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RICCARDO NOBILE
Art. 50, comma 10 ed art. 110, comma 6 del D.Lgs.
18 agosto 2000
n. 267:
il conferimento di funzioni dirigenziali, di alta specializzazioni e di
collaborazioni esterne
fra contraddizioni apparenti e necessità di coerenza sistematica
1. Introduzione.
Come noto, la coerenza è un valore imprescindibile di ogni sistema che sia sorretto da razionalità, e vale a maggior ragione per quei sistemi che intendono ispirarsi a logicità e stringenza nel trarre conclusioni da premesse.
La notazione non è né deve apparire peregrina od oziosa, giacché un sistema che ammette al proprio interno anche una sola contraddizione rende possibile trarre al suo interno qualsivoglia conclusione possibile. In questi termini e solo per queste ragioni, l’assenza di coerenza e di consistenza è fondamento logico dell’indecidibilità del sistema, il che è come dire che la presenza di un’aporia al suo interno è di per sé condizione sufficiente della sua apeiria.
Una situazione di questo tipo pare configursi in presenza di tre disposizioni normative, presenti all’interno del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, il quale, contenendo la disciplina organica del funzionamento degli enti locali, deve essere sorretto proprio da coerenza e consistenza sistematica.
Il riferimento è ai suoi artt. 50, comma 10, 109 e 110, che disciplinano le modalità di nomina e di conferimento di incarichi da parte del sindaco e del presidente della provincia mediante il ricorso alla tecnica del combinato disposto, accostando ad una norma sulla competenza due disposizioni che hanno ad oggetto il contenuto possibile degli atti che essi sono o parrebbero legittimati ad essere competenti ad adottare.
2. L’art. 50, comma 10: una norma sulla competenza.
L’art. 50, comma 10 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 appartiene senza ombra di dubbio alla specie delle disposizioni normative che esprimono norme sulla competenza. Il suo oggetto, infatti, è costituito da una norma che legittima un ben specificato soggetto dell’ordinamento all’adozione di uno o piú atti o provvedimenti di preposizione ad un ufficio determinato, rinviando esplicitamente ad altre disposizioni normative all’unico fine di meglio connotare e sostanziare il contenuto di questi ultimi.
L’art. 50, comma 10 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 esprime in definitiva una norma ascrittiva di competenza ad un organo specifico, il soggetto legittimamente preposto al quale può in tal modo adottare gli atti ed i provvedimenti relativi, imputandoli direttamente all’ente nel quale è immedesimato organicamente.
Piú in dettaglio, la disposizione normativa ripetutamente richiamata prevede che “il sindaco e il presidente della provincia nominano i responsabili degli uffici e dei servizi, attribuiscono e definiscono gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna secondo i criteri stabiliti dagli articoli 109 e 110, nonché dai rispettivi statuti e regolamenti comunali e provinciali”.
Come è facilmente intuibile, la norma de qua ascrive al sindaco ed al presidente della provincia la specifica competenza alla preposizione di soggetti determinati ad altrettanto specificatamente determinati ufficî, generando e sostanziando in tal modo un preciso nesso di immedesimazione organica che consente a questi ultimi di essere immessi nella titolarità delle funzioni dirigenziali previste dagli art. 107 e 109 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.
Maggiormente problematico è il rinvio esplicito all’art. 110 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, il quale costituisce per gli enti locali uno strumento per dare attuazione al principio di flessibilità organizzativa.
L’osservazione non è di poco conto, giacché nell’art. 110 è inserita una disposizione normativa che ha ad oggetto rapporti di collaborazione esterna ad alto contenuto di professionalità per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, norma che è completamente estranea alla logica sottesa all’art. 2094 c.c., secondo cui “è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore” ed agli artt. 2086 e 2104 c.c..
Il riferimento, neppur tanto velato, è agli specifici rapporti di collaborazione saltuaria ed occasionale ed alle collaborazioni coordinate e continuative, denominate con curioso acronimo di derivazione avicola “co.co.co.”, previsti per tabulas dall’art. 409, comma 1, num. 3 c.p.c., evocati dall’art. 1, comma 2 del D.Lgs. 10/9/2003 n. 276 in relazione ai suoi artt. da 61 a 69 e, da ultimo, dall’art. 7, comma 6 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165 nel testo modificato dall’art. 32, comma 1 del D.L. 4/7/2006 n. 233 convertito con modificazioni nella legge 4/8/2002 n. 248, e fatti oggetto di chiarificazione dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione pubblica 4/7/2004 n. 4, intitolata alle “collaborazioni coordinate e continuative. Presupposti e limiti alla stipula dei contratti. Regime fiscale e previdenziale. Autonomia contrattuale”.
