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Articoli e note

n. 6/2006 - © copyright

RICCARDO NOBILE*

La revoca del presidente del consiglio comunale

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1. La figura del presidente del consiglio comunale.

La revoca del presidente del consiglio comunale è strettamente connessa all’importanza che tale figura ha assunto nell’ordinamento degli enti locali a séguito della legge 8/6/1990 n. 142, confermata in parte qua dalla legge 15/5/1997 n. 127, dalla legge 3/8/1999 n. 265 e, da ultimo, dal D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Com’è noto, la figura del presidente del consiglio comunale è stata introdotta dal comma 3 bis dell’art. 31 della legge 8/6/1990 n. 142, aggiunto dall’art. 11, comma 3 della legge 3/8/1999 n. 265, e prevista come obbligatoria per le province e i comuni con popolazione superiore ai quindicimila abitanti e facoltativa, in base ad eventuale previsione statutaria, nei comuni con popolazione fino a tale soglia demografica.

La figura del presidente del consiglio comunale ed il suo ruolo sono da porre in relazione al differente modo di atteggiarsi del massimo organo rappresentativo, che assolve essenzialmente a funzioni di programmazione, indirizzo politico-amministrativo e controllo.

Il consiglio comunale, infatti, è il luogo nel quale, anche grazie all’ampliamento del diritto di accesso agli atti ed alla documentazione amministrativa operato dalla giurisprudenza, i consiglieri possono esercitare le prerogative loro riconosciute dall’ordinamento, ossia far valere il diritto di iniziativa su ogni questione sottoposta all’esame consiliare, chiedere la convocazione del consiglio, presentare interrogazioni, interpellanze e mozioni secondo quanto previsto dall’art. 42, commi 1 e 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Al presidente del consiglio comunale spettano tutti i poteri per garantire l’effettività dei diritti dei consiglieri, nonché il corretto svolgersi dei lavori del consiglio stesso, secondo l’elencazione dell’art. 39, commi 1 e 2, seconda proposizione del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

I poteri e le prerogative del presidente del consiglio comunale sono specificati per relationem dagli artt. 6, comma 2, 7 e 38, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, la lettura sistematica dei quali enuclea gli spazî della regolamentazione sub-primaria del comune, espressione tipica della potestà di autonormazione riconosciuta sia dall’art. 114, comma 2 Cost. sia dall’art. 3, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

In sintesi, il presidente del consiglio comunale è titolare di un munus pubblico, ossia di un ufficio cui sono ascritti poteri funzionalizzati, che, proprio in quanto tali, devono essere utilizzati non per conseguire fini proprî, ma garantire diritti e prerogative di terzi, la cui violazione costituisce índice rivelatore di comportamento censurabile.

2. L’istituto della revoca e le fonti di regolazione.

A fronte della rilevanza dei cómpiti ascritti al presidente del consiglio comunale, la legge non prevede l’istituto della sua revoca, demandandone la disciplina alla fonte statutaria e regolamentare, che ne deve disciplinare il modo, i requisiti formali e sostanziali, le modalità di discussione e di votazione, inducendo a concludere che l’ufficio presidenziale abbia una connotazione squisitamente istituzionale e non lato sensu politica.

Ciò rispecchia l’opzione di prevedere, almeno nei comuni piú popolosi, uno specifico organo di garanzia a salvaguardia delle prerogative dei consiglî e dei singoli consiglieri, al quale siano estranee forme di mandato rappresentativo della maggioranza consiliare e forme di collegamento fondate su rapporti di fiducia politica.

La rappresentatività che deve essere assicurata dal presidente del consiglio comunale è pertanto di tipo meramente istituzionale.

3. Le ragioni della revoca.

Lo statuto ed il regolamento per il funzionamento del consiglio comunale normalmente prevedono la possibilità di presentare una specifica mozione di sfiducia nei confronti del presidente del consiglio comunale, circondandola con forme di cautela che hanno lo scopo dichiarato di enucleare un regime di stabilità dell’ufficio presidenziale.

