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Articoli e note

n. 1/2007 - © copyright

RICCARDO NOBILE*

La stabilizzazione del personale a tempo determinato
negli enti locali territoriali: l’art. 1, comma 558 della legge
27 dicembre 2006 n. 296 e le relative questioni interpretativo-applicative

horizontal rule

1. Introduzione.

La legge 27/12/2006 n. 296 (legge finanziaria 2007) ha consegnato agli interpreti un autentico monstre giuridico. E se a questi ultimi spetta il tuttaltro che agevole compito di interpretarla, sugli operatori di settore grava l’onere ben più gravoso di applicare le norme che da essa sono desumibili.

Con i suoi milletrecentosessantaquattro commi – il numero è di evidente fastidiosa rappresentabilità lessicale – essa ha preteso di disciplinare pressoché tutto l’universo mondo del consorzio civile [1].

Ma come tutti quei soggetti che pretendono di fare chiarezza ad ogni costo “ad angolo giro”, anche in questo caso il legislatore non ha affatto colto nel segno.

La chilometrica lunghezza dell’articolato legislativo, infatti, va a discapito della sua chiarezza rappresentativa, con la conseguenza che esso diviene palesemente inefficace ed inefficiente: i suoi contenuti si fanno spesso complessi e sovente autoreferenziali, avvitandosi su se stessi fino a divenire anticomunicativi.

Una tale evenienza si configura proprio in relazione ad uno degli aspetti piú salienti in materia di personale: la cosiddetta “stabilizzazione” del personale precario, da attuare mediante la trasformazione in rapporti lavorativi a tempo indeterminato dei contratti di lavoro subordinato a termine, con esclusione dei profili dirigenziali [2].

La formulazione lessicale della disposizione normativa che la prevede, infatti, pone non pochi problemi interpretativo-applicativi, perché circondata da spazî di ambiguità referenziale di cui si sarebbe fatto volentieri a meno.

Se “su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere [3], non meno vero è che su ciò, di cui non si può tacere, si deve parlare.

E proprio a tale complessa problematica giuridica, comprese le questioni delicate che essa genera, sono riservati i prossimi capitoli di questo lavoro.

2. La disposizione legislativa ed il suo raffronto con i valori costituzionali

Il riferimento d’obbligo in materia è, ovviamente, l’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/2006 n. 296.

Il suo testo prevede che “a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli enti di cui al comma 557 fermo restando il rispetto delle regole del patto di stabilità interno, possono procedere, nei limiti dei posti disponibili in organico, alla stabilizzazione del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché del personale di cui al comma 1156, lettera f), purché sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse si provvede previo espletamento di prove selettive [4].

Dall’esame della disposizione normativa si desume súbito la sostanziale bipartizione delle casistiche possibili, almeno nelle intenzioni del legislatore.

All’ipotesi di contratto a tempo determinato perfezionato a séguito dell’avvenuta effettuazione di “procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge”, infatti, si contrappone l’opposta evenienza in cui si è in presenza di “personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse”.

Le due ipotesi sono differenti sia per i presupposti che delineano, sia per le conseguenze che da essi derivano.

In presenza di contratti di lavoro a tempo determinato cui si è pervenuti previo espletamento di “procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge”, l’ente locale può, ove lo ritenga, addivenire alla “stabilizzazione del personale”, costituendo il relativo rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Per contro, se il rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato è stato perfezionato “mediante procedure diverse”, è preclusa la trasformazione diretta,  ed ad essa l’ente può procedere solo “previo espletamento di prove selettive”.

La ragione della bipartizione prevista dal legislatore è ovvia [5].

Il nuovo rapporto lavorativo cui è possibile addivenire a séguito della “stabilizzazione” è una evidente ipotesi di assunzione all’impiego, per la quale l’art. 97, comma 3 Cost. prevede il ricorso alla concorsualità, salvi i casi stabiliti dalla legge [6].

L’art. 97, comma 3 Cost., per la verità, non è l’unica disposizione costituzionale rilevante in subiecta materia.

Ad essa si affiancano gli artt. 97, comma 1, 51, comma 1 e 98, comma 1 Cost., secondo i quali “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”, posto che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvi i casi stabiliti dalla legge”, “tutti i cittadini […] possono accedere agli uffici pubblici […] in condizione di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge” e che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.

Ad essi si affiancano i commi 1 e 2 dell’art. 3 Cost., i quali introducono e consolidano nell’ordinamento, il principio di eguaglianza, a sua volta fondamento del principio costituzionale di ragionevolezza.

Con queste premesse, è di tutta evidenza che l’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/2006 n. 296 ha dovuto tenere conto necessariamente nell’ineludibilità dell’elemento della concorsualità, considerandola imprescindibile o al momento dell’originaria stipulazione dei contratti a tempo determinato oggetto di attuale “stabilizzazione [7], ovvero propedeuticamente al suo perfezionamento.

Accanto al necessario rispetto dei suddetti valori costituzionali, il legislatore ha dovuto tenere in evidenza il divieto di trasformazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato nel suo analogon a tempo indeterminato previsto per i contratti di impresa dall’art. 5 del D.Lgs. 6/9/2001 n. 368 [8] e l’inapplicabilità del regime sanzionatorio previsto dagli artt. 27 e 69 del D.Lgs. 10/9/2003 n. 276 nel caso in cui, nei contratti d’impresa, il datore di lavoro privato utilizzi in modo scorretto le forme di lavoro flessibile a sua disposizione [9] [10].

Secondo la norma in questione, cui fa da pendent l’art. 36, comma 2 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165, infatti, è preclusa alla pubblica amministrazione la possibilità di trasformare il rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato in un rapporto a tempo indeterminato, cosí come, in modo del tutto conseguenziale, il lavoratore non ha azione per ottenere dal giudice ordinario alcun provvedimento ad effetti costitutivi idoneo a precostituire la suddetta trasformazione iussu iudicis [11].

Da quanto fin qui evidenziato si può concludere che la disciplina in materia di “stabilizzazione” del personale assunto dagli enti locali con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato non è in contrasto con i valori costituzionali e segnatamente con i principî dell’accesso al pubblico impiego mediante pubblico concorso e di ragionevolezza, quest’ultimo fondamento logico delle possibili deroghe al primo, salve le precisazioni di cui al prossimo paragrafo.