La necessità evocata di enucleare un’interpretazione che garantisca l’approdo ad un prodotto sistematico coerente e consistente degli artt. 50, comma 10, 109 e 110 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 interessa proprio l’ultima delle fattispecie menzionate, pósto che non è affatto evidente se il sindaco e il presidente della provincia possano essere davvero attori ex se dell’attribuzione e della definizione di collaborazioni esterne. A questo proposito, infatti, non possono certamente sfuggire almeno due ordini di considerazioni.
In primo luogo, tali incarichi di collaborazione presuppongono la stipulazione di un contratto, la competenza funzionale ad addivenire al quale è ascritta a soggetti titolari di funzioni dirigenziali secondo quanto previsto dall’art. 107, comma 3, lett. c) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.
In secondo luogo, l’art. 7, comma 6 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165 nel testo modificato dall’art. 32, comma 1 del D.L. 4/7/2006 n. 233 convertito con modificazioni nella legge 4/8/2002 n. 248, essendo rubricato “contratti di collaborazione”, rafforza la tesi favorevole alla competenza funzionale dirigenziale in ordine alla loro stipulazione nel momento in cui prevede, fra l’altro, una sorta di procedura paraconcorsuale per addivenirvi.
A ciascuno dei due oggetti di rinvio esplicito esperito dall’art. 50, comma 10 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 sarà riservata un’apposita partizione nel prosieguo del lavoro.
3. La nomina dei responsabili degli ufficî e dei servizî e l’attribuzione e la definizione degli incarichi dirigenziali.
Il primo oggetto di rinvio esplicito esperito dall’art. 50, comma 10 del D.Lgs. 18/8/2000 interessa direttamente lo ius ad officium, ossia la preposizione di soggetti a vario titolo strutturati nell’organizzazione dell’ente locale, perché ad esso avvinti da nesso di dipendenza, ad ufficî organicamente immedesimati nell’ente stesso, affinché il prodotto della loro attività possa essere imputato direttamente a quest’ultimo.
Questo primo caso interessa direttamente il principio di immedesimazione organica ed è direttamente connesso all’immanente previsione ordinamentale del principio di separazione fra attività di programmazione e controllo, ascritta funzionalmente agli organi di governo, e l’attività di gestione, analogamente ascritta ai titolari di funzioni dirigenziali nell’accezione fornita dal combinato disposto degli artt. 107 e 109 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.
Il principio, come noto, è una diretta conseguenza dell’ulteriore principio di buon andamento dell’attività della pubblica amministrazione, espresso dall’art. 97, comma 3 Cost., il quale sostanzia una specifica garanzia a che l’azione amministrativa sia effettivamente e nei fatti funzionalizzata al miglior conseguimento del pubblico interesse.
Quanto all’ipotesi oggetto del presente paragrafo, giova rammentare che il dato normativo prevede espressamente che “il sindaco e il presidente della provincia nominano i responsabili degli uffici e dei servizi, attribuiscono e definiscono gli incarichi dirigenziali […] secondo le modalità ed i criteri stabiliti dagli articoli 109 e 110 [del D.Lgs. 18/8/2000 n. 165] nonché dai rispettivi statuti e regolamenti comunali e provinciali”.
Per le ragioni che saranno meglio elucidate nel paragrafo successivo, l’oggetto del rinvio esplicito contenuto nell’art. 50, comma 10 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 riguarda, ai presenti fini, il solo art. 109, ossia la disposizione normativa che ha a riferimento il conferimento delle funzioni dirigenziali, a prescindere dalla connotazione giuridica del rapporto lavorativo di tipo subordinato.
Gli incarichi dirigenziali sono attribuiti e conferiti nel rispetto delle previsioni del regolamento per la disciplina degli ufficî e dei servizî previsto dall’art. 48, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, il quale deve essere raccordato, per ragioni di completezza e coerenza sistematica, con le norme generali che riguardano il contenuto degli incarichi dirigenziali secondo la disciplina dell’art. 19, commi 1, 5 e 10 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165.
