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Articoli e note

n. 7-8/2003

RICCARDO NOBILE
(Segretario generale e Direttore generarle del Comune di Muggiò – MI)

Dirigenti ed incarichi dirigenziali negli enti locali territoriali

fra giurisprudenza dei TT.AA.RR. e del Consiglio di Stato.

 

Dopo taluni recenti interventi della giurisprudenza amministrativa [1] in materia di conferimento di incarichi dirigenziali nei comuni e nelle province, diviene imprescindibile fare chiarezza sul ruolo dei vertici gestionali degli enti locali territoriali e sulle modalità di preposizione al relativo ufficio, anche in ragione delle smentite di cui si è fatto portatore di recente il Consiglio di Stato [2].

Come è noto, infatti, anche l’azione amministrativa degli enti locali territoriali è ispirata al principio di separazione fra attività di programmazione e controllo, affidata agli organi politici ed attività di gestione, affidata ai vertici dell’apparato burocratico che coincidono con la dirigenza, l’errata preposizione dei quali ai relativi ufficî genera fatalmente problemi non solo di tipo organizzativo, ma anche in ordine alla legittimità degli atti adottati.

Il riferimento alla dirigenza, peraltro, deve essere rettamente inteso, giacché esso deve essere inteso non tanto al ruolo, quanto piuttosto alla relativa funzione [3].

In questo senso, esso è pieno quando nell’ente locale è presente la dirigenza contrattualizzata, per la cui disciplina vige una specifica contrattazione collettiva nazionale di comparto [4]. Ove manca la dirigenza contrattualizzata, i cómpiti tipici della funzione dirigenziale sono assolti dai dipendenti appartenenti all’area delle posizioni organizzative [5] secondo quanto disposto dagli art. 107 e 109, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 e dagli artt. 8 e 11 del c.c.n.l. 31/3/1999, sempre che il capo dell’amministrazione ritenga di non avvalersi di quanto previsto dall’art. 97, comma 4, lett. d) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 [6] ovvero della possibilità monstre offerta dall’art. 23, comma 53 della legge 23/12/2000 n. 388, modificato dall’art. 29, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448 [7].

Come è noto, il conferimento di incarichi dirigenziali, presupposto per l’espletamento della relativa funzione, determina la costituzione di un nesso di immedesimazione organica del titolare dell’ufficio nell’ufficio stesso e quindi la piena legittimazione ope legis ad imputare direttamente all’ente gli effetti della propria azione, con ciò determinando che le manifestazioni di conoscenza, giudizio e di volontà (iure imperii e/o iure privatorum) siano non del soggetto che le rende, ma dell’ente nel quale egli è incardinato e quindi immedesimato [8], in quanto titolare di un ufficio determinato [9].

La materia del conferimento degli incarichi dirigenziali negli enti locali, e quindi della costituzione del nesso di immedesimazione organica appena evidenziato, è oggi disciplinata dagli artt. 50, comma 10, 107, 109 e 110 del D.Lgs 18/8/2000 n. 267 [10].

Dall’esame delle disposizioni normative appena evidenziate, delle quali sono specificazioni a livello locale i regolamenti per la disciplina degli ufficî e dei servizî [11], si evince che nel conferimento degli incarichi dirigenziali intervengono due distinti momenti, il primo dei quali è rappresentato da uno specifico rapporto di provvista, diretta derivazione della necessità che il dirigente sia comunque dipendente dell’ente locale e quindi attratto nella sua organizzazione.

Ciò può essere mostrato osservando che se si accetta che il rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione interessata alla depubblicizzazione è sostanzialmente omogeneo al proprio analogon privatistico, allora il dirigente non può che essere lavoratore subordinato nel senso voluto ed indicato dall’art. 2095 c.c., disposizione secondo cui “i prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti amministrativi o tecnici, impiegati e operai” [12].

Da tale premessa discende con tutta evidenza che la condizione necessaria per il conferimento delle funzioni dirigenziali è la presenza di un previo rapporto di subordinazione e di dipendenza con l’ente.

La condizione de qua, peraltro, è meramente necessaria, ma non sufficiente.