3.  L’analisi dei presupposti della “stabilizzazione

L’analisi dei presupposti della stabilizzazione dei lavoratori subordinati [12] già assunti o comunque in servizio a tempo determinato dagli enti locali territoriali deve essere condotta con particolare attenzione, per evitare equivoci e fraintendimenti generati da approccî superficiali e fuorvianti.

I presupposti che devono essere attentamente indagati sono di due tipologie ben differenti dal punto di vista concettuale.

I primi, infatti, riguardano il dato meramente lessicale, ed attengono alla rappresentazione degli elementi costitutivi della fattispecie enunciata dal legislatore.

I secondi, per contro, riguardano piú da vicino le ragioni logico-sistematiche della vicenda, e fanno riferimento alla ratio dell’azione intrapresa dal legislatore.

In relazione agli elementi di natura lessicale può essere fatto riferimento alla formulazione dell’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/2006 n. 296, per verificare che essi riguardano elementi di computo piuttosto che tipologie di soggetti bene individuati.

Piú in dettaglio, la fattispecie fa riferimento, disgiuntamente, a personale non dirigenziale, in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29/9/2006, ovvero  che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della Legge 27/12/2006 n. 296. La “stabilizzazione” di tale personale a tempo determinato può essere realizzata a condizione che esso sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge, ovvero, per il personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse, previo espletamento di prove selettive.

L’analisi del primo sottogruppo di prerequisiti non è particolarmente complessa, anche se talune delle ipotesi previste non sono di agevole comprensione.

In primo luogo, la “stabilizzazione” può essere effettuata solo per il personale non ascritto alla qualifica dirigenziale [13].

Da ciò si desume che il solo personale interessato ai presenti fini è quello che appartiene alle cosiddette “categorie professionali”, che, nel comparto contrattuale degli enti locali, è disciplinato, a partire dalla seconda tornata contrattuale, dal c.c.n.l. 31/3/1999, dal c.c.n.l. 1/4/1999, dal c.c.n.l. 14/9/2000, dal c.c.n.l. 5/10/2001 e dal c.c.n.l. 22/1/2004.

Si tratta, come è noto, del personale ascritto alle categorie professionali A), B), C) e D) previste dalla contrattazione collettiva nazionale di comparto, identificato nei profili professionali esemplificativamente indicati dall’all. A) del c.c.n.l. 31/3/1999.

In secondo luogo, della “stabilizzazione” può beneficiare il personale “in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge”.

In relazione a questo secondo prerequisito deve essere osservato che nelle tre ipotesi, disgiuntivamente previste dall’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/2006 n. 296 [14], tutti i termini legislativamente indicati sono connessi a specifici elementi di razionalità e ragionevolezza, anche se, nei contenuti, non sempre condivisibili.

Il primo, ossia la durata triennale, anche non cumulativa, del pregresso rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato, è in stretta connessione con il termine di tre anni previsto in modo generalizzato per i contratti a termine dall’art. 4, comma 1 del D.Lgs. 6/9/2001 n. 368 [15].

La norma, com’è noto, prevede la durata massima triennale del rapporto de quo e comunque la sua non protraibilità oltre a tale termine, a pena del pagamento di specifiche maggiorazioni stipendiali a carico del datore di lavoro e, nei casi estremi, della trasformazione del rapporto lavorativo a tempo determinato in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato previa conversione del primo nel secondo [16].

L’esigenza sottesa alla norma è evidente. La durata massima triennale del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato è una logica conseguenza dei presupposti legislativamente previsti per addivenirvi. L’art. 1, comma 1 del D.Lgs. 6/9/2001 n. 368, infatti, prevede per tabulas che “è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, mentre il suo comma 2 rafforza il concetto evidenziando che “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma l”.

Se queste sono le premesse, è di tutta evidenza che il riferimento a contratti a termine di durata ultra triennale è un chiaro índice ed indizio dell’abuso dello strumento contrattuale de quo da parte della pubblica amministrazione e degli enti locali in particolare. A questo proposito, infatti, v’è da domandarsi come si concilii il ricorso al contratto di lavoro subordinato a termine con le “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” previste in via generale dall’art. 1, comma 1  D.Lgs. 6/9/2001 n. 368 e soprattutto dall’art. 7 del c.c.n.l. 14/9/2000 [17].

Questa osservazione, a parte lo sconcerto che sottende, è utile perché fonda una specifica linea interpretativa dell’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/2006 n. 296, che esclude che si possa addivenire alla “stabilizzazione” dei rapporti di lavoro subordinato a termine costituiti in attuazione dell’art. 90 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 [18].

La disposizione è ulteriormente, ma forse volutamente, ambigua in relazione alla collocazione temporale dei contratti a tempo determinato in predicato di “stabilizzazione”.

Il suo contenuto lessicale, infatti, è estremamente ampio. Posto che dell’utilità in esame può beneficiare il personale “in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi”, e che l’ente locale può procedervi “a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge”, ossia dall’1/1/2007, ne segue che sono oggetto di possibile “stabilizzazione” tutti i  rapporti a termine in corso dopo tale data, a partire dal momento in cui si è concretizzato il prerequisito della loro durata triennale anche non continuativa. E ciò – si badi bene – anche sommandoli a periodi contrattuali iniziati e conclusi in tempi non particolarmente recenti [19].

In conclusione, la norma de qua è tutta proiettata nel futuro, dovendo l’interprete porsi il problema della durata triennale, anche non continuativa, solo al momento in cui l’ente locale decide di addivenire alla “stabilizzazione” del rapporto di lavoro subordinato a termine [20].

Il secondo, ossia la maturazione della durata triennale anche non continuativa in relazione a contratti a termine stipulati prima del 29/9/2006, è chiaramente riferito al momento dell’intervenuta approvazione del disegno di legge governativo della legge finanziaria da parte del Consiglio dei Ministri [21].

La funzione dell’individuazione di un termine “a data certa” è sempre esercizio di buona tecnica legislativa, anche se è di tutta evidenza che introduce elementi di apparente sperequazione soprattutto quando la mancata sua maturazione avviene per brevi lassi di tempo [22].

