciso l’unità di misura della prestazione.

Secondo la magistratura contabile [4], le consulenze consistono, propriamente, in richieste di pareri ad esperti ed, in generale, il contenuto degli incarichi professionalicoincide quindi con il contratto di prestazione d’opera intellettuale, regolato dagli articoli 2229 – 2238 del codice civile. Sicchè, a titolo esemplificativo, rientrano negli incarichi di studio, ricerca o consulenza:

1)     studio e soluzione di questioni inerenti all’attività dell’amministrazione committente;

2)     prestazioni professionali finalizzate alla resa di pareri, valutazioni, espressione di giudizi;

3)     consulenze legali, al di fuori della rappresentanza processuale e del patrocinio dell’amministrazione;

4)     studi per l’elaborazione di schemi di atti amministrativi o normativi.

Le prime tre prestazioni esemplificate dalla Corte dei conti sono chiaramente prestazioni di consulenza, ma per questo specifico paragrafo si limiterà l’attenzione alle sole prime due, che, in effetti, racchiudono tutte le possibili prestazioni consulenziali.

Ci si deve, tuttavia, chiedere se il concetto di consulenza formulato dalla Corte dei conti coincide con quello di consulenze gestionali, contenuto nell’allegato IIA del codice dei contratti.

Il problema deriva dal fatto che il codice (come del resto la precedente disciplina normativa) si limita ad enunciare l’esistenza della consulenza gestionale, ma non chiarisce in cosa essa consista.

Sembra evidente, comunque, che vi sia una differenza tra consulenze in generale e consulenze legali, messa, per altro, in evidenza dalla stessa elencazione esemplificativa della Corte dei conti.

Se, tuttavia, può risultare relativamente semplice determinare il contenuto della consulenza legale, appare realmente problematico comprendere in cosa consista la categoria delle “consulenze gestionali”. Sempre ammesso che di una categoria si tratti. Infatti, rimane da capire se per consulenze gestionali non si debba intendere qualsiasi tipo di consulenza che una pubblica amministrazione chieda a un operatore economico, sia persona fisica-professionista, sia imprenditore.

Per capire in cosa consista la categoria della consulenza gestionale, occorre riferirsi alla prassi operativa, come conosciuta dalla giurisprudenza amministrativa.

La giurisprudenza [5], ha considerato agevole rilevare che la direttiva 92/50/CEE e il conseguente D.L.vo 157 del 1995 disciplinano l’appalto di servizi del pari aventi carattere “professionale” o “intellettuale”, come ad esempio i servizi che attengono all’ingegneria e all’architettura, i servizi di revisione contabile, i servizi di ricerca di mercato, i servizi di consulenza gestionale ecc. Risulta, dunque, acclarato dal punto di vista pretorio che la consulenza gestionale, pur se resa nell’ambito di prestazioni professionali e/o intellettuali, è comunque riconducibile alla normativa sugli appalti pubblici.

Si è, sulla materia, ritenuto [6] che servizi relativi all'organizzazione e gestione della stagione teatrale affidati all'esterno dal comune dovessero essere necessariamente affidati ai sensi del d.lgs 157/1995. In particolare, nel caso di specie, detti servizi includevano l'ospitalità e l'ufficio stampa, la direzione di sala, le relazioni con il pubblico, il coordinamento di attività redazionali, il supporto organizzativo, la ricerca di sponsor, la comunicazione e il marketing, le ospitalità teatrali, l'amministrazione e i contratti, le attività collaterali e le relazioni culturali con l'estero.

Il giudice amministrativo ha ritenuto illegittimo un affidamento per trattativa privata di simile servizio, in assenza di ragioni di particolare urgenza, comunque non esplicitate con congrua motivazione, perché le prestazioni erano ascrivibili tra i servizi di contabilità, ricerche di mercato, consulenza gestionale, servizi pubblicitari e stampa, considerati negli allegati al d.lgs 157/1995, ai fini della determinazione delle prestazioni soggette al suo campo di applicazione.

Questa sentenza configura la consulenza gestionale come categoria “generale-residuale” di servizi, funzionale, comunque, al conseguimento di una prestazione organizzata, che comprenda un insieme di più prestazioni, finalizzati alla resa di un servizio omogeneo, come appunto l’organizzazione e gestione di una stagione teatrale. La consulenza è gestionale, perché l’operatore economico organizza e, contestualmente gestisce la stagione; non solo fornisce un “sapere” o “know-how”, al committente, ma svolge direttamente attività connesse con la gestione finalizzata all’utilità che il committente intende ottenere. Dunque, il risultato della consulenza gestionale, in questa accezione, non è soltanto un parere, un avviso, fornito dal prestatore di servizi al committente perché questo lo utilizzi nell’ambito di una propria attività di gestione, bensì un complessivo “saper fare” che oltre a supportare il committente, lo affianchi e sostituisca nel porre concretamente in essere la gestione. Come si richiede ad un vero e proprio appaltatore di servizi, che pone materialmente in essere un’attività al posto e per conto del committente.

Altra giurisprudenza[7], ha considerato la consulenza gestionale specificamente riferita alla gestione di servizi tecnico-operativi, come la consulenza continuativa riguardante la creazione ed il presidio del manuale di sicurezza ai sensi della disciplina di cui al d.lgs 626/1994, oppure alla gestione di servizi di global service finalizzati al risparmio energetico.

In questi casi, in effetti, il prestatore di servizi è chiamato sia a fornire supporti valutativi al committente, per consentirgli appunto di valutare il rischio o le azioni da intraprendere per conseguire determinati obiettivi di risparmi; sia a mettere in opera le azioni gestionali concrete, stabilite dal committente in base alla valutazione di cui sopra, per conseguire gli obiettivi prefissati.

Ecco, allora, il proprium della consulenza-gestionale. E’ una prestazione mista, ad un tempo:

a)  consulenziale: il prestatore, infatti, offre all’amministrazione una serie di conoscenze professionali proprio, allo scopo di permettere all’amministrazione di costruire, autonomamente, il percorso valutativo per giungere ad adottare una certa soluzione, rispetto ad un problema operativo;

b)  gestionale: il prestatore si obbliga, contestualmente, a mettere in opera tutte o alcune delle concrete attività gestionali che il committente, in base alla consulenza ottenuta, stabilisce di effettuare.