Gli incarichi di funzioni dirigenziali sono attribuiti e determinati in relazione all’organigramma ed al funzionigramma dei quali ogni ente locale deve dotarsi, talché il loro contenuto, che può essere di line o di staff, deve tenere conto necessariamente della ripartizione della struttura negli ufficî di massima dimensione e/o delle eventuali ulteriori sub-ripartizioni che gli organi di governo intendessero trattenere alla propria potestà organizzativa, interpretando in tal modo il combinato disposto degli artt. 2, comma 1 e 5, comma 1 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165, i quali fanno riferimento agli ufficî non di massima – notazione di carattere assoluto -, ma di maggiore – notazione di carattere relativo - dimensione. Tali disposizioni, infatti, prevedono che “le amministrazioni pubbliche definiscono […] le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi …” e che esse “assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l’attuazione dei principi di cui all’art. 2, comma 1 e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa”, ispirandosi ai principî di efficacia, efficienza ed economicità.
Ciò concorre a rendere evidente che l’esercizio della potestà organizzativa ed i relativo prodotto sono realtà formalizzate e che l’organizzazione degli ufficî e dei servizî, in quanto strettamente connessa con l’imputazione all’ente locale del prodotto e delle conseguenze dell’azione amministrativa, ha a sua volta natura formale e non di mero fatto.
Come si può agevolmente notare, il conferimento delle funzioni dirigenziali è strettamente connesso con una pluralità di variabili indipendenti, che si danno contingentemente nella singola realtà locale, e che sono riconducibili a non meno di tre elementi.
In primo luogo, la specifica connotazione della singola struttura amministrativa, esito dell’esercizio della potestà organizzativa attribuita agli organi di governo in modo del tutto simile a quanto accade per il privato imprenditore, per il quale è normativamente sempre chiaro il nesso strumentale che connette l’esercizio dell’attività di impresa all’organizzazione dell’azienda secondo l’accezione che deriva dal combinato disposto degli artt. 2082 e 2555 c.c..
In questo modo è evidente che agli organi di governo spetta la potestà incedibile ed inabdicabile di delineare quanto meno la cosiddetta “prima linea organizzativa”, facendo in tal modo coincidere la maggiore dimensione con la massima dimensione organizzativa, lasciando alla dirigenza l’esercizio dei poteri di organizzazione delle unità organizzative di minor dimensione da attuare con i poteri del privato datore di lavoro secondo le previsioni dell’art. 5, comma 2 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165 e dell’art. 89, comma 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.
Gli organi di governo, peraltro, possono trattenere a sé la delineazione anche delle ulteriori “linee organizzative”, restringendo il tal modo lo spettro della potestà organizzativa altrimenti demandata alla dirigenza di primo livello.
In secondo luogo, il nesso strumentale dell’organizzazione del singolo ente locale rispetto agli “obiettivi indicati nel programma amministrativo del sindaco o del presidente della provincia”, nei termini desunti per tabulas dall’art. 109, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.
A questo proposito, è evidente che l’organizzazione dell’ente locale non è una “realtà statica” che si dà necessariamente quasi fosse un prodotto meta-storico o trascendente, ma diviene, al contrario, una “realtà dinamica”, e come tale insofferente alla logica datata dei modelli uniformi, che finivano con l’irrigidirla, vanificando l’evidenza della sua preordinazione alla realizzazione di una specifica “vision organizzativa” e dei conseguenziali valori sottesi.
In terzo luogo, la particolare debolezza delle relazioni sindacali che afferiscono all’esplicazione dei poteri organizzativi della pubblica amministrazione, rendendo con ciò particolarmente evidente che il cosiddetto “fatto organizzativo”, attiene all’esercizio di una potestà specifica ascritta ad altrettanto specifici attori, la quale non tollera contaminazioni e confusioni di ruolo connesse a forme deviate di gestione consociativa. Il riferimento è all’art. 6, comma 1 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165, il quale prevede il ricorso ai presenti fini alla mera consultazione sindacale, ossia ad una relazione sindacale che si sostanzia nell’enunciazione delle linee organizzative che l’ente locale intende perseguire, ossia del contenuto del regolamento per la disciplina degli ufficî e dei servizî, dell’organigramma e del relativo funzionigramma, nella loro comunicazione alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative ed alle r.s.u., e nell’acquisizione della loro opinione anche senza particolari formalità, fermo restando che l’ente locale può comunque procedere liberamente all’adozione delle proprie determinazioni una volta completato tale percorso relazionale.