Per questa seconda ipotesi di “stabilizzazione” valgono le medesime considerazioni sviluppate in precedenza. Rispetto alla precedente, essa è ancora piú pro futuro, perché consente di recuperare rapporti lavorativi a termine, la cui attivazione è recente [23].

Il terzo, ossia che il personale a tempo determinato che vi è interessato sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore all’1/1/2007, è l’unica per la quale può essere pensata ragionevolmente un’applicazione immediata.

In questo caso, infatti, il legislatore ha fatto riferimento a rapporti lavorativi a termine di durata certa, anche non continuativi, purché nell’ámbito di un quinquennio a ritroso a far data dall’1/1/2007.

Questa è l’unica ipotesi in cui il presupposto della “stabilizzazione” è costituito da rapporti lavorativi a termine conclusi, per la quale ha senso parlare di attualità dell’esito stabilizzante, sempre che, beninteso, di essa si facciano carico la programmazione triennale del fabbisogno di personale e la sua specifica annualità riferita all’esercizio 2007.

L’analisi del secondo sottogruppo di prerequisiti, ossia delle modalità alla cui stregua perfezionare la “stabilizzazione”, richiede qualche approfondimento proprio in considerazione delle conseguenze che dalla formulazione dell’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/2006 n. 296 parrebbero desumibili, in relazione al rispetto dei valori costituzionali indicati dall’art. 97, comma 3 Cost..

La disposizione in esame, infatti, prevede espressamente che la “stabilizzazione” può interessare personale a tempo determinato “purché sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse si provvede previo espletamento di prove selettive”.

Cosí come formulata, la disposizione in esame esprime contenuti aberranti e, per giunta, in netto contrasto con l’art. 97, comma 3 Cost. [24].

Non deve essere dimenticato che il contratto di lavoro subordinato a termine è pur sempre una forma di accesso all’impiego, per il quale è prevista la modalità concorsuale, salvi i casi previsti dalla legge.

Ciò consente di concludere che la disposizione de qua è sicuramente costituzionalmente corretta solo in relazione alla sua prima parte, in quanto l’originario accesso all’impiego, sia pure a tempo determinato, è comunque avvenuto previo superamento di un vero e proprio concorso, salvi i casi in cui l’avviamento all’impiego sia avvenuto prescindendone secondo specifiche previsioni di legge.

Le due ipotesi previste dalla prima parte della norma esauriscono le modalità di accesso all’impiego, in quanto il concorso nella sua forma tradizionale non è piú l’unica forma di reclutamento possibile.

Ciò può essere evidenziato osservando che il combinato disposto degli artt. 88, 92 e 110 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 e 35, 36 e 36 bis del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165 non esclude la possibilità di procedere ad assunzioni a tempo determinato mediante altri strumenti, purché costituiscano meccanismi  “oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire”.

Da ciò si desume che la previsione di modalità di stipulazione di contratti a termine che prescindono da selezioni concorsuali è assolutamente pletorica e ridondante, in quanto manca nell’ordinamento la possibilità di individuarne il presupposto a pena di incappare in insormontabili problemi di coerenza con i valori costituzionali previsti dal combinato disposto degli artt. 3, 51, 97 e 98 Cost..

4. “Stabilizzazione ed incarichi a supporto degli organi di governo

Resta da chiarire se nell’ámbito di applicazione dell’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/2006 n. 296 rientrino anche i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato per il reclutamento di personale dipendente esterno a supporto degli organi di governo.

L’ipotesi è prevista e disciplinata dall’art. 90 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, e prevede che “il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla Legge, costituiti da dipendenti dell'ente, ovvero, salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato, i quali, se dipendenti da una pubblica amministrazione, sono collocati in aspettativa senza assegni.  Al personale assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali […]” [25].

In questa ipotesi è indubbio che si sia in presenza di contratti di lavoro subordinato a termine. Dubbio, per contro, è che tali forme di contratto siano oggetto di possibile “stabilizzazione”.

Nei confronti dell’ipotesi in esame è facile contrapporre almeno due differenti orientamenti, l’uno favorevole, l’altro diametralmente opposto all’utile conseguimento dell’auspicato esito stabilizzante.

A favore della tesi orientata alla possibilità di esito stabilizzante concorrono almeno due argomenti.

In primo luogo, il legislatore non ha introdotto nella formulazione dell’art. 1, comma 558 della Legge  27/12/2006 n. 296 elementi testuali che consentano di differenziare in alcun modo le tipologie possibili di contratti di lavoro subordinato a termine in funzione del loro contenuto.

In secondo luogo, quando il legislatore ha avvertito il bisogno di escludere gli incarichi di natura politica da forme di “stabilizzazione” ne ha lasciato traccia testuale. Ciò è avvenuto nel successivo comma 560, in materia di riserva non inferiore al 60% a favore delle co.co.co. in presenza della bandizione di contratti di lavoro subordinato a termine [26].

Da ciò si desume ex cathedra, a contrario ed a fortori a minori ad maius che è possibile la “stabilizzazione” di contratti di lavoro subordinato a termine stipulati ai sensi dell’art. 90 del D.lgs. 18/8/2000 n. 267, purché in presenza di una delle ipotesi previste dall’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/2006 n. 296.

A favore della tesi avversa all’esito stabilizzante milita piú semplicemente, ma in modo decisamente piú pregnante, la ratio legis.

Il fine della “stabilizzazione” è quello di riportare nella dotazione organica dell’ente locale il personale stabilmente operante con contratti a termine, ossia – per usare un’immagine plastica di immediato contenuto rappresentativo – addivenire alla “stabilizzazione della flessibilità”, almeno in una delle sue forme possibili [27].

Sono chiaro indizio di ciò l’individuazione  della tipologia contrattuale di lavoro flessibile e la durata del relativo rapporto, che non può essere inferiore a tre anni, sia pure nell’ultimo quinquennio.

È evidente, con queste premesse, che la ratio legis dell’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/296 n. 296 è quella di conferire stabilità a rapporti lavorativi che si sono protratti spesso ben oltre il termine  triennale previsto dall’art. 4, comma 1 del D.Lgs. 6/9/2001 n. 368, e quindi in situazioni di illegalità.

