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n. 12/2003 - ©
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LUIGI OLIVERI
L’armonizzazione della disciplina del lavoro a progetto con le collaborazioni coordinate e continuative attivate dalle amministrazioni pubbliche
Il tema dell’applicazione alle amministrazioni pubbliche della riforma delle collaborazioni coordinate e continuative, introdotta dal d.lgs 276/2003, che ha ridefinito le co.co.co. come lavoro a progetto, è divenuto una costante del dibattito interpretativo ed operativo.
Da ultimo, il presidente dell’Aran, Guido Fantoni, è intervenuto [1] per chiedere espressamente un intervento normativo, finalizzato all’applicazione del lavoro a progetto al pubblico impiego, allo scopo di frenare l’abuso del ricorso alle co.co.co.
Se l’intento dell’Aran appare del tutto condivisibile, in quanto è innegabile che in tantissimi casi le collaborazioni presso le amministrazioni pubbliche mascherano dei veri e propri rapporti di lavoro subordinato (né più, né meno di quanto accade nel settore privato), non pare di poter aderire alla prospettazione secondo cui sia necessario un intervento normativo che estenda la disciplina del lavoro a progetto alle amministrazioni pubbliche.
A ben vedere, infatti, solo l’applicazione distorta della normativa vigente, intesa come complesso delle norme pubblicistiche e privatistiche, alla base delle co.co.co., porta agli abusi denunciati dal presidente dell’Aran.
Ma, in realtà, il sistema normativo pubblicistico contiene una disciplina delle collaborazioni che è già del tutto in linea con il lavoro a progetto.
Nonostante la “riforma Biagi” escluda la sua applicazione alle amministrazioni pubbliche [2], in realtà si può sostenere che il d.lgs 276/2003 abbia introdotto elementi tali da permettere di parlare senz’altro di una convergenza della disciplina privata delle collaborazioni verso quella pubblicistica. Sì da lasciar concludere che la riforma delle co.co.co. in lavoro a progetto non possa non dipanare i suoi effetti, per gran parte, anche per le amministrazioni pubbliche, nonostante il d.lgs 276/2003 formalmente non si applichi a dette amministrazioni, che trarranno, quindi, la fonte della disciplina delle collaborazioni dalle norme pubblicistiche e privatistiche diverse dal d.lgs 276/2003. In particolare, la disciplina continuerà a derivare dagli articoli 2222 e seguenti del codice civile, dall’articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile, dall’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001 e, per gli enti locali, anche dall’articolo 110, comma 6, del d.lgs 267/2000, oltre che dai contratti collettivi e dalla normativa pubblica relativa alla contabilità ed alla stipulazione dei contratti.
In effetti, dal complesso normativo sopra indicato si ricavano molteplici punti di convergenza tra il lavoro a progetto e le co.co.co. di ambito pubblico.
La forma scritta del contratto. La necessità di stipulare il contratto per iscritto costituisce una novità esclusivamente per il mondo del lavoro privato, non certo per quello pubblico. Nel quale, al contrario, vige il principio della necessità di stipulare i contratti in forma scritta, dal momento che, secondo la pacifica giurisprudenza ordinaria ed amministrativa, tutti contratti stipulati dalla p.a. ed, in genere, dagli enti pubblici devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, rispondendo tale requisito all'esigenza di identificare con precisione il contenuto negoziale e di rendere possibili i controlli dell'autorità tutoria.
Lo scopo dell’obbligatorietà della forma scritta del contratto di lavoro a progetto è esattamente il medesimo.
La previsione obbligatoria di un progetto. Anche questa è una novità solo per i rapporti di collaborazione di tipo privatistico, ma non per i rapporti nei quali sia parte un’amministrazione pubblica.
Con specifico riferimento agli enti locali, l’articolo 110, comma 6, del d.lgs 267/2000 sostanzialmente afferma espressamente la necessità di un progetto particolareggiato, quando consente al regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi di prevedere “collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità” per il raggiungimento di “obiettivi determinati”.
E’ evidente che la determinazione precisa di un obiettivo derivi necessariamente dall’impostazione di un programma o progetto di lavoro. Dunque, non sarebbe possibile affidare l’incarico di collaborazione in mancanza del progetto connesso. Lo stesso, però, vale per l’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001.