Infatti, lungo questa linea procedimentale, la giurisprudenza amministrativa ha conosciuto vertenze in merito a servizi qualificati come consulenza gestionale, riferiti all’assistenza tecnica ed amministrativa per la predisposizione di patti territoriali [8]; riferiti al supporto all’esternalizzazione dei servizi pubblici locali [9]; riferiti alla realizzazione di un sistema informativo per l’integrazione di processi amministrativi, nell’ambito di un Fondo Sociale Europeo [10].

Si è aggiunto [11] come non sia possibile ritenere che il contenuto prevalentemente professionale della prestazione richiesta impedisca l’applicazione della disciplina pubblica relativa agli appalti di servizi. Infatti, si è ritenuto sufficiente riferirsi agli allegati, un tempo numeri 1 e 2 al decreto n.157/1995 (oggi II A e II B al codice dei contratti), per rilevare che negli elenchi di servizi ai quali si applica la disciplina degli appalti di servizio figurano pure vere e proprie attività professionali e non imprenditoriali quali, ad esempio, proprio i servizi di consulenza gestionale.

5. Conclusioni in merito alle consulenze.

Quanto sin qui visto, allora, permette di trarre alcune conclusioni. Il contenuto prevalentemente professionale e non imprenditoriale della prestazione oggetto della “committenza” pubblica, soprattutto dopo che il codice dei contratti fornisce un’accezione del tutto lata del concetto di imprenditore, porta in generale a ricondurre le consulenze nell’ambito di applicazione del codice dei contratti.

In particolare, tuttavia, si deve ritenere che la consulenza gestionale sia qualcosa di diverso dalla consulenza pura e semplice o propriamente detta.

La prima, come rilevato sopra, abbina all’elaborazione di valutazioni e soluzioni a problemi posti dall’amministrazione, anche la gestione materiale delle azioni necessarie a risolvere i problemi, in base alla decisione assunta prendendo come base l’apporto consulenziale fornito a monte.

La consulenza vera e propria, invece, si ferma al primo stadio, come confermano le Sezioni Unite della Corte dei conti: si tratta, dunque, dell’emanazione di pareri, che poi l’ente pubblico utilizza come base istruttoria per attività successive, anche gestionali, che non coinvolgono ulteriormente il consulente.

A ben vedere, la grande maggioranza di servizi qualificabili come “supporto alla gestione” hanno natura di consulenza gestionale.

Non è, però, affatto escluso a priori il ricorso a funzioni di consulenza vera e propria. Come, ad esempio, la formulazione di osservazioni ed elementi valutativi su capitolati per gare estremamente tecniche e complesse o, addirittura, la materiale redazione di alcune loro parti; o, ancora, la valutazione istruttoria di parti specifiche di procedimenti amministrativi, al fine di suggerire possibili soluzioni o evidenziare le conseguenze derivanti dalla scelta di alcune possibili soluzioni.

Le consulenze vere e proprie non sono comprese nell’elencazione di cui all’Allegato II A e II B al codice. Al contrario delle consulenze gestionali, dunque, resta aperto il problema della loro assoggettabilità alla disciplina del d.lgs 163/2006.

In realtà si deve ritenere che le consulenze vere e proprie non rientrino in tale disciplina. Infatti, ai sensi dell’articolo 2, comma 10, del codice, gli «appalti pubblici di servizi» sono appalti pubblici diversi dagli appalti pubblici di lavori o di forniture, aventi per oggetto la prestazione dei servizi di cui all'allegato II. Dunque, se nell’allegato II non si riscontrano prestazioni oggetto di affidamento, il problema dell’applicabilità del codice si risolve in senso negativo.

Si deve, allora, ritenere che l’affidamento delle consulenze vere e proprie non possa che avvenire secondo i canoni differenti, determinato dal combinato disposto di una serie di norme: l’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001 (norma solo apparentemente dedicata alle co.co.co., ma invece autorizzativa del ricorso a consulenze qualificate), l’articolo 110, comma 6, del d.lgs 267/2000, gli articoli 2229 e seguenti del codice civile, l’articolo 1, comma 42 [12], della legge 311/2004, l’articolo 1, commi 12 e 173, della legge 266/2005, la deliberazione della Corte dei conti, Sezioni Unite 15 febbraio 2005 n. 6/CONTR/0.

Nulla, evidentemente, vieta di esperire procedure competitive di gara, anche per l’affidamento delle consulenze propriamente detta. Fermo restando che in questo caso, pur non trovando diretta applicazione la normativa di puntuale dettaglio del codice dei contratti, operano comunque i principi generali enunciati dall’articolo 2 [13] del medesimo codice, i quali altro non sono che l’esplicitazione dell’articolo 97, commi 1 e 2, della Costituzione.

Tuttavia, rilevano maggiormente i presupposti indefettibili, chiariti dalla magistratura contabile ed evidenziati dall’articolo 7, novellato, del d.lgs 165/2001, ovvero:

a) rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione;

b) inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;

c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico;

d) indicazione della durata dell’incarico;

e) proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.

La valutazione dell’inesistenza della figura professionale idonea allo svolgimento della consulenza, implica necessariamente, l’individuazione della professionalità richiesta. Dunque, anche se non si pone in essere una procedura di gara per individuare il consulente, occorrerà comunque necessariamente attribuire l’incarico solo a professionisti che dimostrino di possedere un’esperienza professionale tale da coprire largamente il fabbisogno di competenze richiesto. Pertanto, anche se la determinazione a contrattare per l’affidamento dell’incarico non preveda lo svolgimento di una gara, in ogni caso occorre dare conto in maniera approfondita del possesso in capo al consulente delle competenze professionali necessariamente richieste per svolgere l’incarico. Ovviamente, in relazione al fabbisogno precedentemente accertato e formalizzato.

Bisogna sottolineare come, nonostante il codice fornisca un’accezione larghissima di “imprenditore” dal punto di vista soggettivo, resti, tuttavia, una differenza profonda delle prestazioni dal punto di vista oggettivo.

L’ipotesi dell’appalto di servizi ricorre esclusivamente quando:

1.      una parte assume il compimento di un servizio;

2.      con organizzazione dei mezzi necessari;

3.      con gestione a proprio rischio.