Un primo ordine di problemi si pone quando, in assenza di una specifica previsione normativa di fonte legislativa, lo statuto dell’ente non preveda la fattispecie della revoca dalle funzioni presidenziali. Allo stato attuale dell’ordinamento non sussistono argomenti per escludere che la revoca del presidente del consiglio comunale sia possibile anche in assenza di regolamentazione della relativa fattispecie, purché siano rispettati i principî generali dell’ordinamento.

La revoca, pertanto, è possibile in assenza di neutralità nell’esercizio della funzione presidenziale, con la conseguente compromissione del buon andamento dei lavori consiliari dovuti a comportamenti non sorretti da equidistanza istituzionale ed in presenza di una larga convergenza fra i consiglieri assegnati al collegio che, ritenendo venuta meno la correttezza della funzione di garanzia senza distinzione fra maggioranza ed opposizione, si esprimano in senso favorevole alla revoca a maggioranza assoluta sottoscrivendo in tale consistenza la relativa proposta o mozione, corroborandola con una motivazione adeguata che dia conto della effettiva sussistenza dei presupposti della revoca.

Quanto ai motivi, la loro enucleazione è una diretta conseguenza della funzione istituzionale e di garanzia che l’ordinamento ascrive a tale organo. Pertanto non costituisce motivo sufficiente la cosiddetta “sopravvenienza di sfiducia politica”, che si concretizza, ad esempio, quando il presidente del consiglio non condivide piú il programma politico della maggioranza di governo che lo ha eletto.

Il venir meno della cosiddetta “fiducia politica” deve quindi tradursi in una carenza di fiducia nelle capacità di mantenere un’azione presidenziale super partes che sia ispirata ad imparzialità, traducendosi in comportamenti parziali ispirati, da protagonismo individuale, faziosità e partigianeria o che comunque compromettano il ruolo di garanzia del presidente del consiglio comunale.

Vero piuttosto è che le motivazioni di natura politica, possono essere piú che causa, occasione dell’attivazione dei poteri di revoca del presidente ogni qualvolta sostanziano comportamenti che costituiscono violazioni dei doveri che derivano dalla titolarità del relativo munus pubblico.

È evidente, con queste premesse, che le ragioni che hanno condotto una maggioranza di consiglieri ad eleggere un dato presidente sono irrelate con le motivazioni che possono legittimamente sorreggerne la revoca. A differenza della Giunta, infatti, il Consiglio comunale è l'organo rappresentativo del comune, nel quale sono presenti maggioranza e minoranza e nel cui seno si deve equilibrare l'esercizio di due distinti diritti. Quello della maggioranza, all'attuazione dell'indirizzo politico sancito dal corpo elettorale e quello della minoranza, a rappresentare e svolgere la propria opposizione in un ámbito in cui è garantita la corretta dialettica tra tali parti nel rispetto di un sistema di regole a tutela delle sue funzioni istituzionali.

Questo insieme di regole connotato dalla neutralità e dal contenuto essenzialmente procedurale, implementa norme sull'organizzazione dei lavori e sullo svolgimento della discussione e delle votazioni, la cui applicazione è coerente con la funzione di garanzia che per esse si concreta soltanto se svolta super partes e da un soggetto a ciò istituzionalmente preposto.

In conclusione, la funzione del presidente del consiglio comunale è strumentale non già all'attuazione di un indirizzo politico della compagine che ne ha determinato l’elezione, ossia in ipotesi, la maggioranza, bensì al corretto funzionamento dell'organo collegiale e, come tale, non è solo neutrale, ma non può essere soggetta al mutevole atteggiamento fiduciario della maggioranza, indipendentemente dalla circostanza che il presidente sia eletto dall'assemblea, dovendo costui sempre operare in modo imparziale a garanzia di tutto il consiglio e non della sola parte che l'ha designato.

4.  La casistica nella giurisprudenza.

L’evidenziazione di una breve casistica delle motivazioni che possono sorreggere la revoca del presidente del consiglio comunale, cosí come pure di quelle che ad essa sono di ostacolo può concorrere a far luce sui termini della materia.

Quanto alle ipotesi di revoca, possono essere enucleate non meno di sei fattispecie.

In primo luogo, l’adozione di comportamenti che evidenzino intenti discriminatorî fra consiglieri comunali ovvero fra gruppi consiliari.