A tutto ciò è estranea la motivazione che sorregge l’attivazione degli incarichi ex art. 90 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, i quali sono formalizzati per esigenze meramente contingenti, connesse ad uno specifico programma di governo, e che nessuna attinenza hanno con la dotazione organica dell’ente locale.

A tali rapporti sono, inoltre, estranee le finalità di ordine “tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” previste dall’art. 1, comma 1 del D.Lgs. 6/9/2001 n. 368, con la conseguenza che l’art. 90 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 si configura quale lex specialis rispetto alla legge generale di cui il primo è materializzazione in subiecta materia.

Per tutti questi assorbenti motivi, la fattispecie delineata dall’art. 90 del D.Lgs. 18/8/2000 è estranea alle finalità stabilizzanti previste dall’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/2006 n. 296.

5. La procedura di “stabilizzazione

La procedura da seguire per addivenire alla “stabilizzazione” dei rapporti lavorativi a termine deve tenere conto di un duplice ordine di fattori.

In primo luogo, l’individuazione dei percorsi da seguire in funzione di ciascuna delle tre ipotesi previste dell’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/2006 n. 296 [28].

In secondo luogo, l’inserimento delle suddette procedure negli usuali percorsi di definizione del fabbisogno triennale del personale e di rimodulazione della dotazione organica.

Proprio in relazione a tale ultima evenienza è bene anteporre alla trattazione dello sviluppo dei percorsi da seguire per conseguire gli esiti stabilizzanti un breve riferimento alle nozioni di “programmazione triennale del fabbisogno di personale” e di “dotazione organica” e “contingente di personale”.

Con “dotazione organica”, si fa riferimento, da sempre, all’estensione quali-quantitativa del fabbisogno di personale che una data pubblica amministrazione evidenzia in un determinato momento storico e del quale abbisogna per assicurare il conseguimento dei proprî fini istituzionali.

Alla “dotazione organica”, in tal modo, è propria una notazione non semplice, ma almeno duplice.

In primo luogo, una connotazione di tipo organizzativo. Per consentire lo standard di ottimalità della propria azione, l’ente locale necessita di un determinato quantitativo di personale a tempo indeterminato. In assenza di una dotazione organica adeguata, infatti, esso non è in grado di precostituire quell’elemento personale della propria azienda per pensare di poter disimpegnare l’esercizio efficace ed efficiente delle funzioni amministrative di spettanza, e quindi lo specifico programma di governo.

L’organizzazione ed il suo assetto, infatti, sono serventi rispetto alla realizzazione del programma di governo [29], cosí come ad esso è la determinazione del fabbisogno triennale del personale.

In secondo luogo, una connotazione tipicamente autorizzatoria. L’ente locale è autorizzato, e quindi legittimato, a procedere ad assunzioni fino a concorrenza del numero e per la tipologia dei profili contenuti nella propria dotazione organica, che, in questo modo, finisce con l’essere il titolo ed il limite all’incrementazione del proprio quantitativo di dipendenti assunti a tempo indeterminato, ossia del proprio contingente, nell’ámbito, beninteso, della programmazione triennale ed annuale delle assunzioni.

La dotazione organica, con queste premesse, enuclea un’evenienza di non trascurabile importanza. Se correttamente intesa, infatti, la sua estensione è intimamente ed inscindibilmente connessa con l’effettività dell’azione della pubblica amministrazione in termini di buon andamento, assicurando, almeno in potenza, l’attualità del valore costituzionale espresso dall’art. 97, comma 3 Cost..

Per contro, con il termine “contingente”, si intende il numero dei dipendenti effettivamente strutturati ed incardinati a tempo indeterminato nell’organizzazione della pubblica amministrazione in un dato momento storico.

Con queste premesse, il contingente del personale è il dato presupposto effettivamente suscettibile di valutazione economica utile per quantificare l’effettiva incidenza dei costi del personale, e quindi il termine di raffronto per il giudizio di efficienza ed economicità dell’azione della pubblica amministrazione in quel determinato momento storico.

La dotazione di personale è espressamente prevista dall’art. 6, comma 1 del D.Lgs. 31/3/2001 n. 165, che la connette esplicitamente alla “verifica degli effettivi fabbisogni [di personale]”, prevedendo la relazione sindacale della mera consultazione delle organizzazioni sindacali [30] [31], e demandandone l’approvazione agli organi di governo [32].

La programmazione triennale del fabbisogno di personale ha stretta attinenza con il rapporto fra dotazione organica e contingente del personale, ed è espressamente menzionata dall’art. 35, comma 4 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165 e dall’art. 89, comma 5 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 165.

Essa, infatti, individua i termini nei quali viene incrementato il contingente di personale nell’unità di tempo triennale, nei limiti quali-quantitativi previsti dalla rispettiva dotazione organica.

L’effettuazione di qualunque assunzione all’impiego a tempo indeterminato, pertanto, presuppone l’avvenuto completamento della determinazione o della rideterminazione, alternativamente o cumulativamente, sia della dotazione organica, sia della programmazione triennale del fabbisogno di personale.

Con queste premesse, è di tutta evidenza che il ricorso alla “stabilizzazione” del personale a tempo determinato non può, né deve trasformare l’ente locale in un “assumificio”, ma presuppone un’attenta analisi di business processes reenginearing, e quindi un’attenta disamina che analizzi i margini di miglioramento dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità dell’organizzazione e dei relativi processi organizzativo-applicativi dell’ente locale, nella prospettiva non di assumere a qualunque costo il personale flessibile, ma di affrancarsi definitivamente dal ricorso alla flessibilità [33], soprattutto quando diviene evidente che il ricorso ai rapporti lavorativi flessibili è sovente attuato in modo scorretto, illegale ed aziendalmente fuorviante [34].

Quanto appena evidenziato ha uno specifico e puntuale riferimento nell’art. 1, comma 557 della Legge 27/12/2006 n. 296, il quale prevede che “gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale, garantendo il contenimento della dinamica retributiva e occupazionale, anche attraverso la razionalizzazione delle strutture burocratico-amministrative”.