Tali elementi, previsti dall'articolo 1655 del codice civile, debbono concorrere contemporaneamente, altrimenti non si tratta di appalto di servizio, ma di altra cosa.

E’ vero che tanto l'appalto, quanto la prestazione d'opera, anche intellettuale, danno luogo ad un'obbligazione di risultato a carico del prestatore, con assunzione del rischio a carico del prestatore.

Ma tra appalto e prestazioni professionali esiste una differenza, consistente:

a)     nella presenza di un'organizzazione di mezzi, che nell’appalto è tipicamente necessaria, mentre non lo è nella prestazione professionale;

b)     nella gestione del servizio a rischio dell’appaltatore.

Occorre soffermarsi su queste ultime due caratteristiche che tratteggiano la differenza tra appalto e prestazione d’opera.

Si può obiettare che tale differenza risulti irrilevante, visto che essa trova la sua fonte solo nel diritto interno e che in Europa qualsiasi prestazione di servizio, da qualsiasi soggetto sia compiuta, è considerata come appalto.

Tuttavia, l’appalto deve necessariamente essere considerata coma una forma organizzata di lavoro, nella quale tanto l’imprenditore, quanto l’organizzazione di risorse strumentali, finanziarie e umane da lui diretta, forniscono un insieme operativo. Il quale si assume il compito di svolgere un’attività (il servizio) per conto del committente.

Si prenda ad esempio l'appalto del servizio di pulizie. L'effettuazione delle pulizie è certo un servizio quando l'impresa, qualificata a tale scopo, presta mezzi, macchinari e personale facente capo alla propria organizzazione, al fine di garantire la pulizia di certi ambienti.

C’è, dunque, accanto all’organizzazione, la gestione a rischio dell’appaltatore. La concreta effettuazione delle pulizie, secondo lo schema contrattuale pattuito, impone all’appaltatore di effettuare l’attività impegnando al meglio le proprie risorse e della gestione così operata l’appaltatore risponde nei confronti del committente e dei terzi.

Le cose non pare stiano esattamente così se, invece, oggetto della prestazione sia una consulenza pura e semplice o, comunque, una prestazione esclusivamente intellettuale.

Intanto, il professionista intellettuale (ma anche un artigiano, nel caso di prestazione d’opera propriamente detta), non deve necessariamente disporre di un’organizzazione da lui diretta di strumenti, risorse finanziarie e di personale, per rendere la propria consulenza.

Infatti, la consulenza è prevalentemente frutto dell’elaborazione cognitiva del professionista, quale frutto di sue analisi, ricerche, considerazioni ed espressioni di pareri motivati. Non per nulla, la prestazione si qualifica come “intellettuale”: prevale un’attività dell’ingegno, rispetto a funzioni materiali, materialmente organizzate.

Laddove l’opera dell’ingegno non sia standardizzabile, essa si caratterizza per essere riferita al mezzo e non al risultato. Cioè, le conoscenze e le capacità intellettuali del consulente sono il mezzo del quale egli si avvale. La previa valutazione del committente della qualità e quantità dei mezzi che può assicurare il professionista intellettuale sono la causa dell’affidamento di una consulenza. E’ vero che, poi, essa deve produrre un “risultato”, cioè il parere.

Ma, e qui l’altra profonda differenza rispetto all’appalto, il professionista non assume alcuna gestione e, dunque, nessun rischio proprio dell’appaltatore. In quanto ponga in essere una prestazione di mezzi, l’unico rischio consiste nella dimostrazione effettiva di una capacità tecnica di fornire cognizioni nuove ed efficaci per il committente.

Tuttavia, il professionista intellettuale – a meno che l’oggetto del servizio non consista nella consulenza gestionale, come visto prima – non è chiamato a rispondere di una gestione concreta di attività.

Il fatto, allora, che gli allegati e la normativa comunitaria indichi alcuni servizi come tali e non chiariscano nel dettaglio come l’oggetto di determinati servizi possa essere qualificato ai fini della sua riconduzione a vera e propria prestazione di appalto, non significa che tutte le prestazioni elencate di per sé costituiscano appalto di servizio. Almeno, finchè la normativa interna non sia modificata per accedere ad una diversa disciplina più aderente ad un dettato comunitario che considera i servizi in modo onnicomprensivo

Se si ragionasse nel senso di considerare la normativa comunitaria incidente non solo nella configurazione del contratto di servizio ai fini della disciplina della gara per l'individuazione del prestatore, ma anche nella disciplina civilistica interna, allora si dovrebbe concludere per l'inapplicabilità assoluta, nell'ambito della pubblica amministrazione, del Titolo III del Libro quinto del codice civile.

Di conseguenza, neanche i contratti di collaborazione coordinata e continuativa potrebbero più essere stipulati senza gara, posto che comunque essi implicano la prestazione di un facere in qualche modo riconducibile all'elencazione dei servizi considerata dalla normativa comunitaria. Sicchè non vi sarebbe più quel tertium genus che sta in mezzo tra l'attività di impresa ed il lavoro subordinato, ovvero il lavoro autonomo ed il lavoro para subordinato (che per la verità è una creazione giurisprudenziale che ha finito per indebolire la disciplina del rapporto di lavoro, senza agevolare una vera imprenditoria).

Sulle conseguenze di una lettura del codice dei contratti e della disciplina comunitaria onnicomprensiva, tale da estendersi anche alle collaborazioni, si rinvia ad un successivo specifico paragrafo di questo lavoro.

6. Qualità di imprenditore.

A ben vedere, comunque, l’articolo 3, comma 19, del codice, non è risolutivo, al fine di stabilire se, effettivamente, dal punto di vista soggettivo chiunque offra servizi sul mercato è un imprenditore.

Al contrario, come visto prima, rimane aperto il problema della natura dei servizi, che se carenti di organizzazione e gestione, e, soprattutto, riferiti ad obbligazioni di mezzi, difficilmente si possono considerare appalto. E, contestualmente, lo stesso codice non può fare a meno di riferirsi al concetto di imprenditore vero e proprio, quando individua i requisiti di idoneità professionale e di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale.

La qualità di imprenditore, ai fini delle assegnazioni degli appalti di servizio veri e propri, è espressamente richiesta.

L'articolo 39, comma 1, del codice dei contratti, consente di provare l’iscrizione del concorrente alla gara alla camera di commercio. Ma, un professionista, non organizzato come imprenditore, ovviamente non è tenuto e non ha alcun interesse a tale iscrizione.