Oltre al previo rapporto di provvista rappresentato dall’esistenza di un vincolo di subordinazione occorre, infatti, l’adozione di uno specifico atto organizzativo: la preposizione all’ufficio dirigenziale da parte del capo dell’amministrazione, unico atto che esplica effetti costitutivi del nesso di immedesimazione organica di cui si è in precedenza discusso.

Dalla premesse sopra indicate discendono, ovviamente, precise conseguenze.

In primo luogo, il conferimento delle funzioni dirigenziali presuppone la stabilità del rapporto di provvista, ossia del rapporto di impiego, il quale, come è noto, può essere sia a tempo indeterminato, sia a tempo determinato.

In secondo luogo, la preposizione all’ufficio dirigenziale presuppone sempre l’adozione di uno specifico atto di organizzazione da parte del capo dell’amministrazione, nei termini previsti dall’art. 50, comma 10 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

In terzo luogo, le funzioni dirigenziali ordinamentalmente rilevanti sono quelle indicate dall’art. 107 del D.Lgs. 18.8.2000 n. 267, le quali proprio in quanto immanenti ad un’azione amministrativa organizzata per obiettivi e non per mere attività, sono unitarie, non frazionabili e quindi non parcellizzabili pena il loro snaturamento. Esse, in quanto logico presupposto della loro attività gestionale, sono esercitate normalmente da dirigenti contrattualizzati, ovvero, ove essi manchino in relazione alle dimensioni dell’ente locale, dai responsabili delle unità organizzative di massima dimensione [13], secondo quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 107 e 109, comma 2 del D.Lgs 18/8/2000 n. 267 e 8 e 11 del c.c.n.l. per il comparto Regioni – Autonomie locali del 31/3/1999, salve le eccezioni prima evidenziate [14]

In quarto luogo, gli incarichi dirigenziali possono essere conferiti, come del resto evidenziato di passaggio, a soggetti avvinti all’ente locale da rapporti lavorativi a tempo determinato, denominati dall’art. 110 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 “incarichi a contratto”.

La rubrica della disposizione lascia intendere che il capo dell’amministrazione può attribuire incarichi a contratto, ma nulla dice in termini espliciti sul contenuto generale dei contratti de quibus.

Ciò ha indotto taluna giurisprudenza a ritenere, in modo del tutto acritico [15], che l’art. 110 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 abbia ad oggetto sempre e solo incarichi dirigenziali, con la conseguenza che potrebbero essere costituiti rapporti dirigenziali anche al di fuori del vincolo di subordinazione e segnatamente mediante il ricorso a prestazioni coordinate e continuative “ per obiettivi determinati e con convenzioni a termine … (mediante il ricorso a) …. collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità”, come indicato testualmente dal comma 6 della disposizione in esame, che altro non è che una specificazione dell’art. 7 comma 6 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165.

La suggestione così rappresentata, a ben vedere, è del tutto priva del necessario supporto e fondamento giuridico.

Ciò può essere mostrato osservando che il comma 6 dell’art. 110 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 è la specificazione di una delle tipologie degli “incarichi a contratto” previsti dal comma 1, il quale opera un triplice riferimento alla “copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione”.

In questo senso, ferma restando la necessità di stipulare un apposito contratto di diritto pubblico, o eccezionalmente di diritto privato, entro i limiti del 5% specificatamente indicati dalla norma, nel rispetto dei “requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire”, non resta che concludere che il conferimento di funzioni dirigenziali è altra cosa rispetto alla stipulazione di convenzioni per il reclutamento di “collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità” funzionali alla realizzazione di “obiettivi determinati”.

Questa impostazione è stata condivisa dal Consiglio di Stato [16], il quale ha avuto modo di evidenziare che nell’ordinamento vige il principio della pienezza e della non frazionabilità delle funzioni dirigenziali, e che, pertanto, il ricorso agli incarichi di collaborazione esterna ad alta specializzazione deve essere circoscritto ad ipotesi di mera attività a supporto del dirigente, unico titolare della relativa funzione.