In secondo luogo, la ripetuta violazione del regolamento per la disciplina delle sedute consiliari, ossia delle norme che definiscono la correttezza dell’azione presidenziale.

In terzo luogo, la pretesa di effettuare autonomamente controlli e verifiche di legittimità delle proposte di deliberazione delle quali sia stata richiesta l’iscrizione all’ordine del giorno, quando esse non siano manifestamente estranee alle competenze consiliari. Al presidente, infatti, non competono funzioni censorie, ma solo l’obbligo di garantire la trattazione delle questioni richieste.

In quarto luogo, tutti quei comportamenti che compromettono la funzionalità dei lavori consiliari, quali ad esempio l’abbandono dell’aula durante la discussione senza assicurarsi che sia garantita la continuità della funzione, la concessione della parola ad un consigliere per la trattazione di un argomento non iscritto all’ordine del giorno, la sospensione della seduta, nonostante fosse assicurato il numero legale, per consentire ai consiglieri di minoranza assenti il rientro in aula, l’ampliamento oltre misura del tempo degli interventi al fine di differire la trattazione di punti iscritti all’ordine del giorno, magari utilizzando speciosamente lo pseudoargomento della completezza dell’esposizione delle ragioni del consigliere, ovvero ancóra lasciando spazio nei preliminari di apertura a singole esternazioni dei consiglieri comunali sotto forma di comunicazione con finalità speciose e dilatorie.

In quinto luogo, l’esternazione dell’intenzione di effettuare azioni controllo politico e di impulso ed indirizzo in relazione agli atti portati dalla maggioranza all’attenzione del consiglio in attesa che si risolva una situazione di crisi politica ritenuta non piú sostenibile dal presidente del consiglio. In questo caso, infatti, si è in presenza di un evidente travalicamento dei cómpiti presidenziali, che sono circoscritti ad assicurare il corretto svolgimento dell’attività consiliare, ed ai quali è estranea la pretesa di influire sulla composizione di contrasti in seno alla maggioranza.

In sesto luogo, tutti quei comportamenti del presidente del consiglio con cui egli porta all’attenzione dell’assemblea consiliare fatti che riguardano i progetti di azione politica che egli stesso intende perseguire. In questi casi, è evidente che il presidente del consiglio usa il proprio ruolo agendo come protagonista della politica locale, e, come tale, si pone in netta incompatibilità con l’esercizio del ruolo di garante e di terzietà propria della funzione di presidente dell’assemblea innanzi descritta.

Quanto alle motivazioni prive di consistenza, si possono evidenziare le seguenti ipotesi.

In primo luogo, il cambiamento di schieramento politico del presidente del consiglio comunale ovvero, a maiori ad minus il compimento di scelte politiche contrapposte alla maggioranza consiliare che a suo tempo lo aveva eletto non sostanziano motivazioni sufficienti a sorreggerne la revoca se non si sono mai riverberate sulla conduzione delle sedute consiliari.

In secondo luogo, la mancata partecipazione ai lavori consiliari, ovvero l’abbandono della seduta, anche se reiterato, non costituisce valido motivo di revoca dalle funzioni. Ciò può essere argomentato osservando che l’ordinamento prevede la figura del supplente di diritto nell’esercizio delle funzioni presidenziali, esercitabili nella loro pienezza in modo residuale dal consigliere anziano.

In terzo luogo, non sempre la mancata riunione del consiglio comunale secondo le previsioni di cui all’art. 39, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 è causa di revoca. Il diritto di riunione, infatti, può essere legittimamente pretermesso ogni qualvolta la relativa istanza non sia stata sottoscritta dal numero minimo di consiglieri richiesti, ovvero quando l’oggetto per il quale la richiesta di riunione è stata esperita è illecito, impossibile o manifestamente estraneo alle competenze dell’assemblea. Una tale evenienza, in particolare, si configura quando la richiesta di riunione comprime la competenza funzionale di un altro organo dell’amministrazione comunale, sia esso organo di governo piuttosto che organo burocratico. Ciò vale in particolare per le richieste di riunione del consiglio comunale che siano funzionali all’adozione di provvedimenti che hanno la natura giuridica di atti di amministrazione attiva, siano o meno essi altrimenti camuffati da mozione o da ordine del giorno.