Il conferimento delle funzioni dirigenziali previsto dal combinato disposto degli art. 50, comma 10 e 109 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 è pertanto intrinsecamente connesso ad uno specifico nesso di presupposizione di carattere servente che lega l’organizzazione di maggiore dimensione dell’ente locale e le conseguenziali direttive organizzative impartite ai dirigenti ai programmi di governo enunciati dal sindaco o dal presidente della provincia. Il tutto nell’ámbito di quello che può essere definito a buon titolo “principio di anarchia dei modelli organizzativi” con la conseguenza che essi divengono “modelli a geometria variabile” in relazione sia alla macro-organizzazione, sia alla micro-organizzazione, entrambe implementate dai relativi funzionigrammi perché sorretti da uno specifico nesso teleologico “di mezzo a fine” nei termini appena evidenziati.
Del tutto marginale è che il conferimento delle funzioni dirigenziali di cui all’art. 109 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 sia effettuato nei confronti di dipendenti ascritti alla qualifica dirigenziale piuttosto che all’area delle categorie professionali, in qualità di titolari di posizione organizzativa ai sensi del combinato disposto del suo comma 2 e degli artt. 8 ed 11 del c.c.n.l. 31/3/1999.
L’esercizio delle funzioni dirigenziali, infatti, si atteggia in modo sostanzialmente identico in entrambe le ipotesi, ancorando l’azione gestionale e la relativa performance all’esito del conseguimento di specifici obiettivi declinati nel Piano Esecutivo di Gestione ovvero in altri strumenti di programmazione sub-primaria di competenza della giunta dell’ente locale.
4. L’attribuzione e la definizione degli incarichi di collaborazione esterna.
Il secondo oggetto di rinvio esplicito esperito dall’art. 50, comma 10 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 riguarda gli “incarichi di collaborazione esterna” e quindi, in modo del tutto conseguenziale, il successivo art. 110.
Il riferimento alla disposizione normativa da ultimo citata introduce uno specifico elemento di possibile instabilità sistematica, giacché, a fronte di un atteggiamento monolitico e roccioso operato dal legislatore, ossia il riferimento in blocco ad un’intera disposizione normativa, si cela la necessità di enucleare una specifica linea interpretativa ortopedica e sanificante, che eviti la configurazione di aporie normative, e quindi l’indecidibilità dell’intero sistema.
Quanto appena evidenziato può essere mostrato osservando che l’art. 110 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 è specificazione del principio di flessibilità organizzativa in modo non semplice, ma duplice.
In primo luogo, consentendo all’ente locale di ricorrere al reclutamento di dirigenti, responsabili degli ufficî e dei servizî, nonché di qualifiche di alta specializzazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a termine, nell’accezione fornita dalla normativa di diritto comune e con i temperamenti previsti dalla normativa specifica di settore.
In secondo luogo, rendendo possibile il ricorso alle prestazioni coordinate e continuative, ossia alle co.co.co., secondo il combinato disposto degli art. 110, comma 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 e dell’art. 7, comma 6 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165 nel testo modificato dall’art. 32, comma 1 del D.L. 4/7/2006 n. 233 convertito con modificazioni nella legge 4/8/2002 n. 248, rubricato “contratti di collaborazione”, nonché a forme di collaborazione “saltuaria ed occasionale”, secondo la definizione fornita dall’art. 61, comma 2 del D.Lgs. 10/9/2003 n. 276, entrambe caratterizzate del ricorso a soggetti estranei all’ente locale perché in esso non incardinati.
È proprio il riferimento a tale ultima forma di reclutamento flessibile a rendere instabile il sistema normativo, giacché non è affatto chiaro se il sindaco o il presidente della provincia possa attribuire e definire ex se gli incarichi di collaborazione de quibus.
