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n. 4/2011 - © copyright

ADOLFO MUTARELLI
(Avvocato dello Stato)

Novella interpretativa sulla prescrizione in tema di operazioni bancarie in conto corrente:
«cronaca di una morte annunciata»

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Con ordinanza 10.3.2011 il Tribunale di Benevento ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del decreto legge 29.12.2010 n. 225, convertito con modificazioni dalla legge 26.2.2011 n. 10, secondo cui «in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 c.c. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo ala restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge».

Il dubbio di costituzionalità viene formulato in relazione agli artt. 3, 24, 41, 47 e 102 Cost. e non è privo di rilievo osservare che trattasi di questione di costituzionalità sollevata ex officio iudicis.

E’ ragionevole prevedere che, atteso il tenore della disposizione interpretativa ed i principi coinvolti, verranno sollevate da altri Tribunali analoghe questioni di costituzionalità anche con riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.

Appare evidente che le perplessità di ordine costituzionale configurabili a carico della disposizione in esame, non riguardano il potere di emanare norme di interpretazione autentica ovvero norme di carattere innovativo con efficacia retroattiva. E’ infatti pacifico che non esistono in tal senso limiti costituzionali al Legislatore ordinario se non quelli derivanti, in materia penale, dal secondo comma dell’art.25 Cost.; non vi è cioè un divieto assoluto di retroattività della legge [1].

Il Legislatore può, pertanto, dar vita a disposizioni di interpretazione autentica che chiariscono la portata precettiva della norma sottoposta ad interpretazione nell’obiettivo di cristallizzarne l’ermeneusi. Tuttavia la possibilità dell’adozione di tali tipo di norme (come tali con efficacia retroattiva) deve armonizzarsi evidentemente con i presupposti di tal tipo di normazione e con i principi di valore costituzionale coinvolti. In tale prospettiva il Legislatore può ritenersi abilitato ad emanare norme di interpretazione autentica in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione, di contrasti giurisprudenziali nonchè quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore. Quanto precede nel rispetto del “principio dell’affidamento dei consociati alla certezza dell’ordinamento giuridico” con la conseguente illegittimità costituzionale di una disposizione interpretativa che proponga una soluzione ermeneutica non prevedibile e del tutto eclettica rispetto a quella consolidatasi nella prassi [2]. Deve pertanto indagarsi se la previsione interpretativa in rassegna rispetti i canoni di tollerabilità costituzionale che presiedono all’adozione di previsioni della specie.

E’, in primo luogo, agevole osservare che la disposizione interpretativa introdotta offre una lettura della disposizione (come integrata dalla disciplina speciale del codice prevista per le operazioni bancarie), assolutamente non desumibile dalla disciplina complessiva dell’istituto e dalla norma interpretata su cui peraltro non sussisteva oramai da tempo contrasto giurisprudenziale. Ed infatti ancora di recente intervenendo sulla problematica dell’anatocismo nei conti corrente bancari la Suprema Corte a Sezioni Unite ha ribadito il proprio orientamento secondo cui “qualora dopo la cessazione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisca per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto indebitamente pagato a questo titolo, il termine di prescrizione decennale, cui tale azione di ripetizione è soggetta, decorre, ove i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui sono stati registrati gli interessi non dovuti” [3].

E’ significativo in proposito osservare che la problematica non è stata rimessa alle SS.UU. per contrasto tra le Sezioni semplici ma ”per la particolare importanza delle questioni sollevate”. Ne consegue che alla luce dell’illustrato diritto vivente, come tale rilevante anche i fini della valutazione di costituzionalità di norme interpretative [4], deve ritenersi che l’ordinamento non “avvertiva l’esigenza” della norma introdotta non essendovi né incertezza interpretativa sulla disposizione né contrasto giurisprudenziale.

A prescindere dalla dedotta violazione dei limiti costituzionali in ordine all’ammissibilità di leggi interpretative, deve osservarsi come la soluzione ermeneutica offerta in via legislativa fa decorrere, con efficacia retroattiva, il dies a quo della prescrizione da una circostanza di fatto (l’annotazione) che, come tale, esula dalla sfera conoscitiva o di conoscibilità del cliente. Al riguardo è agevole osservare che in subiecta materia costituisce giurisprudenza consolidata quella che fa decorrere il dies a quo solo allorché si manifesta concretamente esperibile la tutela del diritto violato [5]. L’individuazione del dies a quo viene fatta cioè coincidere con il momento (e solo con il momento) in cui il diritto può essere concretamente esercitato (cd. teoria della realizzazione e principio di attualità della pretesa). In realtà, applicando la disposizione interpretativa all’apercredito con scoperto di conto corrente il dies a quo decorre da momento anteriore (annotazione) rispetto all’esigibilità e quindi all’attualità della pretesa che diviene concreta ed attuale solo con la chiusura del conto: momento rispetto a cui si regolano in via definitiva i crediti ed i debiti delle parti tra loro [6]. E’ pertanto evidente la violazione dell’art. 24 Cost. che coinvolge sia la prima che la imperscrutabile seconda parte della disposizione interpretativa.