Si potrebbe obiettare, tuttavia, che tale necessità del progetto sia limitata alle sole collaborazioni di “elevato contenuto professionale” e, di conseguenza, non richiesto per collaborazioni caratterizzate da prestazioni di minore qualità professionale. Anzi, c’è chi esclude del tutto la possibilità per le amministrazioni pubbliche di costituire rapporti di collaborazione che non siano di elevato profilo.
L’assunto, tuttavia, è da rigettare. Principio generale pacifico in dottrina e giurisprudenza è quello secondo il quale le amministrazioni pubbliche debbono attendere allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto dei fini pubblici che debbono perseguire per legge, esclusivamente avvalendosi delle proprie dotazioni di mezzi e personale[3].
Appare evidente che lo svolgimento delle attività per le quali si renda necessaria l’instaurazione di una collaborazione debba eccedere le normali competenze, nel senso qualitativo o quantitativo.
Nel primo caso, occorre che a monte del conferimento dell’incarico di collaborazione vi sia la ricognizione dell’assenza, nell’ente, di personale dotato della professionalità necessaria.
Nel secondo, la rilevazione della necessità di un supporto quanto meno ad una fase precisa dell’attività lavorativa. In entrambi i casi, se manca il progetto che individui le necessità e gli obiettivi finali della collaborazione, non parrebbe legittima l’assegnazione dell’incarico.
In particolare, la carenza di un progetto definito, nell’impiego privato come in quello pubblico, nasconde l’insidia dell’aggiramento della disciplina del lavoro subordinato.
Tale insidia nell’ambito pubblico è ben più grave rispetto a quello privato, perché simile aggiramento, costituendo rapporti di lavoro subordinato di fatto (anche se, magari, a tempo determinato) comporta la violazione dell’obbligo di assumere il personale mediante procedure concorsuali, da un lato. E, dall’altro, pesanti responsabilità amministrative. E’ vero che a mente dell’articolo 36, comma 2, del d.lgs 165/2001 la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni. Ma, precisa la norma, fermo restando ogni responsabilità e sanzione, connesse, in particolare, al diritto del lavoratore al risarcimento del danno derivante dalla prestazione lavorativa in violazione di disposizioni imperative, dal quale deriva l’obbligo delle amministrazioni di recuperare, per via giudiziale, le somme pagate a titolo di risarcimento del danno a favore del lavoratore, nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave.
Fissazione di criteri chiari per la determinazione del corrispettivo. Anche in questo caso non esiste il minimo dubbio che la disposizione contenuta nell’articolo 63 del d.lgs 276/2003 sia direttamente mutuata della disciplina pubblicistica.
Non sarebbe possibile, infatti, per qualsiasi amministrazione pubblica stipulare un contratto di collaborazione senza la predeterminazione di un criterio chiaro per l’erogazione del compenso.
In mancanza di tale criterio, non sarebbe possibile assumere l’impegno di spesa preventivo e, di conseguenza, risulterebbe illegittima la stipulazione del conseguente contratto di collaborazione.
Determinazione delle forme di coordinamento tra datore e prestatore, nonché delle misure per la sicurezza della salute (di cui all’articolo 62, lettere d) ed e), del d.lgs 276/2003).
Anche questi sono elementi certamente comuni tra la disciplina del lavoro a progetto privato e le collaborazioni in ambito pubblico.
La collaborazione, se “coordinata”, non può prescindere da un impianto contrattuale che stabilisca come il coordinamento avvenga, con quali mezzi, entro quali ambiti, con quali conseguenze sull’attività del collaboratore.
In particolare, il coordinamento deve considerarsi coincidente col collegamento funzionale dell’attività svolta dal collaboratore con la struttura aziendale, nel senso che la collaborazione contribuisce al raggiungimento dei risultati dell’azienda e deve necessariamente essere svolta tenendo conto di esigenze organizzative aziendali, fissate dal committente con proprie direttive.
Per altro, non potrebbe esservi il minimo dubbio che il committente pubblico, qualora la collaborazione si svolga nei propri locali , debba apprestare le cautele imposte dall’articolo 66, comma 4, del d.lgs 276/2003. Così come indubitabile è l’applicazione delle disposizioni del d.lgs 626/1994 e della legge 151/2001, norme sulla cui applicabilità anche alle amministrazioni pubbliche nessuno avanza perplessità.