L’articolo 41, comma 1, si prevede espressamente che “la dimostrazione della capacità finanziaria ed economica delle imprese concorrenti può essere fornita …”. Torna un’accezione di impresa che è tecnica e non generica, come nell’articolo 3, comma 19. Infatti, tale capacità finanziaria ed economica può essere comprovata con i bilanci o estratti dei bilanci dell’impresa. Ma, chi non è imprenditore, bensì professionista, non dispone di simile contabilità. Né può produrre alcun “fatturato globale”.

Tornando all’articolo 39, al coma 1, lettera a), si prevede l’esclusione dalle gare nei confronti di chi si trovi in stato di fallimento, liquidazione coatta, amministrazione concordata o concordato preventivo. Difficilmente chi non è imprenditore nel senso concreto del termine, può incorrere in tali situazioni.

L’articolo 42 del codice, poi, elenca alcune delle modalità per comprovare la capacità tecnica e professionale dei prestatori di servizi. Tra esse:

1)     l’indicazione dei tecnici e degli organi tecnici;

2)     la descrizione delle attrezzature tecniche;

3)     l’indicazione dei titoli di studio e professionali dei prestatori di servizi e/o dei dirigenti, in particolare, dei soggetti concretamente responsabili della prestazione;

4)     le misure di gestione ambientale;

5)     l’indicazione del numero medio annuo di dipendenti;

6)     dichiarazione indicante l’attrezzatura, il materiale e l’equipaggiamento tecnico.

Facile notare che si tratta di requisiti pensati per vere e proprie organizzazioni imprenditoriali, le quali non sono evidentemente escluse dalla possibilità di rendere servizi anche connessi ad attività professionali di tipo intellettuale. Tuttavia, queste qualità sono richieste dal codice, laddove la resa della prestazione richieda un’organizzazione di materiali e persone e, dunque, non sia sufficiente la prestazione del solo professionista, ma occorra un insieme di strumenti, mezzi e risorse umane.

La prestazione di servizi considerata dal codice, dunque, è tale quando subentrino, come rilevato prima, gli elementi fondamentali dell’organizzazione imprenditoriali e di una gestione concreta ed operativa.

Mancando questi due requisiti, si verte nella fattispecie di una prestazione lavorativa autonoma e non di un vero e proprio appalto.

Come già rilevato, il professionista intellettuale, chiamato a svolgere non un appalto di servizio, ma la resa della sua specifica professionalità, risulta carente di un ulteriore elemento: l'assunzione del rischio. La sua è, contrariamente alla prestazione d'opera, un'obbligazione di mezzi e non di risultato. L'articolo 2233 del codice civile dispone che il compenso del professionista intellettuale è commisurato all'importanza dell'opera e al decoro della professione. Non è, pertanto, connesso al risultato dell'attività realizzata. Pertanto, il rischio del lavoro ricade sul cliente, in quanto il compenso è dovuto a prescindere dal risultato, in quanto l'obbligazione di mezzi implica esclusivamente un comportamento diligente ed adeguato alle tecniche migliori della professione.

La prestazione d'opera intellettuale, dunque, non può essere considerata una specie del genere dell'appalto.

Però, quando esito della prestazione d'opera intellettuale sia un'opera o, comunque, un risultato concreto fungibile, allora l'obbligazione è di risultato, come nel caso classico della protesi dentale. Oppure, nell'altro caso tipico della progettazione tecnica ad opera di architetti o ingegneri, che, non a caso, è presa in considerazione come attività sempre e comunque oggetto di gara, compresa l'ipotesi dei cosiddetti incarichi fiduciari che tali poi non sono, dal momento che occorre la pubblicità della procedura e la motivazione della scelta, a sua volta implicante necessariamente un confronto concorrenziale, trattandosi di una fiducia tecnica e non di un intuitus personae.

Sicchè, la prestazione chiesta e svolta personalmente dall'avvocato che non sia organizzato in forma di impresa, finchè il diritto comunitario non risolva le sue contraddizioni, è prestazione d'opera intellettuale e non servizio. Al contrario, un contratto di servizi legali concluso con uno studio organizzato in forma di impresa, che comporti la prestazione continuativa di pareri, il controllo o la redazione di contratti, l'obbligazione alla continuativa difesa in giudizio, l'assistenza legale stragiudiziale anche per l'autotutela, la consultazione anche telefonica, oltre tutto con forfettizzazione delle prestazioni, certamente rappresenta un servizio.

7. Servizi legali e consulenze legali – Prestazioni di mezzi.

Che le consulenze vere e proprie siano qualcosa di differente rispetto alle consulenze gestionali, lo dimostra il fatto che l’archetipo delle consulenze propriamente dette, le consulenze legali, siano state oggetto di uno speciale trattamento da parte dell’allegato II al codice.

Infatti, i servizi legali, nei quali, in prima approssimazione, possiamo far rientrare le consulenze legali, sono catalogate nel punto 21 dell’Allegato IIB. Pertanto:

1)     detti servizi possono essere affidati mediante procedura negoziata senza preventiva pubblicazione del bando di gara;

2)     ai sensi dell’articolo 20, comma 1, del codice, l'aggiudicazione dei servizi legali è disciplinata esclusivamente dall'articolo 68 (specifiche tecniche), dall'articolo 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento) e dall'articolo 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati).

In realtà, l’applicabilità della normativa sulle specifiche tecniche ai servizi legali (così come ai servizi genuinamente intellettuali in generale) appare piuttosto difficile. Difatti, l’articolo 68 del codice dei contratti rinvia all’allegato VIII, che per specifiche tecniche per forniture e servizi considera quelle “contenute in un documento, che definiscono le caratteristiche richieste di un prodotto o di un servizio, quali i livelli di qualità, i livelli della prestazione ambientale, una progettazione che tenga conto di tutte le esigenze (ivi compresa l'accessibilità per i disabili) la valutazione della conformità, la proprietà d'uso, l'uso del prodotto, la sua sicurezza o le sue dimensioni, ivi compresi le prescrizioni applicabili al prodotto per quanto la denominazione di vendita, la terminologia, i simboli, il collaudo e i metodi di prova, l'imballaggio, la marcatura e l'etichettatura, le istruzioni per l'uso, i processi e i metodi di produzione, nonché le procedure di valutazione della conformità”.