Con queste premesse è ora possibile individuare i percorsi che l’ente locale deve seguire per addivenire alla “stabilizzazione” dei rapporti lavorativi a termine come previsto dall’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/2006 n. 296.

In primo luogo, deve essere attentamente soppesata ed analizzata l’effettiva esigenza di personale in relazione all’ottimale svolgimento delle funzioni amministrative dell’ente nel momento storico in cui vi procede. Tale analisi, che non esclude, ma anzi include il monitoraggio e la verifica dei processi gestionali ed organizzativi dell’ente, deve essere compiuta per l’arco di un periodo di tre anni.

In secondo luogo, deve essere formalizzata la programmazione triennale del fabbisogno di personale e, conseguentemente, deve essere ridefinita la dotazione organica attivando le relazioni sindacali previste dall’art. 6, comma 1 del D.Lgs. 30/3/2001 m. 165.

In questo momento devono essere attentamente definite le modalità di ingresso a tempo indeterminato. Ciò significa che l’organo di governo, cui è demandata l’approvazione degli atti de quibus, deve prevedere  per ciascuno dei tre anni in cui l’analisi del fabbisogno si articola, il numero delle assunzioni a tempo indeterminato da attuare e le modalità di assunzione all’impiego, e quindi le tipologie di pubblici concorsi, le eventuali riserve alle progressioni verticali [35] ed il ricorso alle “stabilizzazioni” dei rapporti lavorativi a termine.

In terzo luogo, deve essere posto in relazione il percorso stabilizzante con ciascuna delle tre ipotesi previste dall’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/2006 n. 296, allo scopo di individuare in quale anno effettuare la  “stabilizzazione”, in funzione della realizzazione del presupposto della maturazione del triennio di durata del contratto a termine.

In quarto luogo, deve essere adottato lo specifico atto datoriale costitutivo degli effetti stabilizzanti da parte del dirigente competente in relazione all’organizzazione propria e tipica di ciascun ente locale che intende procedervi.

La “stabilizzazione”, infatti, è un atto con il quale viene gestito il rapporto di lavoro a temine del dipendente che vi è interessato, per la quale opera la specifica competenza dirigenziale ai sensi del combinato disposto degli artt. 5, comma 2 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165 e 89, comma 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Ultimo, ma non meno importante, è evidenziare che nessuna “stabilizazione” di personale a tempo determinato è possibile se l’ente locale non ha rispettato il patto di stabilità per l’esercizio 2006, qualora vi fosse tenuto.

Quest’ultima, infatti, è una specifica forma di accesso all’impiego ed ha natura giuridica di una vera e propria assunzione, per la quale operano in via generale le preclusioni previste dall’art. 1, comma 561 della Legge 27/12/2006 n. 296.

Diverso è il caso degli enti locali che nel 2006 non fossero assoggettati al rispetto del patto di stabilità, ossia i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, le comunità montane e le unioni di comuni [36].

Per questi enti vale il disposto dell’art. 1, comma 562 della legge 27/12/2006 n. 296.

Essi, pertanto, possono procedere all’assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno, ivi compreso il personale interessato alla “stabilizzazione” del rapporto di lavoro a termine secondo le previsioni del precedente comma 558. Ciò nel rispetto del limite ineludibile del tetto di spesa dell’esercizio 2004 per le spese di personale in generale “al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali”.

Il limite in argomento opera non “per teste”, ma in relazione alla spesa, come i desume con chiarezza dalla lettera della disposizione e dalla ratio legis ad essa sottesa.

La disposizione normativa in esame non chiarisce se sia possibile procedere alla “stabilizzazione” nel caso in cui il triennio di durata dei contratti a termine sia stato maturato in enti locali differenti.

A questo proposito, infatti, la disposizione fa esplicito riferimento alla possibilità di realizzare l’effetto stabilizzante da parte degli enti di cui al precedente comma 557, senza specificare in alcun modo se sia positivamente apprezzabile una pluralità di periodi maturati in enti differenti.

La norma, a ben vedere, evoca una trasformazione di un rapporto lavorativo a termine ontologicamente unitario, il quale presuppone la continuità dei soggetti che lo costituiscono e la permanenza nel tempo delle medesime prestazioni dedotte in obbligazione.

Ciò consente di concludere che la “stabilizzazione” del rapporto a termine è possibile solo quando esso conserva i medesimi soggetti fra i quali esso è stato originariamente costituito, sempre che l’oggetto del contratto stesso sia rimasto immodificato nel periodo minimo previsto dalla norma [37].

Il riferimento d’obbligo è costituito dall’identità delle prestazioni dedotte in obbligazione nell’accezione fornita dall’art. 3, comma 2 del c.c.n.l. 31/3/1999 in materia di determinazione dell’oggetto del contratto di lavoro in relazione al grado della loro esigibilità.

 

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* Segretario Generale e Direttore Generale di Enti locali. Esperto di Diritto del Lavoro.

[1] Volutamente ho evitato di rappresentare il numero di commi in questione more matematico.

[2] L’esclusione dei rapporti lavorativi a tempo determinato che riguardano i dirigenti contrattualizzati dalla possibilità di “stabilizzazione” è una specifica scelta del legislatore.

[3] Wittgenstein (L.), Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino, 1961. Osservo, in modo del tutto incidentale, che l’autore citato è particolarmente severo nei confronti del linguaggio poco chiaro, mostrando che, quasi sempre, i piú complessi problemi filosofici che da tempo immemore  attanagliano l’uomo sono relegati nell’ámbito del puro non sense. Certo la legge finanziaria per l’esercizio 2007 è ben lungi dal condividere la profondità che connota il pensiero filosofico. Ciò, tuttavia, deve fare attentamente riflettere sulla profondità dell’ingegno dei suoi estensori.

[4] Nel corso del presente lavoro, si trascura volutamente l’ipotesi prevista dall’art. 1, comma 1156, lett.  f) della legge 27/12/2006 n. 296, cui rimanda il comma 558. Di essa, tuttavia, per completezza, si riporta il testo “in deroga a quanto disposto dall’articolo 12, comma 4, del decreto legislativo 1º dicembre 1997, n. 468, e limitatamente all’anno 2007, i comuni con meno di 5.000 abitanti che hanno vuoti in organico possono, relativamente alle qualifiche di cui all’articolo 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, e successive modificazioni, procedere ad assunzioni di soggetti collocati in attività socialmente utili nel limite massimo complessivo di 2.450 unità. Alle misure di cui alla presente lettera è esteso l’incentivo di cui all’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81. Agli oneri relativi, nel limite di 23 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2007, si provvede a valere sul Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, che a tal fine è integrato del predetto importo”.