Le collaborazioni come fattispecie normativa omogenea.
Vi sono state, tuttavia, prese di posizione molto nette, secondo le quali in nessun modo la disciplina del lavoro a progetto potrebbe estendersi alle amministrazioni pubbliche e, in particolare, agli enti locali, da parte dell’Anci.
Tale tesi, tuttavia, alla luce di quanto visto nel paragrafo precedente non pare possa essere condivisa.
Come visto, la riforma delle co.co.co. determina un avvicinamento molto chiaro tra la disciplina privata e quella pubblica, perché è innegabile l’intento della riforma del mercato del lavoro di dettare una regolamentazione chiara dei rapporti di lavoro nati dall’esperienza “di fatto” scaturente dall’autonomia privata.
Se, come pure affermato pacificamente dagli interpreti, è vero che scopo della trasformazione delle co.co.co. in rapporto di lavoro a progetto è quello di impedire l’utilizzo improprio delle collaborazioni, non si può negare che il legislatore ha inteso fissare regole limitative dell’autonomia privata. Allo scopo di eliminare gli abusi al ricorso alle collaborazioni. V’è, dunque, nella riforma un impianto di regole imperative, assolutamente analogo a quello che disciplina la normativa sul lavoro pubblico.
Il problema, allora, non è di negare alle amministrazioni pubbliche l’estensione della riforma del lavoro a progetto, perché ciò vorrebbe dire impedire l’applicazione di caratteri del lavoro a progetto, che sono elemento essenziale delle collaborazioni in ambito pubblico.
Semmai, all’opposto, occorre affermare che, nonostante la disposizione di carattere generale contenuta nell’articolo 1, comma 2, del d.lgs 276/2003, il lavoro a progetto è certamente applicabile anche alle amministrazioni pubbliche, laddove si ravvisi la compatibilità piena tra la disciplina privata e quella pubblica.
Questo perché l’ambito di applicazione della riforma esclude, in particolare, la pubblica amministrazione come datore di lavoro di rapporti subordinati. Ma una volta che il legislatore abbia, finalmente, disciplinato la fattispecie delle collaborazioni, precisando meglio il contenuto dell’articolo 409, n. 3), del codice di procedura civile, ed acclarato che gli enti locali in particolare possono avvalersi delle co.co.co. appare difficile sostenere l’esistenza di un dualismo: lavoro a progetto, da un lato, co.co.co., dall’altro.
Esiste una fattispecie unica: la collaborazione, che in ambito privato è definita lavoro a progetto per l’elemento di novità derivante dall’obbligatoria presenza di un progetto come presupposto per il venire in essere del rapporto.
In ambito pubblico tale rapporto continuerà a chiamarsi collaborazione, dal momento che la previsione del progetto non sarebbe affatto una novità.
Divergenze tra il lavoro a progetto privato e le collaborazioni in ambito pubblico.
Bisogna, dunque, preoccuparsi di un altro problema: quello dell’identificazione dei tratti distintivi della disciplina delle collaborazioni, derivanti dalla natura speciale della normativa sul lavoro pubblico.
La quale è vero che richiama, a mente dell’articolo 2, comma 2, del d.lgs 165/2001, la diretta applicazione del capo I, titolo II, libro V del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa; ma ciò facendo salve le disposizioni contenute nel medesimo d.lgs 165/2001, che, dunque, prevalgono sulle prime.
Pertanto, occorre verificare gli elementi di possibile incompatibilità tra la disciplina del lavoro a progetto ex d.lgs 276/2003 e la normativa speciale sui rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e, in base a tali elementi di eventuale inconciliabilità, individuare quale parte della riforma delle collaborazioni non si applichi alle amministrazioni pubbliche e agli enti locali, in particolare.
Bisogna, comunque, ricordare che sia le co.co.co., sia il lavoro a progetto, non sono rapporti di lavoro subordinato, ma di lavoro autonomo. Sarebbe più corretto parlare, piuttosto che di “lavoro parasubordinato” di “lavoro para-autonomo”.
Gli elementi di divergenza che si riscontrano tra i due regimi si riducono, a ben vedere, ai seguenti.
In primo luogo, la trasformazione automatica del rapporto di collaborazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel caso di assenza del progetto o programma di lavoro, o fase di esso.