Sembra assolutamente chiaro che, al di là della richiesta di determinati livelli di qualità, nessuna delle specifiche esemplificate possa attagliarsi bene a nessun tipo di servizio afferente a professioni intellettuali, meno che mai a servizi legali, soprattutto se riferiti alla difesa in giudizio.

Ed, in ogni caso, il riferimento alla qualità, non può che intendersi rivolto alla qualità professionale dell’incaricato, piuttosto che a quello della prestazione.

Rimane, infatti, il problema che servizi legali o prestazioni genuinamente intellettuali, per quanto debbono determinare nei riguardi dell’amministrazione committente un “prodotto” (il parere reso, la valutazione istruttoria, la difesa in giudizio, l’asseveramento contabile), restano, tuttavia, prestazioni di mezzi e non di risultato.

Nel senso che il risultato della consulenza è esclusivamente il suo contenuto, cioè l’avviso o il parere espresso dal consulente, non certamente l’esito dell’attività posta in essere dall’ente che si sia avvalso della consulenza medesima. Il consulente, cioè, non risponde di come si sia agito in relazione alla sua consulenza, ma solo della competenza professionale adottata, per svolgere l’incarico.

Il suo “prodotto”, dunque, non è standardizzabile. Ecco perché le specifiche tecniche, come descritte nell’allegato VIII al codice dei contratti, non si confanno per nulla ad incarichi di prestazione professionale di tipo esclusivamente intellettuale, se caratterizzabili come prestazioni di “mezzi” e non di “risultato”.

Ed ecco perché le prestazioni intellettuali elencate nell’allegato II A, invece, sono compatibili con le specifiche tecniche. I servizi di ricerca o attinenti all’architettura ed ingegneria sono considerabili prestazioni di risultato, in quanto il loro oggetto è suscettibile di una progettazione ed il risultato è una prestazione ben precisa: il progetto o l’esito della ricerca.

Dal servizio di ingegneria ci si attende una prestazione oltre tutto largamente fungibile. Sebbene una scuola possa essere realizzata in varie modalità, il progetto tecnico per realizzarla non può che obbedire a regole tecniche precise, tali da condurre necessariamente al risultato di un progetto che ne consenta la realizzazione.

Dal servizio legale, se finalizzato alla difesa in giudizio non è possibile attendersi un esito necessariamente favorevole. L’avvocato non può garantire la vittoria della causa, che non è nella sua disponibilità (a differenza della progettazione tecnica, risultato imprescindibile del servizio di ingegneria); ma, deve garantire l’esplicazione migliore possibile della sua professionalità, al fine di una condotta strategica della vertenza il più possibile utile al proprio assistito.

In realtà, come si vede, i servizi legali sono estranei all’applicazione puntuale del codice dei contratti. Anche per tali servizi vale la sola applicazione dei principi generali di cui all’articolo 2 del codice, del resto ribaditi nel comma 6 dell’articolo 57, che disciplina la procedura negoziata senza preventiva pubblicazione di un bando.

L’unica previsione rilevante, dal punto di vista procedimentale, è quella secondo la quale l’amministrazione dovrebbe consultare comunque almeno 3 concorrenti.

Il che, tuttavia, non trasforma l’affidamento di un servizio legale in una prestazione di servizi da risultato. Ma invita l’amministrazione a non affidarsi solo all’intuitu personae. O meglio, impone l’amministrazione di mettere pur sempre in gioco più di un legale, potenzialmente – a giudizio dell’amministrazione procedente – in possesso dei requisiti professionali adeguati allo svolgimento del servizio richiesto.

Poiché i minimi tariffari non sono più vincolanti, il confronto tra i tre professionisti da consultare potrebbe avvenire sulla base di una valutazione della strategia difensiva generale, evidenziata dal professionista, ma anche, ed in misura non secondaria, considerando l’importo economico del compenso richiesto.

Pare, comunque, sia necessario distinguere nettamente incarichi per “prestazioni di servizi legali”, dall’incarico per la difesa in giudizio.

I servizi legali, non casualmente declinati al plurale, consistono evidentemente in un complesso di prestazioni di natura legale componibili:

a)                         da un insieme di difese in giudizio, determinate o determinabili o connesse a tutte le possibili vertenze giudiziali nelle quali sia coinvolta l’amministrazione, entro un dato arco di tempo;

b)                         dall’impegno continuativo a svolgere funzioni di consulenza legale;

c)                         dall’impegno a rendere un numero predeterminato di pareri legali o, comunque, un numero di pareri non superiore ad un certo tetto di spesa o di quantità di pareri;

d)                         dall’assistenza operativa ad attività istruttorie, nelle quali emergano particolari complessità di tipo legale, non risolvibili, ovviamente, dalle figure professionali presenti nell’ente.

Laddove tali servizi siano oggetto di un affidamento, occorre certamente procedere con una procedura quanto meno negoziata. Ed in questo caso, inevitabilmente:

a)                         la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, trattandosi di una procedura selettiva, che si conclude con un provvedimento autoritativo;

b)                         il procedimento deve obbedire ai principi di trasparenza, non discriminazione e pubblicità;

c)                         occorre predeterminare criteri oggettivi di valutazione, seppur nell’esercizio della discrezionalità della loro individuazione [14].

Ma, se l’oggetto dell’affidamento non è un complesso di servizi legali, bensì il solo patrocinio giudiziale nell’ambito di una specifica vertenza, si fuoriesce nuovamente dall’ambito di applicazione del codice dei contratti.

E, come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte dei conti, si resta fuori anche dalla fattispecie delle “consulenze”.

Il patrocinio in giudizio vero e proprio, non accompagnato da altri servizi legali, resta una prestazione professionale specifica, non considerata dal codice dei contratti, non consistenti in una consulenza e, dunque, rientrante esclusivamente nella disciplina normativa regolante la professione. Con la sola innovazione della non vincolatività dei minimi tariffari.

Pertanto, in questo caso l’ente può procedere ad un affidamento anche diretto al singolo professionista, sulla base di valutazioni anche influenzate dall’intuitu personae, tenendo sempre conto che la fiducia rimane, prevalentemente, tecnica e, dunque, legata alla competenza professionale dimostrata dal legale che si incarica.