[5] Come sarà evidenziato nel prosieguo, la seconda ipotesi è destinata a rimanere allo stato larvale, giacché nell’ordinamento non sono previste possibilità di addivenire ad assunzioni a tempo determinato se non previa selezione, da attuare con mezzi oggettivi e procedure trasparenti.

[6] Sul principio dell’indefettibilità del pubblico concorso quale forma di accesso al pubblico impiego si è formata una giurisprudenza assolutamente granitica e monolitica della Corte Costituzionale. Per tutte, a partire dagli anni ’90, si vedano: Corte Cost. 21/1/1999 n. 1, in www.lexitalia.it, 1999, Corte Cost. 22/4/1999 n. 141, in www.lexitalia.it, 1999, Corte Cost. 16/5/2002 n. 194, in www.lexitalia.it, 2002, Corte Cost. 29/5/2002 n. 218, in www.lexitalia.it, 2002, Corte Cost. 23/7/2002 n. 373, in www.lexitalia.it, 2002, Corte Cost. 27/3/2003 n. 89, in www.lexitalia.it, 2003, Corte Cost. 24/7/2003 n. 274, in www.lexitalia.it. 2003,  Corte Cost. 26/1/2004 n. 34, in www.lexitalia.it, 2004, Corte Cost. 3/3/2006 n. 81, in www.lexitalia.it, 2006.

[7] Il previo superamento di prove selettive non è stato ritenuto necessario quando l’originaria assunzione a tempo determinato è avvenuta in base a specifiche norme di legge. È questa l’ipotesi delle assunzioni a tempo determinato perfezionate mediante avvio tramite collocamento, per la quale, a ben vedere, un principio di selettività è tuttaltro che assente.

Sulla vicenda, sia consentito rinviare, per la delineazione di un quadro esaustivo, a Nobile (R.), L’accesso ai pubblici impieghi mediante pubblico concorso e le sue deroghe nella giurisprudenza della Corte costituzionale, con particolare riferimento agli enti locali territoriali, in www.lexitalia.it, 2004.

[8] Tale vicenda è stata considerata costituzionalmente legittima da Corte Cost. 27/3/2003 n. 89, in www.lexitalia.it, 2003, per la quale sia consentito rinviare a Nobile (R.), Il contratto di lavoro a tempo determinato negli enti locali in relazione al divieto di conversione a tempo indeterminato dopo la sentenza della Corte Costituzionale 13 marzo 2003 n. 89, in www.lexitalia.it, 2003.

[9] Su punto, sia consentito rinviare a Nobile (R.), Dalla fornitura di lavoro temporaneo alla somministrazione di lavoro a tempo determinato. Un’applicazione agli enti locali territoriali del principio di flessibilità del rapporto di lavoro dopo il D.Lgs. 10/9/2003 n. 276, in www.lexitalia.it, 2004.

[10] Sulla vicenda è intervenuta la Corte di giustizia CE, sez. II, con sentenza 7/9/2006 nel corso del procedimento di infrazione C53-04, secondo la quale “alla luce delle considerazioni che precedono, si deve risolvere la questione sollevata dichiarando che l'accordo quadro deve essere interpretato nel senso che esso non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall'utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un'altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico”. Identica nel contenuto è la sentenza in pari data emessa nel corso del procedimento di infrazione C180-04. Le sentenze citate sono riprodotte in www.iuritalia.it, ed ivi disponibili per la loro consultazione.

[11] Ubi ius, ibi actio: poiché che l’azione processuale è la proiezione formale della pretesa sostanziale vantata dall’attore nel processo, è di tutta evidenza che l’assenza del diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato non genera alcuna azione volta ad altrimenti costituire il rapporto a tempo indeterminato. La conseguenza di ciò è che il lavoratore non è titolare né dell’interesse al ricorso, né della legittimatio ad causam: ubi nullus ius, ibi nulla actio, per l’appunto.

[12] Giova rammentare che sono lavoratori subordinati solo quei lavoratori il cui rapporto lavorativo è riconducibile al combinato disposto degli artt. 2086, 2094 e 2104 c.c.. Tali non sono né i collaboratori saltuarî ed occasionali, né i collaboratori coordinati e continuativi, i quali sono lavoratori autonomi nell’accezione fornita dagli artt. 2222, 2228 e 2238 c.c.. Il riferimento, neppur tanto velato, è agli specifici rapporti di collaborazione saltuaria ed occasionale ed alle collaborazioni coordinate e continuative, denominate con curioso acronimo di derivazione avicola “co.co.co.”, previsti dall’art. 409, comma 1, num. 3 c.p.c., evocati dall’art. 1, comma 2 del D.Lgs. 10/9/2003 n. 276 in relazione ai suoi artt. da 61 a 69 e, da ultimo, dall’art. 7, comma 6 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165 nel testo modificato dall’art. 32, comma 1 del D.L. 4/7/2006 n. 223 convertito con modificazioni nella Legge 4/9/2006 n. 248, e fatti oggetto di chiarificazione dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione pubblica 4/7/2004 n. 4, intitolata “collaborazioni coordinate e continuative. Presupposti e limiti alla stipula dei contratti. Regime fiscale e previdenziale. Autonomia contrattuale”, ribadita e precisata dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione pubblica 21/12/2006 n. 5, che contiene le “linee di indirizzo in materia di incarichi esterni e di collaborazioni coordinate e continuative”.