In questi casi, la manifesta estraneità alle competenze consiliari è motivo di legittimo diniego della riunione del consiglio comunale. Ciò è corroborato dalla previsione di uno specifico iter sanzionatorio, che prevede all’art. 39, comma 5 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 un’apposita diffida, prodromica all’attivazione dei poteri sostitutivi del prefetto, con ciò escludendo che l’omessa convocazione, ove non qualificata dall’inerzia successiva alla diffida, possa assurgere ex se a consistenza di grave violazione, ed a fortiori violazione tout court di doveri.

5. La figura del consigliere anziano.

Una breve notazione deve essere riservata alla figura del consigliere anziano, cui sono ascritte funzioni residuali di presidenza del consiglio comunale, e la cui azione può sostanziare violazioni del munus presidenziale.

La figura del consigliere anziano è prevista direttamente dalla legge, la quale ne circoscrive le prerogative. Ciò consente di escludere che le funzioni presidenziali ascritte a tale figura possano essere sottratte con una procedura di revoca.

Le violazioni compiute dal consigliere anziano nell’esercizio delle funzioni presidenziali sono sanzionabili con la procedura di cui all’art. 142, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, che consente di addivenire alla rimozione del consigliere comunale per “gravi e persistenti violazioni di legge” con decreto del ministro dell’interno, con possibilità di sospensione interinale ad opera del prefetto.

6. Lo svolgimento della seduta consiliare.

Le modalità di preparazione e di svolgimento della seduta consiliare nella quale è dedotta la proposta di revoca del presidente del consiglio comunale sono strettamente connesse con l’obbligo giuridico di garantire la trattazione della relativa questione.

Sul presidente del consiglio comunale incombe prima di tutto l’obbligo di procedere alla convocazione del relativo consesso, ogniqualvolta la richiesta di riunione sia stata presentata nelle forme ritualmente previste dallo statuto comunale eventualmente completato dal regolamento per il funzionamento delle sedute consiliari.

Se cosí non fosse, infatti, il presidente del consiglio diverrebbe arbitro della fondatezza della mozione di sfiducia che lo riguarda, in luogo del consiglio comunale.

A questo proposito, deve essere rimarcato che la presentazione della mozione di sfiducia del presidente del consiglio comunale è un atto che attiva competenze tipiche del consiglio comunale stesso, il che ne impone la trattazione nel rispetto delle previsioni statutarie e regolamentari.

L’obbligo di trattazione della revoca del presidente sussiste anche qualora lo statuto comunale non preveda la relativa fattispecie, come si è avuto modo di evidenziare in precedenza. In assenza di una specifica regolamentazione, possono essere applicate le norme regolarmente previste per la trattazione delle mozioni in generale. Da ciò segue súbito che la mozione di sfiducia del presidente del consiglio comunale deve essere inserita all’ordine del giorno del primo consiglio comunale utile senza possibilità di differimento.

La riunione deve avvenire entro i canonici venti giorni solo qualora la relativa richiesta sia stata sottoscritta ai sensi dell’art. 39, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, sempre che i sottoscrittori lo richiedano esplicitamente.

Lo svolgimento della seduta presenta non meno di quattro elementi di criticità. Tali evenienze possono essere esemplificate nei termini che seguono.

Se il presidente del consiglio comunale possa partecipare alla seduta nella quale è in discussione la sua revoca; se egli possa presiedere tale seduta; se il presidente possa intervenire il corso di seduta e se egli possa esprimere il proprio voto sulla proposta di revoca, salvo poi stabilire se la votazione debba essere resa in forma palese o in forma segreta.

Che sul presidente del consiglio comunale sussista un dovere giuridico di astensione dal prendere parte alla seduta nella quale è in discussione la sua revoca è fortemente dubbio, per non dire infondato. Ciò può essere mostrato osservando che il legislatore ha circoscritto il dovere di astensione degli amministratori, ove lo ha espressamente previsto all’art. 78, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, ai casi in cui siano coinvolti nelle proposte di deliberazione “interessi propri o di loro parenti o affini fino al quarto grado”. La disposizione de qua, che è una chiara specificazione di settore dell’art. 323 c.p., riguarda posizioni di interesse direttamente riferibili all’amministratore, in grado di avvantaggiarlo come persona in quanto tale.