Ovviamente, anche in questo caso nulla vieta che l’ente negozi con più di un professionista, laddove ritenga che più avvocati dispongano della competenza necessaria per la vertenza nella quale in quel momento l’ente medesimo sia coinvolto. Ma, non si ritiene sussistano ragioni per ritenere obbligatoria una gara pubblica.

In ogni caso, la gara andrebbe svolta applicando i principi di cui all’articolo 2 del codice, non le puntuali modalità operative.

Il che permette di trarre una conclusione: per i servizi legali non si pone il problema dell’applicazione di sistemi di gara. Si intende rilevare che non c’è una prevalenza dei sistemi mediante procedura aperta o ristretta, rispetto a quello della procedura negoziata. Il sistema di selezione del contraente rimane nella sostanziale piena disponibilità di scelta discrezionale dell’amministrazione procedente, la quale deve solo applicare i principi generali. Ovviamente, la scelta di utilizzare una procedura analoga a quella negoziata senza preventiva pubblicazione del bandodeve essere più puntualmente del ricorso all’utilizzo per analogia delle procedure aperte o ristrette.

8. Urgenza dei servizi.

Ai fini dell’applicabilità della procedura negoziata, anche solo per analogia, nel caso dei servizi legali militano anche particolari disposizioni contenute nell’articolo 57 del codice dei contratti. A mente del comma 2 della precitata norma, infatti, nei contratti pubblici relativi a lavori, forniture, servizi, la procedura è consentita:

b) qualora, per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi, il contratto possa essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato;

c) nella misura strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara. Le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non devono essere imputabili alle stazioni appaltanti”.

L’urgenza di provvedere, purchè non sia causata da un comportamento della stazione appaltante che l’abbia causata, costituisce, pertanto, giustificazione sufficiente per un affidamento anche diretto.

Oggettivamente, nel caso in cui un ente sia convenuto in giudizio, la ristrettezza dei tempi richiesta dalle procedure giurisdizionali per presentare atti difensivi completi e nei termini, comporta oggettivazione situazioni di urgenza. O, meglio, di critica compatibilità con i termini imposti da procedure aperte, ristrette o negoziate precedute dalla pubblicazione di un bando di gara.

Il ricorso, dunque, a procedure di scelta analoghe alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando, mirate anche ad un incarico diretto – laddove anche l’escussione di 3 possibili “offerte” – si riveli incompatibile con i tempi necessari per la costituzione in giudizio, appare possibile. Ovviamente, nel caso di legittimazione passiva.

Non può, invece, ritenersi generalmente sussistente il caso di urgenza, quando il servizio legale sia connesso ad un’iniziativa che muove dalla stazione appaltante.

Infatti, la richiesta di consulenza legale, così come l’intento di affidare ad un legale una o più vertenze nell’ambito delle quali l’amministrazione sia parte attiva, discendono ovviamente da una programmazione. Pertanto, la motivazione dell’urgenza apparirebbe, in questi casi, strumentale.

9. Procedure di selezione per co.co.co.

Si è visto prima che se si dovesse ritenere ogni prestazione di servizi offerta sul mercato oggettivamente intesa come appalto di servizi, disciplinato dal codice, allora sostanzialmente si avrebbe una bipartizione delle prestazioni lavorative. O si tratta di appalto, oppure si tratta di rapporto di lavoro subordinato.

Qualsiasi prestazione di lavoro autonomo, anche se non caratterizzata da organizzazione imprenditoriale dei mezzi necessari, gestione diretta ed assunzione del rischio, sarebbe un appalto di servizi. Sicchè, persino le collaborazioni coordinate e continuative ricadrebbero nella disciplina del codice dei contratti.

La conseguenza diretta di ciò sarebbe l'inapplicabilità assoluta, nell'ambito della pubblica amministrazione, del Titolo III del Libro quinto del codice civile.

I contratti di collaborazione coordinata e continuativa, in quanto prestazioni di servizi, dovrebbero essere stipulati sempre previa gara pubblica, posto che comunque essi implicano la prestazione di un facere in qualche modo riconducibile all'elencazione dei servizi considerata dalla normativa comunitaria. Sicchè non vi sarebbe più quel tertium genus che sta in mezzo tra l'attività di impresa ed il lavoro subordinato, ovvero il lavoro autonomo ed il lavoro para subordinato [15].

Ma se le cose stessero veramente così, non si spiegherebbe il coacervo di disposizioni normative [16] che disciplinano espressamente le co.co.co. nell’ambito della pubblica amministrazione, avvicinandole alla regolamentazione non degli appalti, ma della prestazione lavorativa subordinata. Come è logico che sia.

Infatti, le co.co.co. sono forme di prestazione lavorativa, del tutto prive di qualsiasi organizzazione di mezzi, di connessa gestione del servizio e si caratterizzano per essere esclusivamente una forma di disposizione di energie lavorative, che il collaboratore fornisce al committente. La differenza rispetto al lavoro subordinato vero e proprio sta nell’autonomia con la quale tali energie vengono gestite dal collaboratore, che non essendo inserito nell’organizzazione del datore di lavoro, non ne subisce l’ingerenza gerarchica. Il committente può solo avvalersi dei poteri di coordinamento, definiti dal contratto, mediante il quale si connette la prestazione lavorativa ad uno specifico risultato; altro elemento che distingue le co.co.co. dal lavoro subordinato.

Ma il risultato di una collaborazione coordinata e continuativa non è certo lontanamente paragonabile a quello di un appalto di servizi. Il collaboratore si impegna a conseguire un risultato connesso alle proprie personali capacità lavorative, come nell’ipotesi di un collaboratore che presti la propria attività per il riordino dell’archivio, anche ai fini della sua digitalizzazione. Prestazione molto diversa è, invece, il servizio vero e proprio di digitalizzazione dell’archivio, con connessa ricollocazione dei fascicoli cartacei in container e servizio di trasporto degli originali a richiesta dell’ente. La prima prestazione è solo lavorativa. La seconda è un’utilità connessa alla gestione del servizio. La prima prestazione è attività lavorativa para-autonoma. La seconda, un appalto di servizi.

Si deve, dunque, escludere che per rapporti di lavoro para-autonomo scatti l’operatività del codice dei contratti. Il quale, non a caso, non prende nemmeno in considerazione simili prestazioni. Le quali, dunque, restano certamente al di fuori dello spettro applicativo del d.lgs 163/2006.