Ciò è vero al punto che la cosiddetta “stabilizzazione delle co.co.co.”, si è risolta nella pura e semplice previsione di una riserva del 60% a loro favore nel caso in cui l’ente locale intenda procedere ad assunzioni a tempo determinato, come previsto dall’art. 1, comma 560 della legge 27/12/2006 n. 296. Ciò, beninteso, nel rispetto dei titoli specifici previsti per i posti da ricoprire! Come stabilizzazione non v’è che dire, dal momento che da una forma di precariato si passa ad un’ulteriore forma di instabilità lavorativa. Ma forse il disegno del legislatore non è cosí imperscrutabile. Il lavoratore autonomo co.co.co. può divenire lavoratore subordinato a tempo determinato, sempre che superi la prova selettiva per la quale gode di una riserva del 60%, salvo poi essere oggetto di “stabilizzazione” secondo le previsioni della prima ipotesi dell’art. 1, comma 558 della legge. Davvero una bella corsa ad ostacoli, non c’è che dire.

[13] Il personale dirigenziale, cui fa riferimento in modo indistinto l’art. 19 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165 in relazione ai cómpiti ed alle funzioni, è regolato, per il comparto contrattuale degli enti locali, dal c.c.n.l. 10/4/1996, dal c.c.n.l. 27/2/1997, dal c.c.n.l. 23/12/1999, dal c.c.n.l. 12/2/2002, dal c.c.n.l. 7/5/2002 e dal c.c.n.l. 22/4/2006.

[14] La presenza di tre ipotesi alternative fra di loro determina súbito il problema della configurabilità di un ordine prioritario fra di esse. La questione non è di poco conto, né dal punto di vista concettuale, né in relazione al grado di vincolo all’azione dell’ente locale “stabilizzatore”. Segnalo il problema, soprattutto in relazione ai rischî di applicazioni compiacenti. Il tema è caro alla coscienza sociale mediamente strutturata; peccato che ciò sfugga - come pare sia sfuggito - al legislatore. A questo proposito osservo che se lo stupore e la meraviglia sono una delle ragioni del progresso della scoperta scientifica (Popper, La logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino, 1964), essi non possono lasciare il passo allo sconcerto, giacché esso non è fondamento di niente.

[15] Il testo della disposizione normativa è il seguente: “il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni”.

[16] Nei rapporti lavorativi iure privatorum il lavoratore a tempo determinato ha azione giurisdizionale per ottenere comunque la conversione del contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato. L’azione ha contenuto costitutivo, cosí come la pronuncia del giudice in forza del principio di necessaria corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato secondo quanto previsto dall’art. 112 c.p.c..

[17] L’art. 7 del c.c.n.l. 14/9/2000, come noto, contiene la disciplina contrattuale del contratto di lavoro subordinato a termine alle dipendenze degli enti locali, prevedendo le relative fattispecie e differentemente modulando la conseguenziale sua durata caso per caso.

[18] Il testo dell’art. 90 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, rubricato “Uffici di supporto agli organi di direzione politica” prevede che “Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell'ente, ovvero, salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato, i quali, se dipendenti da una pubblica amministrazione, sono collocati in aspettativa senza assegni. Al personale assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali. Con provvedimento motivato della giunta, al personale di cui al comma 2 il trattamento economico accessorio previsto dai contratti collettivi può essere sostituito da un unico emolumento comprensivo dei compensi per il lavoro straordinario, per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale”.

[19] La disposizione normativa è davvero un bell’esempio di ambiguità. L’insondabile saggezza degli organi di governo dell’ente locale può pensare di ricorrere a questa fattispecie sommando periodi di tempo che si perdono nella notte dei tempi e, qualora non sufficienti per giungere ai tre anni, stipulare un contratto a termine ad hoc per realizzare il presupposto legislativo.

[20] A questo punto, è evidente che la norma si presta ad attivazioni ed utilizzazioni ad personam”.

[21] Questo modo di procedere è già stato sperimentato in relazione al blocco degli incrementi delle addizionali I.R.Pe.F. attuato con la legge finanziaria per l’esercizio 2003.

[22] In questo senso, e solo in questo senso, non sono condivisibili le lamentazioni di Oliveri, Stabilizzazione dei precari nel pubblico impiego e problemi di costituzionalità, in www.lexitaalia.it, 2007, ed i toni utilizzati per darvi corpo. È evidente che è insita nell’apposizione di termini il fatto che le situazioni di vantaggio che una determinata evenienza concretizza possano vanificarsi. Su tale generiche evidenziazioni, tuttavia, prevale e deve prevalere il principio della certezza dei rapporti giuridici, che deriva al nostro ordinamento per tradizione romanistica.

[23] Le prime due ipotesi delineate dall’art. 1, comma 558 della Legge 27/12/2006 n. 296 rendono evidente la carenza dell’attualità della”stabilizzazione” tanto strombazzata. La verità è che gli auspicati effetti stabilizzanti potranno realizzarsi solo in esercizî finanziarî successivi al 2007, con buona pace del convincimento indotto in vere e proprie pletore di lavoratori precarî alle dipendenze degli enti locali.

[24] Questa è la precisazione evocata nel precedente paragrafo, relativa al raffronto del contenuto dell’art. 1, comma 558 della legge 27/12/2006 n. 296 con i valori costituzionali.

[25] La norma viene utilizzata nella prassi con particolare disinvoltura, perché ritenuta strettamente ancorata all’intuitus personae. Sulla base di tale premessa, si giunge a ritenere che i vertici degli organi di governo possano stipulare contratti a tempo determinato al di fuori di qualunque previa selezione, senza onere di motivazione e senza previa pubblicizzazione dell’intenzione di addivenirvi. È evidente che un tale modo di procedere non ha alcun fondamento nel diritto positivo, e costituisce un malaccorto tentativo di trasformare lo spoil system in un fatto assolutamente personale, per non dire personalistico. A ciò, qualche mente illuminata cerca di sopperire attivando fantasiose procedure pseudoconcorsuali condotte tramite richiesta di curricula. La pretesa di obiettività è, anche in questo caso, di pura fantasia, poiché non esiste nel nostro ordinamento alcun obbligo di “previa certificazione del curriculum”. Se a ciò si aggiunge che la scelta o non viene motivata, o che la motivazione è di puro stile, è di tutta evidenza che la scelta del soggetto in questione è del tutto arbitraria. Per convincersi di ciò, basta osservare ed indagare quel che accade nella scelta del segretario comunale e provinciale da parte del sindaco e del presidente della provincia.