Appare evidente che l’articolo 69 del d.l.gs 276/2003 non possa trovare applicazione nell’ambito della disciplina pubblicistica. Infatti, se si ammettesse l’estensione di tale norma anche nell’ambito pubblicistico, si consentirebbe la possibilità di costituire rapporti di lavoro a tempo indeterminato in violazione delle disposizioni contenute nell’articolo 97, comma 3, della Costituzione, a mente del quale “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. E si deve trattare di una legge sull’ordinamento organizzativo delle amministrazioni pubbliche, la cui mancanza impedisce la “conversione” del rapporto da collaborazione a lavoro a tempo indeterminato.
Tuttavia, nell’ordinamento pubblico non solo tale legge non esiste, ma v’è, invece, una disposizione normativa di segno totalmente opposto, l’articolo 36, comma 2, del d.lgs 165/2001, che impedisce la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato in violazione delle disposizioni imperative previste dalle norme sull’accesso agli impieghi pubblici.
Pertanto, si può concludere certamente che l’articolo 69 del d.lgs 276/2003 non sia applicabile all’ordinamento pubblico ed a quello locale, in particolare.
Quadro sinottico della compatibilità del d.lgs 276/2003 con la disciplina pubblicistica
Disciplina del lavoro a progetto /d.lgs 276/2003) |
Elementi compatibili con il lavoro pubblico |
Elementi incompatibili con il lavoro pubblico - peculiarità |
Art. 61. Definizione e campo di applicazione |
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I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409, n. 3, del Codice di Procedura Civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa. |
L’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001 e l’articolo 110, comma 6, del d.lgs 267/2000 rendono indispensabili:
1. l’assenza del vincolo di subordinazione e l’estraneità ai rapporti di servizio ed organico con l’ente; 2. la sussistenza di un progetto; 3. la gestione autonoma da parte del collaboratore; 4. l’obbligazione di risultato; 5. l’irrilevanza del tempo di lavoro come elemento necessario della prestazione.
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E’ sempre necessaria la ricognizione:
1. dell’eccezionalità e straordinarietà dell’esigenza lavorativa; 2. l’assenza nell’ente di figure professionali qualitativamente in possesso della professionalità necessaria; 3. oppure, l’inadeguatezza dell’organico presente, rispetto al carico di lavoro da realizzare. |
2. Dalla disposizione di cui al comma 1 sono escluse le prestazioni occasionali, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila Euro, nel qual caso trovano applicazione le disposizioni contenute nel presente capo. |
La norma appare del tutto compatibile con il regime pubblicistico. Non pare possibile ammettere un diverso regime delle prestazioni occasionali, a pena di violare il principio di cui all’articolo 3 della Costituzione. |
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3. Sono escluse dal campo di applicazione del presente capo le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, nonché i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I., come individuate e disciplinate dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289. Sono altresì esclusi dal campo di applicazione del presente capo i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni, nonché coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia. |
La norma non può non trovare applicazione anche alle amministrazioni pubbliche. |
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4. Le disposizioni contenute nel presente capo non pregiudicano l’applicazione di clausole di contratto individuale o di accordo collettivo più favorevoli per il collaboratore a progetto. |
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Occorrerà attendere eventuali previsioni della contrattazione collettiva pubblica. |
Art. 62. Forma |
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1. Il contratto di lavoro a progetto è stipulato in forma scritta e deve contenere, ai fini della prova, i seguenti elementi: |
La forma scritta è da sempre obbligatoria per le amministrazioni pubbliche. |
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a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro; |
La durata è essenziale, in quanto si tratta di contratti necessariamente a tempo determinato |
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b) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuato nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto; |
L’indicazione del progetto è indispensabile, dal momento che occorre correlare l’incarico a precisi risultati. |
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c) il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese; |
La definizione del corrispettivo è imprescindibile, al fine di impegnare la spesa. Tempi e modi di pagamento sono a loro volta elementi necessari a qualsiasi contratto pubblico. I criteri di determinazione del corrispettivo sono necessari ai fini della trasparenza delle decisioni pubbliche. |
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d) le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l’autonomia nella esecuzione dell’obbligazione lavorativa; |
Le forme di coordinamento sono intrinsecamente connesse ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche se non soggetti al regime del lavoro a progetto. |
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e) le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall’articolo 66, comma 4. |
Anche il datore pubblico ha l’obbligo di rispettare le norme sulla salute e sicurezza. |
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Art. 63. Corrispettivo |
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1. Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto. |