Ai fini dell’affidamento degli incarichi di collaborazione, la discrezionalità della pubblica amministrazione incontra prevalentemente i seguenti vincoli ed i limiti operativi, enunciati in particolare dalla giurisprudenza della Corte dei conti:

a)  i conferimenti di incarichi a soggetti esterni possono essere attribuiti ove i problemi di pertinenza dell'amministrazione richiedano conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale dipendente, sia dal punto di vista qualitativo, sia anche quantitativo [17] (per il caso specifico delle co.co.co.);

b)        l'incarico si caratterizzi per la specificità e la temporaneità;

c)      l'incarico non rappresenti uno strumento per ampliare surrettiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell'ente al di fuori di quanto consentito dalla legge;

d)     il compenso connesso all'incarico sia proporzionato all'attività svolta e non liquidato in maniera forfetaria;

e)    il provvedimento di conferimento sia adeguatamente motivato al fine di consentire l'accertamento della sussistenza dei requisiti previsti.

Procedure di gare d’appalto non sono richieste, neanche dalla magistratura contabile. Perché le co.co.co. non sono appalti.

La disciplina delle co.co.co. è di natura speciale ed a questa occorre attenersi. Oltre al corpo normativo indicato prima, la disciplina speciale si trae dall’articolo 409, n. 3), del codice di procedura civile, dalle disposizioni applicabili per analogia degli articoli 2222 e seguenti del codice civile, nonché dall’articolo 7, commi da 6 a 6-ter, del d.lgs 165/2001.

Per altro, proprio la norma da ultimo citata introduce la previsione, valevole in generale solo per le amministrazioni dello Stato, del previo espletamento di “procedure comparative”, allo scopo di affidare le co.co.co.

Come si nota, tuttavia, non si tratta di procedure di gara, bensì di strumenti più semplici, finalizzati ad evitare che la scelta sul collaboratore da incaricare risulti arbitraria.

La procedura comparativa, come tale, non è certo una procedura di gara. Né concorsuale. E’ un processo di confronto.

Si può, in prima battuta, essere portati a ritenere che tale confronto debba riguardare i possibili “candidati”. E, pertanto, concludere che occorra un avviso ed una selezione.

A ben vedere, tuttavia, sebbene nulla esclude di agire in questo modo, la procedura comparativa può certamente prescindere da “bandi” o “avvisi” e da “prove”, quali colloqui o, a maggior ragione, esami tecnico-pratici.

Poiché le co.co.co. possono essere attivate solo nel rispetto dei vincoli enunciati sopra, tra detti vincoli rientra la copertura di fabbisogni professionali quali-quantitativi.

E’, dunque, evidente che laddove un’amministrazione rilevi la necessità di fare fronte a simili bisogni, debba individuare con precisione la professionalità della quale avvalersi con apporto esterno. Se così non fosse, infatti, non sarebbe dimostrabile la carenza interna.

E’ dunque possibile e doverosa una specificazione delle competenze professionali, un “profilo” tecnico.

La comparazione allora, intanto, deve essere compiuta tra i livelli di competenze previsti, in astratto, dal profilo elaborato in sede di analisi dei fabbisogni. Pertanto, può essere sufficiente a questo scopo la valutazione di quanto un curriculum professionale si avvicini al plafond di competenze richiesto, procedendo come normalmente si fa nell’elaborazione dei cosiddetti “bilanci di competenza”.

Il confronto, allora, non avviene “tra curriculum”, come è opportuno che sia, perché la comparazione di curriculum tra loro, senza che vi sia una base certa di confronto, risulta a rischio di arbitrarietà.

Si compara, invece, il curriculum o i curriculum a disposizione col profilo. Quello che maggiormente lo riempie, è il curriculum del collaboratore da incaricare.

Si tratta di una comparazione vera e propria, che, come si nota, non richiede complesse procedure paragonabili a quelle di gara o concorsuali.

Ovviamente, la comparazione così immaginata sarà tanto più semplice e spedita, quanto più l’amministrazione procedente disponga di una “banca dati” di curriculum. In caso contrario, occorrerà, a monte, una fase di acquisizione dei curriculum, preceduta da avvisi, che, comunque, non sono nulla di comune a bandi di gara o concorso. Si tratterebbe di annunci per la disponibilità ad effettuare una collaborazione, ben determinata nell’oggetto, da confermare mediante la presentazione appunto dei curriculum, indicando le modalità del processo valutativo.

Difficilmente le amministrazioni pubbliche non sono destinatarie di una serie di invii spontanei di curriculum, da parte di persone interessati ad intrattenere con loro rapporti lavorativi.

In ogni caso, occorre ricordare che la pubblica amministrazione medesima detiene una banca dati preziosissima, presso i centri per l’impiego (ex uffici di collocamento), che oggi dipendono dalle province.

Qualsiasi amministrazione pubblica potrebbe avviare la “procedura comparativa” di cui all’articolo 7, comma 6-bis, del d.lgs 165/2001, semplicemente inviando ai centri per l’impiego il profilo da loro elaborato [18], chiedendo l’estrazione di una rosa di curriculum dalle loro banche dati, per procedere poi alla comparazione, eventualmente chiedendo sempre ai centri per l’impiego una preselezione a tale scopo.

Si rispetterebbero, così, i canoni dell’imparzialità e del buon andamento, senza costituire procedimenti selettivi, oggettivamente abnormi, rispetto all’acquisizione di prestazioni lavorative nella forma della collaborazione. Le quali prestazioni, non determinando nemmeno la costituzione di rapporti di lavoro subordinato, non sono “accesso ad impieghi pubblici”, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione. Sicchè, appare evidente come non si debba appesantire la funzione pubblica con procedure eccessive.

Ciò che conta, nell’affidare le collaborazioni, è che si dimostri la carenza di professionalità all’interno dell’ente, l’irrimediabilità di essa, la corrispondenza alle competenze dell’ente, la corrispondenza del curriculum della persona designata al profilo necessario.

Questa, per altro, è anche la chiave per dare un senso concreto al requisito dell’alta qualificazione della prestazione, richiesta dall’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001.