Una tale evenienza non si verifica nel caso di specie, nel quale non è coinvolto alcun interesse individuale di un soggetto in quanto persona. Nel caso in esame, infatti, non sussiste alcun obbligo di astensione perché il presidente del consiglio comunale non è portatore di un interesse privato, ma del pubblico interesse a ricoprire un pubblico ufficio al quale è stato legittimamente preposto, agendo non ratione personae ma ratione muneris.

Il presidente del consiglio comunale sub iudice, in assenza di uno specifico obbligo di astensione, è nella pienezza del proprî poteri. Da ciò discende che può presiedere la seduta, intervenire e quindi partecipare alla votazione.

Il diritto a prendere parte alla votazione è una diretta conseguenza dello stretto collegamento che sussiste fra partecipazione alla seduta ed espressione di voto, che trova un proprio addentellato in una fattispecie differente per contenuto, ma simile per esito caducante: il procedimento per la contestazione di cause di ineleggibilità sopravvenute all’elezione o di cause di incompatibilità preesistenti o successive all’elezione stessa. In questo caso, infatti, la partecipazione del consigliere comunale sub iudice alle sedute previste dall’art. 69 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 non solo non è mai stata revocata in dubbio, ma è prevista specificatamente dalla normativa di riferimento.

La partecipazione alla discussione della proposta di revoca, pertanto, è una diretta conseguenza della vigenza dei principî generali in materia di partecipazione al procedimento amministrativo e di diritto alla difesa in qualità di destinatario del provvedimento amministrativo finale.

In questo modo, al presidente del consiglio in predicato di sfiducia è consentita la rappresentazione dei motivi e delle ragioni a dimostrazione della correttezza del proprio operato e comunque dell’infondatezza della richiesta dei sottoscrittori della mozione di sfiducia.

Potendo partecipare alla discussione, il presidente del consiglio comunale è legittimato a prendere parte alla votazione finale, la quale avviene normalmente a voto segreto trattandosi di pratica afferente a persone, salvo il caso in cui lo statuto dell’ente non preveda specificatamente la votazione in forma palese.

7. La deliberazione di revoca.

La revoca è disposta con un provvedimento amministrativo imperativo ed esecutorio, adottato dal collegio ed ha pertanto forma di deliberazione, talché si impone nei confronti del destinatario estromettendolo dalle funzioni presidenziali.

La sua efficacia segue le regole ordinarie previste dall’art. 134 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 e coincide col soggiungere dell’esecutività per avvenuta pubblicazione all’albo pretorio del relativo verbale per dieci giorni ovvero con la dichiarazione dell’immediata eseguibilità.

Nessun credito, pertanto, ha il risalente orientamento dottrinale, peraltro privo di corroboranti elementi testuali, che fa coincidere l’efficacia dei provvedimenti di revoca e di nomina con la loro mera adozione. Tale orientamento, nel caso di specie, non solo non è coerente con la disciplina di diritto positivo, espressamente prevista per le deliberazioni della giunta e del consiglio degli enti locali, ma trova uno specifico ostacolo proprio in una norma in materia di elezione del presidente del consiglio comunale, che mostra che ove il legislatore ha inteso rendere immediati gli effetti della nomina lo ha previsto espressamente, come accade nella prima seduta di insediamento.

In questa ipotesi, secondo l’art. 40, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, la prima seduta consiliare, dopo la convalida degli eletti, il giuramento del sindaco e l’elezione del presidente del consiglio, “prosegue sotto la [sua] presidenza […] per la comunicazione dei componenti della giunta e per gli ulteriori adempimenti”. In questo caso è evidente che si è in presenza di un effetto direttamente prodotto dalla legge, che realizza autonomamente ed ex se gli effetti dell’immediata efficacia della nomina, il quale, a contrariis, non può essere esteso oltre la fattispecie per la quale è previsto.