La disposizione normativa in esame esibisce un’evidente ámbito di opacità referenziale, dovuta al fatto che i rapporti di collaborazione esterna ad alto contenuto di professionalità sono formalizzati mediante contratti e che la competenza alla stipulazione dei quali segue la disciplina prevista dall’art. 107, comma 3, lett. c) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.
Una tale evenienza collide insanabilmente con il dato letterale di cui all’art. 50, comma 10 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, rendendo necessario il ricorso ad un’interpretazione che trascenda il mero dato sintattico, per affermare piú pregnanti valori di coerenza e consistenza sistematica.
Un valido aiuto è offerto sicuramente dalla lettura dell’art. 110, comma 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, letto in combinato disposto con l’art. 7, comma 6 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165 nel testo modificato dall’art. 32, comma 1 del D.L. 4/7/2006 n. 233 convertito con modificazioni nella legge 4/8/2002 n. 248, il quale riconduce a sistema le notazioni elaborate dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione pubblica 4/7/2004 n. 4.
La sistematica cosi delineata deve essere completata con il riferimento all’art. 1, commi 11 e 42 della legge 30/12/2004 n. 311 in materia di incarichi di studio, ricerca o consulenze, peraltro mantenute in vigore dall’art. 1, comma 9 della legge 23/112005 n. 266, per i quali è comunque previsto un regime “di conferimento aggravato”, cui concorrono soggetti estranei a quelli competenti all’adozione dei relativi atti di attribuzione e di spesa, oggi esteso a tutti gli enti locali per effetto del suo successivo comma 173.
Alla normativa appena richiamata si aggiungono le disposizioni normative di diritto comune, e precisamente gli art. 2230, 2229 2222 c.c., i quali hanno ad oggetto, rispettivamente, i contratti di lavoro autonomo con prestazione a contenuto prevalentemente intellettuale, i contratti di lavoro autonomo la cui prestazione è resa nell’esercizio di un’arte o una professione, ed i contratti di lavoro autonomo la cui prestazione è identificabile per esclusione a partire dalle precedenti fattispecie.
L’evidenziazione del complesso ordíto normativo cosí delineato è di particolare rilevanza perché aiuta a meglio definire il contenuto e la natura giuridica dei cosiddetti “incarichi di collaborazione esterna” e quindi l’individuazione del soggetto legittimato al loro conferimento, alla loro attribuzione ed alla conseguenziale determinazione del loro contenuto.
Le prestazioni riconducibili all’area di competenza semantica dell’art. 50, comma 10 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 possono avere ad oggetto incarichi a duplice contenuto, ossia incarichi che sono strumentali all’acquisizione di specifiche prestazioni di fare, piuttosto che all’acquisizione di prodotti consulenziali.
Quando non preordinati all’acquisizione di consulenze, gli incarichi di collaborazione esterna sono attivati per il conseguimento di una specifica prestazione di fare, e quindi di un opus, sostanziando un’obbligazione non di mezzi, ma di risultato, sia pure nel rispetto del relativo titolo negoziale, secondo le varie ipotesi indicate dagli art. 2222, 2229 e 2230 c.c..
Da ciò deriva immediatamente che gli incarichi di collaborazione esterna sostanziano fattispecie riconducibili alla significazione dell’art. 110, comma 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, i quali possono essere conferiti dal soggetto legittimato nel rispetto della procedura indicata dall’art. 1, comma 42 della legge 30/12/2004 n. 311 e con le ulteriori precisazioni desumibili dall’art. 1, comma 173 della legge 23/12/2005 n. 266. Essa, come noto, prevede una pluralità di passaggî, e precisamente l’adeguata motivazione, la verifica dell’impossibiltà di avvalersi di professionalità interne, l’acquisizione di una specifica valutazione da parte dell’organo di revisione contabile e la successiva trasmissione alla sezione regionale della Corte dei conti competente per territorio per i soli incarichi di importo eccedente i 5.000 Euro, come disposto dall’art. 1, comma 173 della legge 23/12/2005 n. 266.