L’alta qualificazione non deve essere letta nel senso che sono possibili conferimenti di collaborazioni esterne per attività oggettivamente altamente qualificate e, dunque, solo per prestazioni particolarmente qualificate, come pure la maggior parte degli interpreti richiede.

Se così fosse, paradossalmente, si ammetterebbero solo collaborazioni esterne per coprire fabbisogni professionali estremamente elevati, che, invece, specie in presenza di dirigenti, si dovrebbero presupporre ben presidiati.

In realtà, l’elevata professionalità della prestazione è connessa non astrattamente ad un profilo necessariamente di professionalità elevata. Deve, invece, essere elevata la professionalità soggettiva, in relazione al concreto fabbisogno che si intende coprire.

Pertanto, l’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001 non è da intendere come norma che autorizzi solo collaborazioni per fabbisogni altamente qualificato. Al contrario, la norma consente di attivare collaborazioni per fabbisogni determinati come richiede la magistratura contabile, a condizione che il destinatario dell’incarico disponga di una professionalità elevata, relativamente a quello specifico fabbisogno al quale l’amministrazione intende fare fronte, anche se connesso a profili non necessariamente di elevata qualità.

10. Acquisizioni in economia.

In ogni caso, allo scopo di dirimere ogni questione, incarichi di prestazioni professionali, sia ricadenti in prestazioni di appalto di servizio vere e proprie, sia, soprattutto, ricadenti in prestazioni solo professionali e non di appalto, è opportuno trovino regolamentazione nell’ambito della disciplina delle acquisizioni in economia.

Infatti, in primo luogo, soprattutto le prestazioni professionali propriamente dette, difficilmente comportano un costo eccessivo [19].

A ben vedere, dunque, l’applicazione di procedure complesse per oneri legati alle pubblicazioni ed ai termini, apparirebbe, spesso, sproprorzionata, rispetto all’utilità ricavata dall’incarico ed al corrispettivo pattuito.

Integrare, dunque, il provvedimento amministrativo previsto dall’articolo 2 del D.P.R. 384/2001, al fine di elencare le prestazioni di servizi acquisibili in economia, con l’elencazione di una serie di servizi legati anche a prestazioni solo professionali, avrebbe i seguenti vantaggi:

1)     vi sarebbe, comunque, una proceduralizzazione, sebbene con un’evidenza pubblica affievolita;

2)     vi sarebbe la possibilità, applicando il D.P.R. 384/2001, o comunque, adottando regolamenti su di esso modellati, di affidare direttamente – sia pure sempre nel rispetto dei principi enunciati dalla magistratura contabile – gli incarichi professionali o di collaborazione, di valore inferiore ai 20.000 euro;

3)     vi è pur sempre la possibilità di fissare tetti massimi di spesa (comunque, per le amministrazioni diverse da quelle statali, non superiori a 211.000 euro) adeguati alla spesa singola o complessiva di un anno, per incarichi similari.

Vi sarebbe un contemperamento efficiente dei principi di imparzialità, pubblicità, parità di trattamento, con quelli di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.


 

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[1] M. Greco, L'art. 24 della legge finanziaria si applica agli incarichi professionali e di consulenza?; I servizi dell'allegato 1 al D.lgs 157 vanno appaltati mediante gara, in www.appalti&contratti.it ritiene si debba procedere sempre mediante gare, anche per le prestazioni professionali, individuali.

[2] Tar Puglia – Lecce, Sezione II, 25 ottobre 2006, n. 5053.

[3] Non si intende affrontare il problema, pur esistente, di atteggiamenti elusivi della norma, finalizzati al tentativo di individuare possibilità residue di incarichi di tipo fiduciario per le prestazioni di progettazione, per altro, in alcuni casi giustificati da specifiche leggi regionali.

[4] Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo - Delibera 15 febbraio 2005 n. 6/CONTR/0.

[5] Tar Veneto, Sezione I, 18 giugno 2002, n. 2887.

[6] Tar Friuli Venezia Giulia, 18 febbraio 1998, n. 314.

[7] Tar Emilia Romagna – Bologna, Sezione II, 979/2000; Tarl Lazio – Roma, Sezione III-bis, 6817/2004.

[8] Tar Lazio, Sezione III-bis, 3741/2005.

[9] Tar Lazio, Sezione I, 7717/2005.

[10] Tar Campania – Salerno, 1836/2004.

[11] Tar Basilicata 29 novembre 2003, n. 1021.

[12] Propende, condivisibilmente, per la vigenza di detta norma R. Nobile, Art. 50, comma 10 ed art. 110, comma 6 del D.lgs 18 agosto 2006, n. 267: il conferimento di funzioni dirigenziali, di alta specializzazione e di collaborazioni esterne fra contraddizioni apparenti e necessità di coerenza sistematica, in www.lexitalia.it; contra, Corte dei conti deliberazione 17.2.2006, recante Linee guida per l'attuazione dell'art. 1, comma 173 della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006).

[13] I principi di qualità delle prestazioni, economicità, efficacia, tempestività e correttezza, libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità ,rispetto delle disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni.

[14] Così, in sintesi, ha chiarito il Tar Puglia – Lecce, Sezione II, cit., 25 ottobre 2006, n. 5053.

[15] Che per la verità è una creazione giurisprudenziale che ha finito per indebolire la disciplina del rapporto di lavoro, senza agevolare una vera imprenditoria.

[16] Si tratta del corpus normativo, composto dall’articolo 34, comma 13, della legge 289/2002, dall’articolo 3, comma 65, della legge 350/2003, dall’articolo 1, comma 116, della legge 311/2004, nonché dall’articolo 1, comma 198, della legge 266/2005, del quale ha parlato la Corte dei conti, Sez. Giur. Umbria 21 dicembre 2005 n. 447.

[17] In questo senso, recentissima è la sentenza della Corte dei conti, Sez. Giur. Sardegna, 12 ottobre 2006, n. 615.

[18] Tenendo presente che i centri per l’impiego possono collaborare nell’affinarne il contenuto.

[19] L’incarico di difesa in giudizio al legale, per quanto non del tutto preventivabile all’origine, ben di rado supera i 10.000 euro. Una prestazione occasionale, anche professionale, difficilmente può andare oltre i 2.000 euro. Una collaborazione coordinata e continuativa, ad esempio attivata per nuclei di valutazione o supporti organizzativi, ben di rado può andare oltre i 20.000 euro l’anno.


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