[26] Il testo dell’art. 1, comma 560 della legge 27/12/2006 n. 296 prevede che “per il triennio 2007-2009 le amministrazioni di cui al comma 557, che procedono all’assunzione di personale a tempo determinato, nei limiti e alle condizioni previste dal comma 1-bis dell’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel bandire le relative prove selettive riservano una quota non inferiore al 60 per cento del totale dei posti programmati ai soggetti con i quali hanno stipulato uno o più contratti di collaborazione coordinata e continuativa, esclusi gli incarichi di nomina politica, per la durata complessiva di almeno un anno raggiunta alla data del 29 settembre 2006”.

[27] L’ente locale ha a disposizione una pluralità di strumenti per attuare momenti di flessibilità lavorativa nella propria organizzazione. Per convincersi di ciò, basta fare riferimento ai primi otto articoli del c.c.n.l. 14/9/2000, opportunamente reinterpretati mediante il testo del D.Lgs. 10/9/2003 n. 276.

[28] Come certamente si ricorderà, delle tre ipotesi solo la terza fa riferimento a rapporti contrattuali a termine conclusi, consentendo di procedere alla loro stabilizzazione già a partire dall’esercizio 2007. Le restanti ipotesi sono tali da consentire la realizzazione del loro presupposto, ossia la durata triennale del rapporto lavorativo a termine, in esercizî successivi al 2007. È evidente che tutto ciò ha ripercussioni sull’individuazione dell’annualità del programma triennale del fabbisogno di personale nella quale indicare il ricorso alla “stabilizzazione”.

[29] Per lo sviluppo di queste notazioni, sia consentito rinviare a Nobile (R.), Le relazioni sindacali negli enti locali, EDK Editore, Torriana [RN], 2006, pag. 22, 23 e 26.

[30] Nobile (R.), Le relazioni sindacali negli enti locali, EDK Editore, Torriana [RN], 2006, pag. 162, 163 e 164.

[31] A tale forma di relazione fa riferimento anche l’art. 1, comma 579 della legge 27/12/2006 n. 296, il quale, con pessima tecnica legislativa, ne evoca la loro audizione, senza specificarne il contenuto e la forma.

[32] Della dotazione organica si occupa per relationem l’art. 88 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 ed implicitamente lo stesso art. 1, comma 558 della legge 27/12/2006 n. 296.

[33] La BPR dovrebbe essere attentamente valutata dagli enti locali territoriali. Essa consiste nell’analisi dei processi che da un input conducono ad un output, soppesando i percorsi procedurali e le linee di azione seguite dall’ente. Il valore aggiunto dell’intera operazione, che è laboriosa e sovente dolorosa, evidenzia il costo in termini di impegno umano e professionale per realizzare l’output a partire dall’input dato. Essa smaschera spesso percorsi circolari, ripetizioni di procedure, inutili “colli di bottiglia”, censori inutili, sacche di potere occulto. Tali evenienze, se non conosciute, monitorate e governate conducono alla richiesta di nuovo personale, che, ovviamente, viene adibito proprio allo svolgimento di attività inutili, ma costose. Il suo esito è la riduzione della complessità dei processi, la diminuzione dei costi, la redistribuzione del personale, il ridimensionamento dei centri di potere informale, la corretta rappresentazione del contenuto della responsabilità dirigenziale, e, talvolta, l’evidenziazione di esuberi di personale.

[34] Credo, a questo punto, che debba essere chiaramente enunciato che per la pubblica amministrazione, e quindi anche per gli enti locali territoriali, deve valere il rapporto che civilisticamente connette la figura dell’imprenditore all’azienda.  La pubblica amministrazione è un’organizzazione che eroga servizî alla collettività, e nel conseguire tale sua mission deve ispirare la propria azione organizzativa e gestionale al requisito della professionalità come vuole l’art. 2082 c.c.. In questo senso, i suoi organi di governo ed i suoi vertici gestionali devono dimensionare ed organizzare professionalmente gli elementi della sua azienda nell’accezione indicata dall’art. 2555 c.c.  in modo da orientarli funzionalmente alla realizzazione del programma di governo e quindi all’efficace, efficiente ed economica erogazione dei servizî che ne derivano. Un’attenzione particolare deve essere prestata alla corretta calibratura delle esigenze di personale, soprattutto a tempo indeterminato, nella consapevolezza che la pubblica amministrazione immobilizza costi a carico della collettività e che i suoi apparati devono essere orientati alla produzione e non all’assunzione a qualunque costo. In questo senso, il mantenimento di organici sovra dimensionati o, peggio ancóra, fuori controllo deve divenire momento di verifica della professionalità del dirigente che ciò acconsente, il quale, giova rammentarlo, è non solo gestore di risorse e di processi, ma anche e soprattutto, loro organizzatore, come chiaramente indicato dall’art. 5, comma 2 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165. Un moderno sistema di valutazione permanente deve necessariamente assumere il fattore organizzativo quale suo elemento baricentrico. È evidente che tutto ciò presuppone la rivendicazione di uno specifico ruolo della dirigenza ed una conseguenziale sua reale autonomie dall’ingerenza del potere politico attuata tramite gli organi di governo.

[35] Sulle progressioni verticali, sia consentito rinviare a Nobile (R.), Le progressioni verticali quali mezzo di accesso all’impiego alle dipendenze dei Comuni. Brevi cenni sulle progressioni verticali attuabili nel 2006, in www.lexitalia.it, 2006.

[36] La disposizione rilevante in materia è l’art. 1, comma 138 della Legge 23/12/2005 n. 266 “Ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica e a modifica di quanto stabilito per il patto di stabilità interno dall’articolo 1, commi da 21 a 41, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, i comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti e le comunità montane con popolazione superiore a 50.000 abitanti concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2006-2008 con il rispetto delle disposizioni di cui ai commi da 139 a 150, che costituiscono princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione. Limitatamente all’anno 2006, le disposizioni di cui ai commi 139 e 140 non si applicano ai comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti”.

[37] È quindi esclusa la possibilità che alla “stabilizzazione” del rapporto a termine si accompagni la novazione oggettiva di parte dei contenuti contrattuali che corrono alla realizzazione del presupposto della previa sua triennalità complessiva.


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