La complessità ed il particolare sfavore con cui gli incarichi esterni de quibus sono visti dal legislatore deve indurre ad una seria analisi dei loro presupposti e del loro contenuto. Per entrambe le evenienze è di imprescindibile ausilio il contenuto della circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della Funzione pubblica 15/7/2004 n. 4, la quale recepisce gli orientamenti in subiecta materia espressi dalla Corte dei Conti ed anticipa quanto da ultimo disposto dall’art. 32, comma 1 del D.L. 4/7/2006 n. 233 convertito con modificazioni nella legge 4/8/2002 n. 248, che ha interamente riscritto a tal fine l’art. 7, comma 6 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165.
Gli incarichi de quibus sostanziano veri e proprî contratti di lavoro autonomo, secondo le indicazioni civilistiche e processual-civilistiche richiamate, e come tali escludono per definizione qualsivoglia vincolo di subordinazione gerarchica del soggetto incaricato, estraneando il relativo rapporto lavorativo dal dominio semantico degli artt. 2094, 2086 e 2104 c.c., con la conseguenza che esso non può essere incaricato della responsabilità gestionale di alcuna articolazione della struttura dell’ente locale conferente.
Tali ultime disposizioni assumono un ruolo primario in relazione alla connotazione del legame di dipendenza del lavoratore subordinato dal proprio datore di lavoro ed al potere direttivo di cui questi è titolare nei confronti di quello. Le norme fanno espresso riferimento ad una subordinazione gerarchica che, per sua natura, rappresenta un vincolo strettamente personale che si riflette, nella normalità dei casi, in una limitazione della sfera di azione del lavoratore.
Negli incarichi esterni di alta professionalità, per contro, non sono riflessi tali prerequisiti, pósto che essi si caratterizzano, quando non meramente “saltuarî ed occasionali”, per la loro continuità e per il vincolo di coordinamento funzionale tra l’opera del collaboratore e l’attività del committente, comportando una stretta connessione con le finalità istituzionali tipiche di quest’ultimo a prescindere dal loro contenuto specifico.
È appena il caso di ribadire che il prestatore di lavoro autonomo che rende all’ente locale prestazioni coordinate e continuative è estraneo a qualsiasi vincolo di subordinazione gerarchica, sia attiva, sia passiva, con la conseguenza che non può essere preposto a posizioni di responsabilità, non può impartire ordini e/o direttive al personale dell’ente e, piú genericamente, non può svolgere attività immediatamente imputabile all’ente che tali prestazioni commissiona. Il lavoratore de quo, per contro, deve ovviamente raccordare la propria attività con quella dell’ente locale, coordinandola con le esigenze operative di quest’ultimo, senza peraltro che tale vincolo servente lo ponga alle dipendenze e sotto la direzione di alcuno.
Quanto ai presupposti che legittimano il ricorso agli incarichi de quibus, essi possono essere identificati nella rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione, nell’impossibilità per l’amministrazione conferente di procurarsi all’interno della propria organizzazione le figure professionali idonee allo svolgimento delle prestazioni oggetto dell’incarico, da verificare attraverso una reale ricognizione, nella specifica indicazione delle modalità e dei criterî di svolgimento dell’incarico, nella sua temporaneità e nella proporzione fra compensi erogati all’incaricato e le utilità conseguite dall’amministrazione.
Con queste premesse, è di tutta evidenza che la necessità di ricorrere ad un incarico di collaborazione esterna, sia esso di collaborazione coordinata e continuativa piuttosto che saltuario ed occasionale, deve costituire un rimedio eccezionale per far fronte ad esigenze peculiari per le quali l’ente locale necessita dell’apporto di apposite competenze professionali estranee alle proprie disponibilità, anche tenendo conto dei percorsi di miglioramento di carriera previsti dall’art. 4 del c.c.n.l. 31/3/1999, sia pure con le pesanti limitazioni enucleate dalla giurisprudenza.
Come precedentemente accennato, la disciplina dei contratti di collaborazione esterna, definiti dall’art. 110, comma 6 del D.Lgs. 17/8/2000 n. 267 “ad alto contenuto di professionalità” è stata in parte ridefinita dall’art. 32, comma 1 del D.L. 4/7/2006 n. 233 convertito con modificazioni nella legge 4/8/2002 n. 248, che ha interamente riscritto l’art. 7, comma 6 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165, recependo ed ulteriormente irrigidendo la disciplina vigente cosí come interpretata dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della Funzione pubblica 15/7/2004 n. 4.