Gli obiettivi determinati cui fa riferimento l’art. 110, comma 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, pertanto, sono gli obiettivi tipici e topici ascritti al dirigente mediante il P.E.G. o altro strumento di programmazione subprimaria comunque formato dall’ente locale, ed è rispetto ad essi che diviene possibile astringere rapporti convenzionali ad alto contenuto di specializzazione, che assumono ruolo servente e strumentale rispetto all’attività del singolo dirigente [17].

Se così non fosse, infatti, le funzioni dirigenziali sarebbero “parcellizzate e destrutturate”, conducendo allo snaturamento di fatto una funzione che “mira a valorizzare le responsabilità dirigenziali sotto un profilo manegeriale, tendenzialmente unitario, e non a frammentarle” [18], invocando il principio di flessibilità spinto fino ai limiti della rottura ordinamentale.

Il principio di flessibilità, sovente invocato a sproposito per accreditare soluzioni eufemisticamente fantasiose per non dire di mero comodo, infatti, è sí momento per assicurare il buon andamento dell’azione della pubblica amministrazione nel senso voluto dall’art. 97 Cost., ma non può essere inteso al fine di accreditare rapporti dirigenziali al di fuori del vincolo di subordinazione, che deve essere costantemente presidiato al fine di evitare che la complessa partitura orchestrale dell’azione amministrativa di ciascun singolo ente locale sia diretta facendo uso di veri e proprî metronomi ad elastico, che battono un tempo non rigoroso ma estemporaneo.

Quanto alla conseguenza dell’attribuzione di incarichi dirigenziali a soggetti non dipendenti dall’ente locale nel senso voluto dall’art. 2095 c.c. e dall’art. 110, commi da 1 a 5 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, essa non è semplice, ma duplice.

Da un lato, l’atto comunque adottato dal mero collaboratore è viziato da incompetenza relativa e quindi annullabile in base ai principî generali.

Dall’altro, l’irregolare preposizione all’ufficio dirigenziale dà luogo al mancato versamento dei contributi previdenziali nella misura dovuta, con tutte le conseguenze che da ciò discendono sul piano sanzionatorio.

 

[2] Cons. Stato, sez. V,  5 marzo 2003 n. 1212, in www.giustizia-amministrativa.it, 2003.

[3] In questo modo, ciò che un dirigente può fare, denota e connota en e pour l’ordinamento ciò che il dirigente è. Ciò può essere meglio reso evidenziando che l’insieme delle singole attribuzioni dirigenziali altro non è se non il fascio delle regole eidetico-costitutive che ne individuano i confini dell’esistenza istituzionale.

[4] La contrattazione di cui si discetta è articolata in una complessa stratificazione di fonti di regolazione, e precisamente il c.c.n.l. del 10/4/1996, i c.c.n.l. del 12/6/1996, il c.c.n.l. del 27/2/1997, il c.c.n.l. del 23/12/1999, il c.c.n.l. del 12/2/2002 ed il c.c.n.l. del 7/5/2000.

[5] Sull’evoluzione del principio di separazione fra attività degli organi politici ed attività di gestione, si veda Nobile, Aspetti organizzativi dell’attività di gestione negli enti locali territoriali: l’evoluzione storica dell’istituto fra pensamenti e ripensamenti del legislatore, in www.lexitalia.it.

[6] Questa norma consente al capo dell’amministrazione di conferire direttamente al Segretario comunale o provinciale la titolarità di ufficî o servizî, ovvero di qualsiasi altra funzione. Sull’intera vicenda, si può utilmente consultare Glinianski, Gli atti di conferimento di funzioni dirigenziali al personale degli enti locali, Noccioli, Firenze, 2003.

[7] Sul modello organizzatorio introdotto dalla legge 23/12/2000 n. 338 e ripreso con pervicace ostinazione dalla legge 28/12/2001 n. 448, si vedano Nobile, Piccoli comuni e responsabili dei servizi fra il d.lgs. 18/8/2000 n. 267 e la legge 23/12/2000 n. 388: una querelle mai sopita, in www.lexitalia.it e Nobile, Piccoli comuni e responsabili dei servizi fra mostri mostri giuridici ed innovazioni legislative: repetita non iuvant, in www.lexitalia.it.