Appare configurabile anche la violazione dell’art.3 Cost. sia rispetto al principio di uguaglianza che di ragionevolezza. Sotto il primo profilo è agevole osservare come, dinanzi ad un analogo rapporto di conto corrente (artt.1823-1833 c.c.), venga introdotta una disciplina della prescrizione diversa allorché una delle parti sia un istituto bancario senza che tale disparità presenti un’intrinseca ragionevolezza. A ciò aggiungasi che la seconda parte della disposizione introduce una ingiustificata disparità di trattamento tra le somme versate indebitamente rispettivamente prima e dopo l’entrata in vigore delle legge di conversione del decreto legge nella parte in cui stabilisce che «in ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge ». Tale norma anodina è di così ardua interpretazione che mentre, da un lato, consente alle banche di non restituire ai clienti gli importi anatocistici già corrisposti (anche, ove applicati per assurdo in modo errato),  dall’altro, consente anche una lettura idonea a sacrificare il diritto delle stesse banche ad ottenere in restituzione somme date a mutuo ai correntisti in apercredito (ove ovviamente annotate prima di dieci anni dalla richiesta di rientro o di pagamento saldo a chiusura conto). Sicchè appare evidente anche la violazione degli artt. 41 e 47 Cost.: norme queste che devono ritenersi violate sia che si interpreti la disposizione destinata a salvare le banche sia se la si interpreti nel senso di non salvare neanche queste.

Appare, altresì, configurabile anche la violazione dell’art.117, primo comma,  Cost. per violazione dell’obbligo internazionale assunto dall’Italia con la sottoscrizione e ratifica della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo il cui art.6, primo comma, nel sancire il diritto di ogni persona al giusto processo, impone al potere legislativo di non intromettersi nell’amministrazione della Giustizia allorché l’iniziativa legislativa finisca con l’influire sulla decisione di una controversia o di un gruppo di questi. E’ infatti pacifico, dopo gli interventi della Corte Costituzionale con le note sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, che l’espressione “obblighi internazionali” contenuta nell’art.117, primo comma, Cost. si riferisce alle norme internazionali e convenzionali anche diverse da quelle contemplate dagli artt. 10 e 11 Cost.

In tale chiave interpretativa, l’art. 117, primo comma, Cost. consente di inferire il fondamento costituzionale dell’osservanza degli obblighi internazionali anche pattizzi.

Deve al riguardo evidenziarsi che l’obbligo del giusto processo non esclude che la legislazione degli Stati nazionali possa porre in essere norme retroattive che, come quella in esame, siano idonee ad incidere sui processi in corso. Sembra, altresì, significativo avvertire, in proposito, che la Corte Costituzionale, con la sentenza 26.11.2009 n. 311, ha precisato che, alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, l’incidenza di una norma retroattiva sui giudizi in corso può ritenersi giustificata solo da ragioni imperative di interesse generale.

Tale ipotesi può configurarsi quando il Legislatore nazionale sia indotto all’emanazione di una norma di interpretazione autentica destinata ad operare nei processi pendenti allorché dettata dall’esigenza di accertare e rendere operativa l’originaria intenzione del legislatore oppure dalla necessità di ristabilire parità di trattamento o ancora di rimediare ad un’imperfezione tecnica della legge interpretata [7] o allorchè ricorrano “ragioni storiche epocali come nel caso della riunificazione tedesca” [8].

Al riguardo, appare sin troppo evidente che la previsione interpretativa in rassegna non sia determinata da ragioni imperative di interesse generale non essendo sussimibili in tali ipotesi le perdite economiche di privati ed istituti bancari rinvenienti da rapporti contrattuali tra loro in essere. Aggiungasi che la previsione offre una lettura del tutto eccentrica dell’art. 2935 c.c. peraltro distonica dalla consolidata interpretazione giurisprudenziale riferita ai contratti bancari. Né ovviamente può ritenersi che la stessa ristabilisca una parità di trattamento in quanto di fatto la crea ed anzi è idonea a violare l’affidamento dei privati sul consolidamento delle situazioni contrattuali. Né infine può ritenersi che la disposizione interpretativa in esame costituisca rimedio ad un’imperfezione tecnica della legge interpretata perché offre un’opzione di manipolazione ermeneutica che, ove non spazzata via dall’intervento della Corte Costituzionale, costituirebbe un rimedio peggiore del male. Senza contare che una tale opzione, ove costituzionalmente praticabile, doveva essere operata con riferimento all’interpretazione delle disposizioni dedicate alle operazioni bancarie piuttosto che con riferimento all’istituto della prescrizione in generale.

Deve, pertanto, conclusivamente ritenersi (ed auspicarsi nell’interesse dei clienti e delle banche) che la previsione esaminata abbia il fiato corto e che, pertanto, queste brevi note costituiscano cronaca di una morte annunciata.

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[1] Corte Cost., 9 febbraio 2011, n. 41, Foro It., Anticipazioni e novità, febbraio 2011.

[2] Tar Lazio – Roma, III, 14 dicembre 2010, n. 36532, in Foro Amm., Tar 2010, 3919; Corte Cost., 30 gennaio 2009, n. 24 in Giust. Civ., 2009, I, 825; Consiglio di Stato, VI, 27 dicembre 2007, n. 6664, in Foro Amm. CDS 2007, I, 3521; Corte Cost., 7 luglio 2006, n. 274, in Giust. Civ., 2006, I, 2283; Corte Cost., 22 novembre 2000, n. 525, in Foro It., 2000, I, 3397.

[3] Cass. S.U. 2 dicembre 2010, n. 24418, in Foro it., 2011, I, 428.

[4] Corte Cost., 26 novembre 2009, n. 311, in Foro Amm., CDS, 2010, 246.

[5] Cass., 19 febbraio 1985, n. 1445, in Giust. Civ., 1985, I, 1327.

[6] Si osserva in Giurisprudenza che il contratto di apertura di credito in conto corrente è un contratto di durata ed unitario che da vita ad un unico rapporto giuridico sebbene articolato in una pluralità di atti (Cass., 10 settembre 2010, n. 19291) sicchè è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono ed emergono in via definitiva i crediti ed i debiti delle parti tra loro (Cass. 14 maggio 2005, n.10127).

[7] Sul punto è agevole il rinvio a Corte Cost., 5 gennaio 2011, n. 1.

[8] Corte di Giustizia, 20 febbraio 2003, caso Forrer-Niederthal c. Germania.


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