Ciò è avvenuto prevedendo che i contratti di lavoro autonomo, “di natura occasionale o coordinata e continuativa” possano essere conferiti solo a esperti di comprovata esperienza e solamente previa regolamentazione delle “procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”.
La conseguenza di tale ultima innovazione legislativa è che il conferimento degli incarichi de quibus deve essere preceduto dall’evidenziazione del reale ed argomentato bisogno di ricorrervi e dalla regolamentazione della procedura per addivenirvi, fermo restando che le procedure comparative da seguire devono consentire il reale raffronto degli elementi sui quali fondare la scelta del collaboratore. La norma, pertanto, affievolisce inevitabilmente il nesso fondato sull’intuitus personae, spesso invocato per tentare di accreditare la libertà nella scelta di vere e proprie pletore di collaboratori per finalità spesso poco commendevoli, con evidente danno per le finanze dell’ente e l’emergenza di possibili profili di responsabilità erariale.
In conclusione, il legislatore ha vieppiú definito il conferimento di incarichi esterni in termini di “contratti di lavoro autonomo”, ricalcando, nei contenuti, le previsioni dell’art. 409, comma 1, num. 3) c.p.c. in relazione alle co.co.co e degli artt. 2222, 2228 e 2230 c.c. in relazione alle prestazioni di lavoro autonomo in generale.
Tutto ciò ha importanti riflessi sull’individuazione del soggetto competente nell’ordinamento degli enti locali alla loro attribuzione, il quale, a questo punto, può essere individuato solo previo ricorso al un argomento interpretativo che trascenda il dato letterale del combinato disposto degli artt. 50, comma 10 e 110, comma 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.
A questo proposito è possibile configurare una specifica endiadi che connette a norme sul contenuto dei rapporti norme sulla competenza all’adozione dei provvedimenti che dei primi sono costitutivi.
In primo luogo, l’art. 50, comma 10 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 – norma sulla competenza – alla quale sono riferiti i conferimenti di incarichi di funzioni dirigenziali o di alta specializzazione a dipendenti avvinti da rapporto di lavoro subordinato nell’accezione fornita dall’art. 2094 c.c., a tempo indeterminato o determinato, ai sensi degli artt. 109 e 110, commi da 1 a 5.
In secondo luogo, l’art. 107, comma 3, lett. c) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 – norma sulla competenza – alla quale sono riferiti gli incarichi di “collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità” ai sensi dell’art. 110, comma 6.
In conclusione, il riferimento testuale agli incarichi di collaborazione esterna previsto dall’art. 50, comma 10 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 e riferito al successivo intero art. 110 non può comprendere nella propria area di significazione il suo comma 6.
Resta inteso che il ricorso all’art. 110, comma 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, letto nei termini precedentemente elucidati, riguarda i soli casi in cui l’avvalimento abbia ad oggetto “incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperi di comprovata esperienza”.
È di tutta evidenza, pertanto, che dal dominio semantico dell’art. 110, comma 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 sono esclusi gli incarichi che presuppongono l’avvalimento non di persone fisiche, ma di persone giuridiche o di soggetti pluri individuali in genere. In questa direzione, infatti, induce ad orientarsi il dato letterale dell’art. 32, comma 1 del D.L. 4/7/2006 n. 233 convertito con modificazioni nella legge 4/8/2002 n. 248, che fa riferimento a contratti di lavoro autonomo ed a null’altro da attuare mediante incarichi individuali.
Qualora il soggetto dell’incarico esterno sia una persona giuridica o comunque un soggetto che non sia persona fisica, fermo l’obbligo di argomentazione in termini di efficacia, efficienza ed economicità del ricorso al soggetto esterno, si è in presenza di un vero e proprio appalto di servizî, la cui disciplina è demandata oggi al D.Lgs. 12/4/2006 n. 163, nell’accezione fornita dal suo art. 3, comma 10 che utilizza la tecnica normativa della conventio ad exludendum o definizione per esclusione, rimandando all’elencazione contenuta nell’accluso allegato A) per l’identificazione della relativa fattispecie.
La logica conseguenza di quanto appena evidenziato è che, anche in questo caso, la sua attribuzione e definizione afferiscono alle competenze negoziali della dirigenza secondo quanto previsto dall’art. 107, comma 3, lett. c) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.