8. Il sindacato giurisdizionale.

Quanto al sindacato giurisdizionale, in sede sia di merito, sia cautelare, la deliberazione di revoca è sicuramente impugnabile con esiti potenzialmente demolitorî del provvedimento sub iudice, con la conseguenza del ripristino dello status quo ante e quindi della reimmissione nelle funzioni presidenziali di chi da esse era stato estromesso.

Il sindacato del giudice amministrativo può avere ad oggetto sia vizî di forma, sia vizî di sostanza.

Quanto ai primi, oggetto di sindacato è l’asserito mancato rispetto del procedimento amministrativo eventualmente delineato dallo statuto dell’ente.

Quanto ai secondi, escluso il vizio di incompetenza, evidentemente non configurabile per ragioni che è superfluo esporre, restano i vizî di violazione di legge e di eccesso di potere, quest’ultimo nelle sue varie figure sintomatiche.

Quanto ai profili di eccesso di potere, è possibile evidenziare la seguente casistica.

In primo luogo, è illegittima, per sviamento di potere, una deliberazione con la quale è stata disposta la revoca del presidente del consiglio comunale per motivazioni politiche diverse da quelle di natura istituzionale che ne costituiscono la funzione tipica secondo la logica del sistema, talché è illegittima la deliberazione che assume a proprio fondamento l’essere venuta meno la contiguità politica con la maggioranza che a suo tempo ha eletto il presidente del consiglio poi revocato.

In secondo luogo, i motivi a fondamento della revoca devono essere rispondenti al potere esercitato. In altre parole se lo statuto dell’ente si esprime nel senso di revocare il presidente del consiglio in presenza di determinati ed evidenziati presupposti, le ragioni alla base della decisione assunta devono essere rese esplicite nella parte motiva dell’atto, in modo che si possa comprendere quali siano le ragioni che hanno condotto alla rimozione dalle funzioni presidenziali comprimento di relativo ius ad officium.

In terzo luogo, pur in presenza di un provvedimento a contenuto discrezionale, il sindacato del giudice amministrativo deve poter riscontrare l’eventuale manifesta illogicità del provvedimento di revoca nonché il travisamento dei fatti assunti a suo presupposto e fondamento. Una tale forma di sindacato è possibile attraverso l’esame della motivazione del provvedimento di revoca. In questo modo, il giudice può valutare la coerenza intrinseca dell’atto e le conseguenze che sono state tratte a partire dai fatti cosí come ricostruiti dall’esposizione degli eventi presente nel provvedimento consiliare.

In carenza di una motivazione coerente e consistente la deliberazione di revoca delle funzioni presidenziali è illegittima per eccesso di potere.

9. Conclusione.

L’esame della fattispecie della revoca del presidente del consiglio comunale ha evidenziato elementi di complessità che derivano in massima parte dal ruolo che il titolare del relativo ufficio è chiamato a svolgere nell’ámbito di una realtà, quella dell’amministrazione degli enti locali territoriali, che è profondamente mutata nel tempo.

Le motivazioni sovente addotte per addivenire alla revoca delle funzioni presidenziali dimostrano che, come al solito, le ragioni della politica spesso non si sposano con quelle della buona amministrazione, della quale sono elemento essenziale l’imparzialità ed il buon andamento espressamente previsti dall’art. 97 Cost..

Il ruolo di primus inter pares riconosciuto al presidente del consiglio comunale in virtú del suo ruolo istituzionale richiede evidenti doti di equilibrio a garanzia di una par condicio che non può essere ridotta ad un mero leit motive.

Di qui la possibilità di estromissione coattiva di tutti quei soggetti che, male interpretando il proprio ruolo, arrecano danno alle istituzioni, che oggi piú che mai hanno bisogno di essere percepite siccome realmente orientate al bene comune e non alla logica del particulare.

Alla mancanza di sponsalità resa evidente dalla coltivazione della logica dell’ortus è proprio solo il divorzio istituzionale.

suum cuique tribuere… ci hanno sempre insegnato i classici con lezioni imperiture.

[un ringraziamento va al Dott. Italo Comelli, Vice Segretario generale della Città di Salsomaggiore Terme per taluni spunti di riflessione offerti all’attenzione dell’autore]


 

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* Segretario generale e Direttore generale della Città di Salsomaggiore Terme.


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