[8] Sul principio di immedesimazione organica si vedano Virga, Diritto amministrativo. I principi. 1, Giuffrè, Milano, 1989, 4; Romano (A), Teoria dell’organizzazione amministrativa, in (AA. VV.), Diritto Amministrativo, Monduzzi, Bologna, 1993, 420.

[9] L’ufficio al quale si fa qui riferimento è da intendersi come sinonimo di insieme o fascio di competenze istituzionalmente proprie di una determinata partizione dell’organizzazione della pubblica amministrazione.

In questo modo, è del tutto evidente la polisemia di “ufficio”. Il sintagma, infatti, índica, e quindi denota e connota, sia un’articolazione organizzativa della pubblica amministrazione, sia l’insieme delle competenze, e quindi degli elementi che costituiscono la legittimazione dell’azione lecita e legittima del suo titolare.

[10] L’ordito normativo attualmente vigente è sostanzialmente identico a quello delineato dall’art. 51 dalla legge 8/6/1990 n. 142, così come modificato ed integrato dall’art. 6 della legge 15/3/1997 n. 127 e dall’art 2 della legge 16/6/19989 n. 191.

L’unica differenza fra i due ámbiti normativi è data dal fatto che mentre la devoluzione delle funzioni dirigenziali al vertice burocratico dell’ente locale nella vigenza della legge 8/6/1990 n. 142 presupponeva l’adozione di una specifica modifica statutaria e regolamentare, a partire dalle innovazioni introdotte dalla legge 15/3/1997 n. 127 il trasferimento delle funzioni de quibus avviene ope legis, anche se non è mancata qualche pronuncia che ha opinato di contrario avviso come Cons. Stato sez. V, 23 giugno 2003 n. 3717, in www.lexitalia.it n. 7/8-2003, con commenti di L. Oliveri e di C. Saffioti. Sull’intera vicenda, Nobile, Aspetti organizzativi dell’attività di gestione negli enti locali territoriali: l’evoluzione storica dell’istituto fra pensamenti e ripensamenti del legislatore, in http://www.lexitalia.it.

[11] Il regolamento per la disciplina degli ufficî e dei servizî è specificatamente previsto dall’art. 89, comma 1 del D.Lgs. 28/8/2000 n. 267.

[12] Per la verità, dal riferimento all’art. 2095 c.c. si desume solo che un lavoratore dipendente può essere investito di funzioni dirigenziali,  ma non che ogni dirigente debba essere sempre e comunque un lavoratore dipendente nel senso voluto dalla norma. L’osservazione, per la verità è calzante solo per il lavoro in impresa, laddove  è sempre possibile, quando essa è organizzata in forma societaria, attribuire le funzioni de quibus a talune delle cariche sociali. In questo modo, il rapporto di preposizione all’esercizio delle funzioni dirigenziali è costruito altrimenti rispetto al normale contratto di lavoro subordinato inteso nel senso voluto dall’art. 2094 c.c..

Ciò detto, è di tutta evidenza che un simile modo di intendere la preposizione all’esercizio delle funzioni dirigenziali a disposizione delle pubbliche amministrazioni, ancorché interessate alla depubblicizzazione del rapporto di pubblico impiego è completamente in conferente.

[13] I cosiddetti “responsabili degli ufficî o dei servizî” di cui discetta l’art. 109, comma 2 del D.Lgs. 28/8/2000 n. 267.

[14] Il riferimento è, ovviamente, all’art. 97, comma 4, lett. d) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 [14] all’art. 23, comma 53 della legge 23/12/2000 n. 388, modificato dall’art. 29, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448.

[16] La sentenza citata del Consiglio di Stato fa riferimento all’art. 51 della legge 8/6/1990 n. 142, ma è interamente riferibile all’attuale ordito normativo di cui all’art. 110, comma 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

[17] Cons. Stato, sez V, 12 aprile 2001 n. 2293, in www.giustizia-amministrativa.it, 2001.

[18] In questo senso, per tabulas, Cons. Stato, sez. V,  5 marzo 2003 n. 1212, cit.


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