Si tratta di un criterio generale, che non potrebbe non valere per la P.A., in quanto non si giustificherebbero compensi superiori a quelli rilevati nel mercato. |
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Art. 64. Obbligo di riservatezza |
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1. Salvo diverso accordo tra le parti il collaboratore a progetto può svolgere la sua attività a favore di più committenti. |
Anche la P.A. può prevedere l’esclusività, o meno, della prestazione di collaborazione. |
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2. Il collaboratore a progetto non deve svolgere attività in concorrenza con i committenti né, in ogni caso, diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione di essi, né compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della attività dei committenti medesimi. |
Sembra imprescindibile il rispetto del dovere di riservatezza, rilevante anche ai fini del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa. |
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Art. 65. Invenzioni del collaboratore a progetto |
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1. Il lavoratore a progetto ha diritto di essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello svolgimento del rapporto. |
Si tratta di un diritto proprio del lavoro di tipo autonomo. |
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2. I diritti e gli obblighi delle parti sono regolati dalle leggi speciali, compreso quanto previsto dall’articolo 12 bis della legge 22 aprile 1941, n. 633. |
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Art. 66. Altri diritti del collaboratore a progetto |
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1. La gravidanza, la malattia e l’infortunio del collaboratore a progetto non comportano l’estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo. |
Si tratta di norme poste a tutela del lavoratore a progetto, che se non applicate nella P.A. porterebbero alla violazione dell’articolo 3 della Costituzione. |
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2. Salva diversa previsione del contratto individuale, in caso di malattia e infortunio la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il committente può comunque recedere dal contratto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a trenta giorni per i contratti di durata determinabile. |
Si tratta di una disposizione che la P.A. potrebbe sempre liberamente inserire nei propri contratti individuali. |
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3. In caso di gravidanza, la durata del rapporto è prorogata per un periodo di 180 giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale. |
Vale quanto detto sopra. |
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4. Oltre alle disposizioni di cui alla legge n. 533 del 1973 sul processo del lavoro e di cui all’articolo 64 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ai rapporti che rientrano nel campo di applicazione del presente capo si applicano le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro di cui al decreto legislativo n. 626 del 1994 e successive modifiche e integrazioni, quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente, nonché le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le norme di cui all’art. 51, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 12 gennaio 2001. |
Le disposizioni sulla sicurezza e igiene del lavoro valgono per qualsiasi datore di lavoro. |
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Art. 67. Estinzione del contratto e preavviso |
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1. I contratti di lavoro di cui al presente capo si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso che ne costituisce l’oggetto. |
Trattandosi di rapporti a termine, la previsione non può non applicarsi alle collaborazioni di stampo pubblicistico. |
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2. Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale. |
E’ una disposizione tipica dei rapporti di lavoro autonomo, di per sé necessariamente caratterizzante anche le prestazioni presso amministrazioni pubbliche. |
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Art. 68. Rinunzie e transazioni |
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1. I diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente capo possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo V del presente decreto legislativo. |
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La certificazione non è applicabile alle amministrazioni pubbliche. |
Art. 69. Divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto |
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1. I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’articolo 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto. |
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Le disposizioni di cui all’articolo 69 del d.lgs 276/2003 non si applicano alla P.A., in quanto incompatibili con l’articolo 36, comma 2, del d.lgs 165/2001. |
[1] Si veda Italia Oggi del 20 novembre 2003, pagina 2.
[2] Per altro, tale esclusione espressa è contenuta nell’articolo 1, comma 2, del d.lgs 276/2003, non nella legge 30/2003, sicchè si possono avanzare dubbi sulla legittimità costituzionale del decreto delegato che, per questa strada, è andato oltre i limiti di normazione desumibili dalla legge delega.
[3] Da ultimo, Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per la Puglia, 10 gennaio 2003, n. 10, in Federalismo, Regioni, Enti Locali n. 41/2003, pag. 65 e ss.
Documenti correlati:
VIVALDI R. e BUSICO L., Le collaborazioni coordinate e continuative nelle amministrazioni pubbliche, in www.lexitalia.it, n. 11/2003